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Autore: FairySweet    30/11/2015    6 recensioni
Non esisteva più la paura, niente esitazioni né incomprensioni perché ora, nel suo piccolo mondo sicuro, aveva qualcuno per cui lottare, qualcuno da difendere e poco importava cosa pensasse il mondo, ci stava bene in quel mondo e non avrebbe permesso a nessuno di rompere i muri spessi che lo tenevano al sicuro, nemmeno ai fantasmi ...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Miei giovani cuori, vi presento il continuo di una favola perché è così che mi piace definirlo.
Mi avete scritto in tanti, ero affezionata a "Lascia cadere il mondo" così tanto da scriverne il continuo in pochi giorni.
Ho aspettato a pubblicarla fino ad ora, non ero certa del risultato finale ma ho deciso di condividere con voi i miei pochi dubbi. Conoscete il mio modo di scrivere, i miei personaggi, la gioia che provo nel trasmettervi un po' di quell'emozione che mi riempie il cuore ogni volta che scrivo qualcosa.
Grazie già da ora a chi di voi si soffermerà per qualche minuto sulla mia storia. Il primo capitolo è lungo ma consideratelo una bella introduzione a quello che verrà. Come sempre resto a vostra disposizione per domande e chiarimenti, ormai lo sapete già quindi, rilassatevi e prendetemi per mano in questo viaggio nel mondo interiore che custodisco. Un bacio enorme a tutti voi.   



             

              Oltre il Passato 







C'era profumo di neve nell'aria, la stessa neve lontana che presto avrebbe colorato i boschi e i campi lasciando un dolcissimo silenzio ad avvolgere il mondo.
Si voltò di lato e un sorriso leggero le sfiorò le labbra mentre le braccia del giovane la stringevano “Dovremo alzarci” “No ti prego” “Contessa, lo sapete cos'accadrà tra poco?” posò una mano sul suo fianco tirandola dolcemente verso di sé.
Era così dannatamente bella, con i capelli scompigliati, il volto rilassato e gli occhi ancora chiusi mentre tentava di ignorare il tocco dell'aria fresca sulla schiena nuda.
Le sfiorò le labbra con un dito scendendo sul collo “Sei sempre stata così bella?” la sentì sospirare, le labbra si schiusero dolcemente accogliendo quel bacio delicato che ormai era diventato il suo unico respiro.
La strinse più forte a sé nascondendola dal resto del mondo ma quei colpi leggeri sulla porta la costrinsero a sorridere “Come fa?” “Andrè” “Deve avere qualche strano modo di calcolare il tempo ...” ma lei sorrise scivolando via dalle sue braccia “ … sono abbastanza sicuro che sia colpa tua” “Mia?” domandò confusa infilando la camicia “Da piccola riuscivi a svegliarti in perfetto orario, a volte ti trovavo davanti alla finestra, con la coperta tirata fin sulla testa, dicevi di voler rubare i raggi del sole all'alba” “E tu?” domandò divertita chiudendo uno dopo l'altro i bottoni “Io cosa?” “Tu non facevi forse la stessa cosa? Ti trovavo accanto a me ogni volta che mi alzavo dal letto” ribatté divertita “Oscar non dovresti alzarti così presto, e se tuo padre ti vede?” “Hai messo la mia” “Cosa?” domandò confusa “Hai messo la mia camicia” si avvicinò allo specchio osservando per qualche secondo l'immagine riflessa.
Una donna ora anche mamma, i capelli molto più lunghi, chiari come l'oro. Un corpo delicato che la maternità aveva sfiorato appena, come se quei nove mesi tanto amati che per due volte le avevano regalato amore, avessero toccato appena i suoi fianchi e quell'incarnato che era lo stesso di sempre.
Sorrise stringedosi dolcemente nelle spalle, la stoffa della camicia si tese leggermente, era troppo grande per lei, le sfiorava le cosce coprendone quasi metà e lasciava libera la spalla sinistra. Tornò a concentrarsi sul suo volto, su quegli occhi che troppe volte aveva rivisto in sogno e che le mancavano più di quanto potesse immaginare.
Suo padre le aveva regalato quegli occhi ed era di suo padre il volto che appariva tra i sorrisi, quella ruga leggerissima che le sfiorava la fronte quando pensava troppo, quando si costringeva a lunghe ore di riflessione.
