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Autore: WaterfallFromTheSky    10/12/2015    1 recensioni
Haruko è solo una innocente ragazzina quando Lady Kagami irrompe nella sua vita, stravolgendogliela. Da quel momento, la giovane sarà costretta a fingere, a fare cose che logoreranno la sua anima, tutto per salvare se stessa e suo fratello. Riuscirà nel suo intento? Sarà capace, la ragazza, di mantenere intatti i suoi principi?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Salve a tutti! Dopo tantissimo tempo che non pubblico, finalmente sono riuscita a terminare una storia su Tenchu ed eccovela qui XD Ho tutti i capitoli già pronti e ho intenzione di pubblicarne uno a settimana.
Sono un po' indecisa sul rating da dare alla storia; ho messo quello "Arancione" ma, dato che in seguito ci saranno scene violente, qualora fosse il caso di modificarlo a "Rosso" fatemelo sapere e provvederò.
Tutto qui, non vi tedio più! XD Spero che questa modesta fic vi piaccia ;)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1
 
-Brava, ottimo lavoro-
-Grazie, mia signora-
-Puoi ritirarti-. La donna le diede subito le spalle, rafforzando così quell'invito a congedarsi. Non le dispiacque affatto; produsse un breve inchino e si allontanò. Presto, si ritrovò fuori dalla fredda caverna, eppure rabbrividì ugualmente. Era quella donna. Era quello che era costretta a fare.
"Resisti" si ripetè. Fece un profondo e lento respiro, ma non si sentì meglio. Nulla riusciva mai a farla sentire meglio.
***
-Ah eccoti!-. Maledetto, la fece sobbalzare per lo spavento. Ma era solo lui, Yoshi. Il giovane le si sedette accanto, le ginocchia tra le braccia larghe; le sorrise.
-Sono contento di vederti-. La ragazza non lo era altrettanto, ma finse il contrario, così sorrise e rispose:-Bè, sono felice di averti fatto contento. Diversamente, sarei morta stecchita-. Yoshi ridacchiò della battuta, poi rivolse il viso al fiumiciattolo che scorreva dinanzi a loro.
-L' hai ucciso?-
-Certo. Era quella la mia missione. E l'ho portata a termine-
-Si, ma intendo...-
-No, non l'ho fatto. Vecchia maniera-
-Haruko! Ma quando imparerai?- esclamò Yoshi, esasperato. La ragazza prese tra le dita una delle sue numerose e fitte treccine nere e non rispose, infastidita. Avrebbe voluto mandare Yoshi a quel paese, dirgli di farsi gli affari propri, ma non era il caso, quindi si limitò al silenzio, lo sguardo basso.
-Se continui così, prima o poi andrà male. Il tuo metodo non è sicuro-
-Solo perchè non li vedo morire coi miei occhi non vuol dire che non muoiano-
-Non puoi saperlo. Qualcuno potrebbe fregarti-
-Bè, non ce la faccio-. Yoshi sospirò, allungando le gambe e poggiandosi sugli avambracci.
-Sei così testarda-. Eppure, il modo in cui lo disse non lo faceva apparire come una critica. Haruko arrossì impercettibilmente, sempre più concentrata sulla treccina.
-Posso insegnarti-
-Mi hai già detto come si fa. Non ho bisogno di altro. Solo di coraggio-
-Sforzati. Inizia con gli animali-
-Quando sarà necessario-
-Ma lo è già-
-Non finchè non avrò problemi. Finora non ne ho avuti. E ora scusami, ma devo andare a fare rifornimento di piante-. La ragazza si alzò, si spazzolò il vestito sul sedere e fece per allontanarsi, ma Yoshi aveva già artigliato il suo polso e torreggiava su di lei, allarmato.
-Non volevo ferirti. Non volevo dirti cosa devi fare-
-Lo so, Yoshi. Tranquillo. Devo davvero rifornirmi-
-Posso venire con te, allora?-
-Da sola farò prima. E poi voglio passare da mio fratello-. Si liberò il polso e si affrettò a voltarsi e mettere le distanze, prima che la fermasse ancora. Ma lui non ci provò nemmeno, altrimenti lei non sarebbe andata molto lontano. Haruko imboccò il primo sentiero che trovò e, a passo svelto, lo seguì, celandosi presto tra gli alti e fitti bambù. Quando fu certa di essere sufficientemente lontana, si fermò e tirò un nuovo sospiro. Di stanchezza.
Sarebbe mai riuscita a uscire da quella situazione?
