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Autore: PuccaChan_Traduce    15/12/2015    7 recensioni
Tauriel salva la vita a Kili durante la Battaglia delle Cinque Armate, alterando per sempre il corso della Storia.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Nuovo personaggio, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

May it be the shadows call
Will fly away
May it be you journey on
To light the day
When the night is overcome
You may rise to find the sun
 Morniл utъliл
Believe and you will find your way
Morniл alantiл
A promise lives within you now


May it Be,  Enya

~
 
Freddo e dolore. Il mondo di Tauriel si condensò attorno a questi elementi, divenne essi.
Stava soffocando nell’oscurità opprimente, i polmoni le bruciavano per il bisogno di aria ma si era spinta troppo oltre, sentiva di non poter vincere quella battaglia.  Però c’era qualcosa... qualcosa al di là di tutto che valeva la pena rammentare. Valeva la pena che tentasse, se solo fosse riuscita a ricordare, che si aggrappasse a essa. Ma non sembrava rammentare neanche il suo stesso nome, per quanto si sforzasse, perciò mise semplicemente da parte quel pensiero. Si abbandonò del tutto, quando in lontananza scorse l’accenno di un calmo oceano e di verdi sponde che la chiamavano, la invitavano promettendole il riposo.
Un lampo di luce apparve dal nulla e lei si ritrasse, spaventata e confusa. Ma la luce la raggiunse, la avvolse completamente e il dolore fu meno intenso.
Stai morendo, disse una voce dolce, ed era come il caldo vento d’estate tra l’erba o il lieve sussurro delle foglie degli alberi in una notte serena. Oh, quanto hai sofferto bambina mia, e me ne dolgo, ma c’è ancora dell’altro che devi fare. Non puoi arrenderti, egli avrà bisogno di te... prima della fine.
Poi avvertì una sensazione insistente nel petto, come se un laccio legato al suo cuore la tirasse su, via da quelle sponde indistinte fino a che non furono scomparse del tutto.
Devi combattere, bambina mia. Non devi arrenderti! Egli avrà bisogno della tua forza, poiché non potrà percorrere questo sentiero da solo.
La sensazione s’intensificò e la luce iniziò a svanire. Il dolore tornò, insistente, avido, e lei si sentì di nuovo quasi deprivata di sè stessa.
Devi combattere!

