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Autore: Lady Stark    14/12/2015    3 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter I 

La puzza del fumo era asfissiante. La cenere danzava nel cielo, sollevata dal lieve alito di vento che spirava da sud. I soldati camminavano audacemente in quel mare di distruzione e dolore.

Travi, simili a denti spezzati, si ergevano dai ruderi delle case, fagocitate dalla furia dell'incendio. Gatti dal pelo strinato si aggiravano con circospezione tra gli scheletri delle abitazioni, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

Le nuvole gonfie di pioggia attraversavano pigramente la volta celeste, oscurando una smunta falce di luna.

L'odore del temporale già permeava l'aria, nascosto da quello della distruzione.

Il cielo si preparava a piangere i suoi caduti.

«Sarà una serata divertente, vedrà.» un soldato gli passò accanto e, sorridendogli in modo confidenziale, passò oltre per raggiungere suo compagno.

Le voci profonde dei militanti si diffusero nell'aria immobile, simili a piccoli tuoni.

Sembrava quasi che gli unici esseri viventi rimasti su quel terreno arso dal fuoco fossero loro. L'ufficiale si guardò attorno, avvertendo un fastidioso senso di disagio alla bocca dello stomaco.

Non avrebbe voluto essere lì, ma il suo superiore gli aveva categoricamente ordinato di andarsi a divertire. Incatenato da quell'inflessibile comando, non aveva potuto opporre resistenza, ed i suoi soldati l'avevano trascinato in quel sobborgo che puzzava d'urina. Un numero imprecisato di ubriachi vagavano per le strade sventrate, brandendo tra le mani bottiglie di vino scadente.

Tutte le taverne che incontrarono lungo il cammino emanavano un tanfo rivoltante.

Una donna dalle curve prosperose fece l'occhiolino ad uno dei soldati del loro piccolo contingente che, tentato dalla sua lussuriosa bellezza, cominciò a mandarle baci appassionati.

«Squallido.» borbottò il comandante, calcandosi il berretto sui capelli per proteggersi dall'attacco di quegli sguardi languidi.

«Che si aspettava? Siamo nel quartiere a luci rosse, dopotutto. Qui si raggruma tutta la feccia della città.» commentò un soldato poco distante da lui, dando una rapida scrollata di spalle.

A giudicare dalla posizione delle sue spalle e dall'espressione arcigna che aveva stampata in viso, neanche lui doveva particolarmente amare quel luogo.

Len si sentì leggermente confortato.

Quando, in fondo alla strada, i militanti scorsero il locale per cui erano partiti in tutta fretta dalla base, un ululato selvaggio si levò tra le file. Lussuria, brama e voglia di divertirsi cominciarono a serpeggiare materialmente attorno al comandante, assumendo le fattezze di uomini che si sfregavano impazienti le mani o di individui che schiamazzavano nomi di superalcolici. Dando ascolto agli entusiasti discorsi dei suoi compagni, Len si era immaginato il locale come una costruzione sontuosa, protetta da efficienti guardie all'ingresso.

Non appena i suoi occhi si appuntarono sull'edificio, la sua sciocca aspettativa si sgretolò come sabbia secca.

Quello che si ritrovò di fronte invece non era altro che una casa più grande delle altre, costruita di mattoni cotti e legno ormai fradicio d'umidità. Le finestre, spalancate nella notte, cigolavano ogni qual volta il vento colpiva i vetri, facendole muovere.

La musica ruggiva nella stanza ad un volume folle, mescolandosi con le cacofoniche voci di coloro che già avevano occupato l'interno.

«Speriamo ci sia ancora posto! Altrimenti, ce lo creeremo.» tuonò qualcuno. Len vide un uomo rimboccarsi le maniche ed ammiccare con fare malevolo in direzione dei suoi compagni.

Il comandante fece finta di non aver notato la palese arroganza che si snodava tra le sue file.

Essendo ufficiale, era compito suo imbrigliare gli istinti più violenti dei soldati, soprattutto quando questi si sfogavano in maniera violenta contro i popoli assoggettati.

Eppure, per quella sera rinunciò all'idea di dover correggere il loro comportamento.

Nell'avvicinarsi all'abitazione, la puzza di fumo si fece via via più intensa; qualcuno tossì coprendosi la bocca con una mano. Sembrava quasi che l'intera struttura stesse andando a fuoco.

Nel varcare la soglia, Len credette di soffocare. Una cappa di fumo aleggiava nell'aria, snodandosi tra i tavoli come un affusolato serpente dalle scaglie di pietra.

Decine di tavoli rotondi saturavano la stanza assieme ad altrettante sedie dagli schienali spezzati. Uomini nerboruti sbattevano i propri boccali sulle superfici di legno martoriato, rovesciandone il contenuto. La schiuma aveva formato grumi biancastri al centro e sui bordi dei tavoli dove qualche fetta di pane e carne essiccata era stata mangiucchiata con noncuranza.

