– Trenta –
Jamie
Non
so a cosa pensare, non mi viene in mente niente che possa aiutarmi a rilassarmi
prima dell’inevitabile fischio d’inizio.
Gli
spalti del Millennium Stadium sono pieni, ogni singolo posto a sedere è
occupato da un tifoso di una delle due fazioni. Delilah si leva forte fra i
sostenitori gallesi, che cantano a squarciagola facendo rimbombare la melodia
della canzone fino al tetto chiuso, così che possa vibrare ovunque intorno a
noi.
Davanti
a me il quindici della rosa, la nazionale inglese, con indosso la loro maglia
bianca, immacolata. Rimarrà tale ancora per poco. Anche se il campo da gioco è
stato coperto, su Cardiff è piovuto fino a ieri. Nonostante il prato appaia
perfetto, morbido e ordinato, l’umidità traspare ugualmente dai suoi fili
d’erba. Ho già affrontato la nazionale inglese un’altra volta, ma all’epoca
giocavo ancora in U20 e non mi sono misurato con gli stessi uomini che ho di fronte
ora.
Mi
sento nervoso e veramente terrorizzato. Per i miei famigliari e i miei amici,
il mio esordio da titolare fin dal primo minuto con la mia nazionale, durante
il Sei Nazioni e proprio contro gli inglesi, significa che le mie capacità sono
state riconosciute.
Forse
è vero, ma è anche vero che se il giocatore che sostituisco non si fosse
infortunato, ora sarei certamente in panchina, a fremere per poter entrare.
Indosso
la divisa della nazionale gallese, quella della squadra maggiore, il numero dodici
stampato in bianco sulla schiena. Non sono riuscito a diventare niente di
quello che avrei voluto quando ero piccolo. Volevo fare mischie, diventare un
perno importante per la mia squadra, un ball carrier1
di tutto rispetto, un avanti potente e pericoloso, quello da fermare prima che
possa prendere l’ovale in mano. Poi ho scoperto che correre e perforare la
difesa avversaria è una delle sensazioni migliori del mondo e non ho più voluto
fare altro. Il mio coach, quello che ha continuato ad allenarmi fino a
permettermi di esordire nella prima squadra dei Cardiff Blues a diciassette
anni, mi ha fatto capire che il ruolo giusto per me è quello di primo centro e
io ho capito che ha assolutamente ragione. Da quando ho iniziato a ricoprirlo,
da quando sono Jamie Owens, il ventenne centro dei
Cardiff Blues, sto così bene nel mio ruolo da non riuscire neanche a spiegare
come mi sento. Semplicemente mi sento vivo.
Per
arrivare dove sono ora ho seguito fedelmente i consigli di tutti coloro che
hanno creduto nelle mie capacità e ho sempre fatto il possibile perché fossero
fieri di me. Ho sempre fatto del mio meglio per non deludere i miei genitori e
i miei amici più preziosi, inclusi Matt e Danni.
Loro
due dovrebbero essere da qualche parte anche ora, seduti in mezzo a questa
marea di persone. Fra la bolgia di gente accorsa per il match certamente anche
loro stanno cantando Delilah,
uno al fianco dell’altra come lo sono stati negli ultimi dieci anni. La loro sì
che è una bella storia, una di quelle con il finale già scritto, con il per sempre scontato. Perché è così che
sono loro due insieme: perfetti. Hanno portato avanti la loro storia per anni,
un giorno alla volta, costruendosi intorno il mondo che volevano.
Danni,
una volta finiti gli studi, non è diventata una guida turistica come avrebbe
voluto prima di iniziarli. Un giorno, poco dopo la laurea, si è lasciata
guidare dal suo istinto dentro la piccola libreria che affaccia sulla strada di
casa sua e da lì non è più uscita; o, meglio, ne usciva tutti i giorni al
termine del suo turno lavorativo.
Matt,
invece, a trentadue anni ha smesso con il rugby giocato e da allora allena. Le
sue capacità e il suo nome gli hanno permesso di allenare la nazionale gallese
U18 e la squadra di Cardiff di U16, così da guidare i giovani fino a farli
diventare grandi giocatori per la squadra dei Cardiff Blues, il club che lui
non ha mai lasciato nemmeno per un giorno.
E
la loro vita è stata coronata dall’arrivo di una bambina, la piccola Petra,
nata quattro anni fa; un’adorabile scimmietta con capelli di cenere dorata e
gli stessi occhi della madre. Una Danielle in miniatura che ha afferrato il
pallone da rugby prima ancora di afferrare la mano del padre, più o meno. Nel
rugby gallese il sesso di una persona non è un limite e io sono più che sicuro
che, fra alcuni anni, vedrò quella piccoletta andare in meta in mezzo ai pali
con la maglia rossa della sua nazione.
