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Autore: zenzero    07/12/2015    1 recensioni
Harry Potter sa che la sua ricerca degli Horcrux non è ancora finita. Sa che lo aspettano prove dure e difficili, e che rischierà anche la vita. Il destino, però, sembra sorridergli e il ragazzo scopre finalmente di poter ricambiare l'amore, l'amore vero, per colui che sempre gli è stato vicino.
Dobby.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Dobby, Draco Malfoy, Harry Potter, Voldemort
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Harry guardò sconvolto Dobby, immobile e coperto di sangue. L’ elfo giaceva nella spiaggia poco lontano da Villa Conchiglia. Il manico del pugnale d’argento, che Bellatrix gli aveva lanciato poco prima che si smaterializzassero da Casa Malfoy, spuntava dalla piccola spalla destra dell’elfo.
”DOBBY, NOO!” urlò Harry correndo verso di lui, sconvolto. Prese tra le braccia quel piccolo corpicino ferito che poco a poco perdeva calore.
“H…arry… P...Potter...” riuscì a dire l’elfo, guardandolo con i suoi enormi, commossi occhi rotondi. Un istante dopo perse conoscenza.
 
**********
 
La casa in cui Fleur e Bill vivevano era incantevole, con la vista sul mare e l’architettura particolarmente originale, e il rumore delle onde conciliava il sonno. Eppure, Harry, Hermione e Ron non sembravano minimamente interessati a godersi un poco di riposo dopo tanti giorni di fughe e battaglie.
Rimasero in attesa nel salotto di casa, finché Bill non uscì dalla porta della stanza degli ospiti, stanco e sudato.  
“Non è più in pericolo di vita. Gli ho dato qualche pozione per ricreare il sangue che ha perso, tra qualche giorno si riprenderà” disse il rosso, come a rispondere alla loro ansia.
Harry emise un gemito di gioia e strinse la mano al Weasley.  “Grazie, grazie davvero!” esclamò commosso, anche Ron e Hermione erano felici per lui.
“Ora spiegatemi per quale motivo siete in casa nostra, feriti” chiese Charlie, ma nessuno del trio se la sentiva di rispondere. Harry in particolare entrò nella stanza da letto, dove Dobby era ricoverato. La testa del piccolo elfo spuntava da sotto le coperte di un letto a due piazze, il poveretto sembrava una minuscola testa di spillo ficcata in un portaspilli. Dobby dormiva e sembrava agitarsi nel sonno. Harry commosso pose le sue mani sulla fronte dell’elfo, come ad accarezzarlo.
Nei giorni seguenti, dopo aver parlato con Unci Unci e il vecchio Olivander, e deciso di rubare un probabile Horcrux nella camera blindata di Bellatrix, il terzetto di amici fu per lo più occupato a formulare una strategia per entrare alla Gringott indisturbati, tenendo gli altri abitanti della casa all’oscuro di tutto. A Harry formulare piani sembrava ormai una gran scocciatura, lo distraeva troppo dallo stare con Dobby. Unci Unci era antipatico e puzzava terribilmente. Del resto Silente lo aveva pregato di cercare gli Horcrux e proprio a tutti sembrava importare quel che diceva il vecchio, per cui al Prescelto non restava che eseguire le sue ultime volontà.
Per fortuna alla noia veniva in aiuto Dobby. Dopo un paio di settimane si era praticamente ripreso del tutto.  Ora aiutava Fleur nelle faccende domestiche e cucinava anche meglio di quanto lei potesse fare. Cucinava non perché era obbligato, essendo un elfo domestico, ma perché gli piaceva, e adorava vedere la soddisfazione dipingersi sul volto di Harry quando si gustava i suoi manicaretti. Era un elfo libero e faceva quel che voleva. Harry lo ammirava per questo. E adorava i suoi tiramisù al mascarpone e caramello.