~
 
Tauriel infranse la superficie dell’acqua ansimando debolmente, mentre una marea leggera la spingeva su di una riva rocciosa. Giacque distesa sulla schiena, con le onde che sciaguattavano su fino alla sua vita e poi si ritraevano, per quelli che poterono essere ore o giorni, cercando di capire cosa le fosse accaduto attraverso i pensieri frammentati e i brandelli di ricordi.
Una bambina che piangeva; sangue nero sulle sue mani, caldo e disgustoso; lei che scivolava sul ghiaccio, raggiungeva, afferrava, tratteneva. E poi... la caduta; freddo... tanto freddo. Ben poco di tutto ciò aveva senso per lei.
Aprì lentamente gli occhi, sentendo le palpebre pesanti e brucianti, e sibilò, sollevando una mano per ripararsi dal riverbero del sole. Era troppo luminoso, il dolore era troppo intenso e il buio si rifece avanti, promettendole sollievo.
Una voce le echeggiò nella mente, come il suono di una campana in lontananza. Non devi arrenderti, figlia delle stelle. Sotto pietra e cielo, egli avrà bisogno di te. Non devi arrenderti!
Il volto di Kìli si fece strada nella sua mente come un faro che infrange l’oscurità, un dolce sorriso sulle labbra e un lampo birichino che gli danzava negli occhi. Fu sufficiente a restituirle la piena consapevolezza e Tauriel si destò con un sussulto, ansimando e tremando mentre tutti i ricordi tornavano al proprio posto e rammentava la tremenda caduta e tutto quel che l’aveva preceduta.
Cercò di spostarsi, e urlò: le costole del fianco sinistro le trasmettevano un dolore lancinante, il polso sinistro era come un carbone ardente sottopelle, e la gamba sinistra una cosa sofferente e contorta che non riusciva nemmeno a concepire. Stordita e dolorante, per poco non collassò di nuovo e costrinse la mente in un luogo remoto e calcolatore, lasciando che centinaia di anni di formazione facessero il punto della sua situazione.
Si era certamente fratturata parecchie costole, riusciva a trarre solo respiri brevi, lenti e dolorosi. Anche il polso e la gamba erano gravemente danneggiati: una rapida occhiata verso la parte bassa del corpo le rivelò che parte del suo femore aveva perforato la pelle e sporgeva dai pantaloni come una macabra appendice, facendole rivoltare lo stomaco. Non riuscì a indursi a guardare il polso, temendo di trovarlo in condizioni ben peggiori e che questo la facesse di nuovo precipitare oltre il precario equilibrio mentale su cui si trovava.
Deglutendo pesantemente, continuò l’esame e concluse che doveva aver sofferto anche di un qualche trauma cranico, anche se la gravità era difficile da individuare e valutare. Quasi ogni parte del suo corpo era preda di dolori di varia intensità e inoltre pativa terribilmente, terribilmente il freddo. L’esperienza le aveva insegnato che gli elementi della natura potevano uccidere come qualsiasi ferita, e di certo lei aveva in abbondanza di entrambi.
Eppure, nonostante l’assoluta impossibilità della situazione, era ancora viva.
Sapeva tuttavia, così come si sa che il sole sorge e la luna brilla, che non sarebbe dovuta sopravvivere a una simile caduta. La distanza era troppo grande e il fiume troppo turbolento. Ciononostante era là, più o meno tutta intera. Ma non sarebbe rimasta in vita ancora per molto, se non trovava riparo e aiuto al più presto. Il sole stava già scendendo oltre la cima degli alberi e la temperatura sarebbe calata rapidamente.
Usando il braccio buono si mise a sedere; subito il dolore alle costole raddoppiò e dovette trarre respiri brevi e rapidi per combattere l’ondata di incoscienza che sentì di nuovo avvolgerla. Lentamente poi si trascinò fuori dal fiume fino a che si ritrovò con la schiena contro un albero. Rimase là immobile per lungo tempo, cercando di recuperare le forze e di ideare una strategia di sopravvivenza.
L’area circostante non le era familiare. Non c’era più traccia delle montagne al di là delle cime torreggianti degli alberi, da nessun lato del fiume, che in quella zona scorreva più tranquillo. Senza sapere per quanto fosse andata alla deriva, era incerta su quanto tempo sarebbe occorso ai suoi compagni per trovarla; poi un pensiero la raggelò.
Forse essi non l’avrebbero cercata affatto.
Kìli, lo sapeva, avrebbe voluto cercarla, avrebbe voluto accertarsi della sua sorte, ma probabilmente gli altri sarebbero stati la voce della ragione. Era impossibile che fosse sopravvissuta a una caduta simile, e anche se fossero effettivamente venuti a cercarla, ci sarebbero voluti giorni per scendere dal passo al fiume e lei si era allontanata troppo. No, riflettè col cuore pesante, i soccorsi non sarebbero arrivati, almeno non in tempi brevi.
