Förgätmigej (Nontiscordardime)
Il suono della sveglia s'insinuò nella sua testa,
martellante ed insistente.
Una mano sbucò dalle lenzuola e
afferrò l'oggetto, scomparendo con esso sotto il cuscino, dal quale
faceva capolino un disordinato ciuffo di capelli
biondissimi.
“Stephan!! La colazione è pronta! Muoviti che fai
tardi!”
Sbuffando il ragazzo uscì dalla sua morbida tana,
portando un braccio sugli occhi a proteggerli dalla luce che entrava
dalla porta aperta della sua stanza, e sbirciò un'ultima volta
l'orologio, prima di riporlo con gesto svogliato al suo posto.
Non
poteva pensare di marinare la scuola con la scusa di non sentirsi
bene, si disse, per poi recarsi comunque agli allenamenti del
pomeriggio, ai quali non poteva assolutamente mancare.
L'idea di
sorbirsi le solite ragazzine ammiccanti, che gli lanciavano
occhiatine maliziose e poi si voltavano, arrossendo, a ridacchiare
con le amiche lo infastidiva, così come il ritrovarsi bigliettini
sull'armadietto o tra le pagine dei quaderni lasciati sotto il banco,
e pacchettini, tutti rigorosamente rosso fuoco, sparsi nei posti più
improbabili.
Dopo tre anni di quell'assedio, che si ripeteva
periodicamente alla fatidica data, ormai ci aveva fatto il callo.
San Valentino: ogni anno, la stessa storia.
Passato
l'imbarazzo della prima volta, mascherato abilmente dietro a
un'alzata di sopracciglio, accompagnata da un'espressione più
scocciata che perplessa, sopportava il supplizio con distacco.
Staccava i post-it e li appallottolava senza neppure leggerli,
scrollando appena la testa, ed accantonava i pacchettini senza
scartarli, facendo in modo che tornassero alle mittenti.
Non che
le ragazze non gli interessassero, anzi! Ma tutto quel gallinaio non
l'attirava proprio.
Era ben altro il problema che temeva di
affrontare quel giorno, qualcosa che l'atterriva non poco.
“Carpe
diem!” sospirò un'ultima volta, alzandosi con un colpo di reni dal
letto, decidendosi finalmente a cominciare il suo calvario.
Fece
colazione in silenzio, glissando le domande della madre. Quando non
ne poté più, prese l'ultima fetta di pane tostato e, continuando a
masticare, afferrò giubbotto e zaino e fece per uscire.
Staccò
un mazzo dal portachiavi a parete, ma quando le mise in tasca, le
dita sfiorarono qualcosa di soffice. Estrasse un piccolo sacchettino
blu, rimanendo a fissarlo pensieroso per alcuni secondi, prima di
riporlo nel taschino interno della giacca, chiudendone la zip con
cura.
All'esterno la mattina era ancora buia e la luce dei
lampioni riverberava sulla neve che ricopriva la città.
Nel
cortile della scuola i ragazzi accennarono una breve battaglia a
palle di neve, alla quale non partecipò, dirigendosi invece con
risolutezza verso l'edificio.
Come da copione, un coloratissimo
puzzle di bigliettini ricopriva il suo armadietto, e quelli di altri
due o tre compagni, ed in classe trovò ad aspettarlo un mucchietto
di pacchettini rossi, che venne ordinatamente spostato in un angolo
del banco, sotto gli sguardi sconsolati di un gruppetto di
ragazze.
Le lezioni non passavano mai, e ringraziò mentalmente il
cielo che non fossero previste interrogazioni, poiché, nonostante
l'apparente attenzione, la sua testa era da tutt'altra parte.
Non
molto lontano, in verità, solo un'aula più avanti, oltre quel muro
dietro la lavagna.
Al suono della campanella dell'intervallo
dovette fare uno sforzo sovrumano per non fiondarsi in corridoio. Si
alzò invece con calma, lanciando un'occhiata eloquente alle
proprietarie dei pacchettini, ed uscì chiacchierando con Bjorn, il
suo compagno di banco.
L'atrio ed i corridoi della scuola
cominciavano ad essere illuminati dal sole, che timidamente faceva
capolino oltre l'orizzonte, ed i ragazzi li affollavano facendo più
baccano del solito, mentre il rosso sgargiante delle carte da regalo
balenava in ogni angolo.
