Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MissHoney    11/12/2015    6 recensioni
La guerra è finita da alcuni anni e un unico re, senza rivali, siede sul trono di spade.
Arya ha 17 anni, e ormai da tempo ha abbandonato definitivamente gli Uomini Senza Volto, ritrovando se stessa. Crescendo però ha imparato che, proprio come le diceva suo padre, bisogna scendere a compromessi, e che a volte anche un lupo deve indossare gli abiti di una lady. Fortunatamente ha sempre suo fratello Jon, ancora Lord Comandante dei Guardiani della Notte, pronto a consigliarla e sostenerla.
Ma se un segreto, custodito a lungo, arrivasse a cambiare per sempre il loro rapporto?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Jon Snow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Old Gods, forgive me
 
5. Ghosts and secrets



La notte era giunta e trascorsa, ma Jon non aveva chiuso occhio, non per dormire almeno. Era rimasto nella sua vecchia stanza per ore ed ore, immobile nel suo letto, a pensare e a rimuginare su quello che la passeggiata serale nel corpo di Spettro aveva provocato. "Non lasciarmi sola", lo aveva implorato Arya, e lui non aveva impiegato molto a capire cosa volesse intendere. Anche la frase più oscura, il più indecifrabile dei quesiti, sarebbe risultato a lui comprensibile, se fosse stata lei a porglielo. 

"Non lasciarmi sola", gli aveva chiesto. Lui non l'aveva fatto, e adesso ne stava pagando il prezzo. 

Chiuse la mano a pugno e digrignò i denti, mentre sentiva le unghie penetrare nella carne. Il ricordo di quel che aveva visto in quella camera, del grido soddisfatto di quell'essere, gli ritornò alla mente per l'ennesima volta. Quanto aveva desiderato fargli del male, sbranarlo, ridurlo in mille pezzi per il sol fatto di trovarsi in quel letto, di esser stato fino ad un attimo prima dentro di lei. "E' stato dentro di lei." Soltanto a pensarci gli venne voglia di urlare.

L'aveva presa, l'aveva resa sua, senza esserne degno. Non esisteva un uomo in tutti i Sette Regni o ad Essos, nelle città libere o ad Asshai che fosse degno di lei. Nessuno poteva capirla. Nessuno sapeva a quanti anni aveva montato il suo primo cavallo, quale fosse il suo piatto preferito, o quanto amasse le nevicate estive. Nessuno sapeva prevedere i suoi pensieri, leggerle l'anima, completare le sue frasi. Nessuno aveva atteso per anni il suo ritorno, sperando che fosse ancora viva, volendo credere che fosse ancora viva. E nessuno doveva convivere con la maledizione di essere suo fratello, e di non esserlo. Nessuno era Jon Snow e, alle volte, anche lui desiderava ardentemente essere qualcun altro.

Bussarono alla porta. Spettro, il quale, a differenza del suo padrone, era riuscito a riposare, drizzò le orecchie. Jon temendo per un momento che si trattasse di sua sorella, esitò a rispondere, poi, però, si disse che non poteva fuggire per sempre, e che, in ogni caso, probabilmente Arya non si era nemmeno svegliata, ammesso che avesse dormito.

<< Avanti >> disse, alzandosi e indossando il mantello.

Fu maestro Carrin a varcare la soglia. << Lord Comandante, mi dispiace disturbarti, ma è appena arrivato un corvo. Ho pensato potesse essere importante. >>

"Fa che sia successo qualcosa. Fa che io abbia un motivo per andarmene." << Grazie, maestro Carrin. >>

Prese il messaggio che l'uomo gli porgeva. Proveniva dal Castello Nero ma, dopo averlo srotolato e letto le prime righe, comprese che le sue speranze erano vane. Era solo un messaggio di Sam.

<< Normale amministrazione >> comunicò, infilandoselo in tasca. Quando non diede alcun segno di voler inviare una risposta, Maestro Carrin non fece alcuna domanda in merito; in realtà, sembrava concentrare tutta la sua attenzione su Spettro, che lo fissava a sua volta con interesse. 

<< Il tuo lupo è molto diverso dai suoi fratelli, Lord Snow. E' molto più… tranquillo. E' la sua natura, o è stato il clima della Barriera ad influire? >>

Jon si sentì colto abbastanza alla sprovvista: nessuno gli aveva mai posto una domanda del genere. << Oh, direi che è la sua natura, ma non lo definirei affatto tranquillo, piuttosto… silenzioso. Sa essere feroce più di Cagnaccio e Nymeria, se desidera. >>

<< E di solito lo desidera? >>

<< Solo se si tratta di proteggere qualcuno di cui gli importa. >>

Nel pronunciare quelle parole, non poté che rivolgere uno sguardo d'affetto al suo fedele compagno. Alle volte dava per scontata la sua presenza, eppure, se un giorno fosse stato costretto a separarsi da Spettro, Jon sapeva che avrebbe inevitabilmente perso una parte di se. Spettro era un lupo, mentre Jon era un essere umano, ma, spesso, eran semplicemente un'unica entità, una fiera con pensieri e sentimenti.

