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Autore: A Swiftie Life    07/12/2015    0 recensioni
Luke Hemmings era il ragazzo più antipatico e sfacciato che Charlie avesse mai conosciuto. Voleva credere che fossero talmente diversi da non trovare mai una tregua ai loro continui battibecchi. Ma infondo, Charlie sapeva che non erano proprio due mondi paralleli.
"Ogni estate Kate andava da suo padre a Miami per trascorrere del tempo con lui. In pratica, ospitava me, Emily e Mikey in un'enorme villa a tre piani per circa tre mesi."
"«Potrei avere dell'acqua?»
Ringraziando, afferrai il bicchiere per poi portarlo al tavolo. O almeno quella era l'intenzione. Non appena mi voltai una figura alta mi si parò davanti, facendomi fare un balzo all'indietro. Il bicchiere rimase arpionato alla mia mano, ma un po' di liquido finì sulla maglia nera del tipo.
«Cazzo!» pronunciò.
«Oh mio Dio, scusami tanto!» iniziai. «Beh, è solo acqua, quindi non dovrebb-» lasciai la frase in sospeso quando vidi per la prima volta il viso dello sconosciuto. Era... era... stupendo.
L'espressione leggermente confusa del ragazzo scomparve, lasciando spazio ad un ghigno divertito.
«Lo sospettavo; una ragazzina come te non avrebbe potuto di certo bere del whisky»"
Riuscirà Charlie a sopportare Luke e il suo ego per tre lunghissimi mesi?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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17° capitolo


Seth and the changeable type of human evolution.




La mia concezione dell’origine del mondo era completamente coerente e concordante con le spiegazioni forniteci a scuola: con il Big Bang, con i dinosauri, fino all’evoluzione dell’uomo, dall’australopiteco sin all’homo sapiens sapiens. Non avevo quest’idea solo grazie al fatto che mio padre era un antropologo mentre mia madre un’archeologa, anzi. Loro non mi avevano mai costretta a credere in qualcosa impensabile per me. Lo credevo e basta. Ergo, le mie teorie, come ho già detto, sono d’accordo con quelle che ci hanno insegnato a scuola. L’unica cosa che non coincideva con il nostro piano di studi riguardante la storia dell’universo e della terra era semplice. Secondo la sottoscritta, dev’essere necessariamente esistita una specie quasi completamente diversa dal genere umano, seppure di uguale forma e aspetto. 
Una specie di genere femminile che, ai tempi dell’homo habilis, molto probabilmente, camminava in modo eretto, flippava i capelli davvero troppo spesso ed emetteva versi striduli che volevano somigliare a delle risatine in presenza di un individuo di sesso maschile. 
E quale migliore esempio di questa differente specie generatasi nell’epoca preistorica poteva essere preso in considerazione se non quello della figura di Katherine Grey? Stava ridendo davvero in modo eccessivo davanti al bagnino che conosceva sin da bambina, mentre aveva in mano un bicchiere di limonata congelata. Potrà esservi sembrato sciocco il mio ragionamento contorto, ma non trovavo nessun’altra ipotesi plausibile circa il comportamento deviato che adottava Kate con la fauna maschile presente in spiaggia, nei locali, o da qualche altra parte. 
Comunque, era una calda mattina di luglio e avevamo deciso di fare un salto in spiaggia perché la nostra mangia uomini voleva salutare quel tizio che stava stritolando tra le braccia, un certo Brian. Aveva i capelli biondo cenere alla Justin Bieber undicenne, e ciò bastava per tenermi a debita distanza da lui. Non per qualcosa contro Justin - anzi, quando ero più piccola saltellavo per casa sulle note di Baby mentre mio fratello mi puntava contro un bazooka giocattolo - ma quei capelli proprio li detestavo. Mi ero presentata con un semplice e svogliato “Charlie”, in stile Hemmings. Ero sdraiata sul lettino al sole per cercare di arrostire quella maledetta mozzarella che comunemente veniva chiamata pelle. Poteva anche sembrare da maleducati il fatto che io ero l’unica completamente disinteressata a ciò che si stava dicendo nel gruppo formato da mio fratello, Laura, Calum - teneva per mano Emily, che a sua volta sembrava non reggersi in piedi -, Kate, quel tizio biondo e Ashton, molto scocciato dalla situazione. Tant’era che, sentendo il tessuto della sdraio abbassarsi leggermente sotto di me, alzai gli occhiali da sole dal naso e vidi il biondino barra castano con i denti stretti, seduto al mio fianco. Intuendo intelligentemente che qualcosa non andava, sollevai il busto e mi lasciai andare contro lo schienale. 
