Tears of an Angel
Coprite i miei
occhi
Coprite le mie orecchie
Ditemi che queste parole sono una bugia
Non può essere vero
Che ti sto perdendo
Il sole non può cadere dal cielo
Il processo non era andato bene per niente.
Alla fine, Bucky, era stato condannato e, il verdetto, aveva
disposto che fosse dato in mani ai russi.
Non aveva potuto fare nulla per salvarlo, non aveva potuto
nemmeno intervenire per difenderlo.
Nulla.
Aveva potuto solo assistere impotente al maltrattamento del
suo amico..per l’ennesima volta.
Due pesi e due misure.
Ecco cosa aveva visto fare alla Giustizia di quel Paese che
si ostinava a difendere.
Steve Rogers lo sapeva bene, se ci fosse stato lui sul banco
degli accusati, di sicuro, non l’avrebbero mai consegnato.
Bucky era Winter Soldier, era una persona sacrificabile.
Steve Rogers no, perché era Capitan America.
Ormai, tra una missione e l’altra, passava le giornata a
guardare i notiziari con la speranza di non vedere mai la notizia della morte
di Bucky.
Non gli avevano solo impedito di scoprire dove fosse, no, gli
avevano anche impedito di cercarlo.
Gli avevano dato l’ordine di dimenticarlo, tuttavia, lui non
poteva dimenticare Bucky.
Non poteva scordarsi del suo migliore amico.
Proprio per questo, segretamente, si era messo a cercare il
posto dove l’avevano rinchiuso per poterlo salvare.
Non voleva coinvolgere nessuno dei suoi compagni,
probabilmente, se avesse raccontato loro cosa voleva fare alcuni l’avrebbero
aiutato ma, altri, come Stark avrebbero tentato di fermarlo.
Non poteva permettersi di vederli di nuovo divisi.
Ha dovuto sfruttare tutte le sue conoscenze per riuscire a
trovare uno straccio di informazione utile senza mettere sull’attenti lo
SHIELD.
Ha impiegato giorni, mesi….purtroppo e, spera, di cuore che
in quel periodo il suo amico sia ancora vivo.
Sa bene che sa cavarsela anche nelle situazione più cruente,
ma se conosce abbastanza bene i russi, di sicuro, gli staranno rendendo la vita
impossibile.
Soprattutto nel luogo dove aveva visto che era stato portato.
In un gulag in Siberia, uno dei luoghi peggiori dove essere
rinchiusi.
Steve conosceva bene quei posti, aveva avuto modo di salvare
alcune persone da quei luoghi di prigionia e sapeva bene che, quando una
persona rischiava di finire in Siberia, preferiva morire piuttosto che passarci
un solo giorno.
Senti il grido del cielo
Le lacrime di un angelo
Le lacrime di angelo
Dopo aver trovato la regione in cui era stato portato Bucky,
aveva impiegato qualche giorno in più per trovare il luogo preciso.
Si era preparato alla missione e, dopo aver liquidato lo
SHIELD con una scusa, si era precipitato a prendere il primo volo per l’Europa.
Non poteva andare direttamente in Russia, avrebbe attirato su
di sé troppi occhi indiscreti e, così, aveva deciso di andare in Germania.
Aveva molte scuse per andare in quel paese, soprattutto, per
ricordare il periodo in cui aveva combattuto in quelle terre per liberarle
dall’oppressione nazista, oppure, quando si era ritrovato a lottare contro
Loki.
Non avrebbe portato nessuno a pensare che stesse partendo per
una missione di recupero.
Per non rischiare, si era anche procurato un’identità falsa e
diversi contanti.
Non avrebbe portato con sé il cellulare, nulla di tecnologico
che avrebbe permesso a, chiunque, di individuarlo.
Non aveva portato con sé nemmeno lo scudo.
Quella non era una missione di Capitan America, quella era
una missione di Steve Rogers per poter riavere il suo migliore amico.
Gli interessi politici erano sempre riusciti a vincere su
tutto ma, questa volta, sarebbe riuscito ad impedire l’ennesimo scempio della
Giustizia.
Fermate ogni orologio
Le stelle sono in stato di shock
Il fiume si getterà nel mare
Non volare via
Non voglio dirti addio
Non ti deluderò, non scivolare via da me
Riuscire ad entrare in Russia non era stato per niente
difficile, la parte più difficoltosa era stata riuscire a commettere il reato
giusto per farsi portare nel luogo dove si trovava Bucky.
Steve sapeva bene come era inquadrato quel gulag, si
vociferava che fosse un posto dove si facevano diverse lotte clandestine e che
erano sempre alla ricerca di persone da poter buttare nell’arena.
Carne fresca.
Ecco come doveva apparire.
Doveva dimostrare di saper lottare e di saperlo fare bene in
modo tale da attirare su di sé gli occhi delle persone giuste e, non solo,
doveva anche riuscire a commettere un reato che comportasse la deportazione in
un carcere duro.
Alla fine aveva trovato sia la causa che il modo giusto.
Sapeva bene quanto in quella nazione fossero chiusi e, in
modo particolari, portati ad odiare qualsiasi cosa fosse diversa dal loro
pensiero comune.
Aveva difeso una giovane coppia di ragazzi sopresa ad uscire
da un locale.
Volevano arrestarli perché si stava tenendo, semplicemente,
per mano e, così, si era erto a loro difesa.
Si era ritrovato a lottare e, infine, si era costretto a
perdere.