Era sola.
Improvvisamente furibonda, Tauriel reclinò la testa contro il tronco dell’albero e strinse i denti, incurante della mandibola che le doleva e cercando di ricacciare indietro lacrime di frustrazione e impotenza. Non voleva morire in quel modo, infreddolita e spersa chissà dove. Una nuova determinazione fiorì in lei, rimproverandola per quei pensieri lugubri e vigliacchi. Era un Elfo del Reame Boscoso e non si sarebbe arresa così facilmente.
E poi Kìli non avrebbe di certo voluto che si arrendesse, avrebbe voluto che lottasse per la propria vita, per lui e per tutto quel che avevano condiviso. Se i loro ruoli fossero stati invertiti lei lo avrebbe cercato finchè non l’avesse trovato, anche se avesse dovuto spingersi fino ai confini di Arda, ma... lui non era lei. A lei non importava più granchè del senso del dovere, tagliata fuori com’era ormai dalla sua gente e dal suo mondo, ma lui aveva un regno da ricostruire e governare. Non poteva abbandonare il suo popolo per cercarla. Toccava a lei ritrovarlo.
Facendosi forza, Tauriel usò un ramo per tirarsi su e urlò di nuovo mentre ogni singola parte del suo corpo le trasmetteva dolori lancinanti, come per protesta, ma si costrinse a restare in piedi. Aveva bisogno di trovare un terreno più elevato, di determinare dove si trovasse e di cercare aiuto. Le sue probabilità di trovare qualcuno in quel deserto erano scarse, ma in fondo la sua intera vita era dovuta alle scarse probabilità e a parecchia fortuna. Sperava solo che questa non l’abbandonasse proprio ora.
Riuscì a trovare il nord, regolandosi con il muschio cresciuto su una roccia vicina, e s’incamminò verso sud. Una specie di fuoco le ardeva nel cuore, relegando il dolore del corpo a proporzioni più accettabili. Non poteva arrendersi, qualcosa nei recessi della sua anima le diceva che Kìli aveva bisogno di lei e che non poteva deluderlo.
Rinvigorita da una nuova determinazione, mosse un passo tremante dopo l’altro fino a che riuscì a muoversi a un’andatura decente, seppur scoordinata. Alla fine, in preda alle vertigini e senza fiato, raggiunse un affioramento roccioso che credeva di riuscire a scalare, se si muoveva piano e con cautela. Il sole iniziava a tramontare, incendiando il cielo e ghiacciando l’aria, e ricordandole che doveva accendere un fuoco non soltanto per il calore, ma per il fumo che poteva condurre qualcuno da lei.
Con grande difficoltà, riuscì a raccogliere alcuni piccoli pezzi di legno ed esche, che mise momentaneamente da parte per strisciare sul dosso roccioso prima che il sole tramontasse del tutto. Le ci volle un bel po’ per scalarlo, tremante com’era di freddo e di spossatezza, e quando crollò con gratitudine sul masso, a occidente era rimasto solo un minuscolo spicchio di sole ancora visibile. Dopo che ebbe ripreso fiato, si rialzò sulla gamba buona e guardò attraverso la coltre di alberi. Le montagne erano alla sua sinistra e il bosco alla sua destra. Si trovava nell’estensione più esterna della foresta, in una zona raramente percorsa e troppo a nord per essere pattugliata con frequenza dalla sua gente.
“Valar, salvatemi,” ansimò Tauriel con disperato stupore, quasi incapace di credere ai suoi occhi.
Aveva viaggiato attraverso il fiume per chilometri e chilometri. Era lontanissima dal passo, troppo per poterlo riattraversare rapidamente; la corrente doveva averla trascinata a valle per almeno un giorno intero, se non di più.
Sentendosi nauseata si lasciò cadere di nuovo sulla cresta, la mente che rincorreva freneticamente un pensiero dopo l’altro. Come aveva potuto sopravvivere a un viaggio simile? Era inconcepibile, e la sensazione di essere completamente sola s’intensificò. L’idea di ritrovare Kìli e gli altri passò dall’improbabile all’impossibile; si guardò alle spalle, sapendo che ormai le sue migliori chance di salvezza erano riposte in coloro che aveva lasciato.
La sua disavventura con Welethen era abbastanza recente da rendere l’idea a dir poco spiacevole, ma sapeva di non avere altra scelta tra una possibile incarcerazione... e la morte. Perfino adesso si sentiva nuovamente vicina all’incoscienza e occorsero tutte le poche forze rimastele per recuperare la legna.
Era quasi completamente buio prima che riuscisse a sprigionare una scintilla abbastanza viva da accendere un piccolo fuoco; vi si raggomitolò vicino, infreddolita e sfinita, e cadde quasi istantaneamente in un sonno inquieto.

