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Autore: ReaRyuugu    10/12/2015    2 recensioni
Shougo Haizaki non ci ha messo molto ad imparare che il contesto in cui vive lo vede principalmente come un fastidioso parassita. Quando una certa notizia scuote la sua monotona quotidianità, però, pur di andare contro ai soliti giudizi, persino smentire l'immagine che ha sempre dato di sé diventa una sfida a cui un po' infantilmente non riesce a sottrarsi.
~
{Post-serie principale, focalizzata quasi interamente su Haizaki ma avviso subito che ci saranno poi elementi HaiKise. Il rating potrebbe cambiare.}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ryouta Kise, Shogo Haizaki
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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» 6. Please don’t get the wrong idea

 

 

- Pronto… ? -

Era stato una specie di riflesso incondizionato dettato dal dormiveglia quello di allungare la mano verso il telefono squillante e avvicinarselo all’orecchio, scorrendo pigramente il dito sullo schermo luminoso.

Che diavolo di ore erano? Non era sicuro di aver già sentito la sveglia che prontamente ignorava mattina dopo mattina, ma era decisamente troppo pigro per aprire gli occhi e controllare. Tch… era persino troppo pigro per insultare il misterioso interlocutore, figurarsi se avrebbe avuto lo sbatti di girarsi dall’altra parte e guardare l’orario!

- Ehi, Haizaki. Sono Ishihara. -

Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre di scatto sollevava la schiena e spalancava gli occhi — o almeno, ne spalancava uno solo, l’altro ancora decisamente turbato dal pugno che Shinya gli aveva riservato la sera prima. Il sonno svanì così rapidamente che gli sarebbe sembrato d’essere l’uomo più riposato del mondo, se solo l’ansia che quella voce gli aveva indotto non fosse stata così asfissiantemente pressante.

- D-dica. - balbettò, stilando una lista mentale di tutti i motivi per cui poteva averlo chiamato la mattina così presto in un giorno in cui, per altro, non avrebbe dovuto lavorare: sarebbe potuta essere una chiamata innocente, magari per uno spostamento orario o per un promemoria, ma tutto ciò che Shougo sentiva era la puzza affumicata della propria immane coda di paglia che bruciava come un caminetto in pieno inverno. Cosa aveva fatto, stavolta? Gli aveva forse fatto qualche sgarro che adesso non ricordava; aveva preso in prestito qualcosa senza più restituirlo? O forse dopo una nottata di riposo aveva cambiato idea riguardo agli avvenimenti del pomeriggio precedente? Iniziò a tormentare con la mano libera la coperta spiegazzata, maledicendo la solita flemma che rendeva l’attesa ancor più insopportabile.

- Sei impegnato oggi? Dico, da… tra un’ora e mezzo in poi. L’altro ragazzo che faceva il part time si è licenziato ieri sera e per oggi non ho altri a cui chiedere. Ovvio che te la pagherei come giornata full time. -

Incredulo si stropicciò gli occhi per comprendere se stesse ancora sognando o meno, maledicendosi l’attimo immediatamente successivo per il dolore acuto che gli perforò l’orbita destra. Imbecille.

… d’altronde, bastò quello stimolo a convincerlo che era più sveglio che mai, e che quella proposta aveva davvero raggiunto le sue orecchie: un rush di esaltazione improvvisa lo riempì di un entusiasmo inspiegabile e quasi fuori luogo, che riversò interamente nella cornetta che teneva attaccata all’orecchio.

- Nessun impegno, capo, mi vesto e arrivo! -

- … e la scuola? -

Attimo di gelo. Si morse l’interno della bocca, spiaccicando la mano verso la sveglia che stava puntualmente per iniziare a ricordargli che sì, effettivamente c’erano altri impegni a cui avrebbe dovuto rendere di conto; impegni che purtroppo non si era scelto per conto proprio, ma che se avesse saltato avrebbero plausibilmente avuto conseguenze catastrofiche (prima tra tutte, pure l’altro occhio nero e una serie di fratture varie sparse per il corpo). Ma era anche vero che di questi impegni, così come di queste previsioni, gliene importava relativamente: sentiva di non potersi lasciar sfuggire un’occasione del genere, e ogni dubbio svanì temporaneamente come neve al sole.

- … oggi non ce l’ho. -

- Hm. - non parve particolarmente convinto, ma neppure provò a domandare oltre. Si limitò a congedarsi rapidamente, ricordandogli l’orario, e nell’esatto momento in cui Shougo poggiò il cellulare si liberò dal bozzolo di coperte per correre verso il bagno.

La carezza che l’acqua gelida rivolse al suo viso ancora intorpidito dal sonno non fu certo delle più gentili — alzò lo sguardo verso lo specchio, quasi vergognandosi che la sua stessa immagine riflessa lo stesse guardando mentre in mezzo alla frenesia di quei momenti si dimenticava persino di far scaldare il getto d’acqua, controllando le effettive condizioni del proprio volto.