Inclinò leggermente la testa di lato sfiorandosi il collo con le dita “Andrè, tu credi che io sia ...” “Bellissima” si voltò verso di lui cercando quello sguardo tanto dolce capace di cancellare ogni paura “Trovo che tu sia bellissima, lo sei sempre stata ma ora, ora sei perfetta” le braccia scivolarono lungo i fianchi mentre un passo dopo l'altro si avvicinava al letto, a lui.
Lui che non riusciva a smettere di guardarla, lui che tratteneva il respiro ogni volta che l'aveva troppo vicina.
“Sei così bella” “E voi siete di parte” sussurrò chinandosi leggermente in avanti, la mano del giovane si strinse dolcemente attorno al suo collo, le labbra a pochi centimetri l'uno dall'altra mentre quella camicia ancora mezza slacciata era così maledettamente invitante da cancellare di colpo la razionalità.
Le sfiorò con le labbra la spalla nuda scendendo lentamente verso il seno ma la stoffa era un limite troppo debole e insulso per poter essere rispettato, la sentì tremare leggermente quando il primo bottone si aprì e così anche il secondo.
Aveva un bisogno disperato di lei, di baciarla e stringerla, come se quegli ultimi sette anni non fossero mai esistiti.
Forse era normale, forse, un uomo che per una vita intera aveva aspettato quelle labbra aveva tutto il diritto di chiedere all'amore qualcosa di più.
Di nuovo quei colpi leggeri sulla porta di nuovo un sorriso leggero sulle labbra “Ho idea che la vostra attesa durerà ancora qualche minuto signore” “Non puoi lasciarmi ora” sussurrò tirandola dolcemente su di lui “Ogni volta che mi lasci ...” seguì la linea delicata della schiena salendo fino alle spalle “ … ogni volta che ti allontani da me c'è questo gelo maledetto che mi fa paura” “Non scappo da nessuna parte” sussurrò sfiorandogli il volto con le labbra “Non ti lascio” un altro bacio, le mani intrecciate sul cuscino a pochi centimetri da quel volto meraviglioso che riusciva sempre a farla sentire protetta “Ma c'è qualcuno che ha bisogno di me” “Io ho bisogno di te” “Tu hai più di cinque anni” “Ti diverti?” “Abbastanza” lo baciò velocemente scendendo dal letto e allacciando di nuovo i bottoni della camicia, si avvicinò alla porta aprendola leggermente “Buon giorno amore mio” le braccina di Renée si alzarono verso di lei costringendola a sorridere.
Aveva gli occhi ancora pieni di sonno e i capelli tutti in disordine, stringeva nella manina sinistra quella bambola di pezza che da quando era nata le faceva compagnia nel sonno “Ti sei svegliata troppo presto” sussurrò prendendola in braccio “Va tutto bene?” “Tua figlia ha fatto un brutto sogno” “No mamma” “No?” domandò divertita sedendo sul letto accanto a lui “Ho sognato di cadere da cavallo” “E questo non è un brutto sogno vero?” sussurrò divertito sfiorandole la schiena ma la bambina era talmente stanca da non accorgersi nemmeno di quella carezza leggera.
Si strinse più forte alla madre nascondendo il volto sul suo seno “Ti va di dormire ancora un po'?” “No” ma quella debolissima protesta scatenò solo sorrisi “Ti prometto che non cadrai più da cavallo e che i brutti sogni non verranno a disturbarti” “Ma loro mi trovano lo stesso” “C'è tuo padre qui con te, li terrà lontani” Renée aprì gli occhi cercando il volto del padre “Vieni ...” mormorò Andrè allargando leggermente le braccia, le manine della piccola si strinsero alle sue, si staccò dalla madre lasciandosi tirare in quell'abbraccio “ … vieni qui farfallina” la strinse a sé posando le labbra sulla testolina della figlia “Nessuno ti farà più paura” “Vado a controllare Etienne” “D'accordo” Oscar sorrise tirando la coperta sul corpicino della bambina, sembrava un piccolo gattino arruffato che cercava in suo padre protezione e tenerezza.
La fronte posata contro il suo petto e le manine strette a pugno poco distanti dal volto mentre si abbandonava lentamente al sonno.
