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Autore: Lady Po    04/12/2015    2 recensioni
La vita di Leila scorre tranquilla adesso. Vive da sola in una città che ama, ha nuovi amici, e sembra aver chiuso definitivamente con il passato che le ha lasciato parecchie cicatrici. Ma non tutto è come sembra. L'arrivo di una lettera cambierà ogni cosa, portando a galla emozioni da troppo tempo sopite e insidie nascoste. La vita rassicurante di Leila si sgretolerà sotto i colpi del destino, che ancora una volta mischia le carte del gioco in una trascinante partita senza esclusione di colpi.
[ATTENZIONE: seguito rivisto della mia storia precedente "Somebody that I used to know"]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia rielabora in maniera più precisa e organica tutto quello che avevo in mente da tempo per il continuo di Somebody that I used to know. Mi scuso con le lettrici che avevano letto e commentato la versione precedente, ma non riuscivo più a portarla avanti: non rispecchiava in pieno quello che volevo trasmettere ai lettori. Non garantisco sulla puntualità degli aggiornamenti perché purtroppo (o per fortuna) sono parecchio impegnata. Pur traendo ispirazione da contesti esistenti, i personaggi sono frutto della mia fantasia così come i fatti narrati. Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione. Ogni critica, purché mossa con cognizione di causa e in modo educato, è ben accolta.

Buona lettura!


 

I

I raggi del sole mattutino, immensi fasci di luce granulosa, si allungano sul cofano di un auto in fila. Sotto l’ombra dei pioppi, distribuiti come soldati in attesa di congedo, alcuni passanti si rinfrescano bevendo da una fontanella malconcia. La canicola estiva ha lasciato il posto ad una calura più mite, temperata. Settembre è il mese dei grandi rientri, delle aspettative altisonanti e dei pomposi inizi che, puntualmente, trovano il loro naturale oblio nei mesi successivi. Stringo voracemente tra le mani una busta affrancata dall’aspetto trasandato. Proviene dall’America, da New York ad essere precisi. La mia prima reazione è quella di strapparla senza conoscere il suo contenuto, poco importa se il mittente è Seth Douglas. La seconda è più razionale: prendo la busta, ringrazio il postino e salgo nuovamente su per le scale. E la mente ritorna a guardare momenti passati, scorci di vita che ancora non ho avuto il coraggio di dimenticare. E’ già passato un anno dalla festa nella residenza estiva dei nonni, eppure il ricordo è ancora vivido e inciso sulla pelle. Inevitabilmente lo sguardo cade sul piccolo tatuaggio raffigurante una farfalla. Il tatuatore, Roberto, ha voluto conoscere il significato prima di disegnarla sulla mia pelle.

«Ti amo Seth, inutile negarlo.»

«Non dovresti, Leila.Ti prego, dimenticami piccola… sarà più facile per entrambi. Sei libera adesso, libera di vivere la tua vita. Spicca il volo.»

Ed io l’ho spiccato il volo. Ho fatto tatuare quella farfalla per ricordarmi costantemente di non permettere più a nessuno di tapparmi le ali.

«Chi era Ley?» Barry, il mio coinquilino, sopraggiunge con passo mitigato. Ha una strana bandana in testa e una maglietta di due taglie più grandi.

«Il postino», rispondo atona. Nei suoi occhi leggo un’espressione vagamente curiosa. Potrei giurare di scorgervi anche tracce di gelosia per il segreto che continuo a tenermi stretto stretto vicino al cuore. Di rado condivido i miei trascorsi con gli altri inquilini. Spesso mi chiedo se questa discrezione non vada ad inficiare l’evolversi delle dinamiche di convivenza. L’aspetto più bello del ricominciare da capo è proprio quello di lasciarsi alle spalle gli errori, le persone, gli eventi; un po’ come un equilibrista che sul bordo del precipizio affronta il crollo delle sue certezze e continua a camminare fiero per la sua strada. Ma per quanto ci si provi non si può cancellare il passato, e la persistenza dei ricordi che annebbia adesso la mia mente ne è la prova.

«Ley, c’è qualcosa che non va? Da quando sei tornata con quella busta tra le mani non hai aperto bocca», insiste Barry.

«Nulla di importante» rispondo, ficcando poi nella borsa quella maledetta busta. Lui si gira a darmi un’occhiata irritata, per sottolineare che non è disposto a credere alle mie parole.

