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Autore: Northern Isa    10/12/2015    2 recensioni
«Non ho idea di dove trovare Novokov» rispose, come se questo potesse chiarire che non sarebbe stata di nessuna utilità.
«Non mi aspettavo nulla del genere.» La sedia di Fury arretrò sul pavimento lucido dell’ufficio e l’uomo si alzò. «Ma c’è qualcuno che potrebbe saperlo.»
Natasha si alzò a sua volta, aggrottando le sopracciglia con aria interrogativa.
«Il Soldato d’Inverno.»

[Winterwidow post Captain America: The Winter Soldier]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Maria Hill, Natasha Romanoff, Nick Fury, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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“We are not friends
Neither lovers
Nor enemies.
Just strangers
Whose hearts speed up a little
Each time our gazes meet.”
 
«Operazioni di recupero avviate» declamò la voce sicura di Maria Hill, mentre le sue dita scorrevano agilmente sullo schermo che aveva di fronte, aprendo files, trasferendo informazioni e dando istruzioni. «Tempo previsto per il recupero?»
L’agente dello S.H.I.E.L.D.  raddrizzò la schiena, risistemandosi l’auricolare in attesa di risposta. Nei muscoli delle spalle e del collo era ancora addensata la tensione causata dagli eventi più recenti relativi ai tre Helicarrier che Capitan America e Falcon si erano attivati per fermare. L’indice della mano destra, che aveva premuto il tasto che le aveva consentito di prendere il controllo dei tre mezzi e portarli alla distruzione, ancora tremava impercettibilmente.
Aveva avuto la finestra temporale di un battito cardiaco per decidere cosa fare, consapevole che Steve era ancora lì, bloccato a oltre mille metri d’altezza, con un pazzo che tentava di ucciderlo. Ma la consapevolezza del suo ruolo aveva indotto Maria a ridurre il ventaglio di opzioni che aveva a disposizione all’unica effettivamente praticabile. Era il protocollo ed era necessario rispettarlo per salvare le vite di milioni di persone. Anche se questo significava sacrificare Cap.
Quando gli Helicarrier erano esplosi, Maria aveva provato la sensazione di aver fatto la cosa giusta, ciò che Steve stesso le aveva chiesto. Ma essa era stata guastata dalla morsa di urgenza che aveva iniziato a provare, accompagnata da un senso di minaccia. L’HYDRA aveva dunque corrotto lo S.H.I.E.L.D., decine, forse centinaia di agenti erano ormai compromessi, e dell’uomo che per primo si era alzato a contrastare i nazisti non c’era più traccia.
Ciononostante, la Hill aveva avviato delle ricerche febbrili che erano durate meno di un paio d’ore.
Quando lo schermo luminoso di fronte a lei aveva emesso un sonoro bip, lo aveva accolto con un moto di sorpresa, anche se minore di ciò che avrebbe immaginato. Del resto avevano a che fare con un super soldato.
Capitan America era ancora vivo, da qualche parte sulle sponde del fiume Potomac; l’agente non perse tempo e diede immediatamente ordine a una squadra di andare a prenderlo.
«Quindici minuti» rispose la voce metallica nell’auricolare di Maria.
«Molto bene» approvò lei, interrompendo la comunicazione. Le sue dita tornarono sui comandi per aggiornare le direttive da inviare agli operativi.
Il super soldato sarebbe tornato presto al Triskelion.
 
«È Capitan America!»
«Rogers! Bentornato.»
«Capitano!»
«Steve, è un piacere vederti.»
Furono queste e altre le frasi che accolsero Steve Rogers al Triskelion. Le sue condizioni, come Maria ebbe modo di valutare a prima vista, non erano gravi: qualche ammaccatura qui e là, un labbro spaccato, un occhio nero. Il Soldato d’Inverno non si era risparmiato con lui, ma Maria conosceva la pasta di cui era fatto Steve. Ad ogni modo gli avrebbe ordinato una serie di esami medici – immaginava che Fury li avrebbe richiesti – così da togliersi qualsiasi dubbio.
Il super soldato si avvicinò all’agente dello S.H.I.E.L.D. con un’aria leggermente sbattuta e l’occhio spento, ma con un lieve sorriso a incurvargli le labbra. Aveva tutte le ragioni per sorridere: quella conseguita quel giorno era un’importante vittoria, ma non avevano che toccato la punta dell’iceberg.
«È andata bene» commentò con quell’espressione semplice e affabile che Maria aveva imparato a conoscere.
La donna gli rispose con un’alzata di sopracciglio.
«Il direttore Fury vuole vederti. Ci sono diverse cose di cui parlare» riferì, badando di essere lontana da orecchie indiscrete.
Maria sapeva di non dargli tregua, ma non potevano cullarsi nel precario senso di sicurezza fornito da quel successo. Gli Helicarrier erano stati distrutti, ma di certo quello non era l’unico asso nella manica dell’HYDRA. Inoltre il Soldato d’Inverno era ancora a piede libero e costituiva una minaccia non trascurabile.
Nonostante la stanchezza che Steve doveva provare, sorrise nuovamente.
«Dov’è?»
 
