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Autore: Roxar    13/12/2015    1 recensioni
«[...]il mio mentore e la mia stilista, che così tanto hanno fatto per darmi un gran vantaggio, proponendo ai cittadini di Capitol City un copione finora inedito: quello del ragazzo innamorato della ragazza che non solo è capitata lì con lui, ma che lo odia da che tutto il Distretto 12 ha memoria. Una storia interessante, che ha già fatto parlare di noi immediatamente dopo la sfilata, quando ancora quasi nessuno conosceva i nostri nomi.»
[James/Lily | TheHungerGames!AU]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Crew&Ship: Lily Evans, James Potter, Altri | James/Lily

Warnings: Angst, Hurt, Splatter, Death

Dove la Rana dice cose: lo ammetto: scrivere questa fanfiction è stato imprevedibilmente divertente. E forse non avrebbe dovuto, perché, insomma, è una TheHungerGames!AU, ma proprio perché riunisce due cose che amo così tanto - la Jily e THG - non ho potuto fare a meno di divertirmi, anche.
La storia procede sulla falsariga di The Hunger Games, ma ho cercato di attenermi al canon dei Jily, seppur con qualche piccola variazione. Quindi, Lily e James sono stati sorteggiati e gli altri tributi che vengono nominati sono altri della loro generazione (comunque, a fine storia trovate tutte le note del caso). Da qui in poi è (quasi) tutto spiegato nella fic.
Bona, non ho altro da aggiungere, penso. Buona lettura!
La vostra amichevole Rana di quartiere.

 

 

 

___

 

 

 

Non ce la faccio più.

Vorrei negarlo, vorrei che fosse falso, vorrei che fosse solo un'impressione, ma la verità è che non ce la faccio davvero più. La penuria di acqua e cibo mi stanno chiedendo il conto, facendomi pagare lo scotto di tanta impulsività. Volevo quella sacca scura ad una spanna dalla mia piattaforma e la carne essiccata a pochi metri da ess, e non ho ottenuto né l'una né l'altra. Il pugnale della ragazza del Distretto 1 – Bellatrix1, mi pare si chiami – è stato più veloce delle mie gambe ed è solo per un caso fortuito che mi abbia sfiorato il collo di pochissimi centimetri. A quel punto non ho potuto fare altro che scappare via, diretta verso i boschi. Le mie conoscenze sulle piante, medicamentose e commestibili, si sono rivelate utili finché ho saputo riconoscere qualcosa – corteccia di pino, tuberi bluastri, foglie di menta selvatica, nocciole e radici – ma mi è bastato addentrarmi di più nel folto della vegetazione e guardarmi intorno per capire di essere spacciata. Sebbene il posto fosse pieno di bacche e piante dall'aria apparentemente commestibile, non ho osato correre il rischio. Con il senno di poi, avrei preferito una morte rapida per avvelenamento che una lenta per fame e disidratazione.

Tornare indietro non era fattibile, con il bagno di sangue ancora in corso, perciò ho camminato per quelle che mi sono sembrate intere ere geologiche, tenendo duro e cercando di catturare uno dei molti animali che animano il sottobosco, senza alcun risultato – non so niente di caccia, io. Ma adesso, tre albe dopo, sono costretta ad ammettere l'evidenza: tremo per lo sforzo di reggermi sulle gambe, dimentico di continuo dove sono o perfino chi sono, la luce intensa mi ferisce gli occhi e il cervello è così sotto stress che, ne sono certa, a breve smetterà semplicemente di funzionare. Si spegnerà e mi lascerà qui, incosciente, fino al sopraggiungere della morte.

Non è così che desideravo tirarmi fuori dai Giochi. Avevo promesso a mia madre e a mio padre che ci avrei provato, che ci avrei provato sul serio, che avrei fatto in modo di usare l'astuzia e la strategia per restare viva fino alla fine. Che mi sarebbe bastato cercare una pianta velenosa qualsiasi per procurarmi un'arma potenzialmente mortale.