«D’accordo. E’ l’invito alle nozze di Seth Douglas, mio zio» ammetto, non curandomi del tono lugubre che ha assunto la mia voce. 

«Ah» mormora, simultaneamente al curvarsi di un sopracciglio. Sto per chiedergli il motivo di una tale smania di sapere, ma Tania, la terza inquilina della casa, calamita la mia attenzione. Tiene in braccio un cucciolo di cane, sembra spaventato e molto triste. Gli occhi di quella creatura indifesa mi ricordano che il mondo spesso non gira come dovrebbe.

«Qualche stronzo l’ha abbandonato in facoltà, pazzesco. Come si può rinunciare a questo esserino peloso?», esordisce la mora, carezzando il capo del trovatello.

«E’ bellissimo… guarda che musetto dolce» aggiungo, con tono smielato.

«Ehi, voi due. Siete forse cieche? Questo cagnolino ha un collare e un nome. Non è stato abbandonato, si è perso» s’intromette Barry, ponendosi di fronte al cucciolo.

Esaminando il collarino verde da una distanza più ravvicinata, una scritta color oro attira la nostra attenzione: Mister C-Laura 27/08.

«Sembri preoccupata», osserva Tania, poggiando delicatamente il nuovo arrivato per terra. «E’ per Mister C.?», chiede in tono scherzoso. Io e Barry ci scambiano uno sguardo eloquente, poi nego con un cenno del capo. “Adesso dovrò riprendere l’argomento”, penso affranta.

«No, non è successo niente di così importante. Mio zio Seth si sposa e mi ha gentilmente invitata».

Tania sembra valutare se quello che le ho appena detto è plausibile e se rientra nei criteri di accettabilità.

«Non dai l’impressione di essere entusiasta» dice, e continua a fissarmi come se volesse cavarmi chissà quale grande segreto con il solo ausilio degli occhi.

Da quando viviamo sotto lo stesso tetto, non è mai capitato di intavolare lunghe conversazioni sulla mia vita antecedente l’arrivo a Roma. Per lo più abbiamo discusso di università, progetti futuri e argomenti di dubbio spessore. All’occorrenza, tuttavia, ho anche lasciato che mi aiutassero ad ambientarmi e a conoscere nuove persone. Sotto questo punto di vista non avrei potuto avere guida migliore.

«Ci nascondi qualcosa?» chiede Barry, assumendo un atteggiamento da cameratismo, che si traduce in una gomitata d’intesa rivolta a Tania.

«No, ecco, io…», e addio riservatezza. «Io e Seth abbiamo avuto una storia».

«Hai fatto sesso con tuo zio?» domandano all’unisono, mentre le loro espressioni si vestono d’incredulità.

«Ma no! Cioè sì, siamo andati a letto insieme, ma Seth non è tecnicamente mio zio. Io e lui non abbiamo alcun legame di sangue. Seth è il migliore amico di mio padre. In pratica mi ha visto crescere, ecco perché lo chiamo zio». Svelato l’arcano, osservo i loro lineamenti distendersi e abbandonare quel velo di stupore che aleggiava qualche secondo prima. C’è un po’ di imbarazzo nell’aria: Barry azzarda un sorriso timido, ma rassicurante. In quella curva morbida trovo la certezza di potermi fidare nuovamente di qualcuno. Ho passato l’ultimo anno a schivare ogni rapporto che andasse al di là della più spicciola cordialità. Perseverare con un atteggiamento di chiusura ci intrappola in delle abitudini poco sane, si sa. Non è un segreto che, dopo l’abbandono di Seth, dimostrassi una certa ritrosia a instaurare rapporti di fiducia. Eppure adesso mi lascio cullare dall’abbraccio di questo ragazzone, che fino a poco tempo fa consideravo un semplice coinquilino, ma che giorno dopo giorno ha saputo, insieme a Tania, scalfire la mia corazza senza che me ne rendessi conto.

«Grazie» mormoro, e lo dico davvero. Lo dico con il cuore in mano e la voce incrinata dall’emozione. Lo dico con la speranza che il loro supporto possa guarire in parte il mio cuore ferito. Le cicatrici mi paiono un buon compromesso, d’altronde. E’ a partire da quelle ferite rimarginate che farò di questa storia un’occasione per riflettere sugli errori da non commettere più in futuro.  