<< Non molto diverso dal suo padrone, quindi. >>

Maestro Carrin sembrava avergli letto la mente. 

<< Sono il Lord Comandante dei Guardiani della Notte. >> spiegò << Proteggere è il compito della nostra confraternita. >>

<< Certo, Lord Snow, sei il Lord Comandante dei Guardiani della Notte... >> 

L'uomo iniziò a gironzolare per la stanza; non pareva avesse intenzione alcuna di andar via. << … ma resti sempre uno Stark, non è così? >> proseguì, stavolta fissandolo dritto negli occhi.

Quello sguardo mise Jon profondamente a disagio ma, per quella domanda, possedeva una pronta risposta; l'aveva sempre posseduta. << Io non sono mai stato uno Stark, maestro Carrin. >>

Era un bastardo, soltanto questo. Qualunque fosse il nome della sua casata, quella realtà non mutava: era nato al di fuori di un matrimonio, da un'unione illegittima, da un'unione maledetta.

<< Qui, a Grande Inverno, e in svariati castelli dei Sette Regni, Lord Snow, c'è chi afferma senza problemi che tu sembri più Stark del nostro Lord, o di Lady Sansa, così Tully nell'aspetto e nel portamento. >>

Mancava un nome all'appello. << Ma non di Lady Arya, però. >>

<< Oh no, assolutamente. Nessuno oserebbe sostenere che qualcuno abbia più tratti Stark della nostra Lady Lupo. >> Seguì un silenzio d'attesa. Il ragazzo sapeva che il vecchio non aveva finito con lui. << Forse, Lord Snow, è proprio la tua somiglianza a lei che ti rende così Stark. Se foste nati Targaryen, la famiglia reale se ne sarebbe rallegrata tantissimo. "I gemelli che non furon" vi avrebbero chiamato. >>

"Se foste nati Targaryen." Quelle parole fecero sorridere Jon, ma si trattava di un sorriso amaro, tetro. D'un tratto un ricordo lo colpì in maniera fortissima, e si ritrovò scaraventato all'indietro, ad un tempo ormai andato.

Arya doveva avere sei anni o giù di lì, e Jon l'aveva accompagnata a letto come consuetudine di molte sere, poiché sembrava l'unico in grado di placare la sorellina e di convincerla che, prima o poi, giungeva l'ora di andare a dormire e di smettere di scorrazzare per il castello.

 

 

<< Jon, se ti faccio una domanda, prometti di dirmi la verità? >>

<< Tutto quello che vuoi, sorellina >> rispose, rimboccandole le coperte.

<< Sono anche io una bastarda? >>

<< Perché me lo chiedi? >>

<< Si somigliano tutti! Robb, Sansa, Bran… persino Rickon. Si somigliano tutti ed io no. Io somiglio a te >> confessò le sue paure, mordendosi il labbro.

Di tutta risposta, il suo fratello bastardo scoppiò a ridere, osservandola con affetto. << Tu… >> cominciò, avvicinandosi per baciarle la fronte, innocentemente, scompigliandole intanto i capelli. << … sei una nobile, come Sansa e gli altri. Sei una Stark, una vera Stark. Un giorno sarai una lady meravigliosa, e tutti ti tratteranno con il massimo rispetto. I lord si sfideranno a duello per avere la tua mano. >>

<< Non voglio essere una lady. Io non sono Sansa. Io voglio essere un cavaliere. E voglio avere una spada, per difendere le persone che amo. >>

Ancora una risata; così raro che quel suono fuoriuscisse dalle labbra del cupo ragazzo. Così raro, tranne che con lei.

<< Non occorrerà difenderle. Saranno loro a proteggere te. >>

<< Davvero? >> 

Gli occhi di Arya si illuminarono. << E tu, Jon? Tu mi proteggerai? Non mi importa degli altri lord. Mi basti tu. Sarai al mio fianco? >>

<< Sempre, sorellina. Fino alla morte >> promise.

Le accarezzò i capelli, stavolta con delicatezza, restandole accanto fino a quando, tranquilla, sprofondò nel mondo dei sogni.

 

 

<< … visite, stanotte. >>

La voce del maestro lo riportò al presente, ma colse soltanto un pezzo della sua frase. Aveva forse detto "visite notturne"? Possibile che sapesse?

