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Autore: BreakingMind    10/12/2015    4 recensioni
Vampiri. Creature affascinanti e pericolose che saranno il fulcro di questa storia. Erika Lamberti è una giovane liceale insicura e riservata che, a causa di un particolare avvenimento, è costretta a trasferirsi in una misteriosa città circondata dai boschi. Inizialmente, credeva di poter ricominciare da capo, ma si troverà, suo malgrado, coinvolta in una lotta fra delle creature che mai avrebbe immaginato reali, e che sembrano in qualche modo legate al suo passato.
Spero che quesa intro vi abbia incuriositi. Invito tutti quelli che leggerano a recensire per dirmi che cosa ne pensa. Grazie a tutti e buona lettura!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 1

ERIKA

                                                  




Erika Lamberti fece un sospiro e alzò gli occhi sul grande specchio che aveva davanti a se. Nel vedersi, fece una smorfia di disapprovazione. Non riusciva più a tollerare quel suo viso pieno di brufoli e punti neri che, nonostante i diciassette anni compiuti, ancora non volevano saperne di sparire una volta per tutte; i suoi occhi, grandi e di un intenso colore azzurro, erano circondati da occhiaie e piccole rughe per via delle notti insonni che, ormai già da qualche mese, faceva regolarmente. Più o meno, da quando era successa quella tragedia...
Si passò una mano fra i capelli biondi e lisci, per poi ritrovarsela unta e oleosa come se l’avesse intinta in un recipiente d’olio. Quanti giorni erano passati dall’ultima volta che si era lavata la testa? Ormai aveva smesso di contarli. Dopotutto, per quante volte se la fosse lavata, per quanto potesse cercare di migliorare il suo aspetto anche solo un minimo, ai suoi compagni di scuola sarebbe importato ben poco. Avrebbero continuato a deriderla, denigrarla e farla sentire sbagliata senza alcun motivo.
Rimediò al problema dei capelli sporchi legandoli con un elastico, uscì dal bagno e si diresse verso la sua camera; era larga e spaziosa, con solo la tv, il letto e qualche altro mobile sparso qua e là. Nonostante ci dormisse ormai da tre mesi, Erika non si era ancora abituata a quella stanza così vasta e spaziosa, del tutto diversa da quella che aveva nella piccola casetta di campagna dove era cresciuta. Dopo essersi tolta il pigiama ed essersi vestita con i primi abiti che gli erano capitati in mano, si mise i suoi grandi occhiali da vista quadrati che, a causa della miopia, fin da bambina era stata costretta a portare.
Poco distante dal letto, c’era la piccola tv, piazzata sopra una grande cassettiera in legno d’ebano. Erika si chinò sulle ginocchia per aprirne l’ultimo cassetto; era quasi del tutto vuoto. All’interno, ben sistemati alle estremità, c’erano solamente una fotografia e quello che sembrava essere un vecchio giornale. Erika prese la foto e guardò le persone in essa raffigurate: un uomo e una donna di mezza età, sorridenti e dall’aspetto solare, che abbracciavano amabilmente una paffuta bambina con i capelli biondi e dei grossi occhiali davanti agli occhi blu. Alzò un dito e lo sfregò dolcemente sul viso della donna, come ad accarezzarla, per poi fare lo stesso con quello dell’uomo.
Una volta finito, il suo sguardo si fece improvvisamente cupo, e un’espressione di tristezza mista a rabbia le comparve sul volto. Tutte le volte, aveva la medesima reazione. Non poteva farne a meno: ogni mattina, prima di cominciare la giornata, per lei era un bisogno insopprimibile aprire il cassetto e guardare quella vecchia fotografia impolverata. Sebbene misto al dolore, le trasmetteva anche il coraggio di cui credeva avrebbe avuto bisogno per vivere il resto della sua vita. Un gesto alquanto masochista, ne era consapevole, però non le interessava.
Per qualche minuto rimase lì, inginocchiata davanti alla cassettiera a guardare la foto, la vista resa sfocata dal leggero velo di lacrime comparsole intorno agli occhi azzurri. Infine, si decise a rimetterla dentro il cassetto, ma solo per prendere il vecchio giornale, l’unico altro oggetto in esso custodito. Dopo averlo aperto, vi soffio delicatamente sopra, sollevando un sottile velo di polvere. Quel giornale risaliva al 22 Giugno 2015. Esattamente quattro mesi prima. E in prima pagina, un’articolo riguardo a un macabro caso di cronaca nera.
Erika fece un respiro profondo e, con un forte dolore al petto che quasi le impediva di respirare, iniziò a leggerlo.