Il mondo pensava ancora che Nick Fury fosse morto ed era fondamentale che non si scoprisse il contrario: ciò garantiva loro almeno qualche passo di vantaggio sull’HYDRA e ne avevano un bisogno disperato, stante il modo efficace con cui i neonazisti si erano infiltrati nello S.H.I.E.L.D. Il direttore si sarebbe rivelato solo al momento opportuno e Natasha già immaginava le espressioni deformate dalla sorpresa che avrebbe trovato ad accoglierlo. Eppure lei, che lo conosceva bene da molto tempo, sapeva quanto fosse imprevedibile. Scoprendo che Nick era ancora vivo non si era sentita tradita come Steve, avendo compreso le ragioni del direttore. Eppure Rogers era un soldato, doveva avere una certa familiarità con le dinamiche di un esercito in guerra, che non erano tanto lontane da quelle di un’organizzazione spionistica come lo S.H.I.E.L.D. Ma, si disse ancora, a Capitan America mancava un’esperienza come quella che la Vedova Nera aveva fatto nel KGB. Dopo una cosa del genere, la fiducia nel prossimo diventava una favoletta per bambini.
Maria Hill era riuscita a recuperare Steve in tempi rapidi e, senza sprecarne di altro, lo aveva rimesso in sesto il tanto che bastava per metterlo in piedi di fronte al direttore Fury, in una località segreta e accessibile solo a loro. Natasha si trovava al suo fianco, con le braccia incrociate sotto al seno e un angolo delle labbra sollevato.
«È bello vedere che sei vivo, Steve» salutò.
Anche Fury si esibì in qualche frase di circostanza, ma i convenevoli non erano il suo forte, così tagliò corto rapidamente. A guardare la sua corporatura solida, parzialmente coperta dal consueto cappotto di pelle nera, sembrava che non avesse mai subito un intervento chirurgico.
«Dobbiamo metterci immediatamente al lavoro» stava dicendo l’uomo, con il suo tono pratico e spiccio. «L’HYDRA si è infiltrata nello S.H.I.E.L.D., Pierce e Sitwell non possono certo i soli. Dobbiamo passare al setaccio tutto ciò che sappiamo su ognuno dei nostri agenti.»
Mentre Fury proseguiva delineando ciò che aveva in programma, Natasha si ritrovò a riflettere su due dati. Il primo: il direttore Fury non era mai senza un piano; potevano avere appena risolto un problema che lui stava già pensando a come porre rimedio al successivo. Il secondo: Steve non sapeva dissimulare le emozioni. Lì, in piedi di fronte a lei, a Nick Fury e a Maria Hill, osservava il direttore con grande concentrazione, ascoltando parola per parola. Ma che il discorso di Nick non gli andasse completamente a genio era evidente: Natasha lo leggeva nella piega appena indurita delle labbra, nella tensione dei muscoli del collo, nella fronte increspata. Evidentemente però Steve era anche consapevole del fatto che si trovavano di fronte a una emergenza reale e così certe misure drastiche erano necessarie. Perciò non ribatté, lasciando che Fury terminasse di parlare senza interruzioni.
«È tutto» concluse il direttore.
Le due donne annuirono impercettibilmente, archiviando mentalmente le informazioni appena ricevute. Natasha si allontanò di un passo, ritenendosi congedata, quando Steve prese la parola.
«Notizie del Soldato d’Inverno?»
Seguì un prevedibile momento di silenzio. Fu Maria Hill a interromperlo, a un certo punto.
«No. Abbiamo perso le sue tracce.»
Rogers avanzò di un passo verso il direttore, opponendo la sua espressione seria a quella di Fury.
«Se sono vivo, è grazie a lui.»
«Capitano, so che James Barnes era un tuo amico…» iniziò l’altro, puntando l’unica pupilla sul viso di Steve. Quest’ultimo schiuse nuovamente le labbra per ribattere qualcosa, ma Fury lo anticipò, proseguendo la frase. «Ma quello che abbiamo di fronte non è più James Barnes. Il Soldato d’Inverno ha provato a ucciderti. A uccidere Natasha.»
La Vedova Nera si irrigidì appena. Non le piaceva essere chiamata in causa in quella vicenda, ma sapeva che Nick aveva ragione. Almeno in parte.
«Ma, quando l’Helicarrier è esploso ed è finito in acqua, è stato lui a trascinarmi sulla riva» insistette Capitan America, testardo. «So che in lui è riaffiorato qualche ricordo.»
Chi diavolo è Bucky? Nelle orecchie di Natasha risuonò la voce aspra del Soldato d’Inverno mentre si rivolgeva al suo vecchio amico.
«Non ne siamo certi» si oppose Fury, deciso a non demordere. «Quell’uomo ha subito decenni di lavaggi del cervello, la sua mente è stata gravemente danneggiata. Per lo S.H.I.E.L.D. è ancora un nemico.»
Lui e Rogers si osservarono in silenzio qualche attimo ancora, come a sfidarsi reciprocamente ad aggiungere qualcosa sull’argomento, ma nessuno dei due lo fece: il tono di Fury era stato troppo categorico.
«È tutto» ripeté il direttore.
Questa volta, Steve, Maria e Natasha girarono sui tacchi per lasciare la sala.
 