Lui non poteva più discostarsi dal suo destino. Non sapeva se sarebbe vissuto abbastanza da poter vedere tutti riavere una vita normale, sempre se sarebbe riuscito a sopravvivere al Signore Oscuro. La ragione gli diceva che difficilmente dei ragazzini potessero sconfiggere un’armata di esperti Mangiamorte adulti.
Harry sapeva che Dobby, come tutti, sospettava degli strani incontri che lui, Harry e Hermione tenevano con Unci Unci, ma non diceva nulla. Il ragazzo si fidava dell’elfo, ma sapeva che poi avrebbe voluto aiutarlo. Harry voleva tenerlo lontano da tutto questo. Al sicuro.
Ormai avevano finito di formulare Il Piano. Avevano preparato ogni cosa. Era rischioso ma non avevano altro tempo per migliorarlo. E poi, Harry si era stufato di stare ogni giorno al semibuio, con quello gnomo dall’alito pestilenziale e le unghie nere dei piedi, voleva toglierselo di mezzo al più presto.
Così giunse presto la notte della partenza. Harry rifletteva pensoso da solo, nella sua stanza, quando sentì bussare.
Avvertì passetti familiari. L’Elfo Dobby gli venne vicino.
“Harry Potter non dorme?” chiese preoccupato.
Il ragazzo era felice che si preoccupasse tanto per lui.
“Sto bene, Dobby… è solo un po’ di insonnia.”
“Io ho portato qualcosa per Harry Potter”
Il ragazzo annusò un odore familiare e gustoso. Si voltò e vide. L’elfo teneva un piatto con sopra tiramisù al mascarpone e caramello.
Dovette trattenersi dal non piangere.
“Grhashie, Dobbhy” disse a bocca piena e senza volerlo le lacrime dai suoi occhi smeraldo scorsero fitte.
“Harry Potter non deve piangere” lo rimproverò l’elfo.
“Quante volte ti ho detto che devi solamente chiamarmi Harry?”
“Harry…”
“Bravo, Dobby…”
“Harry sembra teso…” continuò l’elfo, e si avvicinò a lui, toccandogli la schiena con le sue lunghe dita.
Harry sentì il cuore battergli forte. Lo stava massaggiando. Ed era fantastico, perché era bravo.
Avvertiva dei brividi estremamente piacevoli lungo la schiena. La tensione si scioglieva. Come il tiramisù al caramello e mascarpone nel suo stomaco.
Il bruno stava smettendo di piangere. Poteva quasi avvertire una gomma che cancellava le sue preoccupazioni.
“Dobby sta andando bene?” chiese il calvo, non sentendolo parlare.
Harry si voltò e commosso lo abbracciò stretto. Sentiva il cuore del più piccolo battere veloce.
“Oh, Harry…” disse con voce piena di affetto.
E allora il bruno capì. Capì cosa stava provando. Cosa aveva provato quando lo aveva visto morente nella spiaggia. Quando mangiava il suo tiramisù. Quando lo massaggiava.
Quando vedeva i suoi splendidi e sporgenti occhi marroni, e le sue orecchie appuntite.
Era forse amore?
Ma mai, e neanche mai si era avvertito così per qualcuno.
E poi, Dobby era un elfo. Lui era un ragazzo. Bruno.
Ma l’amore andava oltre tali convenzioni sociali e speciali.
Lo sentiva nel cuore.
Così si abbassò e baciò le sue labbra sottili.
“Oh… Harry… Potter...” gemette l’elfo.
Sapeva di caramello e tiramisù.
L’elfo gemeva ma non si ritrasse. Lo poteva sentire tremare. Poi Dobby si strinse a lui e ricambiò il bacio con più forza. Harry sentiva ora il cioccolato oltre al tiramisù. Sarebbe potuto svenire pure subito.
Si abbandonò a lui mentre il più anziano lo baciava ancora, e le sue lunghe dita sottili finivano sotto la camicia, mandandolo subito in estasi.
“Ti amo... D…dob...”
“Anche io… amo Harry...” disse con una voce che a Harry sembrò incredibilmente soave.
Si lasciò aprire la camicia con calma, mentre non riusciva a controllare il respiro.
Voleva essere suo. A tutti i costi. La mattina dopo non sapeva se sarebbe tornato. Se lo avrebbe più rivisto.
Avevano solo questa notte per stare insieme.  Si tolse i pantaloni.
Poi si avvinghiò a lui, mentre era colto dalla sua passione inarrestabile che era in lui.