Orribile tragedia famigliare.
Ieri sera, sono stati trovati i cadaveri di una giovane coppia in una piccola casa di campagna. La causa del decesso sembra essere dissanguamento. Gli investigatori ipotizzano un duplice omicidio a scopo di rapina, ma hanno ancora ben pochi indizi su cui lavorare. Unica superstite della tragedia, la piccola figlia della coppia, che fortunatamente è sfuggita alla furia omicidio del misterioso aggressore.




Erika scosse la testa e abbozzò un sorriso ironico, corrucciando la fronte con aria furiosa. “Sciocchezze”, pensò. Come era stato loro ordinato dalla polizia, i media avevano provveduto ad occultare la verità usando la scusa della rapina finita in tragedia. Ma Erika, che quella fatidica notte era stata costretta ad ascoltare tutto, sapeva come erano realmente andate le cose: qualcuno, o meglio, qualcosa aveva aggredito i suoi genitori... uccidendoli senza pietà. E non per i soldi, ma per altri motivi che lei non riusciva nemmeno ad immaginare. Continuò a leggere, mentre le lacrime che non riusciva più a trattenere iniziavano a cadere lentamente. E i ricordi di quella fatidica notte, che avrebbe voluto solo dimenticare, iniziarono a tornarle in mente ad ogni parola letta.