«Hey, testa rossa, smettila di ringraziare. Quando un giorno vorrai raccontarci tutto, noi siamo pronti ad ascoltare questa storia stramba. Adesso occupiamoci di Mister C.» suggerisce Barry, indicando poi il cagnolino. Il punto nevralgico dei miei pensieri si sposta verso il cucciolo indifeso sdraiato nell’angolo. Diverse soluzioni si presentano ai miei occhi: potremmo affiggere dei volantini in facoltà o potremmo chiamare le forze dell’ordine e lasciare che se ne occupino loro. Sono i suoi occhi spauriti a farmi capitolare.

«Dobbiamo scoprire chi è questa Laura. Non resta che affiggere dei volantini per le bacheche della facoltà» sentenzio accarezzando il capo di Mister C. Poco dopo stiamo già affiggendo la foto del cagnolino in ogni bacheca a nostra disposizione mentre qualche studente ci guarda incuriosito e il guardiano di turno ci tiene d’occhio con circospezione.

«E se lo tenessimo noi?» chiede Tania, stringendo Mister C al petto. «Il nostro palazzo ha un cortiletto interno, potrebbe giocare lì.»

«Tania, quel cagnolino appartiene a qualcun altro. Non possiamo semplicemente appropriarcene», la ammonisco. Improvvisamente sento la suoneria del mio cellulare: l’ultimo singolo dei Maroon 5 dilaga nell’aria. Dimostrando uno spiccato senso civico, mi allontano per rispondere al telefono.

«Ti avevo chiesto di non chiamare più. No, mi dispiace» e riattacco, imprecando contro la modalità silenziosa che dimentico sempre di attivare.

Cerco con lo sguardo Tania e Barry, ma sembrano spariti dalla mia vista. Prendo il telefono: ancora quel numero, ancora chiamate. Inizio a sentire il cuore in gola, le gambe perdono consistenza e la vista si annebbia. Sto per perdere l’equilibrio, ma una mano mi sorregge in tempo.

«Ley, che ti succede?». Nel sentire la voce familiare del mio coinquilino riprendo a respirare regolarmente e prendo coscienza di quanto accaduto.

«Niente, sto bene. Sarà stato un brusco calo di pressione», mento rimettendomi in piedi sulle mie gambe.

«Tania ci aspetta in macchina. Dobbiamo andare o farai tardi all’appuntamento con tuo padre», mi avverte. Nei suoi occhi brilla l’allarmismo tipico di chi è amico fidato delle lancette. La puntualità denota uno stile di vita preciso, armonico. Chi è puntuale si muove con grazia all’interno del tempo, ne conosce i limiti e non li travalica. Troppo spesso lo scoccare di un altro minuto può cambiare le carte in gioco. Eppure non manco mai di calpestare secondi, minuti o ore, con la stessa imprudenza di un bambino che si attarda a giocare laddove non gli è concesso farlo.

Indirizzo a Barry un’occhiata confusa: «Giusto, il pranzo con mio padre! Lo avevo completamente rimosso. Grazie per avermelo ricordato».

                                        

***

La trattoria “Da zio Mario” si trova sul litorale di Ostia ed è un locale molto vivace con le sue tendine di lino a quadri rossi e bianchi e le tovaglie in juta grezza. E’ il posto giusto per trascorrere una piacevole domenica in famiglia o per chi come me ha bisogno di ritrovare sprazzi di quel focolare domestico ormai divenuto un ricordo sbiadito. Oggi è una giornata parecchio affollata, e i camerieri si muovono tra i tavoli come tante cavallette impazzite. Presto la pressione della calca si riverserà altrove, e potremo nuovamente goderci la splendida vista del mare d’autunno attraverso le grandi vetrate della terrazza interna.

«Sei parecchio tesa oggi. Tesoro, che succede?».

Mio padre prende la forchetta e il coltello al lato del piatto e li punta sulla bistecca che gli hanno appena servito.

«Nulla, papà. Sono molto stanca a causa del ritmo frenetico delle mie giornate» commento, spiluccando la mia insalata.

Faccio un lungo sospiro e mi rilasso contro la spalliera della sedia, fingendo che niente mi turbi. Imbocco una generosa forchettata di lattuga e pomodoro ma non ho molto appetito, in realtà.