E invece eccomi qui, accasciata su un masso, alla mercé del sole e degli altri tributi, lontana da qualsiasi fonte di acqua e sostentamento. Cerco di non lasciarmi pungolare dai sensi di colpa che provo nei confronti di Albus e Minerva, il mio mentore e la mia stilista, che così tanto hanno fatto per darmi un gran vantaggio, proponendo ai cittadini di Capitol City un copione finora inedito: quello del ragazzo innamorato della ragazza che non solo è capitata lì con lui, ma che lo odia da che tutto il Distretto 12 ha memoria. Una storia interessante, che ha già fatto parlare di noi immediatamente dopo la sfilata, quando ancora quasi nessuno conosceva i nostri nomi. Ma, a conti fatti, solo quello. Se Albus non ha fatto nulla per aiutarmi è perché nessuno ha tifato abbastanza per gli innamorati nemici dell'ultimo distretto della Nazione. Nessuno ha offerto del cibo o dell'acqua per me. Pensavo di averli convinti di valere qualcosa con quell'azzardo della pianta altamente urticante che ho lasciato cadere nel cibo di due malcapitati tributi, i quali, in preda ad una fortissima crisi allergica, sono stati terminati dai Favoriti, ma a quanto pare mi sbagliavo.

Non ho convinto nessuno.

Sono solo una povera ragazza con un po' di talento nel riconoscere certe piante, ma che è ben lungi dall'essere incoronata vincitrice.

Quell'ultima scintilla di razionalità che mi resta si estingue al peso di una morte imminente, e non faccio niente per fermare la caduta che mi scaraventa sul terreno. Non sento neppure dolore. Solo un'infinita sensazione di pace. Chiudo gli occhi e spero che almeno Potter, per quanto lo odi, possa andare avanti. Non per la sua sopravvivenza, non perché tengo a lui, ma per la mia famiglia, che mai, nemmeno una volta nella vita, ha avuto la pancia piena.

Poco prima di scivolare verso lidi lontani, molto più lontani dell'arena, catturo il suono confuso di passi in avvicinamento. Apro gli occhi, ma la vista è quasi del tutto guasta: l'ultima immagine di questa vita è quella di un paio di scarponi schizzati di fango ed erba strappata che si aprono la via a calci tra gli arbusti bassi, puntando velocemente verso di me.

 

La prima goccia d'acqua mi brucia la gola come se fosse fuoco liquido. Ne ho disperatamente bisogno, ma allo stesso tempo vorrei tossire, rifiutarla, allontanarla.

Con quelle che vengono dopo va un po' meglio. Notevolmente meglio, in effetti. Alzo le mani alla cieca e sento una borraccia sotto le dita; la premo contro la bocca e il timido refolo d'acqua diventa un fiotto che mi cola sul mento, che rischia di affogarmi, ma, se possibile, inclino il recipiente ancora di più, perché sono positivamente certa di poterne inghiottire tutto il contenuto in un paio di sorsi.

Qualcosa, o qualcuno, però, la strattona via da me. Una voce distorta e lontana mi sembra che stia dicendo di andarci piano, che di questo passo sarà peggio e che dovrei saperlo. In realtà, non conosco altro che questa sete bruciante, dolorosa, che sento il bisogno vitale di estinguere.

«Ancora» dice una voce gracchiante e distorta. Mi spavento, sobbalzo, e solo quando il corpo inizia lentamente ad assorbire i liquidi di cui aveva così bisogno capisco che quella voce è la mia. Che sono Lily Evans, il tributo femmina del Distretto 12. Che quest'odore di pini che sento non viene da oltre la recinzione che abbraccia il distretto, ma dall'arena degli Hunger Games in cui sono stata scaraventata.

Che la persona che così premurosamente mi ha offerto l'acqua è James Potter.

Per un attimo, quello che i miei occhi provati registrano mi sembra incoerente. Manca qualcosa, un dettaglio lampante che non riesco però a cogliere. Lo osservo, con il poco di concentrazione di cui dispongo, ma alla fine è lui a venirmi incontro.