Erano trascorsi alcuni mesi dall’esplosione degli Helicarrier e dalla scoperta della minaccia dell’HYDRA. Come promesso dal direttore Fury, erano iniziate delle indagini molto approfondite su eventuali cellule naziste infiltrate nello S.H.I.E.L.D. ed erano già saltate le prime teste. Natasha non era coinvolta direttamente in quelle investigazioni e i suoi compiti non erano mutati particolarmente. Capitan America aveva continuato a fare domande sul Soldato d’Inverno, ma Fury era stato sempre categorico: non sapevano dove si trovasse e comunque lui era ancora un nemico dello S.H.I.E.L.D. – o almeno di quello S.H.I.E.L.D. che al momento esisteva solo sulla carta. Natasha non sapeva se il direttore stesse mentendo, se davvero non avessero localizzato Bucky Barnes o se quella fosse la versione per Rogers, in modo da stroncare in lui qualsiasi desiderio di cercare il vecchio amico. Dopo qualche tempo, poi, Steve aveva smesso di chiedere.
Natasha aveva altro di cui occuparsi e, quando venne convocata nella località segreta in cui si trovava Fury, pensò che si trattasse di qualche novità sui movimenti dell’HYDRA.
La porta automatica dell’ufficio si richiuse con un soffio dietro di lei, poi la luce di fianco all’interruttore divenne rossa. Inarcando un sopracciglio, la Vedova Nera prese ad avanzare verso la scrivania del direttore. Su di essa erano stati disposti alcuni fascicoli con impresso il sigillo dello S.H.I.E.L.D.; alcuni fogli, pinzati con delle graffette alle copertine di cartone, facevano capolino da esse.
«Siediti, Romanoff» la accolse la voce ruvida di Fury.
Natasha obbedì, prendendo posto su una delle sedie in acciaio e velluto che si trovavano di fronte alla scrivania, e accavallò le gambe.
«Di cosa si tratta?»
Avrebbe anche potuto ingannarsi, ma le parve di leggere qualcosa nell’attimo di esitazione di Nick. Poi le dita del direttore raggiunsero il monitor del suo computer per ruotarlo verso la donna. I suoi occhi videro delle fotografie aeree di alcuni bunker e capannoni: alcune erano recenti, altre sembravano vecchie di qualche decennio.
«Quelli che vedi nelle immagini sono vecchi depositi risalenti alla Guerra Fredda e ufficialmente abbandonati dagli anni Cinquanta. Nei giorni scorsi però è stata registrata dell’attività intorno a essi. Non sappiamo ancora se è stato trafugato qualcosa, ci stiamo lavorando.»
Lo sguardo di Natasha si spostò dal monitor del computer al volto di Fury. La benda che gli copriva un occhio sembrava il sigillo di una maschera impossibile da incrinare.
L’indice della mano destra del direttore premette un tasto sulla tastiera e le immagini sullo schermo vennero sostituite da quello che sembrava il fotogramma di un video. Era un po’ sgranato, ma i lineamenti dell’uomo immortalato erano abbastanza riconoscibili.
«Leonid Novokov.» Fury fece una pausa, forse aspettandosi una qualche reazione da parte di Natasha, ma la donna non batté ciglio.
«Dovrei forse conoscerlo?» ribatté, secca. Quella convocazione stava prendendo una piega che non le piaceva particolarmente e Fury non era ancora arrivato al punto. Il fatto che ci fossero di mezzo dei depositi utilizzati durante la Guerra Fredda poi non prometteva niente di nuovo. Natasha ruotò appena il viso in una posa diffidente.