Ma
chi pensa che la vita di Danni e Matt insieme sia stata sempre rose e fiori
sbaglia di grosso. Perché, si sa, le cose per andare storte ci mettono un solo
attimo.
Nell’anno
della Rugby World Cup2 in Inghilterra, proprio nell’ultimo dei test
match in preparazione a questo importantissimo evento, Matt si è infortunato
durante il gioco. La frattura alla caviglia che si è provocato durante una ruck
lo ha tenuto fermo per mesi interi. Il dolore maggiore legato a questo
infortunio era dovuto proprio al fatto di non poter partecipare ai mondiali che
quell’anno, a detta di tutti, Matt avrebbe vissuto da protagonista, guidando
come capitano la nazionale gallese. Invece ha dovuto assistere a tutto quanto
dalle tribune, vivendo le emozioni della coppa del mondo da spettatore.
All’epoca lui e Danni non stavano ancora insieme da un anno e per lei riuscire
a trovare le parole giuste da pronunciare ogni volta, così da aiutare Matt a
sentirsi meglio, non è stato sicuramente semplice. Anche se avevo undici anni
sono comunque riuscito a capire quanto per lei fosse importante fare il
possibile per sostenere e aiutare il suo uomo a superare quel lungo periodo di
insicurezza fisica e psicologica. Danni è riuscita egregiamente nel suo
intento, così, quando Matt è potuto
tornare sui campi da gioco più vivo ed emozionato che mai, il loro legame si è
saldato ulteriormente e lui ha avuto modo di capire di aver fatto la scelta
migliore prendendo Danielle accanto a sé.
Tre
anni dopo la mano del destino è tornata ad avventarsi sulla coppia, pretendendo
che Matt ripagasse il debito maturato nei confronti della sua partner.
Il
padre di Danni e di mia madre, ovvero mio nonno, si è ammalato. Quando gli
venne diagnosticato il cancro io non ero più un bambino e ricordo ancora
perfettamente che appena mi venne data la notizia l’unica cosa a cui riuscii a
pensare fu un orrendo presagio di morte. Per la nostra famiglia furono tempi
bui, per mia madre, per Danni e per mia nonna, lo furono ancora di più.
Danielle ha fatto il possibile in quel periodo per essere forte a sufficienza
anche per il resto delle donne della famiglia, ma i crolli erano inevitabili e,
in quei momenti, Matt le era più vicino che mai. Lui l’ha sostenuta ogni giorno
nello stesso modo in cui aveva fatto lei anni prima. Le è stato vicino, ha
fatto il possibile per cercare di farla sorridere, dimostrandole cosa
significasse avere accanto a sé qualcuno disposto a tutto pur di aiutarti.
Per
nostra fortuna, alla fine, le cose sono andate per il meglio. Le cure e il
tempo hanno aiutato mio nonno a superare la malattia. Quei lunghi mesi hanno
permesso a Danni di capire quanto Matt tenesse a lei, così disposto a tutto pur
di non vederla infelice. Certo, alti e bassi ci sono stati fra loro, tutte le
storie ne vivono e, forse, il bello delle relazioni sta proprio in questo. Tuttavia
non hanno mai preso in considerazione l’ipotesi di separarsi e se devo dire
come spero di vivere la mia futura vita coniugale – se mai dovesse esserci una
futura vita coniugale – mi viene spontaneo rispondere “come quella di Danni e
Matt”.
Ma
solo perché i miei genitori hanno me
in mezzo ai piedi, altrimenti sarebbero loro la prima scelta. Perché la verità
è questa: anche la mia famiglia, i miei genitori, insieme sono perfetti, ma ci
sono in mezzo io a complicare un po’ – molto – le cose. Perché sono testardo,
orgoglioso e determinato come poche altre persone e se per alcuni questi sono
ottimi pregi per un rugbista, per tanti altri possono essere discutibili
difetti. E io sono consapevole di questi miei difetti, lo sono eccome, ma è
grazie a loro se ho il coraggio di correre dritto per dritto contro gli
avversari di qualsiasi caratura per schiantarmici letteralmente contro. Proprio
per merito dei miei difetti ho fatto alcuni di quei gesti che le persone hanno
definito “folli” e “tecnicamente strepitosi” su un campo da rugby ed è sempre a
causa loro che ora voglio fare ciò che mi è appena venuto in mente.
Un
sorriso si appropria forzatamente del mio volto mentre seguo con lo sguardo il
mediano d’apertura del Galles, pronto per calciare il pallone così da dare
inizio alla partita, non appena il fischio dell’arbitro si farà largo fra il
Millennium Stadium.