~
 
Si svegliò al sorgere dell’alba, sentendosi peggio del giorno prima. La testa le pulsava in un dolore sordo e il polso e la gamba feriti erano terribilmente rigidi, al punto da non poterli quasi muovere. Non senza difficoltà, si mise a sedere.
Il fuoco si era spento, a un certo punto durante la notte, e lei si sentiva nuovalmente infreddolita; anche la fame iniziava a diventare una preoccupazione incalzante mentre si alzava per liberarsi la vescica. Incespicando con i lacci dei pantaloni e usando la mano buona, per poco non svenne di nuovo, ma in qualche modo riuscì a non coprirsi del tutto d’imbarazzo.
Fortunatamente si era tenuta vicino al fiume; dopo aver arrancato verso gli alberi sulla riva, bevve a sazietà nonostante la temperatura gelida dell’acqua e desiderò avere tutte le facoltà intatte per poterne scaldare un po’, in modo da ripulirsi le ferite e bere qualcosa di caldo, ma ogni movimento era una sfida, ogni passo era lungo un chilometro.
Tuttavia si prese del tempo per fare ciò che potè per le sue ferite, anche se dovette sforzarsi di non piangere per le condizioni in cui versavano la mano e la gamba. Il polso era molto indebolito e aveva una strana angolazione, mentre il femore restava sporgente sulla gamba anche se per fortuna aveva cessato di sanguinare. Sentendosi più debole che mai, Tauriel girò la testa dall’altra parte e cercò goffamente di ripulire le ferite, e infine si lavò le mani e il viso; il freddo intenso l’aiutò a restare sveglia e cosciente. Fatto ciò, comprese che doveva rimettersi in cammino se voleva avere qualche speranza di trovare soccorso. Un’altra notte al freddo e senza cibo avrebbe con ogni probabilità significato la fine per lei.
Tenendo nota della posizione di sole e fiume proseguì verso sud, maledicendo la sua scarsa conoscenza della regione; l’ambiente diventava sempre più ombreggiato, la cortina verde sopra la sua testa s’infittiva negli alberi secolari di quello che un tempo era stato Boscoverde il Grande. A lungo la sua terra aveva versato nell’oscurità e nel pericolo, tanto a lungo che lei non riusciva a ricordare un tempo in cui non fosse stato così. Che i Valar l’aiutassero se si fosse imbattuta in ragni o troll, con un solo pugnale a disposizione e praticamente priva di forze. Sarebbe stata un bersaglio facile davvero, specialmente per qualcuno come Welethen, le cui intenzioni restavano inquietanti e misteriose.
Osservò gli alberi e ascoltò il vento, pregando di scorgere anche una lieve indicazione del fatto che qualcuno, chiunque, fosse nei paraggi, ma udiva solo il rovistare delle bestie nel sottobosco e i richiami timidi di un uccello. Sempre più debole in quella zona sconosciuta, stava correndo il rischio concreto di perdersi in quel groviglio di radici e sentieri bui, e trovò ironico il fatto che stesse per trovare la sua fine proprio nel bosco che l’aveva vista nascere.
Ironico, e terribilmente patetico.
Le sue forze scemavano ed era costretta a riposarsi sempre più spesso, a malapena in grado di percorrere un centinaio di passi senza appoggiarsi da qualche parte, per tirare il fiato e cercare disperatamente di restare in piedi. Pensò a Kìli, alle sue mani, al suo sorriso, al suo volto, e usò queste immagini come sprone per andare avanti, per non arrendersi, ma il suo coraggio vacillava come il sole che iniziava a tramontare.
Egli avrà bisogno di te prima della fine, sussurrò una voce, seppur fioca e molto lontana. Non arrenderti... non... arrenderti...

