1)Show me the world that's
inside your head
Phoebe p.ov.
Dicono che il primo giorno dell’anno sia un ottimo
momento per lasciarsi alle spalle il passato e iniziare tutto da capo.
Perché non provarci?
Quest’ anno è stato pieno di brutte cose
– perdere il
lavoro, la casa – ma anche di belle cose come lasciare la
casa del bastardo,
diplomarmi e ritrovare mia sorella.
Non nego che sono stata preoccupata per come l’ho
ritrovata e che ho temuto di perderla, ma adesso che la guardo mentre
è sulle
spalle di Michael con un fumogeno in mano non posso fare a meno di
pensare che
non l’ho mai vista così felice.
Credo che dopotutto quel ragazzo le faccia davvero bene,
forse le fiabe moderne come stare con un membro di una band si possono
realizzare.
Io sono Phoebe Della Morte, la sorella di Hyena, la
ragazza di Michael Clifford dei 5 Seconds of Summer.
Forse qualcosa sta già cambiando, stasera ho parlato
praticamente solo con Ashton Irwin, il batterista. È un
ragazzo davvero
simpatico, sempre pronto a ridere per qualcosa e –
diciamocelo – bello. Hai dei
riccioli dorati fantastici, ti fanno venire voglia di accarezzarli e
giocarci,
gli occhi tra il verde e il castano, un fisico da paura e due fossette
assassine.
Una mano che si intreccia alla mia pone fine alle mie
elucubrazioni, istintivamente mi irrigidisco, ma quando vedo che
è Ashton mi
rilasso.
Non sono mai stata una che corresse con i ragazzi, ma con
lui mi viene naturale.
Non mi sembra sbagliato un contatto così intimo.
Senza dire nulla appoggia la testa alla mia spalla e
guarda in direzione di mia sorella.
“Sono davvero carini, vero?
Non ho mai visto Michael così felice e preso da una
ragazza, se non ai tempi della sua mitica ex.”
“Layla me ne ha parlato, Liz, giusto?”
“Giusto.”
“Comunque sono davvero carini, mia sorella rinasce quando
sta con lui. La vedo così felice e sono felice per lei,
scusa il gioco di
parole.”
“Perdonata.
Senti, tra poco ce ne andremo e mi piacerebbe che mi
facessi visitare New York, i tuoi posti preferiti.”
Io trattengo il fiato.
“È un appuntamento?”
“Possiamo vederla così. Di solito non sono uno che
corre,
ma tra poco ce ne andremo e voglio conoscerti meglio perché
mi piaci sul
serio.”
“Woah.
Sai una cosa? Anche io provo le stesse cose e domani ti
farò vedere la mia New York, spero ti piacerà.
Ho paura solo di una cosa.”
“Cosa?”
“Cosa succederà quando te ne andrai?”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Mi piace pensare che se giocherò bene le mie
carte tu
accetterai di venire con me.”
Sento le farfalle
nello stomaco.
“Allora, giocale Ashton.”
Gli dico dolcemente, accarezzandogli un mano.
“Dove sono Pete e Demi?”
Gli chiedo poi per cambiare discorso.
“Sono andati via e, a giudicare dalla faccia della
Lovato, lui le ha dato un secco due di picche.”
“Bene.”
“Come mai?”
“Non so, non ce li vedevo. Per me in lei cercava una mia
sostituta e sbaglia perché c’è
già una ragazza che gli muore dietro, lui deve
solo capirlo.”
“Sei tu?”
“Nah, una ragazza di nome Genesis. La conosco
perché
spesso faceva i compiti con noi e so che a lei piace Pete.”
“Ehi, piccioncini!”
Urla Luke.
“Entrate, finché non ci sono quelle due spugne di
Cal e
Mickey festeggiamo.”
“Sono sostituite da Alex e Jack.”
Ridacchia Ash.
“Ehi, Miao. Io bevo solo il giusto.”
Risponde Jack facendo ridere Hayley.
In ogni caso facciamo come ci è stato detto ed entriamo,
è piacevole entrare in un ambiente caldo dopo essere stati
fuori al freddo. In
un angolo c’è Fanny – il fantasma di
casa – che mi saluta allegramente,
evidentemente contenta di vedere la casa animata.
Devo chiedere a mia sorella e ad Ava di iniziare un
allenamento per sviluppare i miei poteri, perché da quando
ho lasciato quel
lager stanno diventando più forti.