Se la sera prima ricordava solo un gonfiore un po’ preoccupante, dopo averci dormito su non solo a partire dall’occhio si era espansa una tonalità violacea non esattamente sana, ma la palpebra tumefatta faticava pure ad aprirsi correttamente, lasciandolo con l’occhio a mezz’asta come un perfetto imbecille. Un grazie, Shinya, e fanculo risuonò nella sua testa, mentre tentava con approssimata cautela di spalancare le palpebre con le dita: faceva un male allucinante, ma se non altro l’occhio sotto sembrava ancora vigile e funzionale: “Se ancora vedi, senti e riesci a muoverti non c’è bisogno di allarmarti e nemmeno di far perdere tempo ad un dottore”, questo era finito per insegnargli suo fratello maggiore al termine di ogni (purtroppo frequente) litigio, e — naturalmente — una dritta del genere era arrivata ad incollarsi indelebilmente sopra ogni altra nota destinata a se stesso. Era un motto spartano a dire poco, ma vista la frequenza delle loro risse era anche una specie di filosofia a cui non era mai riuscito a sottrarsi in ogni ambito della propria vita: finché riusciva a reggersi sulle proprie gambe, Shougo non si sarebbe mai fatto “aiutare” da qualcun altro in quelle questioni che mettevano di mezzo il proprio orgoglio. Le rare volte in cui era successo si erano create in lui scalfitture più profonde e fastidiose di quanto mai avrebbe creduto, motivo per cui anche stavolta era più che mai determinato a dimostrargli con insistente arroganza di poter essere in grado di muoversi da solo, senza il bisogno del suo aiuto, senza che le sue sfide lo mettessero a disagio.

Era per quello che era stato così entusiasta di accettare il lavoro di Ishihara, per quanto sapesse bene di che razza di rottura si trattasse. Se non c’era nessun altro a fare il part-time poteva solo significare che quel posto era libero, e se quel posto era libero avrebbe potuto tentare di calcare la mano per farsi assumere secondo un contratto che ricordasse anche solo lontanamente un impiego serio: avrebbe fatto vedere a quell’idiota che non avrebbe avuto bisogno delle sue lamentele per aiutare a trascinare avanti quella catapecchia, e che in un modo o nell’altro persino Haizaki Shougo era capace di organizzarsi per giungere a un qualsivoglia obiettivo. Se l’era dimostrato nei giorni passati, compiendo come unico errore quello di scendere quasi alle mani con quel maledetto biondino, ma per il resto attenendosi ai suoi doveri e alla sua scaletta senza lasciare che nessuno lo distraesse, nemmeno la scuola… !

Un sobbalzo lieve lo scosse, facendolo sudare freddo. Già, la scuola: se da una parte era vero che la sua routine ben poco emozionante se non per qualche picco di adrenalina disperso qua e là tra un’uscita serata e l’altra rappresentava uno scarso ostacolo per la sua carriera, dall’altra l’obbligo scolastico era quella stupida costante che ancora lo ancorava non solo all’incapacità di fare davvero quel che voleva, ma più in generale lo ancorava a Shinya stesso. Quante volte gli aveva sbattuto in faccia la propria responsabilità nel dovergli pagare le spese scolastiche e tutto quanto? Se avesse mollato tutto senza dire nulla, se quello si fosse reso conto che i soldi che spendeva per la sua istruzione era più o meno come se se ne andassero nel tritarifiuti, quante mazzate gli avrebbe dedicato?

Schioccò la lingua sul palato, aggrottando le sopracciglia e recuperando la propria uniforme da lavoro. Ci avrebbe pensato a tempo debito, adesso tanto la scuola quanto Shinya figuravano all’ultimo posto delle cose su cui avrebbe voluto ragionare.

- Che poi, perché dovrebbe arrabbiarsi? - soffiò tra sé e sé, irritato - … non sarebbe altro che una spesa in meno, per lui. -

 

- Buongiorno e scusa ancora per il breve preavvis-… santo cielo, Haizaki, che diavolo è successo? -

Doveva ammettere che la prima parte del discorso era arrivata con un po’ di difficoltà alle sue orecchie, ma quell’esclamazione di sorpresa fu forse una delle cose che gli sentì dire più chiaramente da quando lo conosceva. In un breve attimo di confusione si guardò intorno, perplesso, come a cercare la causa di quel clamore, solo per rendersi conto che in effetti lui non aveva ancora fatto conoscenza con i risultati più evidenti di una delle attività che molto prima di qualche tempo a quella parte occupava praticamente tutte le sue serate: tornare a casa col viso tumefatto e conseguentemente andarci pure a scuola, beccandosi occhiatacce di professori e compagni, ormai per lui era la routine — tanto che quello sguardo palesemente preoccupato lo confondeva, se non addirittura metteva vagamente a disagio.

- Niente, sono andato a sbattere contro una porta, stanotte… - borbottò, calandosi sugli occhi il cappello della divisa. Perché aveva sentito il bisogno di mentire, poi? Per una volta tanto non ce ne sarebbe stato neanche bisogno: non che si fosse menato con qualcuno di cui nemmeno ricordava la faccia e per motivi totalmente futili… o meglio, il motivo di quel maledetto cazzotto ancora non l’aveva capito, ma era comunque di suo fratello che stava parlando!