È
la mia prima vera partita da titolare questa, giusto? Allora il primo ovale
dell’incontro voglio recuperarlo io.
Prima
di lasciarvi alle note, vi prego di leggere fino in fondo alla pagina.
Note:
1 ball carrier: per ball carrier vengono solitamente intesi i
giocatori (che spesso vestono la maglia numero 6-7-8) in grado di riuscire a
superare la linea di difesa anche quando questa è perfettamente schierata e
riuscendo a mantenere il possesso del pallone.
Citando
un articolo trovato su internet, firmato Roberto Iasoni,
“Il ball carrier cade al di là del placcaggio, supera
il punto d’incontro, arranca con tutte
le sue forze per strappare ancora una zolla agli avversari sotto assedio. Getta
non solo il cuore oltre l’ostacolo: pure la testa, le mani, il tronco, le
gambe, i piedi. Tutto se stesso. Avanti. Sempre avanti. Magari di pochissimo,
ma avanti. Finché si può. E conservando il possesso della palla.”
2
Rugby World Cup:
I mondiali di rugby che si svolgono ogni quattro anni. L’edizione a cui faccio
riferimento in questa storia è quella del 2015, svoltasi in Inghilterra.
La storia si conclude
qui.
Dopo ventinove
capitoli ho deciso di concludere con un punto di vista nuovo, ossia quello di
Jamie, sperando di non aver fatto una scelta sbagliata.
Quando ho cominciato
la pubblicazione di questa storia non credevo assolutamente di ricevere tante attenzioni quanto quelle che ho
ricevuto e, lo ammetto, sono felicissima di vedere che mi sono sbagliata. Molti
di voi hanno recensito, aggiunto la storia fra le preferite, le ricordate e le
seguite e vi voglio ringraziare di cuore. In fin dei conti questo racconto è,
sì, una storia d’amore, ma anche il mio personale tributo a uno sport che amo,
il rugby, e a una Nazione e una nazionale da cui sono affascinata, il Galles.
Mi piacerebbe sapere
cosa pensate di questa mia storia ora che è finita, ma non voglio comunque
obbligarvi a recensire.
Vi chiedo come ultimo
favore quello di continuare a leggere al di sotto di queste mie parole, in cui
ho inserito alcune curiosità relative al mio lavoro, che spero lo possano
rendere un po’ più intrigante e un filo più vero.
Grazie ancora di
tutto.
MadAka
CURIOSITA’
•
Matthew Evans non ha un vero e proprio
presta volto. Per il suo personaggio mi sono basata su due giocatori della
nazionale gallese che ammiro molto, ovvero Dan Biggar
– mediano d’apertura, a cui mi sono ispirata maggiormente per l’aspetto – e Sam
Warburton – numero sette e capitano del Galles, in
assoluto il mio giocatore preferito. È a lui che mi sono ispirata maggiormente
per dare forma, caratterialmente soprattutto, a Matt.
Danielle,
invece, è totalmente frutto dalla mia fantasia.
•
Altro omaggio presente nella storia è quello a Jamie Roberts, primo centro del
Galles. Spezzettato fra due personaggi – il piccolo Jamie e Paul – è forse il
giocatore a cui ho fatto il tributo maggiore.
•
Sean Darren è il protagonista di un’altra long, pubblicata da me qui su Efp parecchio tempo fa ormai, e intitolata Felce argentata. Così come, sempre in
quella long, compaiono anche i personaggi di Samantha e Noomu.
•
Sempre riguardante Sean Darren, sospetto fortemente che chi segue il rugby
abbia indovinato a chi mi sono ispirata per realizzare il personaggio.
Ovviamente all’inimitabile Richie McCaw (che, per la
cronaca, ha realmente origini scozzesi). Così come il rapporto Darren – Noomu è ispirato a quello McCaw –
Read (ossia Kieran Read, numero 8 degli All Blacks).
•
I test match di cui parlo nella storia sono veramente stati giocati in
quell’ordine nel novembre 2014 e gli esiti sono quelli reali, tutti quanti. E,
se volete saperlo, il risultato finale della partita Galles – Sudafrica – di
cui Matt e Danni parlano nel ventinovesimo capitolo – si è conclusa 12 a 6 per
i Dragoni.
•
Land of My Fathers è il titolo
inglese dell’inno del Galles. In gallese è Hen Wlad Fy Nhadau
(l’inno cantato dalla nazionale prima delle
partite è proprio quest’ultimo).
•
Sulle maglie dei giocatori è realmente cucito un numero e indica proprio la
successione dei detentori della maglia.
Es:
1022 sulla maglia significa che quello è il milleventiduesimo
giocatore a vestire la maglia della nazionale gallese.
•
E 1070 è il numero cucito sulla maglia di Sam Warburton.