Accadde tutto il 21 Giugno 2015, durante una serata tranquilla solo all’apparenza. Sharon e Jason Lamberti erano nel soggiorno della loro piccola casa malridotta, intenti a preparare un tè caldo per poi andare a dormire. Non erano neanche le dieci di sera, ma per loro era abitudine andare a letto presto. Abitudine che avevano trasmesso anche a loro figlia, dato che Erika si era ritirata in camera sua subito dopo cena. Ma per lei non era affatto un dispiacere; doveva aiutare i suoi genitori in tutti i lavori che la vita di campagna richiede, oltre a svolgere correttamente il suo dovere di studentessa frequentando il liceo in un paesino poco distante. Decisamente, Erika aveva una vita ben più faticosa di quella che dovrebbe fare una normale diciassettenne, ma raramente se ne lamentava. E malgrado le difficoltà economiche, il grande lavoro e qualche piccolo contrasto la famiglia era sempre unita.
Distesa nel suo letto, Erika guardò il soffitto di legno impolverato e logoro, aspettando di addormentarsi. Gli occhi stanchi erano due piccole fessure, e il loro colore azzurro chiaro splendeva sotto la tenue luce della luna, che filtrava dentro la camera dagli infissi della finestra.
Dopo qualche minuto passato a ripensare alla giornata appena trascorsa, chiuse lentamente gli occhi. Ma li riaprì di scatto subito dopo... Improvvisamente, si udirono delle urla agghiaccianti provenire dal soggiorno. Urla spaventose, che sembravano poter essere lanciate solo da chi stava vivendo il peggiore degli incubi. Erika balzò giù dal letto e corse in direzione della porta. Ma proprio quando stava per aprirla, si fermò improvvisamente, la mano tremolante sospesa a mezz’aria sopra la maniglia. Qualcosa le impediva di uscire... Nonostante le grida sempre più disperate che le riecheggiavano nelle orecchie e la gran voglia di andare a vedere che cosa le stesse causando, non riusciva più a muoversi. Per qualche assurda ragione, che in quel momento non riusciva ad elaborare, era vittima di un’ inaspettata esitazione. Paura? Probabilmente. Fatto sta che corse verso il letto per nascondervisi sotto. E sdraiata sul freddo pavimento, portò le mani alle orecchie per coprirle e pregò. Pregò che tutto finisse al più presto. E fu accontentata. Poiché le urla cessarono di colpo, come se qualcuno avesse premuto un interruttore.
Erika rimase in ascolto, le orecchie tese e pronte a cogliere il minimo rumore, ma in tutta la casa era sceso un silenzio inquietante. Uscì da sotto il letto e si diresse di nuovo verso la porta, lentamente, in punta di piedi. Mosse una mano con fare incerto e la posò delicatamente sulla fredda maniglia d’acciaio. Appoggiò un’orecchio al legno umido della porta, nella speranza di sentire qualcosa che provasse che i suoi genitori stessero bene, ma l’unica cosa che sentiva era il battere del suo cuore, che le martellava nel petto veloce come una mitragliatrice. Iniziò a temere il peggio. Quindi abbassò lentamente la maniglia e spinse. Aprì la porta cigolante con un’estrema lentezza. E dopo aver varcato la soglia, Erika vi rimase immobile. Il suo sguardo si colmò di terrore e il suo viso divenne pallido come un cencio. Lì, in soggiorno, a pochi centimetri dai suoi piedi scalzi, giacevano i suoi genitori. Erano accasciati a terra esanimi.
Si precipitò verso di loro e si inginocchiò per cercare di destarli. Gli scosse con forza, cercando rianimarli, urlando il loro nome, ma non ebbe risposta. Ormai, erano privi di vita...
Erika sollevò a se il corpo della madre, con un torrente di lacrime che scendeva lungo le guance pallide. La donna aveva dipinta in volto un’espressione di pura paura, e la sua pelle ora era secca e grigia; sembrava una mummia in decomposizione. Una visione disturbante che nessuno, neanche la persona più fredda e distaccata avrebbe facilmente dimenticato. Inoltre, sul collo della donna, era ben visibile uno strano segno. Erika vi passò una mano sopra per pulirlo dal sangue e vide che si trattava di un violento morso. Anche sul collo del padre c’era il medesimo segno. E, ad una prima occhiata, sui cadaveri non c’erano altre ferite visibili.
Ormai conscia che non si sarebbe svegliata, Erika adagiò lentamente il corpo di sua madre per terra e si portò le mani alla testa, sporcandosi di sangue i capelli biondi. Poi...si lasciò andare alla disperazione.
Quella notte, il suo pianto disperato riecheggiò in tutti i campi desolati che circondavano la casa.