Con noncuranza, il biondo cannoniere
continuò a discutere di calcio con l'amico, dirigendosi verso un
gruppetto di ragazze. Una di queste si volse verso di loro e
l'apostrofò:”Ehi, capitano! Quest'anno hai aperto almeno uno dei
tuoi regali?” chiese maliziosamente, agganciandosi al braccio
dell'altro e schioccandogli un bacio sonoro sulla guancia, che lo
fece arrossire.
Stephan trattenne una risata nel vedere
l'espressione del compagno, e scambiò un'occhiata con la ragazza,
sorridendo e scuotendo il ciuffo biondo “Spiacente, Anna, niente
anche quest'anno!”
“Ah, Levin! Sei proprio incontentabile!”
rise lei, trascinando via il suo fidanzatino.
Il giovane si
strinse nelle spalle, sogghignando ancora, e infilò le mani in
tasca, lanciando un'occhiata apparentemente disinteressata intorno,
sorvolando sulle due ragazze rimaste e dando uno sguardo annoiato
all'interno dell'aula vuota.
Il terzo banco da sinistra era
sgombro, nessun libro, penna o astuccio lo ingombrava, a differenza
degli altri che portavano il segno della lezione appena
terminata.
Chiedere sarebbe stato davvero troppo per il suo
orgoglio già tormentato, ma il peso che l'opprimeva da quella
mattina stava diventando insopportabile.
Fece per voltarsi e
rivolgere la domanda che aveva sulla punta della lingua, quando colse
un pezzo di conversazione tra le due “...si sarà presa
l'influenza, vedrai! Prima di tornare a casa, passo da lei e le porto
gli appunti di letteratura. Con tutto quello che ha spiegato il
professore oggi...”
Tanto gli bastò.
Rientrato in aula tra i
primi, constatò con sollievo che i pacchettini rossi erano spariti.
Le ultime ore volarono, così come volarono gli allenamenti, nei
quali si buttò sì con il corpo, ma non con l'anima. Quella era
ancora rivolta al banco vuoto, e al nuovo problema che aveva creato
l'assenza della sua occupante.
Il sole era basso, quasi radente
l'orizzonte quando uscì dal campo e s'avviò a casa. La sua luce
riverberava sul mare, frammentandosi in milioni di gioielli
scintillanti e baluginava attraverso il piccolo ciondolo che il
giovane faceva dondolare tra le dita.
Il riflesso sbriciolato del
cielo sopra di lui e del ponte sul quale s'era fermato a rimuginare
pareva uno di quei quadri dell'Impressionismo francese che stava
studiando a scuola.
Si sentiva un idiota, no! Era decisamente un
idiota!
Ma cosa diamine gli era preso? Si chiese per la centesima
volta da una settimana a quella parte.
Era sempre stato un tipo
deciso, tutto d'un pezzo, in molti lo ritenevano sicuramente più
maturo della sua età, con un carisma tale da essersi meritato in
brevissimo tempo il ruolo di capitano nella sua squadra e,
addirittura, nella nazionale giovanile.
Aveva sempre affrontato
le cose di petto, prendendosi le proprie responsabilità, e
difficilmente qualcosa lo scuoteva o turbava.
Analizzava gli
eventi con fredda logica, per questo il ruolo di regista della
squadra gli calzava a pennello, e non credeva nel caso, tanto meno
nei colpi di fulmine...
Dalle labbra, livide per il gelo, sfuggì
un sospiro che formò una nuvoletta di vapore.
Il ciondolo, un
fiorellino azzurro con una tenue sfumatura bianca, dondolò appena,
spinto da un refolo di vento freddo.
L'aveva comprato due giorni
prima, in un lampo d'incoscienza, s'era detto. L'aveva visto, esposto
in una vetrina, e quel colore tenue ed intenso insieme gli aveva
ricordato quegli occhi che tormentavano i suoi sogni di notte e la
sua anima di giorno.
L'aveva riposto in un cassetto fino alla sera
prima, quando l'aveva infilato con risolutezza nella tasca del
giaccone, salvo poi essere roso dal dubbio per tutta la notte.
Non
credeva ai colpi di fulmine, no.
Ma se ripensava a quel pomeriggio
in compagnia degli amici al Luna Park, alle risate, alla sua
risata che gli aveva fatto vibrare il cuore più di una volta quel
giorno, al profumo dolce dei suoi capelli quando, terrorizzata da un
buffo fantasma nella Casa degli Spettri, gli si era stretta addosso.