<< Perdonami, maestro Carrin. Credo di essermi perso in qualche pensiero >> 

<< Parlavo delle impronte nel corridoio. E' chiaro che Spettro ha ricevuto delle visite, stanotte. >>

"Nymeria. Ha riconosciuto le orme di Nymeria."

<< Ah, certo. Spesso lui e Nymeria si fanno visita a vicenda, quando sono nello stesso posto >> spiegò.

Il metalupo, come se avesse afferrato che stavano parlando di lui, si avvicinò al suo padrone, alzando il collo e bramando silenziosamente una carezza.

<< E pare adorino le passeggiate nel parco degli dei, ma senza Cagnaccio. >>

Jon avvertì un brivido salirgli lungo la schiena e si morse la lingua. Non riusciva a capire dove volesse arrivare l'anziano con le sue parole, ma quel parlare per enigmi iniziava ad infastidirlo. Melisandre di Asshai era solita parlare in quel modo, e a Jon non era mai piaciuta la donna rossa. 

Carrin poteva anche essere il nuovo maestro di Casa Stark, ma non era Luwin, e lui non era più un ragazzino. 

<< Mi scuso nuovamente, maestro... >> esordì, il tono freddo quanto il suo nome da bastardo <<… ma proprio non capisco. >>

Quel che lo rendeva ancor più nervoso, oltretutto, era l'incapacità di decifrarne l'espressione. Per un momento gli ricordò Stannis Baratheon, e la tesa atmosfera che l'attuale re sapeva far sorgere in una stanza. Ma il maestro si calò per dare un buffetto a Spettro, e una qualsiasi analogia con Stannis sfumò, distrutta dalla nuvola di un gesto che mai il "sovrano imperturbabile" avrebbe compiuto.

<< Avete mai pensato… di farli accoppiare? >>

Jon, per un momento, valutò l'idea di esibirsi in una fragorosa risata, ma riuscì a trattenersi, anche perché, ancora una volta, l'anziano pareva non aver parlato a caso.

<< Sono fratelli. Sarebbe un abominio agli occhi degli dei. >>

Immagini di una zampa candida che si allungava sul tronco dell'albero del cuore gli attraversarono la mente. Non era una sensazione nuova, ma non poteva dirsi davvero abituato a quelle improvvise memorie dell'esistenza del metalupo che, di tanto in tanto, gli si materializzavano dinanzi agli occhi.

<< Il metalupo è lo stemma dei signori di Grande Inverno e gli Stark non sono i Targaryen… o i Lannister. L'incesto è roba da dannati, che sia tra uomini o animali. Questo anche un bastardo lo sa. >>

"E il bastardo farà bene a ricordarselo" pensò.

Si avvicinò alla finestra, poi tornò sui suoi passi; afferrò un paio di brache, irrequieto. Bramava la solitudine e sperava che quei gesti lo rendessero chiaro quanto bastava per ottenerla.

Fortunatamente, fu così.

<< Immagino tu abbia da fare, lord Snow. Del resto, a breve lady Arya si sveglierà, e ci sarà la prima colazione dei novelli sposi. >>

Jon strinse ancora una volta la mano a pugno, le unghie che gli penetravano nella fredda pelle.

<< In ogni caso… >> proseguì il maestro, appropinquandosi alla porta dopo un'ultima occhiata a Spettro. << … Ricorda le mie parole: nei vostri lupi scorre lo stesso e diverso sangue al contempo. Lo stesso e diverso, lord Snow. >>

E, con l'ennesimo enigma fin troppo semplice da decifrare per il comandante della Confraternita in nero, lo lasciò solo.

 

 

 

Il freddo attraversava la pietra: era pungente, lì sotto, ma non per qualcuno che aveva trascorso gli ultimi otto anni della sua vita sulla Barriera. Al gelo, quello esterno, Jon Snow ci aveva fatto l'abitudine; non poteva dire lo stesso, però, del ghiaccio solidificatosi attorno al suo cuore. 

Quasi tutte le persone che avrebbero potuto aiutarlo a scioglierlo erano morte, e all'ultima, la più importante, toccava scaldare qualcun altro.

Uno scorcio della notte precedente gli attraversò ancora la mente. Quanto avrebbe voluto dimenticare: dimenticare quella serata, dimenticare il segreto di suo padre, dimenticare che lei era sopravvissuta.

Aveva sofferto per anni, ma, prima dell'arrivo di quel fatidico messaggio, si era arreso, in qualche modo. Non era forse meglio saperla morta, piuttosto che ritrovarsi costantemente in preoccupazione per lei? Non era forse preferibile pensarla preda di vermi che non potevano toccarle l'anima, piuttosto che alla mercè di uno che avrebbe potuto spezzarla dentro?