«Qualcosa non va, Ashy?» chiesi mentre tentavo di legare i capelli in una coda di cavallo. Mamma diceva sempre che quando andavo al mare, puntualmente dietro la schiena avevo la dannata forma dei capelli, con il risultato di una specie di triangolo bianco che faceva contrasto con il resto dell’abbronzatura. Era una cosa che odiavo da morire; ecco perché la mia mente brillante aveva deciso di metterli un po’ in ordine.
«A chi? A me? Non c’è niente che non va!» rispose stridulo, gesticolando vivacemente. Rimasi allibita dal modo in cui la sua faccia aveva assunto almeno trecento espressioni diverse nell’arco di un secondo e mezzo. Ebbi l’istinto di rifilargli uno dei miei “uo, keep calm bro”, ma non mi sembrava il caso dato che era parecchio agitato.
«Su, piccolo Irwin. Di’ alla zia Charlie cosa ti passa per la testolina» feci io, dandogli una gomitata scherzosa sul braccio. Mi guardò risentito, ma si sistemò sulla sdraio su cui avevo avuto intenzione di prendere il sole come una persona normale.
«Odio i capelli alla Justin Bieber» sentenziò fulminando con lo sguardo Brian a pochi metri da noi, che in quel momento stava scompigliando i capelli della mora. 
Irwin, sto iniziando sul serio a pensare che tu abbia poteri telepatici.
«Ma dai! Anche io!» e ci battemmo il cinque, cambiando completamente discorso in un modo alquanto assurdo. Almeno aveva riso un po’. Ma stava di fatto che c’era ancora quella cosa che non andava.
«Ma a parte questo, sembra che tu non odi i capelli alla Bieber solo perché non vanno più di moda, orsacchiotto» 
‘Charlie, te lo dico da tua amica e confidente in quanto scrittrice di questa storia: basta soprannomi.’ Okay, va bene, la smetto.
Mi lanciò un’occhiata per poi grattarsi la nuca. Oddio, non avevo mai visto Ashton così imbarazzato. 
«Lo odio quel tizio» borbottò riferendosi a Troy Bolton in versione High School Musical 1. Beh, in effetti un po’ gli somigliava, con la differenza che crescendo Zac Efron è diventato uno gnocco mentre lui non credo avrà mai qualcosa di simile ad una faccia presentabile e senza brufoli.
Gli diedi una piccola pacca sulla spalla. «Andiamo Ash, non te la prendere»
«Hai detto non te la prendere? Ma l’hai visto? Cosa crede di fare quell’abbozzo di una brutta copia di uno sputo di Zac Efron?» brontolò cercando di mantenere un tono basso. Aggrottai le sopracciglia. «Sei sicuro che non siamo fratelli siamesi separati dalla nascita?»
«Se fossimo siamesi non saremmo separati, genio» che palle, doveva sempre mettere i puntini sulle i.
«Era per dire che pensiamo le stesse cos-»
«Se è per questo potremmo essere dei gemelli diversi, anche se non capisco da quale pensiero ha avuto origine questa teoria» gli mollai uno schiaffo sul braccio.
«Chiudi la bocca. Dicevo, quali percentuali di probabilità possiede uno sgorbio come quello con Kate? Per favore Ash, un po’ di contegno»
Lo pensavo sul serio. Era semplicemente un suo amico di infanzia, Kate non provava attrazione per nessuno se non per lui. Irwin, intendo. 
«Lo pensi davvero?»