~
 
Ore dopo, calata la notte, Tauriel ancora avanzava.
Null’altro c’era nella sua mente se non l’impulso cieco che la spingeva ad arrancare da un albero all’altro, ma in cuor suo conosceva la verità. Si stava solo trascinando verso la morte, ogni terribile passo la portava più vicina alla fine. E questa consapevolezza le spezzava il cuore, soffocava la sua tempra, strangolava quel poco che restava della sua determinazione.
Non poteva finire così, continuava a gridare una voce sempre più flebile dentro di lei; non poteva aver affrontato tante prove, superato tanti ostacoli per niente! Non riusciva ad accettarlo, ma... aveva tanto, tanto freddo, a tal punto che aveva dimenticato il calore e la luce del sole e cosa significasse non provare dolore nè disagio. Aveva perso ogni scopo oltre al senso dell’orientamento, solo l’urgenza di andare avanti la alimentava ormai, come un sasso che rotola giù da una collina e non può fermarsi finchè non ha raggiunto il fondo.
Il mondo aveva assunto sfumature nebulose ed irreali e cominciò a sentire voci e a vedere facce nel buio, in agguato dietro le rocce e gli alberi. La sbeffeggiavano e ghignavano, sussurrando che era meglio per lui che lei fosse caduta, che se ne fosse andata, e che non era mai stata altro che un’impossibile distrazione.
Ori apparve al suo fianco, fissandola con un’espressione colma di odio. “Saresti stata la sua disgrazia, il suo fallimento. Il tuo egoismo ci avrebbe condannati tutti all’oscurità. Sarebbe stato meglio se l’avessi lasciato morire sul campo di battaglia invece di trascinarlo per un sentiero impossibile.”
Era come essere schiaffeggiata, tanto che barcollò sotto quel colpo emotivo, e cercò di liberarsi dalla visione con un debole movimento del braccio.
Legolas comparve sul sentiero innanzi a lei, il volto e gli occhi oscurati. “Avrei dato l’anima, la vita stessa per te, e tu mi hai respinto per un Nano che ti ha privata di tutto e ti ha lasciata sola. Hai tradito il tuo popolo, hai tradito me...”
“No,” gracchiò Tauriel, stendendo una mano verso il suo viso solo per vederlo svanire. “No, vi prego... io non ho mai, mai voluto far del male a nessuno. Io volevo solo salvarlo...”
Salvarlo?” sogghignò Thranduil dal sentiero vicino, il bel viso illuminato ma l’espressione tumultuosa. “Lo avresti condannato a un destino peggiore di qualsiasi morte.”
 Lei scosse il capo, quasi crollando addosso a un albero, e si aggrappò al tronco come un marinaio in un mare in tempesta. Serrò le palpebre, desiderando che le voci e le visioni sparissero. “No, vi prego, vi prego, lasciatemi in pace. Io volevo solo aiutare, solo salvarlo. I–io lo amo...”
“Che ne sai tu dell’amore?” sbraitò Thranduil alle sue orecchie e lei strizzò gli occhi ancora più forte, barcollando in avanti, cercando di sfuggirgli; ma lui la inseguiva, la braccava. “Ciò che provi per quel Nano aspirante re non è che un’illusione, una falsa infatuazione che ti ha portato a tradire il tuo popolo, a tradire me. Sii grata che i tuoi genitori non sono vissuti per vederti cadere così in basso!”
“NO!” urlò lei aprendo gli occhi e spiccando in una corsa zoppicante. “Lasciatemi in pace! Lasciatemi in pace!”
Improvvisamente la sua gamba rotta inciampò in qualcosa facendola cadere, e strappandole un grido di miseria e delirio quando atterrò sul fianco ferito. Scivolò giù lungo una chinetta e il dolore era così terribile che, quando raggiunse il fondo melmoso, si raggomitolò su sè stessa tremando e singhiozzando.
L’oscurità non si fece attendere oltre, piombò su di lei inesorabile, e Tauriel capì che stavolta non l’avrebbe più lasciata andare. L’accolse a braccia aperte, ansiosa di rivedere quelle verdi sponde e dimenticare il suo dolore.