≪Erika, sbrigati e vieni di sotto!≫. La voce severa di zio John distolse Erika dal viale dei ricordi; proveniva da dietro la porta della sua camera.
≪Arrivo, Zio!≫ gli rispose Erika, cercando di nascondere la tristezza nella sua voce. Fallì miseramente, ma zio John fece finta di nulla e gli intimò ancora di sbrigarsi.
Erika si asciugò le lacrime infilando le dita sottili dietro le grandi lenti degli occhiali, rimise il giornale dentro il cassetto e lo chiuse.
Uscì dalla sua stanza e percorse il lungo corridoio che conduceva alle scale. Dopo la morte dei suoi genitori, suo zio John aveva accettato, non senza grande pressione da parte dei giudici, di farsi carico della giovane orfana. Quindi, dopo il funerale dei coniugi Lamberti, Erika aveva lasciato l’Italia per andare a vivere con lo zio nella città di Red Shields, in Virginia; una città piccola e misteriosa, della quale non aveva mai sentito parlare, circondata da boschi sui quali gli abitanti del luogo raccontavano leggende di tutti i tipi.
Arrivata al piano di sotto, Erika sospirò e guardò l’immenso soggiorno della villa in cui avrebbe passato il resto della sua vita. Era così spazioso che vi si poteva essere tranquillamente costruito dentro un campo da tennis, ed era pieno di arredi e mobili con decori Vittoriani, che gli conferivano un’aria molto antica. Le uniche cose “moderne” in tutta la villa erano probabilmente la grande TV nel salotto e i telefoni cellulari dei due residenti.
Zio John era davanti al gigantesco camino, seduto su una poltrona di pelle rossa, intento a guardare la legna scoppiettare nel fuoco ardente.
≪Vai in cucina≫. disse ad Erika senza neanche voltarsi a guardarla. ≪Troverai la colazione pronta. Mangiala in fretta e vai a scuola!≫. Come al solito, era diretto e autoritario. Anche se ormai era abituata alla sua freddezza, Erika avrebbe gradito un “buongiorno” prima dei soliti ordini. Senza aprire bocca, fece come le venne detto. Sul tavolo della cucina, c’era un vassoio con sopra una tazza di latte fumante e due brioche al cioccolato; ne afferrò una insieme alla tazza e tornò dallo zio.
≪Non è un po’ presto per accendere il camino?≫ chiese addentando la brioche.
≪Vai a mangiare in cucina≫ borbottò zio John, ignorando volutamente la domanda.
≪No, preferisco stare qui≫.
Per la prima volta da quando Erika scese in soggiorno, zio John smise di fissare il camino per posare lo sguardo severo su di lei. ≪Devi imparare a fare quello che ti dico!≫ ringhiò come se stesse rispondendo a un insulto.
≪Voglio parlare con te di una cosa prima di andare a scuola≫ si sbrigò a dire Erika per evitare che si alterasse ulteriormente.
≪E di che cosa vorresti parlare?≫. Con quella domanda, zio John tornò a guardare il fuoco nel camino.
≪Ieri, a scuola, ho sentito alcuni dei miei compagni parlare di strani fatti avvenuti intorno al bosco≫. Ed ecco suo zio riportare gli occhi su di lei. ≪Hanno detto che ci sono state delle misteriose morti la intorno, negli ultimi tempi. Tu cosa ne pensi?≫.
≪Non dovresti preoccuparti di queste cose≫ rispose acido zio John. ≪L’unica cosa a cui dovresti pensare è lo studio. Ieri ho chiamato la scuola, e mi hanno detto che passi il tuo tempo a bighellonare e a leggere quei tuoi stupidi romanzi, invece di seguire le lezioni≫.
Erika deglutì, cercando di placare la rabbia incombente. Perché era così dannatamente stronzo con lei? Da quando era arrivata in quella villa, si era sempre dimostrato molto freddo e distaccato nei suoi confronti.
Anche quando gli annunciarono l’improvvisa uccisione di suo fratello e di sua moglie, aveva avuto una reazione apatica e impassibile, come se non provasse nulla. E questo suo atteggiamento aveva fatto nascere in Erika il disprezzo per lui fin da subito.
≪Mi applicherò di più nello studio≫ disse alzando gli occhi al cielo e sospirando con aria infastidita. Zio John lo notò, e un lampo di rabbia attraversò i suoi occhi scuri. ≪Tu, però, rispondi alla mia domanda, per favore. Sono vere tutte quelle voci che circolano sul bosco che circonda questa città?≫.
Zio John unì le dita delle mani e incurvò le labbra sottili in un sorriso ironico. ≪Come mai così curiosa al riguardo?≫ chiese scrutandola con attenzione.
Erika esitò prima di rispondere. Non sapeva come lui avrebbe reagito. C’era anche il rischio che decidesse di non dirle nulla. Tuttavia, decise di non mentire e di rischiare. Quindi inspirò profondamente e sussurrò:
≪Praticamente da quando sono arrivata in questa città, molte persone, compreso tu, mi hanno avvisato di stare lontana dal bosco, specialmente di notte. Per quale motivo?≫
≪Per la tua incolumità≫ rispose schietto zio John, il sorrisetto ironico ancora presente sulle labbra. ≪Non è sicuro per una mocciosa della tua età andare in giro in quei luoghi deserti≫.
≪Mi hanno detto che ci sono delle creature pericolose...≫.
≪Sì, se per creature pericolose intendi gli scoiattoli e qualche ghiro≫.
≪Io parlo sul serio. Le persone morte intorno al bosco sono state uccise in modo strano≫.
≪Anche se questa città è di solito molto tranquilla, qualche psicopatico in giro può sempre capitare. Prima o poi lo prenderanno. Se agisce solo di notte, basterà non mettere piede fuori casa dopo il tramonto e sarai al sicuro≫.