«Ashton. Devo ricordarti la scenata della scomparsa di Kate? Credi che potrebbe mandare a monte tutto ciò che avete passato in anni e anni di amicizia?» continuai petulante. Mi concesse un sorriso smagliante, in realtà il broncio non gli si addiceva molto. Gli tirai un pizzicotto alla guancia.
«Ora va’ e fagli vedere chi è il ragazzo di Kate» lo sospinsi per invogliarlo ad andare. In realtà, uno volevo che si alzasse dalla mia sdraio, e due volevo assistere ad una bella scazzottata. Scherzavo, ovviamente.
‘Io invece vorrei sapere perché continuo a scrivere. Sto pensando seriamente di mollare tutto e andare a coltivare patate, barbabietole da zucchero e melanzane.’ Ignorai il bellissimo e per niente offensivo commento e sistemai il telo sotto di me. Stetti per riabbassare gli occhiali da sole e godermi quella bella giornata, ma la voce di Kate mi distrasse nuovamente. Quando mi voltai verso il gruppo a qualche metro da me, vidi Kate sorridere e salutare con la mano per poi correre in direzione della passerella. La seguii con lo sguardo, fino a che non notai che stava raggiungendo un ragazzo alto in lontananza. Assottigliai gli occhi. Lo vidi sorridere e abbracciare la mia amica sollevandola leggermente da terra. Wow, era davvero carino. Aveva un ciuffo moro all’insù, un fisico muscoloso al punto giusto e un’espressione solare in volto. Era ormai mia opinione che Kate conoscesse decisamente troppe persone in quella città. In men che non si dica li ritrovai di fronte a me. 
«Lei è la mia migliore amica, Charlie» spiegò la mora al ragazzo di prima. Mi alzai goffamente dalla sdraio cercando di non battere la testa contro il para-sole. Che Dio me la mandi buona, non volevo fare figure di merda alle undici di mattina, soprattutto con un figone a petto nudo e un sorriso smagliante.
«Piacere» strinsi la mano che lui mi aveva allungato e ricambiai il sorriso.
«Seth» disse invece lui, sorridendo con la lingua fra i denti. Beh, era veramente bello mentre lo faceva, ma senza dubbio a Luke riusciva meglio. Tossicchiai. La solita tosse finta che si emette quando non si sa cosa dire o fare. Quando ebbe fatto anche la conoscenza di Emily e Laura, riportò lo sguardo su di me. 
«Allora… Char…lie, giusto?» fece lui, arricciando il naso con un sorriso divertito, come se non avesse mai sentito il mio nome in via sua.
«Ehm, esatto» risposi con calma, cercando di sedermi come una persona normale sul lettino. 
«Credevo che Charlie fosse un nome maschile» fece lui, sempre ridacchiando. Non sembrava una risata di scherno o derisoria; semplicemente curiosa.
«Sì, in realtà sì, ma Charlie è l’abbreviazione di Charlotte e preferisco farmi chiamare così» spiegai con nonchalance.
«Non ti piace il tuo nome?»
«Oh andiamo, Charlotte è ridicolo. Sembra il nome di una bambola di porcellana»
«Okay, se lo dici in questo modo rischi anche di convincermi» rispose inarcando le sopracciglia, probabilmente colpito dalla mia schiettezza. Scoppiai a ridere, condizionando anche il ragazzo che stava già sorridendo. La cosa strana di quella situazione, era quanto facilmente avessimo preso a scherzare come se fossimo amici da tempo, mettendomi straordinariamente a mio agio. 
«Ti limiterai a chiamarmi Charlie, c’est la vie»
«D’accordo, anche se Charlotte non mi dispiacerebbe» patteggiammo mentre lui prendeva posto liberamente sul mio lettino, accanto a me. Lo trovai un gesto un po’ avventato, ma sembrava che l’avesse fatto senza pensarci quindi non dissi niente. 
Mi rivolse un sorriso ancora più largo. «Allora, vivi qui?» chiese prendendo un sorso da un misterioso bicchiere che prima non avevo visto. Come facevo ad essere così cieca a volte? Ero peggio di una talpa. Pensate che quando ricevetti il mio primo bacio, a tredici anni, non mi ero nemmeno accorta che lui mi si stava avvicinando e aveva chiuso gli occhi. Mi traumatizzai talmente tanto che non lo rividi più per almeno tre mesi, e forse era meglio così dato che quando Michael scoprì dell’accaduto quasi lo ammazzò di botte. Aspettate, ma mi aveva fatto una domanda. 