~
 
Lampi di luce nella notte, simili a stelle che implodono, e voci smorzate, come se si fosse trovata a parecchi metri sott’acqua.
“Cosa può esserle accaduto?” stava dicendo qualcuno; credette di avvertire mani su di sè, anche se forse era più un ricordo che una sensazione tangibile.
“È molto vicina alla morte... non c’è niente che possiamo fare,” ragionava un’altra voce.
“Il suo spirito è sempre stato battagliero, forse se riusciamo a portarla indietro...”
“Siamo a parecchi giorni di viaggio ed è molto probabile che non superi la notte; si sta già spegnendo. Non c’è nulla che possiamo fare, amico mio, mi dispiace.”
“No, no! Io non lo accetto! Dobbiamo tentare. Lei ci riporterebbe indietro di peso se ci trovasse in un simile stato! Non si sarebbe arresa, e non lo farò nemmeno io. Aiutami con questo, potremo coprire una distanza maggiore se–”
Le voci s’infransero come schegge di vetro affilato e scintillante; sprofondò negli abissi, stendendo le mani ma senza trovare nessun appiglio.

~
 
Tauriel galleggiava da qualche parte sopra il mondo, in un posto morbido e senza gravità, e vide quel che avrebbe potuto essere.
Un volto pallido, mani senza vita, occhi che non si sarebbero più riaperti. Una terza tomba eretta in una sala silenziosa e buia, dove solo i morti potevano stare, e un grido lamentoso seguito da un dolore più intenso di quanto lei avesse mai provato, e con esso la certezza che tutta la luce era svanita dal suo mondo, lasciando indietro solo un pallido riflesso. Le stelle non brillavano più per lei, e vagava tra nere ombre. Sola, per sempre.
Vide il mondo cadere nell’oscurità mentre un vasto mare nero si stendeva verso di lei, e udì il suo popolo gemere di nostalgia e paura. Vide i suoi amici – Ori, Gloin, Bofur, Bombur e Dwalin – soccombere a lame crudeli e sconfinata malvagità, il tutto restando da parte, sola e impotente. Da una grande distanza scorse Legolas, circondato da tutti i lati da zanne e artigli, gli occhi imploranti e accusatori fissi nei suoi, mentre tutta quella laida carne lo inglobava.
Devi combattere!
Il mondo si spostò in avanti, come inclinandosi, e lei scivolò verso una luce calda e improvvisa. Voci chiamavano e si sovrapponevano e Tauriel si mosse verso di loro, fino a visionare una scena cara alla parte più fragile e segreta del suo cuore. Così cara e preziosa era per lei che non aveva osato soffermarvisi mai.
In una stanza cavernosa c’era Kìli, splendente con una corona sul capo e assorto in una conversazione con altri Nani. Annuiva, la fronte corrugata mentre ascoltava con attenzione qualcosa che Balin gli stava dicendo, quando all’improvviso la porta si spalancò e una bimbetta dai fiammeggianti capelli rossi irruppe nella stanza, seguita a ruota da una bambinaia trafelata.
Kìli si girò con gli altri udendo il rumore e un ampio sorriso, colmo di amore e tenerezza, si diffuse sul suo volto, così come Tauriel non aveva mai visto, mentre s’inginocchiava per prendere in braccio la bambina. La piccola scoppiò in allegre risatine quando suo padre – poichè la somiglianza tra loro non poteva essere una coincidenza – la fece volteggiare in aria, mentre gli altri osservavano la scena sorridendo con indulgenza. Tauriel si sentì sommergere da un’ondata di bramosia tale che quasi credette di impazzire, mentre Kìli chinava il capo per deporre un tenero bacio sulla fronte della loro figlia.
Era crudele, troppo crudele; non poteva più sopportarlo!
Non devi arrenderti!