Maja mi passa una bottiglia di birra e Luke rimette del
pop punk con il volume al massimo, sono i blink e Alex cerca di cantare
“I miss
you” con esiti disastrosi. Sbaglia tutte le entrate e a causa
della voce resa
strascicata dall’alcool fa una misera figura.
Con gentilezza Jack e Zack riescono a convincerlo a
sedersi su divano e a stare buono, io mi godo lo spettacolo bevendo
dalla mia
bottiglia.
Se ci fosse Hyena…
Proprio in questo momento la porta si spalanca ed entrano
Cal, Ava, Mickey e Hyena.
“Bastardi, perché non ci avete
aspettato?”
Urla il kiwi.
“Perché siete delle spuuugne.”
Urla Alex.
“Ma sentilo! Lo dici tu con quella voce!”
Mia sorella si avvicina sorridendo e nota che io e Ash
siamo ancora attaccati.
“Sono felice di sapere che hai fatto amicizia con
Ashton.”
“Domani l’ho invitata fuori.”
“Bravo, micio. Trattala bene o te la vedrai con me.”
“Hyena, tu e Ava dovete iniziare a spiegarmi come
funzionano i miei poteri. Si stanno rafforzando, vedo Fanny.”
“Sta bene. In tour ci sono lunghe pause.”
Mi fa l’occhiolino e poi se ne va con Mike.
Come cavolo ha fatto a capire che sarei venuta con loro?
A volte dimentico che lei è una strega con tutti i poteri
sotto controllo!
La mattina dopo vengo svegliata da qualcuno che mi scuote
per le spalle.
“Eddai, Pete. Aspetta un attimo, oggi non devo lavorare.
Mollami.”
“Non sono Pete.”
Mi risponde la voce di Ashton, istintivamente mi seppellisco nelle
coperte,
come a voler scappare dalla mia figuraccia.
“Scusa, scusa, scusa.
Di solito Pete mi sveglia quando io devo andare a
lavorare e lui è a casa.”
Riemergo rossa dalle coperte, lui mi dà un buffetto gentile
sulla fronte.
“Non sono arrabbiato, ma è ora di svegliarsi,
principessa.
Inizia la nostra giornata.”
“Ok, mi faccio una doccia e arrivo.”
Lui esce dalla mia stanza e io afferro un paio di jeans puliti, una
maglia nera
e una camicia a quadri viola e neri. Mi faccio una doccia veloce, mi
vesto, mi
trucco e mi calco in testa uno dei mie innumerevoli cappellini: questa
mattina
è viola con la scritta NY dorata.
Scendo al piano di sotto e vedo la casa devastata, Alex
dorme in un angolo accanto a Zack, Rian è su una poltrona e
abbracciati sul
divano ci sono Jack e Hayley.
“Non vorrei essere qui quando dovranno risistemare questo
casino.”
“Nemmeno o e infatti non ci saremo. Andiamo, prima che se ne
accorgano.”
Mi metto gli anfibi e un cappotto militare e lo seguo fuori. Inutile
dire che
non c’è nemmeno un’anima, ci sono solo i
resti dei festeggiamenti di questa
notte.
“Dove andiamo?”
“C’è un Mac sulla quindicesima strada
che fa una
colazione buonissima.”
“Ti seguo.”
Io annuisco e mi dirigo verso la fermata del metro, scendo le scale,
litigo con
la macchinetta per avere due biglietti giornalieri, per evitare di
comprare un
biglietto a ogni cambio. Porgo il suo ad Ashton e poi aspettiamo che
arrivi la
nostra corsa.
“Cosa fanno di bello lì?”
“Uova e bacon, muffins, pancakes con lo sciroppo
d’acero, crepes, brioches,
cappuccino, the, quello che vuoi.”
“A te cosa piace?”
“Amo i pancakes e i muffins, sono buonissimi secondo me.
Hyena dice sempre che
le ricordano quelli che faceva mamma, vorrei potermelo ricordare anche
io.”
Lui mi stringe una mano.
“Scusa, non volevo distruggere così
l’atmosfera, ma mi
manca.
A volte vorrei
qualcuno a cui chiedere dei consigli.”
“È normale, anche a me mancherebbe mia madre, hai
qualche
sua fotografia?
“Per la mia Quinceañera
Ava mi ha regalato un album di sue fotografie, l’hanno fatto
lei e Layla.”
“Cos’è la Quinceañera?”
“È una festa dell’ America Latina per le
ragazze che
compiono quindici anni, da quel momento non sei più una
bambina, ma una donna.
“Capisco, è un bel pensiero.”
