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Autore: Blacket    05/12/2015    1 recensioni
Fermo! Fermo lettore, non andar così di fretta: ho fra i palmi qualche parolina; nulla di grande e pretenzioso, nulla di assolutamente veritiero. Tengo i sospiri degli innamorati di Roma, degli affetti e delle gioie, di tutto quello che l'urbe di vincitori e umili vuole offrire.
Lascio qui una raccolta che vuole presentare l'amore, l'affetto- le tradizioni e la visione che i romani (e non solo!) avevano di Venere e i suoi doni, grazie alla partecipazione di lupe, patrizi, schiavi e gladiatori, barbari e levatrici e scienziati- imperatori, legionari e contadini!
Genere: Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Si me amas! 1
Si me amas!
- I -

Qui amant ipsi sibi somnia fingunt - Virgilio
"Gli innamorati si creano i sogni da sé"



Manius era giunto col fiato rotto sullo sterno all’ora undicesima, quando Apollo flautava il fiato caldo sul guado rosso e arrabbiato dell’orizzonte- l’urbe sfrigolava sotto il suo sguardo, abbaiava gioiosa in attesa dei fumi della sera. “Per Giove!”, le aveva detto, e aveva stirato il volto grezzo e buono tagliandolo a metà dove fioriva un sorriso storto, “Per Giove!”.
Manius arrivò chiamandola Afrodite, tenendo a palmo i fregi della terza legione e le guance sudate e peste e stanche- prese la mano di lei, che era una lupa e faceva quello che gli dei le avevano sussurrato di fare. Si spogliava di veli superflui e diceva di venire da Creta, e se per altri era una prostituta dagli occhi tristi in lei il legionario vedeva solo calore e luce.
“La mia Afrodite!” abitava là dove le insulae sapevano ancora di fumo e fiamme, sul piano terzo- che osservava e ascoltava i gemiti dei clienti e gli ansiti che scappavano di volta in volta, tenendo il fiato quando il non più giovanissimo Manius inforcava le scale in coppia, arrivando con l’ardore d’un fanciullo e baciando la greca anche quando non avrebbe dovuto.
Aveva mani grandi e brune, la stringeva tanto forte prendendola con una dolcezza rozza e contadina, tirandole i capelli per poi farci una carezza. La lupa ricordava un bisbigliare rotto e incomprensibile, un lieve borbottare di risa e l’insistenza nel voler rimanere ancora un poco a parlare della guerra e della pace, della gente e del bene e del male.
“Ti prego, Manius, piantala”, gli andava dicendo quando lui le baciava le mani e diceva che sapevano di grano, “a che ti serve?”, lui rideva con quegli occhi tanto lucidi, facendosi bello con nulla.

Erano le calende di marzo, e il legionario batteva la polvere e gli umori di una Roma bella e sbronza. L’aria iniziava a prendere la porpora dei vecchi viandanti di mare, lo sforzo gioioso della terra che tende le braccia al nuovo sole di Gaia, e a lei dava le stelle più limpide e belle.
- Afrodite?- il soldatino si fermò sulla soglia, respirando ferro e cenere, le labbra tirate in un insolito trattenersi e ancora sporche del nuovo sole; pareva tanto giovane e teneva nel petto il cuore d’un bambino quando le si avvicinò lasciando cadere un fagotto sul suo grembo. – I gioielli di Verecondo costano troppo, ahimè*.-, e tirò fuori una sinfonia di borbottii, tutti diretti allo stupore nascosto della donna.
Cadde un boccolo scuro a coprire il regalo, lo scostò subito.
Viene dalle terre dei morti e delle nebbie, pensò, viene dal ferro dei fabbri del nord!; rigirò il monile fra le mani, che era comunque bello e dignitoso, le dita consumate dal lavoro andarono a seguire le incisioni gonfie e belle.
- Ora voglio sapere il tuo nome.-
Manius si sedette, pose cinque sesterzi sul tavolo. Non voleva far l’amore.
Afrodite, che avrebbe tanto preferito farsi chiamare Antinea, sospirò e prese con sé l’aere sorridente d’una città sorniona, e parve bella come quei capolavori del buon Lisippo mentre gli dava dello sciocco e s’inumidiva gli occhi e li sentiva caldi e vivi dopo che la malinconia aveva tentato di mangiarli. Afferrò un sorriso ed un broncio, il regalo e Manius tutto intero –che ancora rideva e non poteva far altrimenti: pianse unpoco, non se ne pentì.





Note (importante!):
Da come si evince, si tratta di una raccolta che vedrà, in ogni capitolo, un tipo di amore differente costudito nel tempo della Roma Antica. Ogni singolo capitolo sarà a sé stante, quindi può accadere che ve ne sia uno più lungo e dettagliato perchè lo richiede la trama, come uno più semplice- come questo, direi! Spero in ogni caso che possa interessare un poco, cercherò di inserire dettagli particolari ogni volta: *mi sono voluta concentrare sul regalo piuttosto che su altro, in realtà. I romani erano soliti si far regali alle loro donne, ma non certo fiori (che erano indirizzati più ai morti!). Preferivano gogielli, articoli di toeletta o bei vestiti. Fra i primi vediamo comparire dei bellissimi bracciali a forma di serpente, che si arrotolavano attorno al braccio, ed erano ovviamente decorati di pietre: una ghiotta possibilità per ogni ladro della città.
Spero vivamente possa essere piaciuto! Lasciate un commentino, mi farebbe molto piacere :) Accetto volentieri qualsiasi consiglio.
Grazie, un abbraccio,
Blacket.
  
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