***
Non riusciva a dormire. Si girava e rigirava nel duro e scomodo lettino, il coltello premuto contro l'addome. La coperta ruvida sotto la quale era nascosta non serviva a donarle conforto, nè in termini di calore vero e proprio e neppure come riparo emotivo. Quell'oscurità la agitava. Le gocce d'acqua che cascavano dalle stalattiti fuori dalla sua celletta la innervosivano. Da quando era entrata a far parte di quel clan micidiale, aveva perso la sua pace, in ogni momento della giornata ma soprattutto di notte. Quella non era casa sua, era attorniata da persone di cui non poteva fidarsi e che, non appena fosse diventata di intralcio, non avrebbero esitato a eliminarla. Poi c'era il loro capostipite, quella donna...
Era pazza. Era crudele. Se non fosse stato per suo fratello, Haruko avrebbe preferito morire piuttosto che servirla. Ma non poteva farlo. Lui era tutto ciò che le era rimasto...e non poteva lasciarlo nelle mani malate di quella esaltata. Lo avrebbe portato alla rovina. Doveva salvarlo...e ci sarebbe riuscita. Era l'unica cosa che le permetteva di sopportare quel posto e le missioni che la donna le affidava.
"Devi proteggere le persone che ami...noi donne esistiamo per questo. Per proteggere. Per guidare. Non scordarlo mai" le ripeteva sempre sua  madre. E lei non lo dimenticava mai. Il problema era che lei non era mai stata protetta e guidata da nessuno prima...
***
Udì dei passi e il respiro le si mozzò nel petto, le mani improvvisamente serrate attorno al manico del coltello. Finse di dormire, quindi rilassò forzatamente il respiro.
Non era suo fratello. A volte capitava che venisse a dormire accanto a lei, ma i suoi passi pesanti erano inconfondibili per lei.
Quelli che si avvicinavano non erano assolutamente i passi del suo fratellone. E se avesse saputo utilizzare a dovere quel coltello, la cosa non l'avrebbe agitata. Dannate armi.
I passi si fermarono accanto al suo letto. Haruko tentò di decidere in fretta cosa fare: attaccare chiunque fosse o continuare a fingersi addormentata?
-Ehi tu. Svegliati!- esclamò l'intruso alle sue spalle, risparmiandole l'imbarazzo di quella decisione. Haruko balzò quindi seduta, celando il coltello sotto la coperta. L'illuminazione era troppo scarsa, per cui non vide il volto di chi le parlava, non ne riconobbe nemmeno la voce -erano così tanti a servire quell'invasata-, ma capì che non c'era pericolo.
-C'è una missione per te-. La ragazza trattenne a stento un gemito di frustrazione.
In missione. Di nuovo.
***
Era arrivata a destinazione nel giro di tre ore, di cui  una a piedi, le altre due su un carretto, nascosta sotto la paglia. Incredibilmente, era riuscita a schiacciare un pisolino lì sotto.
Quando il carretto si fermò, la ragazza scostò un pò di paglia e sbirciò fuori. La prima cosa che notò fu che il sole non era ancora sorto, ma ci era vicino; l'aria frizzante del mattino presto penetrò sotto quella copertura calda, rinvigorendola all'istante.
La vegetazione non le disse nulla. Aguzzò l'udito e capì che il signore che guidava il carretto si era allontanato per espletare i suoi bisogni. Haruko ne approfittò per sporgersi un pò dal suo nascondiglio, e così notò subito sulla destra l'entrata di un villaggio. Il cartello apposto proprio lì accanto le indicò che era giunta a destinazione. Afferrò immediatamente la piccola sacca che aveva portato con sè e la sua corta asta, quindi balzò fuori dal nascondiglio e si allontanò alla svelta, attenta a non farsi scoprire dal signore e a non spaventare il suo cavallo.
Nonostante non fosse neanche l'alba, le bastò chiedere indicazioni ad un contadino per trovare il castello, e vi arrivò in men che non si dica. Avrebbe tanto voluto fermarsi a comprare qualcosa da mangiare -il profumo del pane appena sfornato e dei dolci...- ma resistette e tirò dritto. Era sempre così quando si recava in missione: era così ansiosa di terminare il lavoro che mangiava a malapena, giusto il necessario per non morire di fame.
Quando arrivò al castello, era in parte sollevata e in parte più agitata di quanto già non fosse: la missione aveva ufficialmente inizio. Passò una mano sugli stracci che aveva accuratamente scelto come vestiario e portò indietro la massa di treccine nere con un colpo del capo, quindi si preparò a improvvisare. Si avvicinò alle due guardie all'entrata con l'aria più dimessa che le riuscì, quindi parlò prima che le sbarrassero il passaggio:-Buongiorno. Mi è giunta voce che cercate una nuova cameriera-
-Vuoi lavorare qui, eh?- le chiese una delle guardie, un uomo giovane e cordiale; la ragazza annuì.