«Mi hanno fatto qualcosa, mentre l'Hovercraft mi portava qui. Adesso ci vedo perfettamente2» spiega e non posso non cogliere un fondo di soddisfazione. La sola idea che Potter possa apprezzare qualcosa di anche solo vagamente correlato a Capitol City mi dà la rabbia necessaria a puntellarmi sui gomiti e guardarmi intorno. Ho perso i sensi poco dopo l'alba, questo me lo ricordo. A giudicare dalla luce e dal colore del cielo, deve essere trascorsa l'intera giornata. Tuttavia, il posto non è quello giusto. Non è qui che mi ero fermata.

«Mi hai portata tu, qui?» domando, ma la risposta cessa di interessarmi quando il morso della fame mi toglie l'aria dai polmoni. L'acqua che pensavo mi avesse aiutata in realtà ha peggiorato le cose, risvegliando i sensi e i nervi e la pancia vuota da troppi giorni. Provvidenzialmente, James cerca in una sacca che porta agganciata alla cintura – sospettosamente simile a quella che ho cercato di prendere al momento del gong – e tira fuori un pacchetto di frutta essiccata ancora sigillato.

«Datti da fare».

Nonostante il sorriso storto e arrogante, l'invito sembra sincero. Eppure, esito, sospettosa. Perché sta facendo questo? Si sta attenendo al copione che lui stesso ha fornito al nostro mentore? È stato Albus ad ordinarglielo, o agisce di sua iniziativa? E soprattutto: fino a che punto posso fidarmi? Il manico di un pugnale, che fa capolino dal bordo del suo scarpone, non mi aiuta. Mi domando se la lama non aspetti altro che tagliarmi la gola. Mi domando quale sia il suo piano – perché è certo che ne ha uno. Mi domando a che gioco stia giocando.

Mi domando un sacco di cose e non riesco a trovare alcuna risposta.

«Coraggio, Evans. Non sono avvelenati».

«È stato Albus a dirti di fare così?»

«Così come?»

«Trovarmi, aiutarmi... Fa parte di qualche piano, vero?» Forse dovrei essere più discreta, considerato che, ne sono certa, in questo momento ho almeno tre telecamere puntate addosso (perché gli innamorati nemici si sono finalmente ritrovati e questo, forse, ha addirittura la precedenza su qualsiasi combattimento), ma il poco di energia che ho riguadagnato mi rende imprudente, avventata, desiderosa di districarmi da questo gomitolo di bugie e finzione e trovare almeno una cosa che sia vera. Come le intenzioni di Potter, per esempio.

Potter, che si limita a fissarmi per un lunghissimo minuto. A quel punto, quando apro la bocca per protestare, si sente in dovere di fare qualcosa di adatto alla sua persona, qualcosa di estremamente inadeguato, stupido e irrispettoso, come chiudermi una mano sulla nuca e premere la bocca sulla mia.

Sono così sbalordita che non reagisco nemmeno e resto a fissarlo come un'imbecille quando si scosta, apre il pacchetto di frutta e mi spinge un pezzo di arancia essiccata tra le labbra. La mastico e la inghiottisco automaticamente. Per ultima, e finalmente, arriva l'indignazione.

«Non osare farlo mai più Potter, o quel pugnale che tieni nello scarpone finirà proprio qui» e con l'indice traccio un sorriso sul collo, da parte a parte.

«Bene, ma adesso mangia». Non si prende neanche la briga di darmi veramente retta.

La fame si fa più forte del dubbio e del sospetto, mi si scaraventa addosso come un'entità viva e nei cinque secondi successivi mi sto già ficcando in bocca tutta la frutta essiccata, inghiottendo quasi senza masticare, al punto che Potter è costretto a battermi dei colpi sulla schiena quando rischio di soffocare perché un pezzo di mela secca si è piantato in gola e rifiuta di schiodarsi. Bevo altra acqua, molta altra acqua, e i sintomi della disidratazione e della penuria di cibo iniziano lentamente ad allentare la morsa e lasciarmi respirare.