Cameriere dall'aria disperata si destreggiavano tra sedie e mani insolenti che si insinuavano lì dove il pudore avrebbe dovuto bloccarle. Una ragazza passò loro accanto, guardandoli con un certo timore.

Len fu l'unico ad accorgersene tanto i suoi uomini erano presi dalla ricerca di un posto a sedere.

«Signore, lei è..»

«L'ufficiale Kagamine.» rispose il giovane, completando le titubanti parole della servetta. Lei, stringendo al petto il vassoio di legno, gli fece cenno di seguirla.

«La stavamo aspettando. Venga con me, la prego.»

Len, sbattendo stupito le palpebre, fece cenno alla sua scorta ed insieme si accodarono alla ragazza.

Il tavolo che gli era stato riservato era il migliore di tutti quelli presenti.

Posta esattamente di fronte al palcoscenico, la sbozzata tavola di legno era stata distanziata di qualche metro dal mare di gente che schiamazzava, richiedendo birra a gran voce.

«Prego. Spero sia di suo gradimento, signore.» la ragazzina cominciò a strofinare energicamente un panno umido contro la superficie di legno irrimediabilmente macchiata, scoccando un sorriso titubante al generale. Len non rispose, limitandosi ad esaminare il palco che aveva di fronte.

Era una semplicissima struttura fatta di assi e piccoli pezzi di metallo nero; un paio di scalini malmessi permettevano di salirvici e di raggiungere così il retroscena, accuratamente coperto da un drappo.

«Cosa posso portarle, generale?»

«Niente, grazie.»

«La nostra birra è una delle migliori che lei possa trovare nel paese.» insistette la ragazzina mettendo in mostra un sorriso dolce come il miele.

«Portane due ai miei uomini.» Len appoggiò il gomito contro il bordo del tavolo, tentando di non pensare al lerciume che lo imbrattava. I due soldati alle sue spalle rimasero dignitosamente in silenzio, anche nel momento in cui le birre scivolarono sotto i loro nasi.

«Questa è una serata di festa, uomini. Bevete pure.» Il generale lanciò una rapida occhiata ai due militanti che, con la brama negli occhi, stavano ancora fissando il liquido ambrato nel boccale.

Improvvisamente, le luci si spensero ed il buio inghiottì la stanza.

La mano di Len scattò istantaneamente verso il fianco destro, lì dove l'elsa del pugnale premeva contro la sua carne. Prima che i suoi allarmismi potessero però prendere piede, un occhio di bue illuminò il palcoscenico, rivelando la sensuale silhouette di cinque ballerine.

Erano immobili, tutte nascondevano il proprio viso tenendo la testa chinata in avanti; le braccia pallide erano spalancate verso l'esterno.

Nel giro di un battito di ciglia, il caos si placò.

La frizzante melodia che aveva rallegrato l'atmosfera venne sostituita da sinuose ed accattivanti note di pianoforte. La stanza sembrò entrare in apnea.

«Siete pronti?» furono sufficienti quelle due parole sussurrate per accendere il cuore di pietra dell'ufficiale. Senza rendersene conto, l'uomo si chinò in avanti, appoggiando una mano contro la coscia fasciata dai pantaloni scuri. Il suo autocontrollo andò in fumo, liberando tutti gli istinti ferali che generalmente riusciva a controllare mediante la sua ferrea autodisciplina.

Mai nessuna donna aveva generato in lui una tanto folle reazione.

La ballerina centrale sollevò di scatto la testa, rivolgendo alla sala un magnetico sguardo turchese. I capelli color miele ondeggiarono attorno al perfetto ovale del viso, simili a tanti filamenti d'oro arricciati; perle dai riflessi d'avorio si intrecciavano nelle crine, dando all'elaborata acconciatura una sfumatura elegante. D'improvviso, la sinfonia del piano venne sostituita dalla spumeggiante combinazione di vari strumenti musicali. I musicanti cominciarono a pizzicare con enfasi le corde dei propri strumenti e, battendo a ritmo i piedi, diffusero nella sala una scarica d'allegria. Proprio in quel momento, le ballerine si aprirono a ventaglio alle spalle della ragazza dai capelli d'oro, gettando alle proprie spalle mantelli che fasciavano i loro corpi.

Con un sorriso ben stampato sulle labbra, le danzatrici si slanciarono in avanti in nuvole di stoffa colorata e profumo a basso costo. Le complesse pettinature, decorate con fiori e pezzi di quarzo grezzo, sembravano scintillare sotto la luce della sala come frammenti di stelle.