Renée era il suo piccolo capolavoro, la sua opera d'arte preziosa e rara con quei riccioli color del sole e gli occhi azzurri come il cielo. Aveva rubato a suo padre le venature delicate di verde e mare, venature che le coloravano lo sguardo ogni volta che incuriosita osservava qualcosa o qualcuno.
Se anni prima le avessero detto che la sua vita sarebbe stata così semplice probabilmente sarebbe scoppiata a ridere.
Non si era mai immaginata in nessun'altro posto all'infuori di Parigi e invece quel gioco di pensieri era diventato realtà.
Si chiuse la porta della camera alle spalle, il corridoio dolcemente illuminato era ancora assopito nella notte e nell'alba.
Si avvicinò alla porta del figlio aprendola lentamente.
Il suo bellissimo bambino se ne stava dolcemente voltato su un fianco, con una manina davanti al volto e l'altra stretta alla coperta perso nella stessa posizione che si portava via i sogni del suo papà.
Richiuse lentamente la porta cercando di fare meno rumore possibile.
Amava quell'ora del mattino, quando il sole ancora indeciso restava al sicuro oltre l'orizzonte e il cielo si tingeva lentamente di un pallido rosa.
Dalle finestre della saletta filtrava la luce tenue del cielo e in qualche modo, ogni cosa lì dentro sembrava prendere vita.
Il camino ancora tiepido, il pianoforte scuro che riposava al sicuro nell'angolo accanto alla finestra.
Era stato un regalo, un regalo stupendo da parte di un uomo che per sette anni era rimasto lontano da lei e che nonostante tutto, le aveva donato musica e dolcezza perché forse un padre non smette di fare il padre, nemmeno dopo tanto tempo di vuoto assoluto.
Sapeva bene che non approvava quella vita, la sua adorata figlia viveva in una casa normale, semplice e piccola sperduta da qualche parte a tra i boschi e il mare.
Lontana dai privilegi che il suo rango le concedeva, lontana da lui.
Una sciocca vita normale con i giochi dei bambini sparsi di fronte al camino, quattro graziose camere da letto e una sala troppo piccola per una contessa, il giardino pieno di colori assopiti che ogni primavera fioriva di nuovo riempiedo tutto di gioia e soprattutto un uomo, un uomo semplice, un figlio del popolo che si era portato via il suo futuro.
Fece un bel respiro chinandosi verso il cucciolo assopito a pochi passi da lei “Hai dormito bene?” sfiorò con le dita quel musetto assonnato che si muoveva felice sulla sua pelle “I brutti sogni sono scomparsi” “Davvero?” si voltò verso Andrè ridendo di quell'espressione a metà tra il sonno e la tenerezza “Direi che se vogliamo combattere i brutti sogni, dobbiamo lasciarle la porta della cameretta aperta, almeno per qualche ora” “Sono solo brutti sogni, passeranno” “Ne sei sicura? Perché è qualche tempo che Renée si sveglia nel sonno” “Andrà tutto bene, è ancora così piccola, i brutti sogni fanno parte della sua età” si alzò di nuovo giocherellando con il laccetto della camicia.
Sentì le mani dell'uomo sui fianchi, il torace forte che si modellava sulle linee delicate della sua schiena “Voglio solo che stia bene, che stiate bene” “Non aver paura per lei amore mio. La tua bambina è forte abbastanza per prendere a pugni tutti i brutti sogni di questo mondo” “Sei ancora troppo bella per camminare per casa con questa camicia addosso” “E tu stai ancora sognando” sussurrò divertita reclinando la testa indietro, le labbra del giovane le sfiorarono il collo scendendo fino alla spalla “Te l'ho già detto più e più volte, se mi cammini davanti così non usciremo mai da casa” “E la cosa ti dispiace?” la strinse più forte a sé ridendo “Si, si moltissimo” “Bugiardo” mormorò voltandosi dolcementre tra le sue braccia.
Quante volte l'aveva sognata così, quante volte negli anni passati si era svegliato di notte senza fiato per colpa di quegli occhi, per quelle labbra, le stesse labbra che erano così maledettamente vicine alle sue, gli stessi occhi che ogni mattina gli ricordavano quanto bella fosse la vita.