-Dovremo perquisirti- fece l'altro, palesemente più anziano e diffidente. Lei annuì di nuovo, mansueta, e il secondo le si avvicinò, tastandola ovunque pur senza esagerare. Il giovane, invece, diede un'occhiata alla sua asta e all'interno della sacca da viaggio.
-Perchè ti porti appresso questo bastone?-
-Vengo da un altro paese, ho viaggiato a lungo a piedi. Mio padre mi ha dato quella piccola asta per difendermi dai malintenzionati. E' l'unica arma che potrei usare- spiegò Haruko, innocentemente. La storia era plausibile, difatti nessuno dei due insistette; soprattutto, nessuno dei due si accorse che il corto "bastone" era allungabile. Il giovane le chiese ancora:-E cosa sono queste boccette?-. Tirò fuori dalla sacca uno degli oggetti in questione; la mora spiegò ancora:-Sono solo spezie tritate. Mia madre me le ha date per venderle, almeno i primi tempi, nel caso Lord Rhoda non mi assumesse-. La guardia annuì e continuò a frugare, ma trovò solo altri modesti stracci, pochi soldi, del pane e poco altro. Nulla di sospetto. La sacca e l'asta le furono restituite, quindi le fu concesso il passo. Lei salutò educatamente e si addentrò nel castello. Era molto ampio e alto, ma nulla di speciale: i castelli dei nobili erano tutti uguali per lei, l'unica cosa a variare era forse la disposizione delle stanze. Mentre attraversava un corridoio, si imbattè in una giovane domestica; le disse di essere lì per ricoprire il ruolo di cameriera e la ragazza la condusse subito nelle cucine. Appena vi misero piede, Haruko fu sopraffatta da mille odori, tutti invitanti, che tuttavia non ebbero il potere di aprirle lo stomaco, e dalla vista di uomini e donne affaccendati nella preparazione di chissà quali pietanze. La domestica tirò dritto e lei la seguì, quindi attraversarono la cucina e si ritrovarono in un nuovo spoglio corridoio; raggiunsero presto una stanza. La domestica bussò e aprì il fusuma1, che rivelò uno spazio ampio e luminoso. Quando le fu fatto cenno di entrare, Haruko oltrepassò la porta, trovandosi di fronte una signora anziana e pienotta dall'aria cordiale, seduta dietro un kotatsu2. La domestica si congedò e la signora fece cenno ad Haruko di accomodarsi sul 3tatami.
***
Bene, era fatta. Ora era ufficialmente una domestica del castello di Lord Rhoda. Ed era già indaffarata nelle sue mansioni: eccola a fare su e giù per il castello per pulire, consegnare ora quel messaggio, ora quell'oggetto, per chiamare una guardia, per assistere la moglie di Rhoda...
Scoprì che i nobili erano molto più viziati di quanto si pensasse. Ma il problema non era quello in realtà: doveva riuscire a raggiungere Rhoda quanto prima. E non aveva idea di come fare.
***
Se l'intera giornata le era parsa un incubo, la notte non fu migliore per lei. Non riusciva a chiudere occhio. Arrivò perfino a rimpiangere le caverne in cui era costretta a vivere per volere di quella maledetta donna...
Divideva una stanza con due ragazze. Beatamente addormentate.
"Come le invidio" pensò, sospirando. Dalla piccola finestra in altro penetrava la luce della luna, che illuminava la stanza a giorno. Ma non era quello a renderle difficoltoso il sonno, bensì la tensione del compito che gravava sulle sue spalle. Lentamente, scostò le coperte e si alzò, quindi raggiunse la sacca ai piedi del suo futon. Come per assicurarsi che tutto fosse al suo posto, tirò fuori una delle boccette di vetro e ne osservò il contenuto: una polverina marrocina dall'odore tenue e poco invitante. Era la chiave per concludere la sua missione. Se solo fosse riuscita a entrare nelle cucine...
Una spezia. Effettivamente, escludendo gli effetti del tutto differenti, una similitudine c'era. Ma non si trattava affatto di una spezia. Haruko era un ninja non convenzionale: lei non usava armi, non ne era capace. Il modo in cui lei strappava vite era molto più sottile.
***
Trascorsero tre giorni. Non era la prima volta che una missione richiedesse tanto tempo. Lei ci metteva di più...ma la sua odiata signora non aveva da ridire. Finora aveva portato a termine tutte le missioni affidate, che per Haruko erano state fin troppe. Mille volte aveva pensato di mollare tutto e fuggire proprio durante una missione...ma era troppo rischioso, dei ninja l'avrebbero trovata e uccisa. Ma non era per quello che cambiava sistematicamente idea.
