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Autore: Luce_Della_Sera    15/12/2015    2 recensioni
Tratto dal testo: "Tra il cancello e il capanno c’era un bel po’ di strada, e io dovetti percorrerla con calma pur avendo il forte istinto di mettermi a correre: appena arrivai sulla soglia della porta, però, non potei evitare di urlare. Davanti a me, c’era mio nonno!".
Genere: Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incontro in campagna

“Allora? Vuoi deciderti a svegliarti?”.
Aprii gli occhi a fatica, intuendo, più che vedendo, la figura di mio fratello, chino sul mio letto.
La stanza era buia ma anche fuori, lo sapevo, non era ancora spuntato il sole.
Mi alzai piano, per non svegliare le mie tre sorelle minori, una delle quali dormiva nel mio stesso materasso.
“Ma non è troppo presto? Non è neanche l’alba!”.
Non lo vidi, ma istintivamente seppi che mio fratello aveva alzato gli occhi al cielo.
“Sei la solita smemorata. Ieri avevamo stabilito che saremmo partiti prima di mamma e papà, per far loro una sorpresa!”.
In un lampo, ricordai. Quello per me sarebbe dovuto essere il primo giorno di lavoro nei campi: i miei genitori avevano deciso di mandarmi a scuola in modo che potessi imparare a leggere e scrivere, ma avevano ritenuto che per una bambina la prima elementare fosse sufficiente; così, a sette anni ero pronta ad andare ad aiutarli.
Mio fratello invece aveva finito da poco la quinta elementare: l’anno successivo o entro due anni probabilmente sarebbe stato preso a bottega da qualcuno, ma non era ancora tempo e quindi, a differenza di me che avrei preferito restare a casa con la nonna per aiutarla a badare ai più piccoli, non vedeva l’ora di cominciare a lavorare la terra, e si sentiva importante.
Non mi andava proprio di alzarmi, e per un attimo mi chiesi perché mai dovessi farlo: non potevo restare in casa insieme alla nonna, per badare ai miei fratelli e alle mie sorelle minori?
Mi vergognai immediatamente di quello che avevo pensato: dopotutto, quella era la vita che facevano non solo i miei parenti, ma anche tutti quelli che conoscevo. Ben pochi erano i bambini che potevano fare più di uno o due anni di scuola, e la maggior parte di essi erano maschi; per le bambine il destino era diverso, e spesso una volta cresciute non si fermavano neanche in gravidanza: mia madre ad esempio era incinta di cinque mesi quello che si sperava potesse essere il quarto maschietto, e nonostante avesse già perso un figlio poco prima di restare incinta di me proprio perché si era sforzata troppo, non poteva permettersi di restare a riposo.
“Finalmente ti sei decisa!”.
Ignorai il bisbiglio di mio fratello e dopo essermi alzata in piedi misi le braccia avanti per orientarmi meglio: vidi la sua ombra spostarsi, mentre continuavo a muovermi in punta di piedi.
A tentoni, trovai la sedia su cui la sera prima avevo lasciato i miei vestiti, e me li infilai: non sapevo se li avevo messi nel modo corretto, ma non mi importava e non avevo molto tempo da perdere.
“Sono pronta”, dissi a bassa voce dopo essermi infilata le mie scarpe rattoppate, e cercai la mano di mio fratello: insieme, uscimmo prima dalla stanza e poi, qualche minuto dopo, dalla porta di casa.
Mio padre e mia madre dicevano che il nostro terreno non distava molto, ma a me parve ci mettessimo un’eternità ad arrivare: alla fine, ci ritrovammo davanti al grande cancello che ci era tanto familiare.
“Hai le chiavi?”, domandai.
“Certo che sì, per chi mi hai preso?”.
Mi sentii spingere poco gentilmente di lato, e vidi mio fratello alzarsi sulle punte per infilare la chiave: alla fine però ci riuscì, e il cancello si aprì cigolando.
Ci guardammo intorno: il cielo sembrava già più chiaro,ma del sole ancora nessuna traccia.
“Allora? Che aspetti a prendere gli attrezzi?”.
“Eh? Io?”.
Non capivo: per lavorare la terra ci voleva qualche oggetto? E se sì, qual era? Era tutto buio, a parte la luce dei lampioni in strada: non volevo ammetterlo, ma avevo paura!
“Certo, chi se no? Mica penserai che devo fare tutto io? Dopo i secoli che ci hai messo ad alzarti, mi sembra il minimo!”.
“Ma tu sei un maschio, no? Non dici sempre che voi maschi siete superiori a noi femmine in tutto?”.
“Lo dico perché è vero: voi siete meno intelligenti. E comunque, ognuno ha i suoi compiti!”.
“Non sto discutendo su questo: so che ognuno deve stare al suo posto. Però, so anche che non siamo forti fisicamente quanto voi… perciò, dovresti andare tu nel capanno! Faresti sicuramente meno fatica, e ci si metterebbe meno tempo”.
Pensavo di essere stata abbastanza ragionevole, ma non funzionò: l’unica cosa che ottenni fu una risata sarcastica.
“Non mi dirai che hai paura?”.