Tirò un’occhiata vaga all’espressione tutt’altro che convinta che l’altro gli rivolse, distogliendo immediatamente lo sguardo. Già si stava pentendo di aver celato la verità: perché gli risultava così difficile raccontare stronzate davanti a lui?

- … una porta. - lo sentì inquisire semplicemente, con quel suo tono palesemente poco convinto.

- … una porta molto solida, che le devo dire. - borbottò in imbronciata risposta, cacciandosi le mani in tasca e incurvandosi un po’ in avanti. Voglia di approfondire il discorso, di certo, non ne aveva — ma la cosa non parve fermare l’altro uomo, che dopo un lungo sospiro gli fece un cenno con la mano.

- Fattelo almeno sistemare, che se ti vedono con quel livido si prendono uno spavento. - mugugnò col solito tono vago e solo leggermente comprensibile, dapprima aspettandosi che Shougo lo raggiungesse, per poi subito dopo afferrarlo per il braccio e costringerlo a sedere sull’unica sedia di quel minuscolo ufficio: era chiaramente più esile, più basso e molto meno forte di lui, ma preso alla sprovvista Haizaki non poté che obbedire in silenzio, guardandolo da quella nuova prospettiva con una punta di curiosità mista a sorpresa. Lo vide indaffararsi per recuperare chissà cosa in una cassettiera, per poi spostarsi in quella immediatamente accanto e tornare, infine, a quella di prima, estraendone una cassetta del pronto soccorso con un sorriso infantilmente vittorioso che non durò più di una frazione di secondo. Gli venne spontaneo ritrarsi col capo quando lo vide avvicinarsi con le dita impregnate di qualcosa di estraneo, ma la mano che si piazzò sulla sua testa con la stessa delicatezza con cui un rapace stringe un topolino prima di spappolarlo su una roccia gli imperò in modo tanto implicito quanto mortalmente chiaro di non muoversi.

- Ahia-… - si concesse comunque di lamentarsi, mentre il dito di prima spalmava una pomata gelida su tutta l’area del livido. Se non altro, Ishihara mollò presto la presa, lasciando per qualche secondo Shougo del tutto incustodito: lo sguardo monoculare del ragazzo vagò per qualche secondo, posandosi distrattamente sulla cassetta traboccante di qualsiasi mezzo di basilare e prima medicazione. Com’è che un’attività come quella del signor Ishihara poteva vantare un’attrezzatura simile, mentre in casa sua non aveva praticamente mai visto nulla del genere? Dubitava fortemente, d’altronde, che in quel contesto la gente fosse prona a scendere alle mani come unico mezzo di confronto reciproco!

- … dovrebbe servire a me, quella. - borbottò di soprappensiero, aggrottando le sopracciglia.

- Eh? -

- Dico, una cosa del genere dovrei tenerla in casa io. A cosa serve tenere tutta ‘sta roba in questo buco? -

L’uomo lo guardò con una punta di perplessità, tornando verso di lui con un paio di occhiali da sole in mano. Glieli inforcò con calma, prima di rispondergli, sistemandogli bene sul viso cosicché l’alone violaceo che gli decorava la faccia non fosse, almeno a colpo d’occhio, più di tanto visibile — e solo allora si decise ad aprir bocca.

- Direttive aziendali, uno. - Shougo tentò di sistemarsi autonomamente gli occhiali, ma un lieve colpo sulla mano dato col tubetto di crema lo dissuase da quell’obiettivo - Due, qui può capitare di andare a sbattere contro porte vere. -

Lo sentì porre l’accento con tutta la sua (poca) forza vocale su quell’ultima parola, e una specie di fastidioso senso di colpa si fece strada in lui. Era così facile sgamare le sue bugie? Fingersi persona responsabile lo stava rammollendo così tanto?

Si imbronciò, sentendo Ishihara sospirare.

- Non è che io voglia ficcare a tutti i costi il naso nei tuoi affari. - gli fece, scuotendo il capo - Ma se c’è qualcuno, in casa o anche fuori, che tende a metterti le mani addosso… -

- Che, si sta davvero preoccupando per me? - gli venne spontaneo interromperlo in quel modo, con un tono beffardo ma anche divertito che permeò immediatamente la sua voce. Che razza di idee si stava facendo venire in testa? Per lui era normale scivolare pure troppo frequentemente in risse anche violente, se suo fratello di tanto in tanto alzava i pugni contro di lui poteva solo essere normale, no?

… perché un po’ tutti i fratelli maschi tendevano a litigare in quella maniera, vero?

Un dubbio che non aveva mai soppesato si instillò nella sua mente, mentre il sogghigno di poco fa svaniva nel nulla. Era davvero normale avere così spesso interazioni di quel tipo? Senza contare che, di fatto, le volte in cui era stato lui il primo ad attaccare Shinya erano notevolmente inferiori rispetto a quelle in cui i suoi pugni erano stati unicamente per difendersi dalle manifestazioni di irritazione del più grande. Era come aveva sempre vissuto, perché diavolo il suo datore di lavoro si permetteva di mescolare in quel modo le carte in tavola? Si morse l’interno della bocca, sempre più accigliato.