«A dire il vero abito in Pennsylvania, ad Erie. Kate ospita me, Emily e mio fratello per tre mesi a casa sua» spiegai con un’alzata di spalle. Strano, non avevo iniziato un monologo interiore con me medesima, cominciando a parlare completamente a vanvera e di cose che non c’entravano assolutamente niente. Anche il modo di esprimermi faceva schifo ai pesci quando ero nervosa. Ma questo non era il mio caso. Mi ricordo che quando Luke mi chiese, qualche giorno dopo la ‘famosa’ festa, come stavo, avevo iniziato a parlare degli unicorni e di quanto Michael somigliasse a uno di loro. Ma perché continuavo a divagare?
«In Pennsylvania? Ma dai, mia sorella studia a Pittsburgh!» esclamò sorridente, allargando il braccio libero. 
«Davvero? Non dista molto da Erie, io ci vado quasi ogni Natale» risposi sincera. Stavamo intrattenendo una piacevole conversazione sulla geografia della Pennsylvania, fantastico. Fece una risatina divertita e si passò una mano fra i capelli. 
«E tu come conosci Kate?» la domanda mi sembrò abbastanza stupida, mi maledissi mentalmente per averla proposta. Kate faceva amicizia anche con i sassi, era improbabile che non lo avesse conosciuto in un pub, in spiaggia o da qualche altra parte fica che frequentava lei.
«Beh, frequenta questo lido da anni. Mio padre è il proprietario quindi abbiamo subito fatto conoscenza» disse indicando la mia amica dietro di lui col pollice. Suo padre aveva un lido e lui era bianco come un cadavere? Non li capisco questi matti. Annuii con il capo, concedendogli un sorriso senza scoprire i denti. 
Non mostravo mai i denti a nessuno; non per timore che fossero storti, (anzi, anni e anni di dentista avevano dato i loro frutti) assolutamente, ma sarebbe dovuta essere una cosa davvero esilarante per farmi sorridere sul serio. Il genere di sorriso che concedevo solo ad una persona.
«Giusto» confermai nuovamente. Lui si alzò lentamente dalla mia sdraio e prese un altro sorso dal bicchiere trasparente. 
«Ora dovrei proprio andar via. Mio padre mi ha chiesto di aiutarlo per tutto il giorno» spiegò lisciandosi i pantaloncini prima spiegazzati. Stavo per rispondere “non ti avevo chiesto cosa farai per il resto della giornata, moretto” ma mi bloccai. 
«Ehm, va bene Seth»
Il ragazzo mi si avvicinò per poi piegarsi e lasciarmi un bacio sulla guancia, non lasciandomi nemmeno il tempo di scostarmi. «Ci si vede» disse, e poi, dopo aver salutato tutti gli altri, prese a camminare verso il bar. 
Dovrei decisamente far attenzione agli amici di Kate.  