≪Ma perché mai un assassino dovrebbe scegliere di dissanguare le proprie vittime?≫ disse Erika, appoggiando le mani sui fianchi con sicurezza. A quella domanda, zio John alzò un sopracciglio e il suo sorriso si fece ancora più ironico.
≪Nessuno può sapere cosa passi nella mente di un folle≫ disse distendendosi sulla poltrona.
≪La cosa strana≫, proseguì Erika ≪è che, nonostante la causa della morte sia dissanguamento, non è stata rinvenuta alcuna traccia di sangue sulla scena del crimine. E l’unica ferita che è presente sui corpi era sul collo: dei morsi≫.
Zio John smise improvvisamente di sorridere e la sua espressione tornò severa e impassibile, come se avesse cambiato umore di colpo. ≪Se è così allora sarà stato qualche animale. Può darsi che nel bosco ci siano dei predatori. Qualche anno fa sono stati avvistati dei grossi puma in quelle zone≫.
≪Ma un puma le sue prede le sbrana e le divora. Di sicuro non le morde al collo per succhiare loro il sangue≫.
≪Sai, pensò sia ora che tu vada a scuola≫ la interruppe zio John, alzandosi improvvisamente dalla sedia.
≪Aspetta, non ho ancora finito≫.
≪Invece si, abbiamo finito! Non dovresti perdere tempo con queste sciocchezze. Vai a scuola e non chiedermi mai più cose del genere≫.
≪Per favore, zio!≫ La voce di Erika era supplichevole. ≪Anche i miei genitori sono morti in circostanze simili. Anche loro sono stati dissanguati. Quindi...≫
≪Adesso basta!≫ ringhio zio John, alzandosi rabbiosamente dalla poltrona. ≪I tuoi genitori sono stati uccisi da un ladro. Qualcuno che si girava nei campi ha intravisto la loro casa sperduta e ha deciso di rapinarla. Tutto qui! Animali, morsi sul collo e creature misteriose non c’entrano niente. Ora, vai immediatamente a scuola!≫ Con l’ultima frase, puntò il dito verso la porta di casa.
Erika chinò la testa e rimase qualche secondo a guardare il pavimento. Poi, fece un profondo respirò, rialzò lo sguardo e disse con voce rassegnata:
≪Va bene...≫ Aveva ancora in mano metà della brioche e la tazza piena di latte ormai freddo. Posò il tutto sul tavolo della cucina e poi salì nuovamente le scale per andare in camera sua. Ritornò in salotto qualche secondo dopo, con un piccolo zaino nero infilato in una spalla. Zio John sembrava essersi calmato. Era di nuovo accasciato sulla poltrona a guardare il camino. Erika gli passò velocemente accanto e, senza neanche guardarlo, aprì la grande porta della villa e uscì.
Era una mattina particolarmente ventosa. Il cielo era grigio e ricoperto da fitte nuvole scure, segno che, da lì a breve, sarebbe scoppiato a piovere.
Erika percorse l’ampio giardino spoglio della villa fino ad arrivare al cancello d’ingresso; era enorme, formato da due grosse ante in ferro battuto straordinariamente lavorate, le quali dividevano a metà un grosso stemma, messo con esattezza al centro del cancello.
Dopo aver oltrepassato il cancello, scrutò attentamente l’ambiente intorno a se: una zona alquanto deserta, con giusto qualche abitazione sparsa qua e là. Non era poi così diversa dalla campagna dove era nata e cresciuta. In quella parte della città, l’enorme villa di suo zio era in netto contrasto con le piccole case che osservava mentre camminava. Quale lavoro poteva mai fare lo zio John Lamberti per permettersi di vivere in un simile lusso? Se lo era sempre chiesto. Ma ogni volta che provava a tirar fuori l’argomento con il diretto interessato, questo troncava la conversazione con la sua solita arroganza. Ora che ci pensava, suo zio era un vero e proprio mistero. Alcune volte spariva per giorni interi, senza rivelare dove andasse. E quando calava la notte, diventava paranoico e aveva paura pure della sua ombra, proiettata sulla parete dalla luce del camino.
A Erika tornò in mente il fallito tentativo di avere una conversazione con lui qualche minuto prima. Ma d’altronde, che cosa si aspettava? Era stata un’illusa anche solo a pensare che avrebbe potuto aprirsi con lui. Ormai lo conosceva come l’interno delle sue tasche. Sapeva cosa non gli piaceva e cosa sì; praticamente gli piaceva solo quando lei se ne stava chiusa in camera, in silenzio e senza fare rumore, mentre lui si rintanava nel suo studio a lavorare. Tuttavia, era l’unico con cui lei potesse parlare, dato che dentro la scuola era conosciuta con il soprannome di “pazza brufolosa”.
Imboccò una piccola via, fiancheggiata dal bosco, che conduceva alla zona urbana della città. Si fermò all’improvviso in mezzo alla strada per rivolgere una lunga occhiata al bosco che si estendeva in lontananza, oltre il confine della città, e un brivido le attraversò la schiena; quel bosco, anche a distanza, le appariva molto minaccioso. Ma nonostante ciò, per motivi che lei stessa faticava a comprendere, ne era anche fortemente attratta.
Improvvisamente, Erika scosse la testa e guardò l’orologio che aveva al polso: erano quasi le otto. Se non si decideva a muoversi, sarebbe arrivata tardi anche quel giorno. Si raddrizzò lo zaino sulle spalle e si avviò verso la zona urbana. E dopo qualche minuto di camminata veloce, fu in grado di intravedere in lontananza i vari palazzi che caratterizzavano la periferia di Red Shields.