- È stata solo una discussione un po’ violenta, una cosa tra fratelli, che vuole che sia? - replicò, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Doveva muoversi a cambiare discorso, prima che quella situazione inaspettata lo schiacciasse più del previsto.

- È che abbiamo una situazione un po’ tesa a casa, e… - “e” cosa? Non stava arrivando da nessuna parte in quel modo!

Si tormentò le dita di una mano, quasi nevroticamente, annaspando con difficoltà alla ricerca di una scusa (o di qualsiasi altra cosa, davvero) per continuare quel discorso. A cos’altro poteva collegarsi? Eppure sapeva che c’era qualcosa di importante di cui doveva discutere, proprio relativo a questo!

- Ah-… a proposito! – esclamò all’improvviso, sollevando finalmente la testa - … io, uh, ho bisogno di questo lavoro. -

- … prego? - Ishihara alzò un sopracciglio, non troppo sicuro di cosa Haizaki stesse cercando di dirgli. Quest’ultimo, con una certa esagitazione, si alzò in piedi, solo per accennare un impacciato inchino col busto.

- Se l’altro si è licenziato adesso c’è un posto libero, no? Ho bisogno di occuparlo io. Voglio lavorare a tempo pieno. -

Non era certo la più formale delle richieste, ma l’assenza di ‘no’ secchi e immediati o di qualsiasi altra cosa fu, per lui, un vago segnale positivo. L’unica cosa che sentì fu il lungo, ennesimo sospiro che uscì dalla bocca di Ishihara, che l’attimo successivo gli mise le mani sulle spalle per invitarlo a tirarsi su.

- Haizaki, ascolta. - se poco fa non era preoccupato, quell’incipit bastò a cacciarlo di nuovo nell’abisso dell’incertezza. Deglutì a vuoto, sperando almeno che gli insulti da parte sua non sarebbero stati troppo pesanti, e temendo persino il peggiore scenario in cui anche il suo occhio buono sarebbe diventato viola rimase in attesa.

- … tralasciando l’incidente di ieri, non avrei motivi per non assumerti a tempo pieno. - pausa - … se tu non fossi uno studente delle superiori. Già oggi ti sto sottraendo ai tuoi obblighi, non sarei a posto con la coscienza se la cosa dovesse ripetersi ancora e ancora. -

Già oggi?! Com’era possibile che non si fosse bevuto nemmeno quella scusa?!

Shougo aprì la bocca per protestare, richiudendola poi subito dopo. Non sapeva davvero come replicare a quel discorso: Ishihara non gli aveva lasciato possibilità di risposta, e lui se ne era rimasto come uno scemo corrucciato a fissarlo, sconfitto.

Era una sensazione così… fastidiosa. Era ovvio provare fastidio per l’incapacità di poter ottenere qualcosa di voluto, ma il fatto di conoscere un solo modo per strapparglielo via non era certo d’aiuto. Strinse a pugno le mani, nascondendole entrambe nelle tasche della divisa.

Non poteva ricorrere a quello, cazzo. Non con lui.

- Ho davvero bisogno di lavorare, capo. - si sforzò di dire, tentando di articolare un’argomentazione un po’ più convincente - Tanto a scuola non mi ci impegno comunque, tanto vale che almeno io usi tutto ‘sto tempo per fare qualcosa di utile, no?! -

Ancora, era stato tutto fuorché formale e gentile — anzi, nemmeno si rese conto di aver alzato la voce, risultando più aggressivo di quanto avrebbe voluto. Ishihara, tuttavia, non si scompose minimamente: Shougo fu quasi spaventato, no, terrorizzato dalla ferrea serietà dello sguardo che gli rivolse, ma che dopo qualche lungo, istante di silenzio lasciò posto al solito, rassegnato sospiro.

- Allora dovresti provare a prendere la scuola più seriamente, e non trovare un passatempo alternativo. Finirai per pentirtene, Haizaki. - gli disse semplicemente, tirandogli un colpetto leggero sulla spalla - … facciamo che ci penso, hm. E ora andiamo. -

Il ragazzo sollevò una mano, poggiandola sul punto colpito da quel contatto quasi amichevole. Per un attimo aveva davvero temuto che sarebbe tutto finto come finiva ognuna delle sue discussioni, e l’esito così pacifico di quel confronto lo lasciò in uno stupito, quasi idiotico silenzio, mentre senza proferir parola lo seguì fuori dall’ufficio fino al magazzino.

- È strano. - gli scappò di dire, mentre obbediente caricava i soliti scatoloni sul furgoncino. Ishihara, poco lontano da lui, gli tirò un’occhiata interrogativa.

- Voglio dire, per me tutto questo è strano. - proseguì, in quella specie di improvvisato monologo - Praticamente tutti quelli che hanno mai cercato di infilarmi qualcosa in testa hanno sempre accompagnato il loro punto di vista con sonore mazzate, e non solo a casa. -

- Se mi autorizzi a farlo posso cominciare anche io, eh, non è un problema - ribatté prontamente quell’altro, scrollando le spalle. Haizaki si pietrificò sul posto, con sommo divertimento di Ishihara che si concesse persino uno sbuffo beffardo.