Dopo una quantità di tempo che non saprei definire, un colpo di cannone risuona fragoroso e l'ultimo pezzo di pera essiccata che sto per mangiare mi scivola di mano, ruzzolando per terra. Potter ed io ci guardiamo e, per una volta, i suoi occhi sono pieni di angoscia.

So a cosa sto pensando.

Durante le sessioni di allenamento non è sfuggito a nessuno il modo in cui abbia familiarizzato con il tributo del Distretto 5. Mi sorprende, anzi, che non abbiano stretto un'alleanza; forse non ne hanno avuto l'occasione. Il bagno di sangue deve aver rappresentato un ostacolo insormontabile. Ma è chiaro che adesso non può fare a meno di domandarsi se il cannone abbia sparato per lui. Forse è meglio così: non so fino a che punto Potter avrebbe il coraggio di ucciderlo, se il campo si riducesse a noi e lui.

Chiunque sia, ad ogni modo, lo scopriremo stasera. Fino ad allora non possiamo che rimetterci in forze e pensare ad una strategia, perché è chiaro che siamo alleati, ormai. Per quanto l'idea mi stia stretta, devo ammettere che Potter è in gamba, se è riuscito a procurarsi armi e cibo senza riportare alcun graffio. Inoltre, sebbene mi stia sforzando di passarci su, mi ha salvato la vita e questo è il genere di cose che proprio non si possono dimenticare. È un enorme debito che non riuscirò mai a ripagare del tutto.

«Sta calando la notte. Togliamoci di qui, forza» e mi strattona per un braccio, rimettendomi in piedi senza alcuna difficoltà. Mi sento ancora abbastanza instabile sulle gambe e la testa gira in cerchi concentrici molto lenti, ma se camminiamo piano non dovrebbero esserci problemi. In ogni caso, che altra scelta abbiamo? Potter ha ragione, dobbiamo assolutamente renderci fuori dalla portata dei Favoriti. Ho abbastanza esperienza, in fatto di Hunger Games, per sapere che la notte è il loro momento preferito per andare a caccia.

Gli permetto di sorreggermi per la vita mentre ci addentriamo nel folto del bosco. Sembra abbastanza sicuro dalla direzione da prendere e, siccome ormai è ufficialmente il mio alleato, non protesto. Mi sprona a camminare, anche e specialmente quando la vista mi si annebbia e mi sento prossima allo svenimento. Non mi sono ancora ristabilita e so per certo che il mio corpo mostrerà i primi segni di ripresa solo tra molte ore.

Qualche centinaia di metri dopo è chiaro che non posso più proseguire. Le ginocchia vibrano come se un terremoto le stesse scuotendo e, infine, cedono. Rischio di trascinare Potter nella mia caduta, ma le sue braccia sono forti abbastanza da sorreggermi.

«Oh, no, Evans, non pensarci nemmeno. Sono bello, giovane e aitante, ma non abbastanza forte da trascinarti – sei tutt'altro che un peso piuma, lascia che te lo dica. Su, coraggio, respira. Ecco, così. Dentro e fuori, dentro e fuori. Bene, bene. Meglio?»

Neanche un po', ma la sua frecciata gratuita mi ha irritata abbastanza da ridarmi un po' di vigore e rialzarmi, seppure ciondolando come un'ubriaca. Ad ogni modo, ha ottenuto quel che voleva e ne va fiero. Mi lascio guidare fino alla base della quercia più grande e massiccia che abbia mai visto in vita mia. Non riesco a scorgerne la sommità, non c'è abbastanza luce, ma sono sicura che oltrepassi abbondantemente i trenta metri . Il fogliame è così fitto, modellato in un cupola compatta e uniforme che non riesco a immaginare come sia possibile trovare uno spiraglio per quello che penso Potter voglia fare, finché lui non inizia a battere il perimetro dell'albero, fermandosi davanti a quello che, nel buio, sembra un buco nero e vuoto, spalancato su un mondo parallelo. Mi spinge al suo interno di peso, smuovendo poi i rami affinché coprano l'ingresso.