“Ed è arrivata la nostra fermata,
scendiamo.”
Lui non toglie la mano dalla mia e io non lo allontano così
saliamo mano nella
mano la scala e ci troviamo davanti all’affascinante
spettacolo di una New York
semideserta e ancora un po’ innevata.
Camminiamo per un po’, poi arriviamo davanti
all’insegna
inconfondibile di un Mac Donald ed entriamo, c’è
solo una persona che serve ed
a lei che ci rivolgiamo.
“Io vorrei un McMuffin menù con un paio di
pancakes in
aggiunta.”
Le dico sorridendo, lei annuisce con aria un po’
rintronata.
“E tu cosa vuoi?”
Chiede ad Ashton.
“Il menù con il bacon e le uova e pancakes anche
per me.”
“Come fai a mangiare una roba del genere alle otto del
mattino? A me viene da
vomitare solo a pensarci.”
“Sono un ragazzo, funziono in modo diverso.”
“Sarà….”
Poco dopo la ragazza ci porge i nostri menù, noi due ci
sediamo a un tavolo con
vista sulla via. È tutto buonissimo come ricordavo, ma oggi
sono impaziente e
un po’ preoccupata: voglio sentire l’opinione del
batterista.
“Hai ragione. In questo posto la roba è buona,
questo
bacon ricorda quello che fa mia sorella. Di solito lo cucina per me
quando
torno a casa dai tour.”
Io sospiro internamente di sollievo.
“Eri sulle spine?”
Il suo tono è sorpreso.
“Sì, non so perché, ma avevo paura che
non ti piacesse
questo posto.”
Lui sorride senza dire niente e continuiamo a mangiare.
Spazzoliamo tutto in un tempo record, poi io mi batto una
mano sula pancia – poco elegante, lo so – e mi
guardo attorno.
“Adesso cosa vuoi mostrarmi?”
“La via dello shopping, di solito vengo a darci
un’occhiata sognando di avere abbastanza soldi per comprarmi
qualcosa, anche
solo per senso di rivalsa. Poi… vado in Central Park,
perché mi piace molto il
laghetto con il ponticello e – quando
c’è – alla pista di pattinaggio sotto
l’albero di Natale.
Ti proibisco di comprarmi qualcosa, anche se sono sicura
che sarà tutto chiuso.”
Lui sbuffa, io sorrido di nascosto.
L’ho sgamato!
Ci alziamo e – dopo aver buttato gli avanzi nel bidone
della spazzatura e lasciato i vassoi nell’apposito posto
– andiamo verso la
quinta strada.
Tutti i negozi sono chiusi, ma le vetrine scintillano
comunque e mostrano tutte le firme dell’alta moda italiana e
di tutto quello
che si può considerare lussuoso.
Io guardo tutto con una sorta di rimpianto e lui se ne
accorge.
“Non è il tuo look, perché vuoi una di
queste cose?”
“Per dimostrare che ce l’ho fatta. Sogno di aprire
una
pizzeria mia e di farla diventare uno di quei locali alla moda in cui
paghi
tutto il doppio del normale e comprando qualcosa qui dimostrerei a me
stessa
che anche una nullità può diventare ricca e
potersi comprare queste cose. È una
sorta di questione di principio.”
Lui rimane serio.
“Ti auguro di realizzare il tuo sogno. Mi preparerai una
pizza, un giorno?
Io sorrido.
“Anche domani, se ci sono gli ingredienti.”
“Davvero lo faresti?”
“Mi piace cucinare per le persone a cui voglio
bene.”
Ammetto rossa.
“Sono felice di sapere che mi vuoi bene.”
Come al solito mi ha strappato più di quello che volevo
concedergli, non so come faccia, ma ci riesce e i miei principi, la mia
solita
calma vanno a farsi benedire.
Dopo un’ora trascorsa nelle vie dello shopping mano nella
mano – se ci vedessero i paparazzi! – li mi guarda,
forse per chiedermi cosa
fare, ma io lo precedo.
“Non hai paura che ti vedano i paparazzi o le fans?”
“A quest’ora non c’è in giro
nessuno, sono tutti a letto e poi non mi
dispiacerebbe rovinare gli strani parings delle fans per te.”
“Leggi le fanfictions che scrivono su di te?”
Gli chiedo incredula, facendolo ridere.
“No, di solito sono Cal e Luke a farlo senza dirlo ad Ava
e Maja. Sospetto che Maja lo sappia, però.