- Sarà che penso che tu sia un ragazzo intelligente, e che tu possa capire qualcosa pure senza lividi. - un sorriso leggero gli piegò le labbra, ma Shougo neppure fece in tempo a vederlo con chiarezza prima che quello si defilasse poco lontano - … te l’ho detto, mi fido di te, e spero di non dovermene pentire. -

 

E io dovrei continuare a fidarmi di lui?! E ch cazzo…”

Non poteva credere che la sigaretta che teneva tra le dita, pur essendo stata sua dal principio, gliene fosse costate altre tre. Se possibile, Ishihara era un ladro anche peggiore di quanto lo fosse lui: di appunti mentali non ne teneva, anzi, scriveva tutto sul suo taccuino con una precisione quasi maniacale, motivo per cui Haizaki sapeva che non sarebbe mai potuto sfuggire a quel debito. Era come una specie di strozzino mascherato da ometto di mezz’età dall’aspetto troppo mite per non nascondere qualcosa, che dopo averlo depennato dei suoi averi l’avrebbe pure costretto a pagare per riaverli indietro.

Sospirò, una nuvola di fumo che si gonfiò alla svelta fuori dalle sue labbra, mentre la schiena si appoggiava contro la ruvida parete alle sue spalle. Promemoria: mai, mai più scordarsi a casa le sigarette, specie se Ishihara l’avesse davvero preso a lavorare a tempo pieno. Non che la giornata fino a quel momento fosse andata male, ma lo stress di lavorare per così tanto tempo di fila era qualcosa che mai aveva provato sulla propria pelle. Non era abituato a faticare così tanto, lui, aveva sempre scelto la strada meno difficile e soprattutto meno nobile! Più volte la convinzione che il mondo del lavoro onesto fosse un concetto che con lui non poteva andare d’accordo, specie quando il suo sistema ormai abituato alla consuetudinaria “mezza giornata” si era ritrovato davanti tutta un’altra metà da affrontare, ma in un modo o nell’altro la chiusura di quel turno era finalmente alle porte.

Anche se, se possibile, quell’ultimo luogo era il più stressante di tutti. Aveva avuto occasione di espandere ancora di più gli orizzonti delle proprie conoscenze e visitare altri ambienti affiliati a quel furgoncino pieno di oggetti di scenografia, ma infilarsi in quei nuovi ambiti non era stato neanche solo lontanamente gravoso sulla propria anima quanto lo fosse tornare ogni volta nei pressi del maledettissimo studio di fotografia.

Che poi, perché diavolo finivano lì quasi tutti i giorni? Era definitivamente sicuro che non fosse normale che richiedessero sempre, categoricamente i loro servizi, ma d’altro canto non poteva neppure lamentarsene eccessivamente. Per quante vibrazioni negative quel posto gli regalasse, poteva solo obbedire agli ordini, e stare il più lontano possibile dalla gentaglia che frequentava quel medesimo perimetro di spazio.

Seduto su un paio di scatoloni vuoti direttamente fuori dal solito inimitabile ingresso secondario, Shougo cercò di sgomberare la mente da quei pensieri. Alla fine, nonostante le pessime vicissitudini dell’ultima volta, almeno quel giorno sembrava essere andato tutto bene: la responsabile o qualsiasi posizione ella ricoprisse si era limitata a squadrarlo spocchiosamente dall’alto in basso, chiaramente insospettita da quegli occhiali da sole, ma il resto dello staff non aveva fatto una piega — segno che, forse, non tutti erano poi così tanto marci nel cervello quanto lo era lei. Sospirò, il mozzicone di sigaretta che andò gettato per terra e subito dopo calpestato dalle suole delle sue scarpe: bastava solo che non si facesse vedere quell’ultima piaga, pensò, sfilandosi gli occhiali e agganciandoli al colletto della t-shirt, e questa sarebbe stata la perfetta giornata di consolazione dopo i cataclismatici avvenimenti della serata precedente.

Ma, naturalmente, Haizaki Shougo non poteva neanche lontanamente permettersi di fare una scommessa del genere col destino: il tempo di finire di formulare quel pensiero, e la scricchiolante porta alla sua sinistra si aprì lentamente, lasciando uscire, naturalmente, la persona che al momento occupava trionfante il secondo posto nella lista delle persone che non avrebbe voluto più incontrare da lì ai successivi venticinque anni.

Ryouta era lì che lo guardava con uno sguardo fastidiosamente severo, ma per qualche motivo non disgustato o supponente come le ultime volte: si affettò a calarsi la visiera del cappello a coprirsi almeno l’occhio tumefatto, prima di alzare il capo e preferibilmente di cacciarlo, ma il dannato biondino reagì prima di lui.

- Toh. -

“Toh” cosa?! Infastidito da quel modo di porsi a lui sollevò finalmente la testa, ma quel tempismo gli fu crudelmente fatale: qualcosa gli si avvicinò rapidamente, troppo rapidamente al viso, e laddove avrebbe dovuto vedere Ryouta sentì solo dolore.