«Potresti non ricordare questo nome o questo volto, ma Novokov è stato addestrato nella Stanza Rossa. Come te.»
Nessun muscolo volontario della Vedova Nera tradì alcuna reazione. Solo, poco dopo, un fremito sotto l’occhio sinistro, appena percepibile.
Красная Kомната, la Stanza Rossa, era il luogo in cui il KGB aveva addestrato, durante la Guerra Fredda, bambini, ma soprattutto bambine, per farne degli agenti che sarebbero stati utilizzati dallo spionaggio russo. Era stato lì, dopo un lungo e feroce addestramento, dopo numerosi lavaggi del cervello ed esperimenti genetici, che Natasha Romanoff era stata trasformata nella Vedova Nera.
Gli scienziati del KGB avevano avuto l’obiettivo di creare delle macchine da guerra praticamente perfette, senza famiglia, ricordi o scrupoli, fedeli solo all’URSS. Natasha aveva dei ricordi frammentati e distorti di ciò che era accaduto all’epoca: per lungo tempo aveva creduto di studiare danza classica. Sapeva di aver fatto delle cose terribili, prima di unirsi ai Vendicatori; non le piaceva ripensare a quel periodo.
«Quindi cosa dovrei farci, con questo Novokov?» Natasha arretrò col busto fino a raggiungere lo schienale della sedia e incrociò le braccia sotto al seno. La voce avrebbe voluto risuonare sicura e salda come sempre, ma un udito molto allenato avrebbe colto una sottile nota di nervosismo.
Fury proseguì, ignorando la domanda.
«Novokov è uno dei dormienti» specificò, «agenti come il nostro amico Soldato d’Inverno, ficcati dal KGB in una camera di stasi e ripescati quando dovevano svolgere qualche missione. A quanto pare, la camera di stasi che ospitava Novokov è andata distrutta dieci anni fa in un terremoto. Non avevamo idea di che fine avesse fatto l’uomo, poteva anche essere morto, per quanto ci riguarda. Finché non è spuntata questa.»
Con l’indice, Fury picchiettò con impazienza sul monitor.
«Novokov è ancora vivo e, a quanto pare, interessato a vecchi depositi del KGB. Stiamo facendo qualche ipotesi sul perché gli interessino, ma converrai che anche senza saperlo, la cosa non promette nulla di buono.»
Dentro di sé, Natasha conveniva. Ma non voleva avere più nulla a che fare con i servizi segreti russi, con la guerra fredda e con chiunque fosse fuggito dalla Camera Rossa. Ne aveva abbastanza di quel passato, così remoto che ormai sembrava appartenere a un’altra vita, e non aveva nessuna ansia di riviverlo.
«Non ho idea di dove trovare Novokov» rispose, come se questo potesse chiarire che non sarebbe stata di nessuna utilità.
«Non mi aspettavo nulla del genere.» La sedia di Fury arretrò sul pavimento lucido dell’ufficio e l’uomo si alzò. «Ma c’è qualcuno che potrebbe saperlo.»
Natasha si alzò a sua volta, aggrottando le sopracciglia con aria interrogativa.
«Il Soldato d’Inverno.» 



NdA: Eccomi qua, dopo un lungo periodo di assenza da EFP. Complice la mia fuga al Lucca Comics e l'acquisto della serie de "Il Soldato d'Inverno", mi sono messa a scrivere questa FF che trae in parte ispirazione dal fumetto. Il personaggio di Leo Novokov infatti è tratto da lì, sebbene le sue motivazioni e la vicenda che costituisce la trama di questa storia siano una mia invenzione per conciliare il comicverse al movieverse.
       
   
 
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