~
 
Tauriel si destò sulle ultime note di un canto dalla melodia dolce e triste, che l’attirava verso la realtà con gentile insistenza, spazzando via le sue paure come la nebbiolina in una giornata calda.
Battè le palpebre, poichè il mondo circostante era ancora nebuloso, e finalmente mise a fuoco un volto che conosceva, chino sopra di lei. Rughe di preoccupazione svanirono dalla bella fronte e Thranduil sporse le labbra.
“Siamo già stati qui prima,” osservò seccamente. “Speravo di non dovervi più fare ritorno.”
Ancora disorientata e debole, ella cercò di mettersi a sedere ma una mano gentile la trattenne. Era coperta da morbide lenzuola e distesa su di un materasso di piume, in una stanza semplice ma calda; nulla di tutto ciò aveva senso per lei. I suoi ultimi ricordi erano fatti di oscurità impenetrabile e condanna.
“Non muoverti. Le tue ferite non sono ancora completamente guarite e troppo tempo è stato speso su di esse per permetterti di rovinare un buon lavoro,” disse il Re elfico prima di allontanarsi per versare dell’acqua in un calice d’argento. Con sorprendente tenerezza poi le sollevò il capo e glielo avvicinò alle labbra, sorreggendolo finchè lei non l’ebbe vuotato e ripetendo il procedimento altre due volte.
“Dove mi trovo?” gracchiò Tauriel, sentendosi marginalmente meglio.
“Sei nelle sale del mio regno. Hai dimenticato così in fretta il luogo che un tempo chiamavi casa?”
Lei aggrottò la fronte, la mente che correva alla rinfusa tra un guazzabuglio di pensieri distorti. Conservava frammenti di ricordi e immagini, ma niente di abbastanza concreto da spiegare la sua attuale situazione; ricordava vagamente delle voci, e un sogno... dolce e terribile al tempo stesso... ormai svanito, ma non ancora del tutto fuori portata.
Scosse il capo. “Ma... come?”
“Alcuni esploratori ti hanno trovata e portata qui. E appena in tempo, oserei aggiungere. Eri vicinissima alla morte e in tutta onestà ti ho creduta spacciata, ma non mi sarei mai perdonato se non avessi almeno tentato. E nemmeno, ritengo, l’avrebbe fatto mio figlio, anche se oramai ha lasciato queste sale,” disse il sovrano senza guardarla, fissando invece la notte all’esterno e le morbide luci adornanti gli alberi che costituivano la struttura del palazzo. C’era un’insondabile tristezza nei suoi occhi. “Nel secondo giorno ti è venuta la febbre e ho faticato per quasi altri tre per farla andar via; e dunque... eccoti qui.” Si voltò verso di lei quasi sorridendo, ma la sua espressione restava guardinga. “Il che mi spinge a chiederti... cosa ti è accaduto?”
Non sapeva se fosse perchè si sentiva ancora tanto esausta o per compiacere quell’uomo che un tempo le era stato caro come e più delle stelle, ma Tauriel gli narrò la sua storia. Iniziò dal viaggio attraverso le montagne durante il quale si era imbattuta nella Principessa Dìs: ritenne che fosse meglio non fare menzione della sua disavventura precedente nella foresta. Se ciò che il Re diceva era vero, significava che era trascorsa più di una settimana dalla sua caduta nel fiume. E, con ogni probabilità, ormai i Nani la ritenevano morta.
“Un simile incidente avrebbe dovuto ucciderti,” disse Thranduil gravemente, ricalcando le sue riflessioni; Tauriel desiderò poter sapere a cosa stesse pensando.
“Sì, mio signore, avrebbe dovuto,” concordò.
“Eppure sei qui,” egli continuò, “grazie a un qualche miracolo.” Il suo tono le disse che non credeva del tutto alla sua storia, e sentì una fitta al cuore. Un tempo egli si fidava del suo giudizio senza mai metterlo in discussione.
“Grazie alla tua abilità e gentilezza,” gli rispose a capo chino, sentendosi triste e vergognosa. Da tempo rifletteva su cosa avrebbe detto al suo Re quando lo avrebbe rivisto, ma adesso si accorgeva di non trovare parole in grado di ricucire lo strappo creatosi tra loro.
Forse tali parole nemmeno esistevano.
Il Re sbuffò leggermente. “Può darsi, ma tu hai sempre avuto uno spirito forte; è stato sia la tua benedizione che la tua condanna. Non credere che non abbia saputo del tuo passaggio per le Vie Sotterranee, Tauriel, anche se tu stai chiaramente evitando di menzionarlo.”
Lei rabbrividì al ricordo del viso di Welethen, stravolto e spietato, e delle dita che le si conficcavano nel braccio ferito. “Ti prego, mio signore, posso spiegare. Il Capitano Welethen–”
“È scomparso,” la interruppe lui sbrigativamente, “ed è considerato un fuggitivo dal mio regno.”
Tauriel lo guardò sbalordita e vide la furia ribollente negli occhi di Thranduil, che si alzò e si allontanò da lei. “Quanto il Tenente Curial è venuto a riferirmi del tuo passaggio insieme ai Nani, ho chiesto al Capitano Welethen di condurti da me. Senza i Nani, naturalmente, ho già avuto a che fare con essi a sufficienza da bastarmi per una vita intera, ma volevo parlarti.”
“A proposito di cosa... mio signore?”
Egli si girò di scatto verso di lei. “A proposito della tua lealtà, Tauriel! Oppure hai dimenticato quelli del tuo stesso sangue, hai dimenticato il tuo popolo!”
Ella si ritrasse con un sussulto, ancora debole e disorientata. Voci ostili le spuntarono agli angoli della mente, ricordi del viso del sovrano, infuriato e crudele.
Una mano delicata le si posò sul capo e Tauriel aprì gli occhi, pur non ricordando di averli chiusi. L’ira negli occhi del Re era stata sostituita dalla compassione, anche se ancora aleggiava in essi come un lupo nell’ombra.
“Mi dispiace. Ora non è il momento per questa conversazione. Devi riposare, e io ho altre faccende di cui occuparmi.”
Ella ripensò a Kìli. “I miei compagni... i Nani, di certo mi crederanno morta. Bisogna informarli.”
Thranduil si accigliò brevemente. “Non preoccupartene adesso. Posso mandare qualcuno a informarli, ma per il momento bevi questo e riposa.” E le porse un bicchiere contenente un liquido tinto di verde, che lei prese con riluttanza. Fu tentata di rifiutarsi, ma lo sguardo di lui non lasciava spazio ad argomentazioni e così bevve docilmente: la bevanda aveva un sapore orrendo e Tauriel fece una smorfia.
“Proprio come quando eri bambina,” sospirò Thranduil, di nuovo senza guardarla. “Sei sempre stata terribile nel fare quel che ti veniva detto.”
“Non sempre, mio signore. Ho protetto questo regno, e ti ho servito,” si ritrovò a dire lei, incapace di mettere a tacere il proprio senso di giustizia. “Non ho mai voluto altro che compiacerti.”
Il sovrano si girò a  guardarla: i suoi occhi erano freddi e indecifrabili come il suo viso. “Basta parlare adesso. Riposa; presto parleremo ancora.”
Si voltò e lasciò la stanza senza dire un’altra parola, lasciando Tauriel ai suoi pensieri tumultuosi mentre un’innegabile stanchezza calava su di lei.
Una volta rimasta sola, però, si costrinse a esaminare le sue ferite.
Il polso, strettamente fasciato in molte bende, doleva ancora, anche se non come prima. Si domandò se sarebbe più riuscita a impugnare un arco, a reggere una spada o a salire agilmente sugli alberi, come una volta, e si affrettò a scacciare quel pensiero prima che la sopraffacesse. Ci sarebbe stato tempo per scoprirlo, tempo per guarire. Stringendo i denti mentre i muscoli tiravano e dolevano, tastò altre bende sotto il semplice abito di cotone che indossava, che le fasciavano strettamente il busto per limitare al minimo i suoi movimenti e consentire così alle costole di rinsaldarsi. Era stata fortunata che nessuna avesse perforato i polmoni, o sarebbe morta in poche ore.
Scostando le lenzuola, vide che anche la sua gamba era stata avvolta in spesse bende e bloccata tra diverse assi di legno, e fu sorpresa di scoprire che riusciva a muovere le dita del piede. Sorrise leggermente e poi, forse per la prima volta in vita sua, sbadigliò.
Qualunque sostanza Thranduil l’avesse obbligata a bere la stava inesorabilmente conducendo al sonno, perciò Tauriel si ricoprì alla meglio e si ridistese, sentendosi stranamente languida e come sconnessa. Era però ancora molto preoccupata per quel che il Re aveva detto, e ancor più per Kìli.
Battè le palpebre una volta sola e non aprì più gli occhi fino al mattino seguente.