"Egoista."

Quella parola doveva esser venuta fuori dalla sua coscienza, eppure gli sembrò che fosse la statua dinanzi a se a sussurrarla. 

Mai, durante la sua infanzia e prima giovinezza a Grande Inverno, si era recato lì sotto mosso dall'intenzione che lo aveva adesso condotto giù per quelle scale: osservare quella che, fino a quel momento, per lui era stata una tra le tante figure di pietra.

Nel farlo, non poté che ricordare e comprendere a pieno quello che aveva sentito dire tante volte, da lord Eddard Stark e non solo, e cioè quanto l'indomita figlia del Primo Cavaliere di Robert Baratheon somigliasse alla sua sorella perduta, fanciulla tanto amata proprio dal re in questione.

L'attaccatura dei capelli, la forma degli occhi, l'espressione fiera…

Un brivido gli corse lungo la schiena, e si disse che, probabilmente, quella visita nelle cripte era stata soltanto un'altra pessima idea. Doveva cercare di non pensare ad Arya, e di certo il modo migliore per raggiungere il suo obiettivo non era starsene a fissare quella che pareva una sua così ben riuscita riproduzione.

Eppure Jon Snow aveva semplicemente bisogno di sua madre: la madre che non aveva mai avuto, la madre che non avrebbe avuto mai.

<< Mi dispiace di non essere venuto prima. >>

La sua flebile voce riecheggiò nei solitari corridoi di pietra come un grido, ma non temeva di essere udito, né da lei, né da nessun altro. Era solo; era sempre stato solo, sin dal momento della sua nascita, quando Lyanna Stark aveva esalato l'ultimo respiro per darlo alla luce. E tutto in nome di cosa? Di una stupida profezia che non si era mai avverata? 

Daenerys gli aveva assicurato che, pur avendo conosciuto il suo amato fratello quanto Jon aveva conosciuto suo padre, sentiva che Rhaegar Targaryen era un brav'uomo e che, se aveva fatto ciò che aveva fatto, non era stato in virtù di un calcolo assurdo, ma in virtù di una passione.

<< In noi Targaryen scorre il fuoco, Jon. Il fuoco è l'elemento della distruzione, ma anche della rinascita. >>

Gli sembrava che fosse lì, di nuovo, con gli argentei capelli bruciacchiati mossi dal vento, mentre il suo sguardo vagava in cerca del mostro che amava più di ogni essere umano. 

Ricordava la lacrima che le aveva solcato il viso mentre udiva il lamento, spaventata più dalla morte del drago che dalla propria, e poi il sorriso che era seguito, al pensiero che, forse, entrambi sarebbero stati più felici nel mondo che seguiva.

Jon aveva allungato una mano verso il suo viso, verso quei capelli ipnotici. << Hai un pezzo di ghiaccio… >>

<< Non togliermelo, ti prego. Potrò così sentirmi anche io ghiaccio e fuoco. >>

E poi non gli era rimasto altro che tenerle la mano mentre si apprestava a lasciarlo. Non gli era rimasto altro che ringraziarla per avergli regalato quella risposta agognata da sempre, la quale, però, al contempo era arrivata con così tante domande e dubbi.

<< Grazie a te, Jon Snow. Grazie per avermi permesso di conoscere Rhaegar. Era un desiderio che pensavo mai si sarebbe avverato. >>

Queste erano state le ultime parole della madre dei draghi, di colei che era nata e morta da una tempesta, di colei che riteneva che il bastardo, pur essendo nato Snow, pur essendo cresciuto Stark, ricordasse decisamente il suo padre naturale. 

Dal canto suo, Jon non sapeva cosa pensare al riguardo. Il memorabile principe non era mai stato uno dei suoi eroi da bambino, forse perché il vuoto da lui lasciato, nella storia dei Sette Regni, era allora troppo recente perché diventasse leggenda. 

Tutto quel che aveva appreso concerneva il suo essere un uomo gentile, solitario, in cerca del suo posto nel mondo: tutti elementi che, riflettendoci adesso, gli si adattavano benissimo.

<< E' questo il nostro destino, madre? >> domandò, alla desolazione che lo circondava.

<< E' questo il destino mio e di Arya? Ripercorrere la strada da voi già battuta… e per arrivare a cosa, poi? Ad ottenere lei una statua al tuo fianco ed io una preghiera pronunciata dai miei confratelli mentre già si apprestano a sostituirmi? >>

"Neanche nella morte potremo stare insieme" realizzò, con triste consapevolezza. "Il suo posto è accanto agli altri Stark, e non con un bastardo che ha preso il nero. Neanche i nostri spiriti potranno riposare insieme, a meno che…"

Fu un attimo, e si ritrovò, involontariamente, ancora nella pelle di Spettro. Stava pensando troppo intensamente al suo lupo. Era da qualche parte attorno alle cucine, e Jon, approfondendo le sue emozioni, captò una certa tristezza, dovuta anche al fatto che il ragazzo non l'aveva voluto con se. 