- Cazzo! - il suo grido si librò nell’aria mentre l’oggetto duro e freddo che aveva colpito il suo occhio rotolava, altrettanto sconfitto, a terra. Non sapeva cosa fosse peggio, in quel vortice di acuto malessere; se la coltre di lacrime che aveva istintivamente coperto l’occhio sano, impedendogli tanto di vedere correttamente persino la bottiglia che sbatteva, mesta, contro la propria scarpa, quanto di alzare la testa verso quel cazzone, oppure il suddetto cazzone che nel mentre cercava — invano — di nascondere il proprio divertimento.

- Scusa. -  biascicò con tono tutt’altro che pentito tra uno sbuffo e l’altro, e pure senza guardarlo Haizaki poteva figurarsi perfettamente la sua espressione da stronzetto.

- Scusa un cazzo! - sbraitò quindi dal fondo dei propri polmoni, voltando gli occhi a lui - Ma quanto puoi essere coglione per mirare alla faccia?! Fanculo! -

Fu allora che vide (o almeno, presunse di aver visto) Kise sbiancare completamente, mentre alzava tremante una mano per indicare verso di lui.

- Oddio, sono stato io? -

Certo che sei stato tu, cretino, avrebbe voluto replicare, ma fortunatamente si tappò la bocca appena in tempo per realizzare che il terrore di Ryouta fosse dovuto all’alone nero che gli circondava, coincidentalmente, l’occhio colpito. Ghignò, divertito dalla sua reazione.

- Oh no, è sicuramente colpa tua, mi hai sicuramente sfigurato tu! - esclamò con scherno, afferrando la bottiglietta - Cos’avresti fatto se avessi detto di sì? Idiota… -

Era proprio vero che continuava a non pensare alle conseguenze, hm? Più quel dannato biondino respirava accanto a lui, più si rendeva conto di quanto la sua esistenza si basasse su un principio di puro egocentrismo. Stizzito, non disse neanche ‘grazie’ prima di svitare, borbottando, il tappo, nemmeno chiedendosi cos’avesse fatto per meritarsi una cosa del genere. Un gesto di carità improvvisa, forse, per far sì che quello si mettesse l’animo in pace dopo l’exploit di ieri? Meglio se non ci pensava.

- … fai poco lo spaccone che sei tu, qua, quello con una guancia rigata dalle lacrime. -

- Che cazzo hai detto?! - Haizaki alzò di nuovo la testa, furente. Lo vide indietreggiare, e fu ad un passo dall’alzarsi in piedi e grattugiargli il viso contro il muro.

- Ho detto che almeno potresti dirmi grazie! Non ti chiedi perché sono qui adesso? - no, non è quel che aveva detto, cazzo, ma misteriosamente la voglia di litigare gli passò del tutto. Ok, in fondo doveva ammettere che un po’ di curiosità c’era: che senso avrebbe avuto, per lui, farsi vedere già il giorno dopo aver rischiato il pestaggio?

… non che potesse palesare il proprio interesse, comunque: ancora seduto a terra si limitò ad un’occhiata di sottecchi, sbattendo le palpebre con aria indifferente.

- Stai cercando di pulirti la coscienza? -

- No! - pausa - … forse! È che in tutti i nostri passati confronti ti sei sempre comportato un po’ da stronzo, quindi non pensavo davvero di star andando ad interferire in… qualcosa di così serio. -

Interferire in qualcosa di serio? Shougo alzò un sopracciglio, talmente confuso da non sapere cosa dire. Ryouta guardò altrove, prima di porgergli un rettangolino di carta che l’altro riconobbe solo dopo qualche secondo di paradossale, anzi, direttamente irreale silenzio.

… che cazzo ci faceva l’ecografia in mano sua?! Gliela strappò immediatamente dalle dita, sconvolto quanto sollevato, al punto che a malapena sentì lo sproloquio di quell’altro riprendere, indisturbato, a riempire l’aria di quel vicoletto.

- È tua, no? Dietro c’è scritto che è per te. È palese che io ti abbia giudicato male. Certo… visti i precedenti non potevo pensare che tu fossi davvero qui armato di buone intenzioni, ma poi ho visto quella e ho capito tutto. Non mi aspettavo tu fossi in grado di assumerti così grandi responsabilità, Shougo… a prescindere da ciò che altri potrebbero pensare, io trovo che sia davvero, davvero ammirevole. All’inizio ero quasi preoccupato, ma… forse, tutto sommato, finirai pure per fare un buon lavoro. -

Silenzio.

Dalla prospettiva di Shougo, quel monologo non aveva il minimo senso. Di cosa diavolo stava parlando? Perché fare quei discorsi per una situazione che non meritava certo un’orazione così solenne?

L’illuminazione lo colse all’improvviso, e trattenersi dal ridergli in faccia fu davvero difficile. Oh, no, non poteva starlo pensando sul serio.

- Fammi capire. - cercò di rispondergli, soffocando a fatica le risa - La tua conclusione è che io abbia ingravidato una, che questa sia l’ecografia di quel salto della quaglia venuto male, e che io stia lavorando qui per fare il padre di famiglia? È questo a cui sei arrivato? Correggimi se sbaglio. -

Kise, disorientato, sgranò le palpebre, cadendo rovinosamente dalle nuvole.