***


Mi rigirai nel lenzuolo azzurro che mi avvolgeva. Ero convinta del fatto che non riuscissi a dormire per via della quantità abnorme di pizza che avevo ingurgitato poche ore fa, ma poi realizzai che a non permettermi di dormire erano dei rumori provenienti dal piano di sotto. Così, infastidita e parecchio scazzata, infilai le ciabatte da mare che avevo trovato ai piedi del letto e mi alzai. Giuro che se è Kate che fruga nel frigo per fottersi il gelato alla fragola di nascosto la uccido. Però, la mia ipotesi fu subito stroncata da un profondo russare che proveniva dal letto della mora, il che mi permise di intuire che lei era in camera e dormiva alla grande. Decisi di uscire dalla nostra stanza per scendere di sotto e vedere cosa aveva deciso di turbare il mio sonno profondo. Mentre cominciavo a scendere la rampa di scale, un dubbio mi colpì: e se fosse un ladro? Mi pietrificai sul posto, con le unghie conficcate nel corrimano e gli occhi sgranati. Sarei potuta salire - fuggire - di nuovo su e afferrare una qualunque cosa lunga e affilata da utilizzare contro il malvivente, ma ormai ero già a metà strada, e per quanto ne sapevo chiunque avrebbe già potuto vedermi da lì. Bene; anzi, benissimo. Mi guardai un po’ intorno nella speranza di veder comparire dal nulla una sciabola, ma non c’era niente di vagamente simile ad un’arma nei dintorni a parte il santissimo vaso della nonna, reduce di una sfrenata festa all’oscuro del signor Grey. Feci un respiro profondo e poggiai il piede sinistro sullo scalino successivo. Casa di Kate aveva sì le mura laterali fatte in vetro trasparente, ma era dotata di un sistema di sicurezza eccellente e davvero non potevo credere che un ladro potesse aver fatto irruzione. Mi diedi mentalmente dell’idiota e proseguii più tranquilla per le scale. Mi affacciai nella hall, dove c’era la porta d’ingresso principale, e rimasi sconvolta. Quel brutto rincoglionito, tossico dipendente, fattone, squilibrato mentale e imbecille di mio fratello era in piedi davanti alla porta e teneva in mano il vaso di fiori che solitamente era vicino la finestra. Era lui allora ad aver fatto tutti quei rumori assurdi. Non appena notò la mia presenza, rimise il vaso al suo posto. Vidi che aveva in mano le sue scarpe e la maglietta. Okay, ora procediamo con calma. Michael torna a casa per le quattro di mattina, ha le scarpe in mano per non fare rumore, non ha la maglietta al posto giusto, ha gli occhi rossi come due enormi ciliegie e la sua faccia post-sesso. Perché ha la sua faccia post-sesso? Strabuzzai gli occhi più volte. Ora ditemi cosa dovrebbe pensare una sorella quasi gemella nel vedere il proprio fratello conciato così, come se fosse appena tornato da un rave. 
«Charlie, ma che cazz…»
«Allora» lo bloccai subito, alzando due dita in modo da zittirlo. «Io non mi chiamo Allison Clifford, non mi bevo tutte le minchiate che spari. Quindi ti conviene spiegare questo» dissi indicandolo. Si guardò un po’ intorno e fece un sorrisetto.
«Non so di cosa stai parlando»
Alzai gli occhi al cielo, infastidita dal fatto che anche in piena notte avesse voglia di giocare a ‘indovina tra quanti secondi ti spacco la faccia’. Brutto demente di un fratello. 
«Andiamo, Michael, sono le quattro di mattina, non hai la maglietta e hai la tua faccia post-sesso!» quasi urlai. Poi immaginai Kate con la sua maschera al kiwi spalmata in faccia scendere le scale e strangolarmi, e abbassai il tono. Lui sgranò gli occhi e mise le braccia avanti come per difendersi. Prese a scuoterle leggermente.
«Non è vero! Io non ho la mia faccia post-sesso!»
«Oh, si che ce l’hai brutto depravato!» lo rimbeccai reprimendo l’istinto di prenderlo per le orecchie e di trascinarlo per tutta la casa fino a quando non si fosse staccato il lobo. Fece un sorrisetto sghembo ma non rispose alla mia provocazione, se così vogliamo chiamarla. Perché avevo un brutto, bruttissimo presentimento a riguardo? Non era ubriaco, poco ma sicuro. Non puzzava di fumo, la sua solita acqua di colonia già era arrivata dritta nelle mie narici. Ora, odiavo essere la mammina di turno, quella responsabile e fin troppo rompicoglioni (c’era già Emily), però credevo che a tutto bisognasse porre un limite. E sicuramente i limiti di Michael non erano limiti. Per lui il limite aveva la forma di un cartello segnaletico giallo con la scritta ‘NON SUPERARE. OPPURE SUPERA, SONO SOLO UN CARTELLO IO.’ Credo di aver esordito troppe volte la parola “limite”, la smetto. Comunque, quello che più mi preoccupava del suo complesso era la faccia. La sua espressione era troppo sognante. 