Ritornando nelle sue vesti, il Lord Comandante si disse che non c'era spazio per i sensi di colpa, non in quel momento, perché, volente o no, spaventato o meno, quella era un'esperienza che aveva rimandato per troppo tempo, e che gli toccava vivere da solo.

Cercò di chiudere la mente il più possibile, di concentrarsi sulla cupa atmosfera che gli premeva attorno, e recuperò quel pensiero che lo aveva condotto fuori, lontano di lì. 

Esisteva una soluzione ai suoi problemi, un modo che gli avrebbe permesso di tenere Arya con se per sempre, di proteggerla e amarla con dedizione e passione, senza doversi preoccupare di reprimere i suoi istinti. Aveva sentito storie al riguardo e conosceva almeno una persona che l'aveva sperimentato, ma, al contempo, sapeva anche che si trattava di qualcosa di molto pericoloso.

Ma non era forse lui pronto a correre il rischio? Avrebbe corso qualsiasi rischio per lei, per la possibilità di essere insieme padroni del proprio mondo, anche se in un modo inconsueto. L'amore che provava per la sua sorellina, ormai donna, nasceva da dentro, dal profondo del suo cuore; il loro era un legame tra anime, e nulla sarebbe cambiato, neanche al mutare dei loro corpi. Bastava soltanto mostrare un po' di quel coraggio di cui entrambi erano in ampio possesso, e poi… e poi cosa? Quanto era disperato per poter soltanto ipotizzare una tale eventualità?

C'erano Sansa e Rickon e Bran, in qualche lontana parte dei Sette Regni; c'erano i sopravvissuti di Grande Inverno, che rivedevano nei suoi occhi lo sguardo del tanto da loro amato Lord mai ritornato dal sud; c'era la gente di Harrenhal, che attendeva con ansia la Lady che avrebbe scacciato via i fantasmi del passato. Chi era Jon per privarla di tutto ciò? Chi era per privarla di quella vita che tanto si era guadagnata? 

Arya aveva iniziato a lottare per la sua sopravvivenza a soli nove anni, mentre il mondo attorno a lei esplodeva; aveva iniziato a lottare con il suo Ago, con le unghie, con i denti e con tutto ciò che le capitava sotto mano, mentre, ad uno ad uno, le persone a lei più care morivano e casa diveniva sempre più lontana.

Arya meritava quell'esistenza; meritava quegli anni che il destino le aveva tolto; meritava di gioire e soffrire per qualcosa che si confaceva alla sua età, e non per essersi ritrovata assurdamente sola in città a lei sconosciute. Arya meritava la vita, e Jon avrebbe preferito strapparsi il cuore in mille pezzi piuttosto che proporle di togliersela, perché l'amava. L'amava con ogni fibra del suo essere, con ogni più piccola parte di se. L'amava sin da quando aveva visto per la prima volta quella minuscola creatura tra le braccia di Catelyn Stark, e, nonostante tutti i loro trascorsi, nonostante tutti i modi con cui avrebbe potuto definirla, quel sentimento mai sarebbe mutato. C'era solo l'amore, sempre l'amore. Purtroppo, però, Jon non era mai stato fortunato con le persone che amava. 

<< O forse dovevamo soltanto ristabilire l'equilibrio, pagare quel debito sorto nei confronti dei Baratheon quando siete fuggiti via. >>

Le storie parlavano di rapimento, ma lui aveva deciso di credere alle parole e alle sensazioni di Daenerys, perché voleva pensare di essere nato da un atto puro, sincero, e non da un tradimento, come aveva creduto per anni, né tantomeno da una violenza. Voleva pensare di essere stato amato, anche se soltanto per un misero istante.

<< Mi dispiace, madre. >>

L'immaginazione e la follia dovevano star prendendo il sopravvento su di lui, perché gli parve di scorgere una nuova espressione nel volto immutabile di Lyanna Stark, come se non comprendesse il motivo delle sue scuse. 

<< Mi dispiace di essere venuto al mondo, privandoti della vita. Mi dispiace di essere stato un sacrificio inutile, evitabile >> proseguì, la voce sull'orlo delle lacrime.

<< Ti ho privato della possibilità di stare con i tuoi fratelli, di veder crescere i tuoi nipoti. A quest'ora, forse, saresti con Arya fuori a cavalcare o a duellare dinanzi all'albero del cuore. >>

Le immaginò insieme: due candide bellezze del nord, pronte a sfidare il mondo pur di far vincere la giustizia. 