- … perché, non è così? -

L’altro poté quasi sentire il fragore di quel castello per aria che andava rovinosamente distruggendosi, e quell’espressione da deficiente fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rise, rise nel modo più sfacciato e odioso possibile, esilarato dall’idea che quello si fosse fatto un viaggio mentale così intricato. Lui, Haizaki Shougo, feccia della feccia, che cercava di fare il padre?! Da dove diavolo gli era uscita?!

Nel mentre, il biondino faticava a non avvampare per l’imbarazzo.

- Cosa c’è di così divertente?! - lo sentì gracchiare, coprendo a malapena il clamore delle sue risate - Cos’altro avrei dovuto pensare?! C’era scritto il tuo nome dietro e… e poi quel nome in bella grafia lì all’angolo, “Cindy”, non è la tua ragazza? -

Dio, probabilmente sarebbe morto a forza di ridere. L’avrebbero trovato lì, ancora scosso dalle convulsioni, se avesse continuato così.

- No, scemo, è il soprannome di mia madre! - boccheggiò, tenendosi la pancia. Quella svampita di sua madre non era mai stata molto contenta del proprio, a detta sua, banale e tristissimo nome, motivo per cui “Saeko Haizaki” era diventato, per clienti e amici, “Cindy”, diminutivo di “Cinderella”, per via del kanji di ‘cenere’ nel cognome. Naturalmente l’aveva sempre trovata una cosa ridicola, ma che era comunque rimasta tra tutti i dettagli che avrebbe potuto sì criticarle, ma ai quali non aveva né la forza, né il tempo, né soprattutto la voglia di dedicarsi.

ma da lì a scambiarlo per il nome della fidanzata, comunque, ce ne correva. Si asciugò le lacrime che copiose gli avevano allagato la faccia, mentre Ryouta sembrava ancora più confuso che mai.

- Quindi quello è tuo fratello? - gli sentì dire, sempre più confuso. Aveva ancora dubbi? Cosa glielo chiedeva a fare?

- Che, te lo devo mettere per iscritto? Certo che è mio fratello! Se porto qualche soldo a casa è per ‘sta caccola, mica per un figlio mio, ma ti pare?! -

E in quel momento, sentì che il karma aveva colpito, facendogli rivelare un po’ più di quello che avrebbe preferito ammettere davanti a quella dannata piaga.

Naturalmente, Kise non poté che prendere la palla al balzo: socchiuse gli occhi, pensoso, portandosi le mani sui fianchi.

- Quindi stai comunque lavorando per aiutare qualcuno, no? -

- N-non è quello che ho detto. -

- che è quello che hai detto! - lo incalzò, senza nemmeno farlo finire di parlare. Un sorrisino odiosamente vittorioso gli piegava le labbra in una faccia che implorava calci e pugni, con una tale veemenza che trattenersi fu davvero difficile - Ho sbagliato un po’ la storia, ma il succo è sempre quello! Sei preoccupato per la tua famiglia e quindi ti stai rimboccando le maniche, non è ammirevole anche questo? -

- Ma scusa, com’è che stai cercando di convincermi che io sia una persona ammirevole? - lo interruppe, scocciato dalla piega che stava prendendo quella conversazione - Fino a ieri ti andava bene trattarmi a pesci in faccia, e ora all’improvviso sono diventato l’angelo del focolare da rispettare e lodare? Ma un po’ di coerenza in quella cazzo di testa no, Ryouta? -

Sbottando in quel modo, lo lasciò nuovamente senza parole. Lo sbirciò con la coda dell’occhio mentre lasciava cadere le braccia parallele al corpo, come arreso, prima di corrucciare le sopracciglia e incupirsi.

- L’hai detto tu che ora sei unonesto’ lavoratore, e sai benissimo quanta fatica faccia a crederci. - era sparita ogni traccia di qualsiasi altro sentimento, nella sua voce, se non una fredda severità. Oh, dopo tutti quegli inutili fronzoli eccolo il vero Ryouta, quasi gli era mancato! Sospirò, annoiato, lasciando sprofondare il viso nel palmo della mano, mentre quello continuava - Sto solo cercando un qualsiasi punto di contatto per potermi fidare di quello che dici. -

- Ma quanto pensi che me ne possa fregare della tua fiducia? - ringhiò, minaccioso, ma decidendo che non valesse nemmeno la pena di alzarsi - Mi ci pulisco il culo con la considerazione che hai nei miei confronti, buona o cattiva che sia. Io ignoro te e tu ignori me, perché non può essere così facile?! -

- Perché non capisco cosa tu stia cercando di ottenere, con questa attitudine. Perché vuoi per forza farti detestare, mantenere dei rapporti così astiosi pure dopo anni? Cosa pensi di guadagnarci, con questa facciata? -

- Porca miseria, Ryouta, ma sei sordo? - stava davvero iniziando a stufarsi. Si alzò in piedi, profondamente irritato, ringraziando che Ishihara non fosse lì a testimoniare la strage che avrebbe volentieri compiuto se quello si fosse azzardato a rompergli ancora le palle - Voglio solo che mi lasci in pace, non c’entra nessuna cazzo di ‘facciata’… -

“… se non quella del palazzo contro cui ti spaccherò il muso”, avrebbe voluto aggiungere, ma quello che Ryouta gli rivolse non fu uno sguardo teso, o un’espressione di rabbia.