*****
 
 
L’alba seguente dovette stringere i denti per non piangere, mentre abbandonava Dobby dormiente nel letto sfatto. Gli sembrava di tradirlo o abbandonarlo ma la missione era più importante.
Ma lo era davvero?
Si tormentò Harry, mentre con Ron e Hermione si smaterializzavano per andare alla Gringott.
E mentre tutto vorticava, il bruno volse un ultimo sguardo alla villa; il luogo dove aveva passato la notte migliore della sua vita.
****
 
Le coppe nella stanza di sicurezza si duplicavano e si moltiplicavano. E bruciavano. Come il suo retro dopo quella notte.
Bruciavano sulla sua pelle. Harry non riusciva a respirare, se apriva le labbra le sentiva infilarsi prepotentemente anche in bocca. Una sensazione familiare. Era scottato ovunque.
E poi sentì il poff della materializzazione. Una mano lo afferrò. Afferrò anche i suoi amici. Un odore familiare, come di dessert dopo i pasti.
Si morse la lingua per non piangere.
“Io salvo Harry Potter” udì solamente e poi di nuovo un poff.
Quando il bruno aprì gli occhi si ritrovò in una casa. Una stanza. Con un camino e il quadro di una ragazza. Bello.
Hermione e Ron erano con lui, pieni di bruciature, con la spada di Grifondoro.
Poi vide Dobby. Teneva in mano la coppa. Quella di Tassorosso. Il suo corpo longilineo e smilzo era pieno di bruciature.
Guardò Harry nei suoi occhi smeraldo e poi perse conoscenza, mentre Harry moriva dentro.
La porta si aprì ed entrò un uomo con una forte barba, alto un metro e ottanta. Occhi azzurri ghiaccio e  capelli grigi. Lo conosceva, forse era un Barista della testa di Porco.
“Dobby!” gridò vedendolo in quello stato. Lo avvolse nel grembiule da barista. Gli occhi azzurro ghiacciaia erano familiari, lo aveva già visto. Nel frammento di specchio?
“Lei è Aberforth” disse Harry, e il più vecchio annuì.
Poi si tolse la bacchetta dalla tasca e con una magia colpì Dobby e le sue bruciature svanirono.
“Deve riposare. Poverino. Perché siete qui?”
Harry e gli altri spiegarono tutto. Il barbuto annuiva. Poi anche lui spiegò tutto mentre i tre annuivano. Spiegò tutto di Silente e di Ariana, tutto del grande mago Grindelwald, ogni cosa.
“Dovete andare. La scuola ha bisogno di voi” disse poi il fratello di Silente, aprendo il passaggio segreto dietro al quadro di Ariana.
Dovevano farlo. Dovevano distruggere gli ultimi Horcrux. Per Hogwarts, per il mondo della magia.
Per Dobby.
Harry si voltò per l’ultima volta guardando l’elfo. L’elfo che gli aveva salvato la vita più volte. Che lo aveva protetto da quando aveva dodici anni.
La persona che era ora più importante per lui. Concentrò il suo sguardo, i suoi occhi di smeraldo su di lui per un’ultima volta, e poi entrò nel passaggio.