Non c'è molto spazio.

A dire il vero, ce n'è appena per stare accovacciati, gomito a gomito. Le foglie premono da ogni lato, ma non è soffocante come pensavo sarebbe stato. A dire il vero, c'è qualcosa di rinfrancante nel loro sussurro, nel loro tremore contro la pelle. Mi rendo conto che questo buco ci proteggerà dal freddo della notte e dagli occhi dei nostri nemici e improvvisamente vorrei dirgli grazie. Grazie per avermi trovata, salvata e protetta. Una tale mossa da parte mia non farebbe che fomentare gli animi a Capitol City, perché so che in questo momento una telecamera ci sta riprendendo: questa bolla nera non è il prodotto del lavoro di Potter, né della natura. Questo è un rifugio misericordiosamente offerto dagli Strateghi. Se poi nasconda delle insidie mortali, è presto per dirlo. E in ogni caso, non penso che sarebbe un bene per lo show eliminarci, a questo punto. Penso che questa sia la migliore protezione di cui io e Potter godiamo, per quanto labile e volubile sia. Non c'è niente di male a volerla rafforzare un pochino.

«Ehi, James» lo chiamo, sforzandomi di pronunciare il suo nome per quella che deve essere la prima volta nella vita (sicuramente la prima in sua presenza) e dal fruscio che proviene dalla mia sinistra capisco di aver ottenuto tutta la sua attenzione. «Grazie».

«Ringraziami quando tornerai a casa, Evans».

Aggrotto la fronte nel buio. Ma di che sta parlando?

«Pensi davvero che io possa vincere questa cosa?» Deve saperlo che non ho alcuna possibilità, che le mie abilità sono scarse e limitate, che non ho alcuna competenza in fatto di armi, che riesco a procurarmi del cibo solo dove le mie conoscenze incontrano le piante giuste.

«Io so che tu vincerai questa cosa. Perché accidenti credi ti abbia salvata, altrimenti?»

Rido. È così assurdo e lui così serio che non posso farne a meno. Siamo onesti: perché mai James Potter dovrebbe prendersi la briga di lottare e morire per me? I telespettarori penseranno che sia per il suo amore di lunga data, ma non è così. Potter non mi ha mai amata. La sua è una fissazione, una specie di ossessione. La frustrazione per non aver fatto cadere ai suoi piedi l'ennesima ragazza. Il desiderio bruciante di aggiungermi alla sua collezione di trofei. Né più né meno. Potrà anche aver convinto mezzo Paese, ma io la so più lunga di tutti loro.

«E cosa farai, per farmi vincere? Ucciderai tutti gli altri e alla fine ti toglierai la vita tu stesso?»

«Qualcosa del genere, sì».

Questa conversazione non ha né capo né coda. Chiaramente siamo entrambi provati dalla fatica e dalla stanchezza; non siamo lucidi. Domattina, alla luce del sole, riusciremo a vedere le cose in maniera più razionale e veritiera. Domattina prenderemo coscienza del fatto che prima o poi questa alleanza si spaccherà e uno di noi dovrà essere più veloce dell'altro.

Ma fino ad allora, mi dico, dormi.

Ed è quello che faccio.

 

 

Il sole è un cerchio perfetto disposto sullo zenit quando i Favoriti ci trovano. Succede così silenziosamente e così velocemente che, in un primo momento, penso si tratti di un sogno ad occhi aperti, o di un'allucinazione.

L'attimo prima spiego a Potter quali piante raccogliere e quali no, quale bacche sono commestibili e quali, invece, se lo porterebbero via in trenta secondi, e quello dopo mi ritrovo con la schiena premuta alla sua, a girare lentamente sul posto, fissando in faccia, uno ad uno, i nostri nemici.