<< Mi dispiace così tanto. >> 

Crollò in ginocchio, ormai in singhiozzi, il volto tra le mani. << Ho usurpato il tuo posto, senza alcun diritto. SARESTI DOVUTA TORNARE TU, MADRE, DALLA TORRE DELLA GIOIA, NON IO. Non conta quale sia la verità, perché io sarò sempre solo un bastardo che non appartiene a nessun luogo, men che mai a Grande Inverno. 

Sei morta per nulla, madre. >>

 

<< Questo non è vero. >>

 

Jon sollevò il capo, titubante. Per un brevissimo momento, pensò che le sue visioni fossero divenute persino uditive, ma poi capì: c'era qualcun altro lì sotto.

Probabilmente, prima di quel giorno, non aveva mai compreso fino in fondo quanto lei avesse imparato da Syrio Forel e dagli uomini senza volto. "Infilzali con la punta" pareva una lezioncina da nulla, a confronto.

Si alzò, piano, vergognandosi dello stato in cui l'aveva scovato, non osando però voltarsi a guardarla, non fin quando non avesse ripreso il controllo dei suoi respiri. Da quanto era lì? E quanto aveva sentito?

<< Sei silenziosa, tremendamente silenziosa. >>

Non poteva vederla, ma era sicuro avesse abbozzato un sorriso.

<< Scalini, cripte, buio… era tutto così alla Casa del Bianco e del Nero, e fin troppe orecchie ad ascoltare. >>

Percepiva la sua voce avvicinarsi, ma non i passi. Era quasi inquietante ma, lo sapeva, non era la paura a mozzargli il fiato, bensì la consapevolezza di essere a così poca distanza da lei.

Chiuse gli occhi. Magari, se l'avesse ignorata, sarebbe andata via. Uno, due, tre. Cinque, dieci, quindici secondi. Niente: non un suono, non una parola. 

Sentendosi un po' più sicuro, decise di riaprirli… e vide una bellissima rosa blu poggiata ai piedi di Lyanna Stark. Si girò di scatto, ed eccola lì: luminosissima come solo lei sapeva essere, nonostante il mantello grigio.

Jon avvertì un tuffo al cuore nel constatare che aveva raccolto i ribelli capelli in una treccia laterale, pettinatura che gli era così familiare. "Oh, Arya!" pronunciò mentalmente il suo nome. "Come siamo arrivati a questo? Quando ti sei trasformata dalla mia bambina alla donna di un altro?"

Restarono così a fissarsi, per un tempo indefinito. Cosa avrebbe dovuto dire? Nonostante l'età, aveva ormai accettato di non essere il più coraggioso tra i due. E, difatti, fu lei a rompere quel frustrante silenzio. << Lei non è morta per nulla. >>

Lo aveva affermato con sicurezza, con quella convinzione che era sempre capace di mostrare; l'aveva affermato con semplicità, come se stessero facendo una chiacchierata a colazione, come se non fosse per nulla scossa dall'aver sentito il bastardo di suo padre chiamare "madre" la di lui sorella.

Abbassò il capo, di nuovo, ed un'ennesima lacrima, solitaria, si fece strada lungo la sua guancia. Era un vigliacco, troppo vigliacco per dire alcunché, ma furono i sensi di colpa a parlare per lui. << Invece si >> bisbigliò.

Con la coda dell'occhio la vide muoversi e si irrigidì di scatto, ma Arya non sembrava intenzionata ad avvicinarglisi, non troppo almeno. 

<< Sin da quando ho memoria, ricordo di aver sempre desiderato conoscere zia Lyanna. >>

Jon non sapeva se stesse parlando a lui, alla muta statua o a se stessa, ma non poteva fare a meno di ascoltarla. 

<< Tutti mi paragonavano a lei: mio padre, i lord che l'avevano vista anche solo una volta, zio Benjen… >> proseguì. << Di tanto in tanto, quando nessuno mi vedeva, te compreso, scendevo qui sotto e iniziavo a parlare con lei. Le dicevo che le volevo bene, pur non avendola mai conosciuta, e che ero certa che, se fosse stata qui, di sicuro avrebbe convinto la lady mia madre a farmi smettere con il ricamo e con tutte quelle cose da femmine. >>

Riusciva ad immaginarsela perfettamente mentre faceva valere le sue ragioni dinanzi a qualcuno che non poteva risponderle.

<<… E le parlavo di te, di quanto fossi la mia salvezza, già da allora.