In quel momento capii la verità, e dubitai di quello che mi avevano insegnato sia a scuola che a casa riguardo ai ruoli sociali e alle differenze di intelletto tra uomini e donne: mi era infatti sin troppo chiaro che se io ero spaventata, lui era praticamente terrorizzato!
“Va bene Giuseppe, come ti pare: vado io!”, annunciai, facendo di tutto per non fargli capire che aveva colto nel segno.
Mi sentivo fiera di me, e mentre avanzavo pensai che forse avrei potuto raccontare ai miei di quanto ero stata coraggiosa; ma poi mi dissi che era meglio lasciar perdere. Giuseppe si sarebbe preso tutto il merito, e loro a chi avrebbero creduto? A lui, probabilmente!
Tra il cancello e il capanno c’era un bel po’ di strada, e io dovetti percorrerla con calma pur avendo il forte istinto di mettermi a correre: appena arrivai sulla soglia della porta, però, non potei evitare di urlare. Davanti a me, c’era mio nonno!
O meglio, era e non era lui, allo stesso tempo: nonostante la mia giovane età, avevo assistito al suo funerale e sapevo che i morti si trovavano sulla Terra con il corpo, e in cielo con l’anima…eppure, non potevano esserci dubbi sull’identità di colui che mi stava davanti.
“Ciao Ada. Mi riconosci?”.
Non era minaccioso, come i fantasmi di cui avevo sentito parlare a volte dai miei cugini più grandi: anzi, mi sorrideva.
“Ciao … nonno!”. Volevo fargli tantissime domande: era sceso dal cielo per parlarmi? E se sì, perché non si era mostrato anche a Giuseppe? Perché mio fratello non era accorso sentendomi gridare?
Non avevo mai gridato davvero, o era stato mio nonno a far in modo che non mi sentisse? Ma rinunciai: era scomparso durante le mie ultime settimane di scuola, e sentivo ancora la sua mancanza. Non capivo bene cosa stesse accadendo e perché, ma non volevo sprecare l’occasione di averlo vicino ancora una volta!
“Hai paura di entrare?”.
Annuii senza esitare.
“Tranquilla, ti ci accompagno io”.
La luce del capanno si accese senza che facessi nulla, e io entrai, con mio nonno dietro di me: mi sentivo in pace, serena e pronta a fare quello che dovevo, per poi tornare indietro. La paura che avevo provato fino a qualche istante prima, era sparita; sembrava quasi come se non ci fosse mai stata!
Mi avvicinai agli attrezzi da lavoro, chiedendomi quali fossero quelli giusti da usare: poi mi girai indietro, con l’intenzione di ringraziare mio nonno…e non lo vidi. Lo cercai con lo sguardo, in lungo e in largo per tutto lo stanzone, pareti e soffitto compresi: ma niente da fare.
In compenso, vidi tre sagome che si avvicinavano, mentre fuori sorgeva il sole: istintivamente, le riconobbi come quelle di mio fratello e dei miei genitori.
“Ada, sei una fifona… ti avevo detto di sbrigarti, no?”.
In un altro momento, la battuta di Giuseppe mi avrebbe infastidito parecchio, e gli avrei quindi risposto per le rime: ma ero troppo eccitata per prestargli davvero attenzione.
“Il nonno! Il nonno!”, esclamai, praticamente quasi saltellando.
“Il nonno, Ada? Ma cosa dici?”. Mia madre mi guardò come se fossi impazzita.
“Mamma, l’ho visto! Era qui! Mi ha parlato! All’inizio ho urlato, ma poi…”.
“Ada, il nonno è morto”.
“Lo so, papà! Ma era qui! Mi ha chiesto se avevo paura di entrare, e mi ha accompagnata dentro! L’ho visto benissimo! Era uguale a come era prima di stare male, ma allo stesso tempo diverso: e aveva una luce intorno”.
Era chiaro che i miei familiari non mi credevano: dalle facce che avevano, molto probabilmente pensavano che mi ero inventata tutto, per una eccessiva fantasia infantile o per una scarsa voglia di lavorare.
Mia madre mi chiese di non far parola di quello che pensavo di aver visto con la nonna, perché di certo lei si sarebbe arrabbiata con me se glielo avessi raccontato; mio padre invece mi mostrò semplicemente quali cose avrei dovuto usare da quel momento in poi per aiutarli con il lavoro.
La giornata fu faticosa, e quella sera andai a letto stremata: mi chiedevo come avrei fatto a fare cose così massacranti tutti i giorni, anche se i miei genitori mi avevano spiegato che con il tempo ci si faceva l’abitudine.
Appena ebbi chiuso gli occhi, però, rividi il sorriso di mio nonno, e sentii la sua voce così gentile; anche se nessuno mi aveva dato credito, io sapevo che quello che era successo era vero. Sapevo che era stato davvero lì con me, ma forse gli altri non ci volevano perché qualcuno aveva deciso che questa sua visita doveva restare un segreto tra me e lui… recitai velocemente un Pater Noster e un’Ave Maria con il cuore pieno di gratitudine, e poi finalmente mi addormentai.

  
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