«Bene, bene, bene» cantilena il ragazzo biondo del Distretto 2, la voce strascicata e gli occhi grigi freddi e implacabili che ci soppesano come un gatto davanti al topo. È così sicuro delle proprie possibilità e della propria vittoria che la lancia che stringe punta al cielo, indifferente e apparentemente innocua: non ha fretta di ucciderci. Bellatrix, al suo fianco, è meno rilassata; le dita si agitano continuamente sull'impugnatura del coltello, come se temesse di perdere la presa. I suoi occhi guizzano da me a Potter e, chiaramente, non vede l'ora di ucciderci. C'è qualcosa di folle, in quello sguardo, qualcosa che risveglia la paura che mi ha lasciata paralizzata e sudata la notte stessa della Mietitura, mentre il treno ci portava verso la capiale e mi sembrava di dover morire lì, in quel letto soffice e caldo, tanto il cuore mi batteva forte.

Dietro di loro, il ragazzo dell'1 e la ragazza del 2, se ne stanno fermi e silenziosi, osservando la scena come se ne fossero profondamente annoiati3. Sto ancora cercando di capire come abbiano potuto tenderci un'imboscata così ben riuscita, senza che io né Potter avessimo il sentore di alcunché, quando lui spinge indietro i capelli e si rigira il pugnale tra le dita.

«Bello vedervi, ragazzi. Vi state divertendo?»

«Molto, effettivamente. Ma siamo un po' troppi, per i miei gusti».

È in quel momento, sentendo i muscoli di James tendersi come cavi d'acciaio, che capisco che qualcuno sta per morire. Vorrei gridargli un avvertimento, fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma ho solo una mano piena di bacche velenose e l'altra serrata sulla giacca di Potter. In più, è come se avessi perso completamente la capacità di parlare.

Poi, tutto succede così in fretta che indietreggio, ansimo, il sangue mi schizza sugli scarponi e non capisco, non capisco, non capisco. Il mondo è pervaso di incoerenza. L'attimo prima il biondo del 2 ci guardava con aria di trionfo e adesso trema violentemente con un coltello conficcato profondamente nella gola. La ragazza del suo distretto urla, lo scuote, ma James è rapido come non pensavo un essere umano potesse essere e la lancia del suo compagno si pianta nel suo addome, trapassandola da parte a parte. I due colpi di cannone che seguono se li portano via definitivamente.

Da qualche parte dietro di me, inspiegabilmente, il ragazzo dell'1 si tiene lo stomaco con le mani, ma ciononostante, il sangue fiotta a fiumi, facendogli rapidamente perdere colore. Per terra accanto a lui, scorgo un coltello del tutto simile a quello di James. E poi capisco: il mio alleato era più armato di quanto avesse dato ad intendere. Da qualche parte, deve essersi procurato quel piccolo arsenale.

Urla il mio nome e mi giro appena in tempo per afferrare la lancia che tirato nella mia direzione.

«Attenta!» fa per raggiungermi, ma mi volto e il ragazzo dell'1 è qui, ad una spanna da me, con il coltello in mano e la pancia squarciata. È in fin di vita, ma è chiaro che non vuole andarsene da solo. La lancia che stringo lo trova ancor prima che io abbia il tempo di pensare qualcosa. Tossisce, schizzandomi del sangue in faccia. Non capisco. La lancia era ferma nella mia mano, non ho mai voluto puntarla in avanti per ucciderlo. E allora giro appena la testa e vedo James dietro di me e le sue dita chiuse sull'estremità dell'arma.

Sta per formulare una domanda, ma poi si irrigidisce, mi scansa di lato e si volta, lanciando con violenza l'unici coltello che gli resta contro Bellatrix. La lama si conficca appena sotto il cuore, ma lei la estrae come se fosse di gomma e, realizzata la situazione catastrofica, scappa via, scomparendo nel folto della foresta, accompagnata dal rombo del terzo colpo di cannone. Quanto a me, sto ancora cercando di capire come sia potuta sopravviere a ben tre Favoriti senza riportare nient'altro che qualche schizzo di sangue – non mio, tra l'altro – ma i miei occhi sono ipnotizzati dal sangue che continua a colare dal ragazzo del Distretto 1. Ho già ucciso, in precedenza, ma questa è la prima volta che lo faccio in maniera così... brutale. La pianta urticante che è costata la morte a due tributi mi sembra infinitamente misericordiosa, al confronto.