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Thranduil non tornò il giorno successivo, nè quello dopo, nè quello dopo ancora.
Tauriel vide solo alcuni guaritori e ancelle, pochi dei quali conosceva. Quando chiese di Lurìena, forse una dei più abili tra tutti i guaritori del palazzo, le fu risposto che la sua cara amica era occupata in altre faccende e che non poteva farle visita; e quando chiese del Re, fu praticamente ignorata. Si limitavano a nutrirla, lavarla e accudirla in tutte le sue necessità, quietamente ma con insistenza. Ogni sera la costringevano a bere la disgustosa bevanda che la faceva precipitare in un sonno senza sogni, consentendo al suo corpo di guarire.
Dopo altre due settimane nel palazzo, con la luna che splendeva alta e piena nel cielo, Tauriel era quasi fuori di sè dalla preoccupazione per Kìli e gli altri. Una delle ancelle, una volta provato che riusciva a stare in piedi da sola, le aveva portato una stampella per consentirle di muoversi dalla stanza; l’afferrò con rabbia improvvisa e balzò dal letto. Guardò fuori dall’unica finestra verso le figure che si muovevano lungo i sentieri sottostanti, e capì di essere vicina ai quartieri reali.
Rovistando nel piccolo armadio, trovò un abito di seta blu profondo bordato di pelliccia bianca – di gran lunga il più bello che avesse mai posseduto – e lo indossò, aiutandosi goffamente con la mano buona. Chiamando poi a raccolta tutta la propria dignità, si diresse alla porta e la spalancò, trovandosi faccia a faccia con una guardia armata di tutto punto.
“Sono spiacente, mia signora,” disse l’Elfo; aveva un viso familiare, ma Tauriel non riuscì a ricordare il suo nome. “Ma ti è stato proibito di lasciare questo alloggio.”
Lei si accigliò, un brivido di fredda consapevolezza che le attraversava la spina dorsale. “Proibito? Da chi?”
Conosceva già la risposta, ma essa giunse ugualmente dolorosa. “Dal Re, naturalmente.”
“Ha detto perchè o per quanto tempo?” indagò, mentre la rabbia prendeva il posto della sensazione di tradimento.
La guardia scosse il capo, l’espressione ferma e risoluta. Chiaramente Thranduil aveva scelto apposta qualcuno che lei non conosceva, supponendo non a torto che ella avrebbe cercato di ragionare e uscire. “No, mia signora. Ha solo detto che ti è proibito andartene e che, se avessi bisogno di qualcosa, debbo mandare qualcuno a provvedere.”
“Ho bisogno di parlare con il Re,” sbottò lei, ben conscia che la sua petulanza non avrebbe prodotto alcun risultato, ma dopo giorni di prigionia in quella piccola stanza sentiva i nervi a pezzi.
“Temo che sua maestà non sia disponibile, ma inoltrerò la tua richiesta.” Il tono della guardia le fece intendere che non avrebbe fatto proprio nulla, che non faceva altro che ripetere una tiritera che gli era stata inculcata, e si sentì ribollire il sangue.
“Lo vedrò per conto mio, allora! Non ha alcun diritto di tenermi qui prigioniera,” rispose lei pur sapendo che non era del tutto vero: Thranduil era il Re e come tale aveva ogni diritto. Fece per oltrepassare l’Elfo, ma egli la bloccò prendendola fermamente per un braccio.
“Non desidero farti del male, mia signora, ma sono autorizzato a trattenerti anche con la forza, se necessario,” le disse con voce d’acciaio.
Brevemente, Tauriel passò in rassegna tutti i modi con cui avrebbe potuto neutralizzarlo prima che l’evidenza la inducesse alla ragione: era disarmata e indebolita, e inoltre si trovavano in un’ala molto trafficata del palazzo, in cui parecchie altre guardie avrebbero potuto accorrere in caso di baccano.
La mano dell’Elfo le strinse il braccio con tanta forza da farla contorcere. “Ti prego di tornare dentro, mia signora. Non rendere le cose più difficili di quanto non sia necessario.” Il suo sguardo era intenso e glaciale; non avrebbe trovato comprensione alcuna in lui. Si districò dalla sua stretta e gli permise di riaccompagnarla in camera.
“Non può tenermi qui per sempre,” disse ancora Tauriel, ma la guardia non rispose nulla e chiuse la porta, il cui suono riecheggiò terribilmente forte nel silenzio.

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(Nota della traduttrice): pare che la nostra  Chasing sia tornata a scrivere quasi a tempo pieno, yeee!
Mamma mia però, che colpo questi ultimi capitoli, vero? Ve lo immaginate quanto dev'essere disperato Kìli in questo momento? Non ci posso pensare... T____T speriamo che l'autrice aggiorni presto, e quando lo farà vi prometto che mi precipiterò a tradurre il seguito!
  
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