Uomini particolarmente volgari cominciarono a fischiare la propria approvazione ogni qual volta il lembo morbido di un vestito si sollevava più del dovuto, mettendo in mostra spacchi vertiginosi.

Malgrado tutte le danzatrici fossero delle creature di rara e spiccata bellezza, Len non riuscì a distogliere lo sguardo dalla ragazza dagli occhi turchesi.

Il vestito che l'avvolgeva era bellissimo, una vera e propria opera d'arte. Riportante l'idea di una rosa appena sbocciata, i vari pezzi di stoffa erano stati tagliati seguendo la rotondeggiante sagoma dei petali. La gonna era stata cucita in modo da permettere alla giovane di danzare, senza privare l'abito di un delizioso tocco d'eleganza. Alle sue spalle, il tessuto scendeva a lambirle i talloni mentre sul davanti, il lembo della gonna le sfiorava metà coscia. Il corsetto, decorato con gli stessi gioielli finti presenti nell'acconciatura, riportava i rosati decori della gonna.

Due gonfie rose fiorite erano sbocciate ai suoi polsi e, ad imitazione dei loro steli, due serpenti di perline si arrotolavano attorno alle sue braccia.

Len desiderò che lei lo guardasse.

Bramò quello sguardo con tanta intensità da sentire una fitta al petto. I pensieri dell'uomo si fecero minuto per minuto più disperati con il progressivo scemare della musica e la conseguente conclusione dello spettacolo. Le ultime note vibrarono nell'aria, le ballerine si inchinarono contemporaneamente sollevando le falde dei ricchi vestiti.

In quell'istante, i loro occhi si incontrarono.

Fu come se un fulmine a ciel sereno avesse attraversato il cielo; Len rimase folgorato dall'intensità delle iridi di lei.

Bellissime come il più raro dei fiori ruggivano potenza, volontà di rompere quelle catene che la sua povera condizione le imponeva.

Il contatto durò una frazione di secondo ma fu sufficiente per permettere all'ufficiale di comprendere che quella donna era diversa.

Lontana anni luce da tutte le dame che aveva avuto modo di incontrare nel corso della sua breve, ma impegnata vita politica e militare.

Certo, quella ragazza non aveva il fascino delle signorine e signore d'alto rango ma c'era in lei qualcosa che loro non avrebbero mai potuto ottenere con la potenza del denaro.

«Lo spettacolo si conclude qui, miei cari signori.» Un grasso e tozzo oste si fece avanti, mettendosi di fronte alle ballerine che, silenziosamente, sfilarono via per tornare a nascondersi nel dietro le quinte. Len si alzò di colpo quando l'ultimo lembo del vestito della ballerina scomparve dietro il pesante drappo di tessuto. «C'è qualcosa che non va, mio signore?»

L'oste gli si affiancò, sfregando le mani callose, rovinate dal continuo strofinare bicchieri.

A considerare dall'odore spaventoso che emanava, quell'uomo non si lavava da almeno tre giorni.

«Non c'è niente che non va.» L'ufficiale rispose bruscamente.

L'impellente desiderio di raggiungere la fanciulla lo stava facendo impazzire.

Fortunatamente però, questo particolare sfuggì allo stolto che Len aveva di fronte.

Non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se qualcuno avesse captato i suoi pensieri.

Un uomo come lui, così alto locato nell'organizzazione politica, non si sarebbe mai dovuto infatuare di una danzatrice.

Era dannatamente sbagliato eppure, in quel momento, Len non riuscì a curarsi di quel problematico particolare.

Voleva parlare con quella ragazza, anche a costo di far arrestare quel taverniere inopportuno.

«Posso portarle un'altra birra, signore? La nostra è la più buona in circolazione.»

«No, ho bevuto a sufficienza. Però, c'è una cosa che puoi fare per me.»

Len rivolse un'occhiata ai suoi uomini che, cogliendo al volo il messaggio, si allontanarono con i propri boccali di birra e l'abbozzo di un sorriso rilassato sulle labbra.

L'oste tornò a strofinarsi le mani, esibendo così un viscido desiderio di compiacerlo.

«Farò tutto il possibile per soddisfarla, mio signore.»

«Bene. Desiderio visitare il dietro le quinte del tuo locale.» gli occhi del giovane scattarono emblematicamente in direzione del drappo. L'ottuso cervello del taverniere impiegò qualche buon minuto per decifrare quel messaggio sottile, sussurrato in un respiro.

«Le nostre ballerine sono dei veri e propri fiori.. posso capire il suo interesse.» L'uomo ammiccò in modo disgustoso, scoprendo i denti marci in un'espressione lasciva.

«È possibile?»

«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.

Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.

Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.

Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito.

Tuttavia, mai come in quel momento, il sapore del rischio gli era sembrato tanto delizioso. 

   
 
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