Poi, all'impovviso, mi colpisce la consapevolezza che sia stato James a fare tutto questo. Che lui abbia combattuto ed eliminato tre dei Favoriti. La sua abilità, la sua forza e la sua mira erano tutte cose che non conoscevo. Dove accidenti ha imparato, se durante le sessioni di addestramento non ha fatto altro che bighellonare con il capellone del 5? Deve essere qualcosa che si è portato da casa, qualcosa che ha affinato nel corso del tempo, di molto tempo. Forse è correlato alla drogheria della sua famiglia che, tra le altre cose, spesso si occupa anche di macellazione.

Ad ogni modo, sono sbalordita. E pensare che gli Strateghi non gli hanno dato più di un sette! È chiaro che ha celato le sue carte di proposito. Se avesse voluto, avrebbe guadagnato un dodici, ne sono sicura.

Sto per dirgli che è stato incredibile, ma quando incontro il suo viso bianco e la maniera disarticolata in cui il respiro esce dal suo naso vengo pervasa da un terrore cieco, quasi più intenso di quello che ho provato al momento dell'estrazione del mio nome.

«James» lo chiamo e tasto il suo corpo, aspettandomi una chiazza bagnata e calda di sangue, ma non trovo nulla. Questo mi terrorizza ancora di più.

«Non capisco. Cosa ti è successo? Cos'hai?» lo scuoto, ma lui fa una smorfia di dolore, arretra e tossisce.

Il sangue mi schizza il colletto della giacca e la pelle.

Penso di stare impazzendo perché non c'è niente che indichi un danno di tale entità, ma poi lo vedo allungare una mano dietro la schiena, sussultare e riportarla lungo un fianco, dove un coltello gocciola sull'erba. Lo riconosco dall'impugnatura.

«Bellatrix» sussurro, ma suona come una sentenza di morte, perché in quel momento James si accascia e giace supino. Una larga macchia scura va allargandosi sotto di lui. Mi inginocchio, tengo le mani sollevate sul suo petto e mi sento impotente, schiacciata dalla piega che hanno preso gli eventi, sconvolta e sotto shock.

Quando capisco che stasera il cielo si animerà anche del suo viso, sento gli occhi riempirsi di lacrime. Potter è uno sbruffone, un arrogante e un presuntoso, sempre convinto che gli altri debbano adularlo e lodarlo, ma è il mio alleato, mi ha salvato la vita e non voglio che muoia. Voglio che tutto questo finisca, che i Giochi finiscano. Voglio che un hovercraft venga qui e ci riporti a casa, nel Distretto 12. Lo guardo, ma sul suo viso c'è un'urgenza che non riesco a spiegarmi.

«Questo è il massimo... che ho potuto fare» rantola e gli faccio segno di tacere, ma lui scuote la testa e insiste. «Uccidi... lei. Trova... modo... di avvelen-- gli al-tri» ansima, spezzando frasi e parole.

«Vinci» mi ordina e, per un attimo, la voce suona chiara e limpida. L'ultimo desiderio del condannato a morte. A quel punto rilascio le lacrime che tanto mi sto sforzando di trattenere e cerco di prendergli la mano, ma lui rifiuta.

«Vai».

«Cosa?» Come può chiedermi questo?

«Non voglio... che... che... tu ve–da».

«Io resterò qui».

«Ascolta... ascoltami». Deglutisce, ma poi tossisce e nuovi schizzi di sangue mi raggiungono il polso, le dita, le unghie. Il suo tempo sta finendo e io non voglio, non voglio che finisca. Sento il cuore battere così forte che pare sul punto di spezzarsi. Mi tremano le mani mentre gli scosto i capelli sudati dalla fronte. La pelle è già coperta di sudore gelido.