«Senti Mikey, a me puoi dire se vai a scop-, a fare quelle cose con ragazze depravate quanto te. Sai che non mi piace quando ci mentiamo» cercai di dire con calma, sperando che mi spiegasse cosa diavolo stava succedendo, perché non ne avevo la più pallida idea. D’altra parte non era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, o che lo beccavo tornare a casa di notte fonda. Il mio cervello elaborò per un motivo a me ignoto l’immagine di Luke, e il pensiero che lui e mio fratello fossero così uguali che quasi avevo paura. Immaginai allora Luke mentre tornava a casa di notte fonda, con un’espressione assonnata ma soddisfatta, esattamente come quella di mio fratello. Mi salì un senso di nausea e disgusto al pensiero. 
«Ascolta sorellina, non voglio raccontarti tutti i particolari delle ultime ore, rimarresti scandalizzata» tentò così di filarsela ma io gli sbarrai il percorso mettendomi in stile stella marina tra i due divani bianchi nel salotto, in modo che non potesse passare. Fece una risata divertita, con una punta di derisione. Come al solito.
«Michael. Sono tua sorella quasi gemella, ho il diritto di sapere con chi te la spassi» 
La mia affermazione gli fece sbarrare gli occhi in un momento. 
«Voglio che tu sappia che non farei fatica a sollevarti di peso e a chiuderti in camera» mi avvertì allungando le mani verso la mia vita, per prendermi e levarmi di torno. Dio, somigliava a Luke più di quanto credessi. 
«Oh andiamo Michael. Non vuoi dirmi nemmeno come si chiama? Cioè, potrebbe averti attaccato qualcosa. Esistono tante malattie sessualmente trasmissibili: la clamidia, la sifilide, l’epatite, l’herpes, insomm-» non finii la frase perché mi tappò la bocca con una delle sue enormi mani, mettendomi a tacere. Oh Dio, chissà cosa diavolo ci aveva combinato con quelle manacce! Le scostai subito dalle mie labbra e sputacchiai un po’, come se stessi per rimettere la cena. Ottenni un’altra risata da lui.
«Perché dovrei dirti come si chiama?» 
«Perché si
«Mi uccideresti»
«Cosa te lo fa credere?»
«Lo so e basta!»
«Giuro che ora ti do una sberla talmente forte che ti faccio ingoiare tutti i dent-»
«Edith»
La mia reazione fu tipo una persona che viene schiacciata da un pianoforte che cade dal cielo. Completamente stordita e a dir poco incredula, ci misi qualche secondo per connettere tutto ciò che era successo. 
«Charlie?»
Mio fratello Michael, quello che quando era piccolo usciva dalla camera in mutande, con la cintura da cowboy che gli cascava, e fingeva di sparare ripetutamente al nostro gatto, aveva fatto sesso con Edith. Edith. Quella vecchia baldracca con i capelli color paglia secca e una sirena dell’ambulanza al posto della bocca.
«Cos’è che hai fatto, Michael?!» sbottai tutto d’un fiato.
«Senti Lottie, è stata una scopata. Solamente una gran scopat-»
La sua voce venne interrotta da un forte fracasso, a pochi metri da noi. Quando mi voltai, vidi in piedi, con un’espressione quasi terrorizzata, Laura. Strabuzzai gli occhi, per poi guardare sul pavimento. C’erano schegge di vetro praticamente ovunque, ai suoi piedi. Era evidentemente scesa per un bicchiere d’acqua, dedussi riconoscendo il colori del vetro che ora era a pezzi. Nessuno di noi aveva sentito i suoi passi, però. 
«I-io… Mi dispiace» balbettò lei per poi fuggire di sopra, come se qualcosa la stesse inseguendo. 
«Laura!» la chiamai io a gran voce, ma lei non si fermò. Non avevo capito esattamente perché fosse fuggita senza dire una parola, ma stava di fatto che probabilmente qualcosa l’aveva turbata. E non avevo alcun dubbio, guardando severamente mio fratello, che quel qualcosa fosse lui. 

 

  
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