Mi dicono cosa scrivono e non so bene cosa pensare a
riguardo, ogni tanto mi sento un pupazzo nelle loro mani, soprattutto
quando
scrivono storie su me e i miei amici che ci amiamo.
È strano, ma chi li bacerebbe mai quelli!
Dove andiamo, comunque?”
“Ogni tanto vado al MOMA, ma immagino sia chiuso.”
In effetti arriviamo davanti al grande edificio bianco a forma di
spirale per
trovarlo chiuso.
“E adesso?”
“Central Park. Amo farci delle passeggiate, quando le
cose mi vanno male mi aiuta ad accettarle così come
sono.”
Lui annuisce.
“Mi piace stare in mezzo alla natura, mi aiuta a
pensare.”
Cerchiamo uno degli ingressi del parco ed entriamo, le mie gambe si
dirigono da
sole su un sentiero che porta a un laghetto attraversato da un ponte:
il mio
posto preferito.
Ashton mi segue guardandosi intorno curioso, immagino
stia registrando le macchie di neve e la vegetazione, le panchine,
alcune
occupate da barboni. Di solito la polizia li fa sloggiare, ma oggi
è la mattina
del primo dell’anno e – come ha detto lui
– sono tutti a dormire e anche i
barboni possono alloggiare nel salotto verde di New York.
“È bello qui, davvero rilassante.
Stiamo andando in un posto preciso?”
“Sì. Al mio posto preferito.”
Incontriamo solo un paio di persone che fanno jogging e
un altro paio con i loro cani.
“Mi piacciono i cani.”
“Anche a me, ma preferisco i gatti e le tartarughe. Spero di
poterli avere un
giorno.”
Alla fine siamo arrivati al ponticello, ci fermiamo esattamente al
centro e io
guardo verso il lago.
“Questo è, in assoluto, il mio posto preferito. Mi
piace
guardare il lago.”
Lui annuisce.
“È molto bello!”
All’improvviso mi prende la testa tra le mani, io
trattengo il respiro – sì, è troppo
presto per un bacio, ma non mi
dispiacerebbe – lui sembra capire che non sono del tutto
pronta perché mi bacia
una guancia.
Va bene anche così.
Le passeggiate mettono fame ed è quasi mezzogiorno e
mezzo, così – con una punta di rimpianto
– lasciamo il parco.
“Dove pranziamo?”
“Oh, vedrai!”
Lo porto a un chiosco che vende kebab che ha anche alcuni
posti a sedere all’interno.
“Ti piace il kebab?”
“Ehm, abbastanza. Lo mangio poco, però.”
“Se non ti piace possiamo andare da un’altra
parte.”
“No, va bene.”
Stringe la mia mano ed entriamo insieme.
“Ciao, Phoebe!”
Mi saluta il proprietario.
“È il tuo ragazzo?”
“Solo un amico.”
Lui mi rivolge uno sguardo malizioso.
“Il solito?”
Io annuisco.
“Tu cosa vuoi?”
“Uno senza salsa piccante.”
“Va bene, sedetevi.”
Io e Ash occupiamo uno dei tavolini e aspettiamo, nel frattempo il
kebabbaro si
informa sulla mia vita come fa sempre e mi racconta frammenti della
sua,
compreso il fatto che sua moglie è finalmente arrivata dal
Pakistan. Ash non
parla molto, se ne sta seduto sul suo sgabello e si guarda intorno come
ha
fatto per tutta la mattinata. Non capisco cosa ci sia di
così interessante o da
poter memorizzare qui.
Finalmente ci portano il cibo e io lo guardo negli occhi.
“Scusa per averti ignorato.”
“Non c’è problema, mi piace ascoltare i
discorsi della gente e poi mi piace
vedere come ti comporti nel tuo ambiente. Non è un modo di
condividere la
nostra intimità?”
Io arrossisco e do un morso al kebab, cinque secondi dopo e con la
salsina
bianca che mi cola sul mento mi do della scema. Come mi è
venuto in mente di
portarlo quando so benissimo che quando mangio il kebab sembro una
reduce dal
deserto del Sahara.
Cerco di nascondermi con scarsi risultati e poi lui
sabota tutti i miei tentativi, facile per lui!
Lui rimane sexy anche con la salsa che gli cola, io
sembro solo… oscena. Una specie di pornostar di quinta
categoria.
“Lo fanno veramente buono il kebab qui.”
Mi dice quando usciamo, io ho gli occhi incollati a terra.
“Che c’è Phoebe?”