«Voglio che mi ricordi da vivo» ansima in fretta, tutto insieme, come se temesse di perdere quel poco di lucidità e vita che gli restano senza trasmettermi il messaggio. Sto scuotendo la testa perché non mi muoverò da qui, ma la sua mano si chiude sulla mia e spinge debolemente. Vai, sillaba, senza più forze. Per favore.

E poi annuisce e all'improvviso i suoi occhi sono più lucidi. Ma lo conosco: è forte, e testardo. Non piangerà, non finché resto qui. Vuole darmi la possibilità di essere lontana quando rilascerà le lacrime e si arrenderà, aspettando che faccia buio. Non posso restare perché, in qualche modo, capisco che questa è la sua vera, ultima volontà. Sta ancora cercando di tenermi al sicuro, di farmi allontanare da lui, perché teme che Bellatrix sia ancora qui, appostata da qualche parte.

Sta ancora cercando di onorare la folle strategia che, adesso, mi è clamorosamente chiara. Quello che mi ha sussurrato nell'intimità di una bolla di foglie era vero, dalla prima all'ultima parola: è entrato in questo posto con il preciso proposito di salvarmi la vita e darmi una possibilità di vittoria. E questo non è il gesto di uno che è invaghito.

Questo è il sacrificio di uno che è innamorato.

I rimorsi e i mille ricordi che adesso esigono di essere rivisti sotto una luce diversa non fanno in tempo a addensarsi che gli sbatto la porta in faccia. Non è questo il momento di fustigarmi per la mia cecità. Avrò tempo per piangere e lasciarmi sommergere dal dolore. La notte mi troverà fin troppo in fretta.

Incurante delle lacrime e del naso bagnato, mi chino fino a poggiare un bacio umido e ansimante e lacrimoso sulle sue labbra. Lui mima una risata e per un attimo penso che sia davvero felice. Penso di dirgli qualcosa, ma non esistono parole nel linguaggio umano adatte a questo congedo, a questa separazione. Così, semplicemente, passo le dita tra i suoi capelli, come aveva il vizio di fare lui, e mi alzo, camminando adagio verso il nostro primo e ultimo riparo. Cerco di resistere alla tentazione di voltarmi, di dirmi che non è quel che vuole lui, ma non ci riesco. Mi fermo e mi giro appena, una metà del corpo rivolta al bosco e una a lui. Distinguo solo la sua sagoma rannicchiata e le sue labbra modellare una parola: il mio nome. Lily.

A quel punto, comincio a correre. Corro e travolgo ogni pianta, fiore o animale che si trova sul mio cammino. Mi lascio una scia di distruzione alle spalle, ansimo e singhiozzo come un bambino che è appena rimasto solo al mondo, mi tengo una mano sul cuore perché fa così male che, sono sicura, deve essersi spezzato definitivamente quando mi sono piegata per baciarlo.

Corro, corro e dimentico tutto tranne il sacrificio di James.

Il cannone spara.

Corro anche più forte.

 

 

 

____

 

 

 

 

Note:

1. Per esigenze meramente narrative, mi sono presa la libertà di togliere a Bella qualche anno.

2. Nel libro, Katniss riflette che nessun ragazzo ha dei peli sul corpo e ipotizza una sorta di intervento medico. Ho preso spunto da questo per far guarire James dalla sua miopia, che sicuramente sarebbe stata un bel problema per la sua sopravvivenza!

3. I Favoriti di cui si parla sono, in ordine, Lucius Malfoy, Antonin Dolohov e Narcissa Black – il cui legame di parentela con Bellatrix, anche qui per esigenze narrative, è stato annullato.

+1: Il fatto che Lily, nel suo universo madre, sia così portata per le Pozioni, quindi brava a riconoscere ingredienti (tra cui le piante), l'ho traslato in una conoscenza simile a quella di Katniss, non sapendo come altrimenti adattarlo.

   
 
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