 
*****

 
Erano nel cortile della scuola. Harry guardava Voldemort che lo guardava. Negli occhi.
Le braccia gli facevano male, a forza di lanciare incantesimi, anche Voldemort sembrava stanco, la gola arsa a forza di urlare, e insultarlo.
“Quindi è tutto qui, capisci?” sussurrò. “La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato disarmato? Perché se lo sa... Sono io il vero proprietario della bacchetta di San Buco.”
E mentre un bagliore rosso di luce accecante colpiva i loro volti nello stesso momento, quello di Voldemort divenne una macchia infuocata. Harry udì la vocetta acuta strillare e urlò anche lui la sua speranza estrema verso il cielo, puntando la bacchetta di Draco.
“Avada Kedav…arg…”
Disse Voldemort. Sputando sangue.
Harry vide sul petto del signore Oscuro allargarsi una macchia di sangue, vide spuntare la punta del pugnale d’argento. Vide Dobby, il suo Dobby, estrarre il pugnale e saltare giù dalla schiena di Voldemort che si afflosciava morto; in un salto aggraziato. Quando si era materializzato?
“Dobby... perché?” chiese il bruno stupefatto.
Dobby lasciò cadere il pugnale sporco di sangue. I suoi splendidi occhi si puntarono su di lui.
“Dobby è un elfo libero. Libero di amare e salvare Harry Potter” sillabò.
Harry non riuscì a resistere alle sue parole e in un balzo lo raggiunse, e lo strinse a sé.
L’intera scuola li guardò con commozione mentre si stringevano con tutto l’amore di cui erano capaci.

 
****

 
Diciannove anni dopo.
 
Quell’anno l’autunno arrivò presto. La mattina del primo settembre era croccante e dorata, come la crosta di un tiramisù lasciato a conservare un pochino.
La famigliola raggiunse il binario nove e tre quarti spingendo carrelli troppo alti per loro.
Harry dovette sedare una lite. I piccoli Calzino e Dobby Jr stavano litigando di nuovo su quale Casa Elfica sarebbero finiti una volta arrivati a Hogwarts. Si tiravano le lunghe orecchie e i capelli.
Harry li fece calmare entrambi prendendoli in braccio. “Basta, adesso” disse “O papà vi sculaccia!” disse facendo l’occhiolino a Dobby che gli stringeva la mano con la fede.
“Va bene, papà” dissero i suoi figli adottivi, e scesero dal padre per riprendere a spingere i loro enormi carrelli.
Il treno sarebbe partito a momenti.
Creature magiche di tutti i tipi, forme e dimensioni, si affrettavano a salutare i figli che salivano nei vagoni strapieni. Ormai, dopo anni, più nessuno guardava Dobby con meraviglia e stupore, salutandolo come l’Eroe del mondo magico. Nessuna elfa madre di famiglia fermava più l’elfo per minuti interi, stringendogli la mano, ringraziandolo di aver cambiato le leggi di Hogwarts.
Il bruno (ormai sale e pepe) vide Ron e Hermione che abbracciavano i figli. Raggiunse gli amici sorridente, con Dobby a fianco.
“Che si dice, in paradiso?” chiese Ron dimenticandosi del figlio che lo salutava nel vagone.
Harry arrossì. “Oh, niente di che.”
“Dicevo a Dobby, comunque” precisò il rosso, stringendo la mano all’elfo.
“Tutto a meraviglia, Ron Weasley” disse Dobby.
Hermione sorrise guardando la coppia felice. Il treno partì con un grande rumore, mentre braccia e zampe spuntavano dai finestrini, ancora salutando.
L’ultima traccia di vapore svanì nella tossica aria autunnale. Il treno svoltò. La mano di Harry era ancora incastrata nel suo naso.  
“Non avranno problemi, Harry Potter” mormorò Dobby.
Harry lo guardò con amore e distrattamente abbassò la mano a sfiorare il naso.
“Lo so”
L’odore di caramello, tiramisù e mascarpone gli deliziava le nari da diciannove anni. Andava tutto bene.






 
   
 
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