Se lei fosse morta, chi avrebbe tirato fuori dai guai quello sconsiderato di suo fratello? Chi lo avrebbe protetto? Era paradossale che proprio lui, molto più grande e grosso di lei, dovesse essere salvato da sua sorella...
Haruko lo maledisse nuovamente mentre si liberava di quello scomodo kimono bianco e celeste, che era la sua divisa da domestica. Fu lieta di indossare i soliti stracci e lasciar libere le treccine. Mangiò poco e niente -un pò perchè non aveva fame e un pò per evitare di intrattenere rapporti con il resto della servitù- quindi si rifugiò nel suo futon. Anche se avrebbe passato un'altra nottata infernale. La sua pazienza fu tuttavia premiata il giorno dopo: doveva essere Haruko a portare a tavola una parte delle pietanze durante il pranzo di Rhoda e famiglia. Fu abile a restare per ultima tra le cameriere che portavano i cibi; mentre le altre due colleghe, ignare, camminavano davanti a lei, la giovane tirò fuori da una tasca la fatidica boccetta, ne sfilò il tappo coi denti e ne versò una minima parte del contenuto nelle verdure che portava. La richiuse e la fece sparire nel kimono. Annusò il piatto senza farsi vedere e, sollevata, si accertò che l'odore della polvere di fungo non si avvertisse. Era una fortuna che ne servisse così poca per avere effetto sulle sue vittime.
Il pranzo durò fin troppo per i suoi gusti: fu un'agonia osservare in disparte con le colleghe i tre membri della nobile famiglia -marito, moglie e figlioletto- che mangiucchiavano ora questo ora quello, parlando di futilità. Haruko teneva gli occhi puntati su ogni loro movimento, lieta ogni qual volta che la portata da lei contaminata veniva consumata. Eppure, al contempo, era angustiata dall'angoscia e dal senso di colpa.
Come sempre.
Erano viziati, esili, troppo ben vestiti, troppo allegri, ignari di ciò che pativa la gente comune al di fuori di quelle mura, come pure di quanto sgobbasse il personale che li serviva...eppure non meritavano di morire. Non sembravano cattivi d'animo. E non le avevano fatto nulla. Non loro.
Osservò il bambino che portava alla bocca le verdure mortali sotto insistenza di sua madre.
-Le verdure fanno bene! Devi imparare a mangiarle! Vedrai che col tempo ti piaceranno-. Il piccolo annuiva, paziente e disgustato, e mandava giù quel boccone indesiderato. Poteva avere dieci anni al massimo.
Dieci.
Così pochi.
Poco più della metà dei suoi.
Haruko si ritrovò a fissare l'ignara innocenza che avvolgeva quel piccolo corpo ben vestito come un sudario, quel viso liscio, quegli occhioni scuri, quella boccuccia infantile... Dovette frenare la sua fantasia mentre tentava di elaborare quello che sapeva sarebbe successo nel giro di ventiquattr'ore. Spostò la sua attenzione sulla madre del bimbo, che mangiava invece le verdure con molto entusiasmo. Non andò meglio. E nemmeno ignorare il signore del castello che mangiava con gusto la aiutò. Si sentiva un essere infimo. Come...come diavolo aveva fatto a ridursi in quel modo? Perchè non aveva trovato un'altra maniera per uscire da quella situazione con suo fratello? Per quale motivo gli dei l'avevano relegata in quell'inferno?
"Basta" si intimò, deglutendo e prendendo a respirare profondamente per sciogliere il nodo alla bocca dello stomaco.
-Haruko, stai bene?- le bisbigliò una delle cameriere.
-Si. Si, certo-. Stava bene. Si che stava bene. Doveva solo smettere di guardarli e di pensarli. Non li avrebbe visti morire, così come non aveva mai visto spirare nessuna delle sue altre vittime. Doveva solo sparire, smettere di pensare a loro e dimenticarli.
***
Aveva rassegnato le sue dimissioni quella sera stessa, fingendo di essere incinta. Non importava se poi l'avrebbero collegata alla morte della famiglia reale: i documenti falsi che aveva prodotto e il trucco e la tinta che aveva adoperato l'avrebbero protetta finchè non fosse tornata al suo covo. Sempre ammesso che qualcuno avrebbe trovato delle prove che la collegassero alla morte dei tre.
Fu felicissima di abbandonare il castello, sebbene fosse notte. Si allontanò quanto possibile, l'asta di metallo alla minima lunghezza ben stretta in mano; quando fu abbastanza lontana, si accampò su un albero. Ma non riuscì a dormire e si rimise in viaggio.
 
 
 
 
 
 
 
1fusuma: porte scorrevoli giapponesi
 2 kotatsu: tavolino basso giapponese
3tatami: tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata.
  
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