No, quel bastardo si limitò ad un singolo, sfacciato sorriso di sfida, per niente intimorito dalla sua vicinanza. Quella reazione, del tutto inaspettata, gli impedì persino di reagire come avrebbe voluto.

- Credo non esistano parole per descrivere quanto sei infantile e testardo, lo sai? - disse semplicemente, prima di indietreggiare e dirigersi di nuovo verso la porta. Shougo sbuffò, mettendosi le mani in tasca. Quel paradossale siparietto stava durando già abbastanza, e se davvero voleva troncare la conversazione di certo non gliel’avrebbe impedito.

- Farò finta di non aver sentito. -

- Che paura! - aveva dieci secondi di tempo per sparire dalla sua vista, o l’avrebbe picchiato così forte che nemmeno sua madre l’avrebbe più riconosciuto - Va bene, va bene, ti lascio da solo col tuo voler essere per forza cattivo, buon divertimento, Shougocchi! -

E grazie al cielo dopo quell’uscita sparì davvero, perché era già più pronto che mai a cazzottarlo. Grugnì, nel silenzio e nella solitudine di quella stradina, abbandonandosi sulla stessa scatola di prima.

Tralasciando lo “Shougocchi”, che già da solo aveva tutti i presupposti per fruttare tante di quelle bastonate da battere il record mondiale — per il resto, cosa diavolo si era messo in testa?

Non era mai stata tra le sue priorità l’idea di chiarire, in qualche modo, le vicende del passato con quella testa ossigenata. Era chiaro che tra di loro non potevano esserci basi per una pacifica convivenza, né tanto meno argomenti su cui non litigare: persino lui si rendeva conto che tentare di rianimare qualcosa di già morto era solo una perdita di tempo!

Non era lui a mettere su una facciata; non era lui ad essere testardo: era Ryouta che, forse infastidito dall’idea che ci fosse qualcuno a non accettare le sue attenzioni, si era per forza messo in testa che doveva esserci dell’altro. Cos’avrebbe fatto, si chiedeva? Avrebbe continuato a tormentarlo ancora, nella vana speranza di tirare fuori “il buono” che c’era in lui? Perché sembrava davvero questo che voleva fare, probabilmente del tutto incapace di convincersi senza prove tangibili e concrete che le persone potevano cambiare, o comunque avere attitudini diverse nei confronti di cose diverse pur magicamente rimanendo lo stesso individuo.

Tenendo ancora tra le mani la bibita energetica che gli aveva portato quello, arrivò persino a domandarsi se per caso non fosse geloso o chissà cosa dell’attitudine tutto sommato positiva che portava verso tutto quel che riguardava il suo lavoro, meno che con lui. E in quel caso, chi era veramente l’infantile? Ma soprattutto, come si permetteva di infilargli in testa tutti quei pensieri e quelle elucubrazioni, dopo una predica che non aveva né capo né coda, partita da una conversazione mai cercata e i quali motivi gli sembravano più offuscati che mai?!

Si domandò quanto ancora sarebbe durata quella linea ininterrotta di sfiga, iniziando a meditare l’ipotesi di farsi monaco e liberarsi dal male della vita, quando un rumore scricchiolante attirò immediatamente la sua attenzione.

- Ryouta, giuro su me stesso che se non te ne vai ti disintegro. -

- Allora è proprio vero che tra di voi non scorre buon sangue, hm? -

A meno che il dannato non avesse cambiato sesso nel giro di quei pochi minuti, dubitava fortemente che quella voce appartenesse a lui. Deglutì, alzando gli occhi: era l’ultima cosa che poteva immaginarsi, ma in piedi a breve distanza da lui la stessa tipa timida con gli occhiali che spesso lo salutava con un riservato sorriso lo guardava adesso con la sua solita, caratteristica espressione gentile, mentre dalla bocca di Shougo non uscì niente se non una specie di breve, impercettibile sibilare strozzato.

 

… perché cazzo non aveva subito rimesso gli occhiali da sole, prima?!

 

 

 

 

Buonasera!

Dio, non posso crederci di averci messo più di un mese a tirare fuori questo capitolo ;___; e dire che avevo promesso che avrei cercato di fare più veloce… sob.

Comunque, in un modo o nell’altro eccomi qui! Il capitolo è un po’ più lungo del solito, e anche denso di… cose che nella mia testa avevano un certo spessore, ma che a rileggere mi sembrano un po’ molto ‘normali’. Sigh.

Ad ogni modo, nuovo personaggio in arrivo! L’avevo già citata, rapidamente, un paio di capitoli fa, ricordate?

… probabilmente no, che sono tipo passati tre mesi da quell’aggiornamento.

In ogni caso, grazie già da ora a chi si ostinerà a seguire ancora questa storia ;__; e perdonate una persona come me, del tutto incapace di aggiornare in modo costante *sigh

Alla prossima!

 

   
 
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