Ho sempre amato i miei fratelli, persino Sansa, ma tu… tu eri diverso. >>

Si interruppe per un attimo, lasciandolo lì, in attesa. Adesso che aveva trovato la forza di sollevare la testa, non riusciva a smettere di osservarla, benché lei non incrociasse il suo sguardo, fisso sul suo riflesso di pietra. 

<< Tu eri il mio fratello, la mia metà, la mia ancora. Tu eri così indispensabile, ed io ti amavo. Ti amavo e, quando venivo qui, cercavo di convincere Lyanna che anche lei ti avrebbe amato, se avesse potuto vederti, e le confessavo che avrei voluto trovare tua madre, chiunque ella fosse, non perché tu potessi andar via con lei - non l'avrei sopportato - ma perché avvertivo il tuo bisogno di amore, e ritenevo che il mio affetto non fosse sufficiente, non con tutto il peso che dovevi portare sulle tue spalle. >>

E, adesso, non era più il solo a dare libero sfogo a lacrime silenziose. 

Non ricordava quando l'aveva vista piangere l'ultima volta, eppure non poté fare a meno di notare che, anche con quell'espressione triste, malinconica, era semplicemente bellissima.

<< E invece, assurdamente, tua madre è sempre stata qui. >>

Le sfuggì una risata amara e, finalmente, portò gli occhi su di lui, pur non avvicinandosi. << E tua madre ti ha amato, Jon. Ti ha amato abbastanza da convincere suo fratello a rinunciare alla cosa a cui teneva di più: il suo onore. >>

Jon rabbrividì e provò l'impulso di allontanarsi, mentre Arya, adesso, muoveva qualche passo nella sua direzione. << E tutto ciò non è stato "per nulla". Tu ritieni di non meritare questa occasione, ma pensa, per un attimo, a cosa sarei io senza di te. Pensa che fine avrei fatto se tu non avessi rappresentato la mia meta, sempre. >>

Non rideva più, ora. Era lì, con lui, in quelle cripte, ma la sua mente era altrove, ai giorni più bui della sua esistenza, a quei giorni che nessuno poteva cancellare. 

Si sentì un idiota per essere incapace di far uscire dalle sue labbra anche una sola parola, ma era come paralizzato, inerme, impotente dinanzi al flusso dei di lei pensieri, alcuni mai confessati prima.

<< Io non posso sapere quante cose sarebbero cambiate per noi Stark se zia Lyanna fosse tornata a Grande Inverno, viva, senza l'ombra di un figlio. Non posso sapere se Robert Baratheon sarebbe, alla fine, salito sul trono di spade, sposando ugualmente Cersei Lannister. E non posso sapere se il destino avrebbe o meno portato Eddard Stark a sud con me e Sansa. L'unica mia certezza è che se, per un qualsiasi motivo, la mia famiglia fosse caduta in disgrazia, come è accaduto, ed io mi fossi ritrovata completamente sola, mi sarei semplicemente arresa, se tu non fossi esistito. >>

<< Questo non è vero. >> Finalmente aveva ritrovato la voce. << Avresti avuto sempre il desiderio di vendetta a spingerti, la tua lista. >>

Arya scoppiò a ridere, ancora. << La mia lista, certo. I nomi dell'odio >> disse, scuotendo poi il capo. << Nessun nome spuntato da quell'elenco mi hai mai procurato anche un solo istante di felicità. Appagamento, forse, ma null'altro. 

Era l'amore a tenermi in vita, Jon. L'amore e il pensiero che, da qualche parte all'estremo Nord, un ragazzo con un metalupo albino mi aveva promesso che strade diverse avrebbero portato allo stesso castello. >>

Il sorriso che gli riservò riscaldò il suo cuore esattamente come quello che gli aveva donato anni prima, il giorno del loro temporaneo addio.  

<< Il lord mio padre ha perso una sorella alla Torre della Gioia, ma mi ha donato il compagno di una vita. E, per quanto soffra per tutti i miei morti, non smetterò mai di essere grata di questo >> concluse, allungando una mano verso il suo viso, fidandosi adesso di toccarlo. 

Il ragazzo rabbrividì, chiudendo gli occhi. Desiderava ardentemente che il tempo si fermasse, che vi fosse la possibilità di vivere in quelle cripte per sempre, senza doversi preoccupare di tutti quelli che stavano al di là di quelle mura. Ma era un sogno irrealizzabile, e Jon, pur apprezzando quelle parole, pur essendo certo che provenissero dal profondo del cuore di lei, sapeva che non avrebbero mutato la triste realtà che li circondava. 

Con calma, posò la mano sulla sua, tentando delicatamente di scostarla dal proprio volto. << Il tuo compagno di vita è tuo marito, nessun altro, e di certo non io. >>

Era consapevole di starla ferendo e, anche se gli faceva male, cercò di sostenere il suo sguardo. 