Intanto, sul tetto di un palazzo, fecero la loro comparsa due individui.  Erano vestiti in modo insolito, con dei lunghi cappotti di pelle nera che arrivavano fino alle loro ginocchia.
Si piazzarono sul bordo del tetto, ad un centimetro dal cadere nel vuoto, e scrutarono con attenzione l’orizzonte davanti a loro.
Dopo che scovarono l’obbiettivo, uno di loro disse:
≪Mmm...e così sarebbe lei?≫.
≪Sì!≫ rispose l’altro con voce distaccata e penetrante, ma molto sicura. ≪È lei la prossima≫.
≪Ne sei sicuro?≫
≪Assolutamente...≫
≪Non mi sembra molto adatta a servire la nostra causa!≫.
≪Lo diventerà. Lei è indispensabile per la riuscita della nostra missione...≫
≪A me, sembra solo una brutta ragazzina delle superiori≫.
≪Una volta trasformata...darà il meglio di se...≫.
≪Quindi...ci siamo?≫.
≪Gia! Presto andremo a farle visita...e la porteremo a Corvinus...≫.
I due individui restarono ancora qualche minuto sulla cima del palazzo, le lunghe giacche nere che volteggiavano con grazia, accompagnate dal freddo vento d’autunno. I loro occhi, rossi come il sangue, osservavano con curiosità la frettolosa camminata di una goffa ragazza dai lunghi capelli biondi.
Infine, dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa, così come erano apparsi, scomparvero nel nulla...



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ANGOLO DELL’AUTORE:
Ciao a tutti.
Questo è il primo capitolo di questa piccola storia. Che cosa ne pensate? Vi è piaciuto? Invito tutti quelli che lo hanno letto fino alla fine a recensirlo per dirmi che cosa ne pensate. E, se recensite, vorrei soprattutto che cosa ne pensate del mio stile di scrittura.
Grazie comunque a tutti e al prossimo capitolo.

 
   
 
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