Il calore del suo fiato sulla pelle, il solletichio di un ricciolo
birichino che gli aveva sfiorato il collo...
Ecco, bastava quel
ricordo perché il cuore cominciasse a battere fuori controllo,
impazzito.
Da quel pomeriggio, ogni certezza cadeva davanti agli
occhi azzurri di Karen, ed il fiero capitano dallo sguardo di
ghiaccio in sua presenza non riusciva che a spiccicare secchi
monosillabi, reso totalmente incapace di instaurare una normale
conversazione.
Dopo aver ceduto all'impulso di acquistare quel
piccolo dono, aveva dovuto arrendersi all'evidenza dei fatti.
Erano
due giorni e due notti, ormai, che si scervellava su come dare quel
piccolo pegno alla ragazza che aveva sbaragliato tutte le sue difese,
colpendolo direttamente al cuore. Non poteva lasciarglielo sul banco,
troppo banale e decisamente da vigliacchi, ma non poteva neppure
consegnarglielo a scuola, davanti a tutti.
Aveva optato per
chiederle di vedersi subito prima degli allenamenti, con una scusa
banalissima come gli appunti di storia, materia nella quale lui era
assolutamente negato e nella quale invece lei eccelleva.
Ma i suoi
piani erano andati a monte...
Il fiorellino di cristallo dondolava
piano tra le sue dita, mandando tenui bagliori nella precoce notte
del Nord.
“Ciao, capitano!” la voce lo fece sobbalzare, e per
poco l'oggettino non gli sfuggì di mano. Preso alla sprovvista,
strinse la catenella e la ficcò rapidamente in tasca, voltandosi e
scattando quasi sull'attenti.
“Ciao, Karen...” gli riuscì di
dire, dopo che la lingua si fu staccata dal palato. Deglutì a vuoto,
rendendosi conto d'aver smesso di respirare per qualche secondo. Lei
era lì, avvolta in un semplice cappottino nero col collo di
pelliccia che metteva in risalto il candore della pelle di
porcellana, nel quale brillavano quegli occhi azzurri come il cielo
di primavera. Il vento le passò tra i capelli, portandogli il
profumo tenue di violette che aveva il potere di mandare
definitivamente in loop il suo cervello.
“Tutto bene, Stephan? Ti
ho visto un po' pensieroso...” chinò la testa da un lato, con quel
suo fare innocente, le mani affondate nelle tasche del cappotto e uno
sguardo sinceramente preoccupato.
“No, no, nulla!”
Ecco,
si disse, i soliti monosillabi! Mai possibile che non riuscisse a
dire più di tre lettere filate, in sua presenza?!
“Oh, che
carino! Un nontiscordardime!” l'esclamazione allegra della giovane
lo riportò al presente. Vide l'espressione estasiata negli occhi
azzurri e seguì la traiettoria del suo sguardo, tremando quando
s'accorse che finiva esattamente sulla sua tasca destra. Ed eccolo,
il ciondolino che spuntava dispettoso dalla cerniera. Nella fretta,
aveva infilato la catenella in tasca, ma il pendente era rimasto
fuori ed ora brillava allegro alla luce dei lampioni.
“Carpe
diem.” si ripeté mentalmente. Cogliere le occasioni in campo era
la sua specialità, no?
Estrasse adagio il ciondolo e lo portò
davanti al viso, lasciandolo dondolare; lo guardò con aria scettica,
sollevando un sopracciglio “Nontiscordardime, hai detto?”
.
Karen sorrise, e una fossetta si formò accanto alle labbra a
cuore. Una manina spuntò dal cappotto e le dita affusolate
sfiorarono il cristallo “Sì, proprio un Förgätmigejs.”
Annuì lei, seria.
“Posso?” in un attimo il fermaglio venne
aperto e richiuso intorno al collo della ragazza.
Le mani del
capitano indugiarono un secondo di più tra la seta dei capelli, e lo
sguardo passò veloce dal pendente, che ammiccava sulla soffice
pelliccia, agli occhi azzurri a pochi centimetri dai
suoi.
“Grazie...” un sussurro che chi sfiorò il viso,
carezzandogli le labbra col suo dolce profumo.
E quella bocca
sotto la sua era morbida e calda, e nulla al mondo, si disse,
l'avrebbe mai separato da lei.