<< Con Gendry è diverso. Lui… >>

<< E' tuo marito >> ripetè. 

<< Sì, ma… >>

<< Non esistono "ma", Arya. E' tuo marito, ed io sono il tuo fratello bastardo. >>

<< Tu non sei mio fratello. Non più. Noi… >>

Lo osservava spaesata, come se non riuscisse a capirlo. Conosceva bene quell'espressione, perché più volte l'aveva vista riservarla ad Eddard Stark, quando, per un qualunque motivo, aveva disatteso le sue aspettative, dopo aver ascoltato e apparentemente condiviso le sue ragioni. 

<< Arya, ascoltami. >>

Le mani sulle sue spalle, adesso aveva bisogno che lo lasciasse parlare. << Questo… >> indicò la statua di sua madre, silenziosa spettatrice della loro tragedia. << … non cambia nulla. Io sarò sempre il bastardo di tuo padre, poco importa che adesso siamo a conoscenza del suo segreto. >>

<< MA TU NON CAPISCI! >> ribattè lei, divincolandosi. << Io ho delle prove… il diario… mio padre teneva un diario. E' così che l'ho scoperto, e loro non potranno ignorarlo. >>

C'era una prova scritta, un documento. Jon permise alla speranza di trionfare per un istante, non oltre. << O magari potranno, proprio come Cersei Lannister ignorò il testamento di Robert Baratheon. >>

<< Ma il re… >>

<< Il re ha il potere, sorellina. E il nostro segreto è in grado di sottrarglielo. >>

Stannis poteva professare giustizia quanto gli pareva ma, quando si accomoda su quella maledetta sedia di ferro, anche il più retto uomo dei Sette Regni muta.

E poi, in ogni caso, esisteva un impedimento più grosso, ancor più difficile da eludere.

<< E comunque anche convincere tutti non ci basterebbe, non mi basterebbe. >>

Deglutì, prima di proseguire. << Sono il lord Comandante dei Guardiani della Notte. Ho fatto un giuramento, davanti a un albero del cuore. Ho pronunciato delle parole dinnanzi agli antichi dei, e non posso dimenticarle, né rinnegarle. >>

Non esisteva un modo perfetto in cui la ragazza potesse ribattere, ma Jon era abbastanza sicuro che non avrebbe mai, in futuro, dimenticato lo sguardo deluso che Arya gli rivolse in quel frangente. E non avrebbe mai scordato il tono gelido con cui la giovane lady del Nord aveva proferito la sua secca risposta: << Di' pure che non vuoi rinnegarle, Jon Snow. Di' pure che non vuoi rinnegarle per me, perché sappiamo entrambi che sai come si dimentica un giuramento. >>

 

Non ebbe nemmeno il tempo di comprendere il peso delle sue parole, di aprire bocca, di fermarla… che lei era già scappata via, veloce come solo chi ha imparato a fuggire la morte sapeva essere. 

<< ARYA! >>

Sentì le proprie labbra urlare il suo nome. << ARYA TORNA QUI! >>

Ma non sarebbe tornata. Non sarebbe tornata, e a poco serviva continuare ad invocarla; eppure lo fece, ancora e ancora, forse per ore o forse per giorni. Adesso non gli importava che qualcuno lo udisse, perché nulla avrebbe potuto ferirlo più del leggere odio, disgusto, negli occhi della persona che più amava, negli occhi dell'unica persona che lo aveva davvero mai amato.

 

"Fino a quando non saprai che cos'è una donna, non puoi capire a che cosa rinunceresti."

Le parole di suo zio Benjen lo colpirono all'improvviso, dritte al cuore. 

<< Avevi ragione >> sussurrò, lasciandosi scivolare lungo il muro. << Avevi ragione. >>

E, quella notte, qualcuno avrebbe potuto udire un fantasma che singhiozzava nelle cripte di Grande Inverno.

 

Ieri per la fretta di postare il capitolo, ho dimenticato le mie "due paroline". Prima di tutto, scusatemi per l'attesa. Erano circa 5 mesi che non postavo nulla. Avevo iniziato questo capitolo quest'estate, ma poi tra le cose ho ritardato. Lo avevo iniziato con tutta un'altra idea sulla conclusione ma, come spesso accade, durante la corsa ho cambiato idea. ( Se ve lo state chiedendo, sì, la conclusione a cui avevo pensato era più dolce e appagante. ) Voglio comunque ringraziare chiunque spenderà qualche minuto per leggerlo e per lasciarmi un saluto. Grazie, e prometto che non farò passare secoli per il seguito!

- MissHoney
  
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