Le sfiorò il volto incantanto dalla perfezione dei suoi lineamenti ma la vocina di Etienne arrivò limpida e violenta costringendolo a sospirare, abbandonò la fronte sulla spalla di Oscar stringendola più forte “Abbiamo finito i figli vero? Ti prego non illudermi con il silenzio” sentì le dita della ragazza perdersi nei capelli mentre rideva divertita.
Etienne corse nella sala cantando filastrocche allegre mentre sua sorella rideva a perdifiato “Sono stata in camera sua tre minuti fa” “Ed eri sicura che stesse dormendo? Errore imperdonabile colonnello, non me lo sarei mai aspettato da voi” “Smettila” “Ehi ehi, cosa vi ho detto sul correre dentro casa?” “Ma sto vincendo una battaglia importante padre” “Che ne sai tu delle battaglie?” domandò confuso sollevando di nuovo il volto “Se sai lottare puoi tenere al sicuro le persone che ami” ribatté Etienne, la sorellina annuì decisa cercando lo sguardo del padre ma Andrè sorrise “Sei troppo piccola per le battaglie” “Ma padre io ...” “Tu sei sveglia ad un'ora improponibile ...” si voltò di nuovo verso Oscar ridendo “... sono sempre più convinto che sia colpa tua” “Forse è un bene” sussurrò scivolando via dalle sue braccia “Mamma posso giocare con Starlette?” “No, non fino a quando non ti sarai lavata e vestita e non avrai fatto colazione” Etienne si avvicinò a lei posando le mani sulle spalle della sorellina “Solo per pochi minuti” restò qualche secondo ad osservare l'espressione sul volto del figlio, quel modo divertente che aveva di chiedere cose mascherandosi dietro ad una finta dolcezza, il volto di Renée che copiava in tutto e per tutto suo fratello, le mani dietro alla schiena, le labbra dolcemente schiuse e gli occhi carichi di tenerezza “Non siete ancora così bravi” Andrè rise divertito inginocchiandosi davanti ai bambini “Vostra madre riusciva ad ottenere le cose senza nemmeno chiederlo” Te l'avevo detto” esclamò indispettita Renée voltandosi verso il fratello “Ora via di qui, avete sentito vostra madre?” “Andiamo, ti aiuto” mormorò Etienne prendendo per mano la piccola.
“Per quanto ancora vogliamo ignorare il fatto che i bambini abbiano incontrato tuo padre per caso?” domandò d'improvviso seguendo con lo sguardo i figli “Per tutto il tempo che sarà necessario” “Oscar ...” “Ti prego, ti prego possiamo solo fingere che tutto sia come sempre?” ma lui non rispose, si limitò ad annuire sfiorandole dolcemente una spalla e nulla di più.




“Con tutto il rispetto, non vedo come possa esservi utile tornare a ...” “Non sono incline ad accettare sciocche lamentele” “Perdonatemi” esclamò il giovane sedendo di fronte a lui “Pensavo solo che forse, per la vostra salute, sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di sforzo, e non intendo solo quello fisico signore” “Ritieni davvero che rivedere mia figlia possa essere uno sforzo?” “Penso che rivedere vostra figlia possa costringervi ad affrettare i tempi di guarigione” l'altro sorrise raddrizzando la schiena, l'azzurro che gli colorava lo sguardo si tinse di fierezza mentre osservava il volto del giovane di fronte a sé.
Giovane, fresco, con lineamenti fini e due occhi di un azzurro così intenso da togliere il respiro.
Era moro, alto, vestiva elegantemente e più elegante ancora era il suo incarnato. Abbronzato, fresco come la pelle degli ufficiali che per anni vivevano sulle navi.