“Niente. Andiamo a prendere la metro che ci
porterà al
traghetto di Staten Island, giuro che non ti porterò alla
discarica.”
“Phoebe, dimmi cosa c’è?”
“C’è che mi vergogno del fatto che tu mi
abbia visto mangiare kebab, sono stata
un brutto spettacolo.”
“Ma no.”
“Sì, andiamo.”
Marcio verso l’entrata della metro più vicina, ma
lui mi prende per un polso e
mi fa voltare.
“Non ti devi vergognare, per me eri carina anche
così.
Non hai nessun motivo per vergognarti.”
“Grazie.”
Borbotto poco convinta, ma almeno mi lascia andare e posso raggiungere
la
metro. Altro giro, altra corsa.
Saliamo su un convoglio che ci porterà a Staten Island,
l’atmosfera è ancora un po’ tesa, ma
spero si calmerà quando vedrà le case
tipiche dell’isola e la spiaggia.
Scendiamo alla nostra fermata e io prendo due biglietti
per il traghetto, che è praticamente deserto tranne per noi
e altre cinque
persone.
Durante la traversata io gli indico i vari quartieri, il
ponte di Verrazzano e la nostra meta, dicendogli che oltre a cose molto
belle
ospita anche una gigantesca discarica.
Lui non sembra prendersela, al contrario ascolta
attentamente quello che gli dico e annuisce più volte.
Sbarchiamo e io lo porto a visitare la parte storica,
l’altra parte è formata da edilizia popolare e non
vale la pena di essere vista.
Gli indico le case che – nella parte storica – sono
in stile coloniale, sono a
due o a tre piani dipinte di colori chiari e con il legno in vista. Di
solito
al primo piano hanno un grande portico, poi ci sono il secondo e il
terzo piano
che si restringono progressivamente. Non è raro vedere
finestre a bovindo al
secondo piano.
Queste case sono state costruite all’inizio del Novecento
e hanno una loro sobrietà che le rende belle e
inconfondibili, le chiamano “le
casette di Staten Island” e qui le conoscono tutti.
Lui le osserva a bocca aperta, come un bambino davanti a
un gigantesco regalo.
“Mi piacerebbe vivere qui, queste case sono coì
belle e
sembrano in armonia con la natura.
Deve essere rilassante vivere qui.”
“Sì, se ignori la discarica. Era una delle
più grandi del
mondo, qui sono stati scaricati i detriti di Ground Zero, poi
l’hanno chiusa
nel 2002. Dicono che ci faranno un altro parco, uno dei più
grandi del mondo,
dedicato all’Undici settembre.”
“Oh, non lo sapevo.”
Io sorrido senza sapere perché, forse perché
sorride
anche lui e alle sue fossette non si può resistere.
Lo porto a visitare il teatro storico in stile liberty e
poi ci dirigiamo al mio posto preferito: la spiaggia.
È nella parte storica e vi si accede tramite un
cancellino dipinto di bianco.
“Questo credo che sia il mio posto preferito in assoluto:
la spiaggia!”
“Bello, amo le spiagge! Sono un australiano
d’altronde.”
Senza dire nulla lo prendo per mano e lo trascino verso la battigia.
“Mio padre portava qui me e mia sorella da piccola, ci
divertivamo a raccogliere conchiglie.”
Lui si abbassa, ne prende una bianca e perfetta – sembra una
di quelle
disegnate – e me la porge.
“Per te, Pixie.”
“Grazie, Ashton!”
Gli dico sorridendo e rigirandomela tra le dita: è
bellissima.
“È bellissima davvero, grazie mille.”
Gli sorrido, ma lui mi guarda assorto.
La sua mano scivola mia dalla mia e si appoggia sulla mia
guancia, questa volta non ci sono esitazioni mi bacia. A me non sembra
sbagliato, anzi è naturale.
Al posto giusto ne momento giusto.
All’inizio è un bacio leggero –
sufficiente a scatenare
le leggendarie farfalle nello stomaco – poi si approfondisce
e diventa
passionale.
“Per fortuna che volevamo andarci piano.”
Esclamo ridendo quando mi stacco.
“Non ti è piaciuto?”
Per tutta risposta lo bacio con la stessa passione di prima.
“Ti basta come risposta?”
“Oh, sì!”
Mi prende per mano e riprendiamo la nostra passeggiata
accarezzati dai raggi del sole che muore nell’oceno.
Questa è stata una delle giornate più belle della
mia
vita e lo devo a lui.
Sta decisamente giocando bene le sue carte!