«Leila, io credo che dovresti staccare la spina per un po’. Perché non vieni a stare da me per una settimana?».

La domanda è accompagnata da un tono svigorito, come se si aspetti già la mia risposta negativa. Non ha tutti i torti, in fondo. Mantenere intatta la mia neonata indipendenza è una delle cose che mi sono ripromessa di fare tante volte.

Lo fisso cercando di trovare le parole giuste per declinare il suo invito, senza cadere nella trappola del più becero formalismo.

«Papà, sai come la penso. Non ho niente che non si possa curare con una bella dormita rigenerante».

Nella penombra della saletta mio padre tiene gli occhi bassi sul piatto, ma sono sicura che mi stia ascoltando.

«Ecco, vedi Ley, volevo farti una sorpresa, ma con il tuo ostinato spirito d’indipendenza non mi rendi le cose facili. Domani arriva zio Seth e volevo riunire tutta la famiglia!»

«E quando avevi intenzione di dirmelo? Ti sembra che io abbia ancora l’età per questi giochini?» sbraito senza contegno. C’è qualcosa di surreale nell’immaginare di rivedere qualcuno e provare le stesse identiche sensazioni dell’ultima volta. Come se il tempo si fosse fermato a quel momento e tutto quello che hai vissuto nel mentre fosse solamente una parentesi nebulosa. Serbo ancora intatto il suo profumo nelle narici, una sorta di leit motiv che è riapparso prepotentemente e si è riappropriato dello spazio vitale che era solito avere. Allora mi ritrovo nel cuore un’emozione forte, tempestosa, che mi annichilisce e proietta le mie paure sullo sguardo sparuto di mio padre.

La tristezza che leggo nei suoi occhi mi dà la forza necessaria di ammettere l’imperdonabile mancanza di rispetto nei suoi confronti.   

«Scusa, papà. Non volevo essere scortese. Sono solamente sorpresa che zio Seth si faccia vivo dopo tutto questo tempo».

Dall’altra parte mi accoglie un silenzio abbastanza lungo da costringermi ad alzare il capo e verificare che non mi abbia piantata lì, da sola, come merito.

«Leila, zio Seth mi ha sempre chiesto di te. Se non è venuto a trovarci prima è perché non ne ha avuto le possibilità.»

«Capisco. Beh, suppongo voglia parlarci del suo matrimonio. Oggi mi è arrivata la partecipazione». La mia affermazione è volutamente provocatoria: spero che mio padre possa esaurire la mia morbosa curiosità. Spio con la coda dell’occhio la sua espressione: la fronte contratta riprende la linea dura della mascella. Il suo poco entusiasmo ha qualcosa di sgradevole.

«Io e zio Seth ne abbiamo parlato molto, e il modo migliore per comunicartelo era tramite un avviso scritto.»

L’idea che mio padre abbia fatto combutta con Seth in merito a questa storia mi fa ribollire il sangue nelle vene. Con questo stato d’animo addosso mi alzo, tentando un’uscita di scena meno teatrale possibile.

«Aspetta Leila. Non andare: c’è dell’altro.»  

Mi fermo sulla soglia della sala giusto un attimo prima di imboccare l’uscita.

Ogni tipo di indulgenza nell’esercizio dei rapporti umani manifesta un difetto presente in chi la pratica. Quando non si tratti di un’innata bontà d’animo, essa denota senz’altro un interesse particolare nei confronti di ciò che è oggetto della nostra attenzione. In quel caso, l’oggetto delle mie attenzioni era quell’altro di cui mio padre aveva fatto parola. Cosa può esserci di ancora peggio dei loro squallidi accordi alle mie spalle?

«Sono tutta orecchie» blatero, tornando sui miei passi.  

«Tua madre ha chiesto a zio Seth di poter presenziare alla cerimonia. Naturalmente lui ha rifiutato, ma quella donna è parecchio insistente e non sembra volersi arrendere.»

«Cosa??? Non è possibile: è un incubo! Papà, non credo di voler partecipare a questa buffonata. Ringrazia zio Seth per l’invito, ma ho degli impegni che mi trattengono qui a Roma.»

Gli schiocco un bacio fugace e a grandi falcate mi guadagno l’uscita. Mentre riaccendo il telefono, un berlina scura mi si para di fronte.

«Merda», esclamo tra me e me.


   
 
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