Era abituato a quel giovane, in fondo, erano anni che l'aveva attorno “Mia figlia è forse l'unica medicina utile al cuore indurito e freddo che porto dentro. Mi conosci bene Maxime, quando tuo padre è morto mi sono preso cura di te come un figlio” “E proprio come un figlio vi dimostro rispetto perché senza di voi sarei stato perso. Per l'affetto che provo nei vostri confronti, vi prego di ripensarci ancora una volta” il generale rise appena muovendo leggermente la mano e un servo si avvicinò a lui reggendo un vassoio, sopra vi erano due bicchieri colmi di vino e un piatto d'argento dove due sigari riposavano silenziosi “Hai la stessa età della mia bambina, la stessa irriverenza nel rispondere” “Eppure non mi avete mai permesso di incontrarla” “Non ne avevo alcun motivo” “Forse, sarebbe stato meno difficile per vostra figlia trovare il proprio posto nel mondo” “Credi sia tutto così semplice? Il senso di colpa per l'errore che ho commesso mi sta consumando ragazzo. Ho distrutto la purezza di mia figlia e per cosa? Per questa sciocca follia dell'erede perfetto quando avrei potuto semplicemente adottarti” “L'avete fatto, non legalmente ma vi siete preso cura di me, delle proprietà di mio padre, della mia salute e delle mie finanze fino a quando non sono stato in grado di occuparmene da solo. Mi avete permesso di chiamarvi padre anche se non siete mio padre. Conosco il motivo che vi ha spinto ad allevare vostra figlia come un uomo ma sono convinto che se non l'aveste fatto, ora probabilmente vostra figlia sarebbe diversa, uguale alle altre” “Sarebbe felice e serena, lontana dalla Francia, lontana dal caos che brucia la nostra realtà. Sarebbe sposata ad un conte o un duca, qualcuno in grado di renderla felice e non costretta a vivere assieme ad un plebeo” il volto del giovane si colorò di tenerezza, le parole di quel padre adottivo che per anni era stato la sua unica salvezza erano piene di tenerezza, di esitazione che mai prima d'ora gli aveva sfiorato la voce.
“Ho una confessione da farvi padre” “Come mai ogni volta che inizi una frase così, il cielo e il mare si rivolta contro di me?” “Non credete di esagerare?” domandò il giovane prendendo un calice di vino, l'altro sospirò incrociando le braccia sul petto “Avevi sedici anni e mi hai detto la stessa cosa, dopo poche ore sono venuto a sapere che avevi sfidato il colonnello Marguìlle per uno sciocco motivo” “Non era sciocco” “Una donna! Hai sfidato un colonnello di sua maestà perché ti eri infatuato di sua moglie!” “Ne parlate come se fosse un peccato” “Allora? Aspetto questa confessione” il duca sorrise “Ho visto vostra figlia” “Oscar?” annuì divertito osservando le espressioni sul volto del generale “Mi avete ripetuto per anni che vederla era vietato, che non avevo il permesso di parlarle o di cercarla perché vostra figlia era destinata alla grandezza” fece un bel respiro giocherellando con il bicchiere “Mi avete imposto limiti e divieti per tenerla al sicuro, lontano dal resto del mondo perché doveva diventare perfetta” il generale socchiuse gli occhi rilassando ogni muscolo “Una mattina di primaversa sono passato a farvi visita. Quel bellissimo roseto bianco decorava ancora il giardino della vostra tenuta e i cancelli d'ingresso erano sorvegliati da un drappello di uomini dalle divise rosse e oro” “Avevi nove anni” “Lo ricordate?” domandò stupito ma l'altro annuì pensieroso stringendo con la mano sinistra il suo bastone “Oscar aveva appena compiuto nove anni, quelle rose erano state un regalo di sua madre” “Davvero?” “Era convinta che una vita di imposizioni e di regole avrebbe costretto Oscar a dimenticare la dolcezza dell'infanzia e il suo essere donna così, fece costruire quel meraviglioso giardino per donare a nostra figlia un po' di serenità” Maxime sorrise ascoltando incantato quei ricordi lontani “Ricordo bene l'inizio dei lavori, l'espressione confusa di Oscar, mi restava accanto osservando incuriosita quelle piante scarne e senza fiori. Non riusciva a capire per quale motivo sua madre avesse scelto piante tanto brutte” “Ma quelle piante sono diventate meraviglia, proprio come Oscar” il generale tossicchiò annuendo orgoglioso “Quando ho visto quel roseto sono rimasto senza fiato. Era così bello, così puro” “È questo che devi confessare? Hai visto quelle rose candide e hai immaginato mia figlia?” “No signore, mi sono accorto di quella breccia leggera nel muro e ho spiato vostra figlia” ribatté divertito “Ogni volta che cavalcavo accanto alla vostra tenuta mi fermavo, oltrepassavo il boschetto e seguivo il sentiero di terra battuta che costeggiava le mura ad est fino a quel piccolissimo squarcio coperto da fiori e menta” quelle immagini leggere e pure tornavano davanti agli occhi riscaldando il cuore.
“Restavo lì per ore ad osservare gli esercizi di una bambina con i capelli corti e lo sguardo orgoglioso. Mi incantava la forza e la dedizione che metteva in ogni cosa, negli esercizi a cavallo, nelle sequenze di passi che imparava per maneggiare la spada” “Hai visto una bambina” “Già, era bionda e bella, con i capelli così chiari da sembrare gocce di sole. I suoi occhi avevano rubato il colore del cielo e il suo incarnato era di porcellana” il servo si avvicinò di nuovo a loro reggendo l'ennesimo vassoio ma un gesto del generale bastò a congedarlo “Tornavo a spiarla giorno dopo giorno. A volte era tanto fortunato da riuscire a vederla per ore, altre invece solo pochi minuti. L'ho vista bambina e giovane adolescente. L'ho vista crescere indecisa sulla propria identità e poi fui costretto a lasciarla. È questa la confessione che ho da farvi padre, come vedete, conosco vostra figlia per colpa di una breccia nella roccia” “E come vedi, quella breccia non è mai stata chiusa” il giovane trattenne il fiato raddrizzandosi di colpo sulla sedia “Voi … voi sapevate?” “Mi credi davvero tanto ingenuo? Oscar è sempre stata ben protetta, fin da piccola Maxime. Conosco a memoria ogni angolo della mia tenuta, i giardini, i boschi, gli anfratti e il giardino interno dove mia figlia si esercitava. Conosco bene quel piccolo foro nella roccia, è sempre stato lì e ti ho visto più di una volta ragazzo” “Perché non me l'avete detto?” ribatté indispettito accavallando le gambe “Perché eri così piccolo, lo eravate entrambi. Era un gioco innocente e non arrecava a mia figlia nessun problema” “Mi avreste risparmiato anni di sedute sulla nuda roccia!” ma il generale non rispose. Era concentrato su qualcosa, su qualcuno che solo lui riusciva a vedere.
Forse era un sogno o forse un ricordo lontano ma i suoi occhi erano spenti e la voce ora tremante “Sono passati sette anni, sette lunghissimi anni senza poterla vedere, senza parlare con lei o stringerla tra le braccia” “Avete scelto il silenzio padre, avete scelto di starle lontano per evitare di soffrire, per evitare anche a lei un dolore troppo grande, perché ora volete rivederla?” “Perché è mia figlia” esclamò gelido “Mi ha regalato due nipoti, due figli che la maggior parte di noi chiama bastardi. Figli illegittimi nati da una relazione clandestina che non hanno futuro” “E voi?” sollevò lo sguardo dal bicchiere perdendosi qualche secondo sullo sguardo d'acqua del giovane “Voi come li chiamate?” “Ha importanza?” “Mi avete chiesto di andare da lei, di portarla qui per poterla rivedere. Sapete cosa significa, quei bambini entreranno nella vostra vita padre, volente o nolente vi affezionerete a loro e diventeranno il vostro ossigeno” “Lo pensi davvero?” “Sono cuccioli dagli occhi di cielo che incantano” “Anche ai cuccioli si può insegnare il rispetto. Impareranno a temermi” “Perché? Insomma, perché non potete semplicemente lasciar cadere la maschera fredda che portate?” “Stai davvero parlando in questo modo a tuo padre?” “Perdonatemi ma vedete, io credo che quei bambini possano farvi bene signore, non riavrete vostra figlia senza accettare nella vostra vita quei bambini e il loro padre” “Portala qui da me” “Ne siete davvero sicuro?” “Prendi due uomini e raggiungila. Falla venire qui non importa come o con quale scusa, ho bisogno di parlare con lei” “Non mi ascolterà se non ...” “Conosco mia figlia. Non è indifferente all'affetto per suo padre Maxime, non importa quanti anni sono passati, non si smette di amare una figlia così come non si smette di amare un padre” un debole cenno d'assenso come risposta e poi di nuovo il silenzio gelido ad invadere i pensieri.


 
  
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