In un’altra occasione avrebbe potuto vincere ma, questa
volta, si era costretto a perdere.
La polizia non l’aveva nemmeno registrato, malgrado fosse
straniero, non era stato condotto in una caserma per essere identificato.
L’avevano spogliato del portafoglio e dei suoi documenti e,
subito dopo, l’avevano buttato in un furgone iniziando il viaggio che l’avrebbe
condotto a quello che, per molti, era l’ultimo viaggio della loro vita.
Non era solo in quel furgone, insieme a lui, c’erano altre
quattro persone.
Tutte destinate allo stesso posto.
Uno dei quattro uomini si chiamava Alexej, gli aveva spiegato
che era stato trovato in compagnia del suo fidanzato e, per evitare di farlo
cadere nelle mani di quegli uomini, si era fatto prendere lui, sacrificandosi.
Sapeva bene che non sarebbe tornato indietro, eppure, si era
sacrificato.
Ammirava molto la scelta di quell’uomo, in fondo, erano lì entrambi
per aver scelto di aiutare una persona a cui tenevano.
Gli altri tre uomini erano molto silenziosi, pareva proprio,
dai loro occhi, che avrebbero preferito morire piuttosto che finire in quel
luogo.
Se non fosse stato impegnato in quella missione, di sicuro,
li avrebbe salvati.
Più di una volta, nel sentire quel mezzo sobbalzare, avrebbe
voluto alzarsi in piedi e sfondare quella porta blindata per farli scendere.
Eppure, non si mosse di un solo centimetro.
Avrebbe potuto, ma non poteva.
Avrebbe potuto, ma non voleva.
Nessuno doveva scoprirlo, l’unico pensiero che attanaiava la
sua mente era Bucky.
Quindi resisti
Essere forte
Ogni giorno su noi andremo
Io sono qui, non hai paura
Il giorno in cui era stato condannato, Bucky sapeva bene dove
sarebbe finito e, per questo, si era preparato a dover, probabilmente, finire
la sua vita in quell’inferno.
Non gli dispiaceva, in fondo, aveva lottato per Steve.
Aveva scelto di seguirlo fino alla fine e non si era pentito
di nulla.
Gli dispiaceva di non essere riuscito a salutarlo prima di
essere consegnato ai russi, non glielo avevano permesso.
Come tutti i giorni, la mattina, si ritrovava a vedere i
nuovi prigionieri entrare all’interno di quelle mura che, nessuno, riusciva a
riattraversare da vivo.
Altre persone che, i russi, preferivano far soffrire
piuttosto che ucciderle subito.
Ognuno aveva commesso il suo crimine ma, tutti, avevano in
comune qualcosa.
Avevano fatto qualcosa contro quella Russia incapace di
accettare il diverso.
Vide il furgone entrare, subito, le guardie si avvicinarono
per far scendere i nuovi prigionieri.
Diversi “ospiti” fissi del Gulag si erano voltati a loro
volta per riuscire a studiare quelli che sarebbero potuti essere i loro
avversari nell’arena.
Bucky non riuscì a spiegarsi il motivo, ma il suo cuore perse
un battito nel vedere uno dei cinque uomini scesi dal mezzo.
Per lui, tutti i suoi compagni di sventura, avevano il
medesimo volto.
Eppure, quell’uomo, aveva qualcosa di diverso.
Lo vide entrare nella struttura dove venivano consegnati gli
abiti civili per essere sostituiti da quelli di carcerato e, le sue gambe, si
mossero da sole.
Fece un passo, poi un secondo, cercando di capire meglio
quella strana sensazione che si era innescata in lui.
Conosceva quella persona?
E, soprattutto, perché aveva innescato in lui questa
emozione?
Piccolina non lasciarmi
(ooooooooooohhhhhhhhh)
Non lasciar andare
(ooooooooooohhhhhhhhh)
Sapeva di aver visto quell’uomo e, il tormento di quel
pensiero, lo perseguitò per tutta la giornata.
Non poteva andare a cercarlo, dopo i lavori forzati, era
stato riportato nella sua cella e, ben presto, si sarebbe dovuto ritrovare
nell’arena.
Aspettò.
Ma nessuno venne a prenderlo.
Passarono ore ed il cielo si imbrunì.
Nulla.
Sembrava proprio che si fossero dimenticati di lui quel
giorno.
Improvvisamente la porta del corridoio si spalancò con un
rumore molto sordo, un rumore di passi ruppe il silenzio del braccio e, la
porta della sua cella, si aprì.
Le guardie stavano scortando l’uomo che aveva visto quella
mattina.
Non sembrava avere ferite gravi, ma di sicuro doveva aver
preso parte alle sfide nell’arena.
Lo poteva capire dalla divisa arancione strappata e dai tagli
sul viso.
Nuovamente quella strana sensazione di averlo già visto
conquisto il suo cuore e, alla fine, quando ne incrociò lo sguardo.
Fu sicuro di quello che, il suo cuore, aveva già capito.
Quello era Steve.
Spalancò la bocca e non ne uscì alcun suono.
Si constrinse a tacere, non sapeva il motivo per cui si
trovava lì.
Poteva intuirlo, ma non voleva credere che il suo amico fosse
tanto folle da correre quei rischi per lui.
I due russi spinsero Steve nella sua cella e si allontanarono
ridendo.
Sembrava proprio che fossero soddisfatte dell’incontro che
era appena avvenuto.
James aspettò di sentirle lontane, solo in quel momento, si
alzò in piedi.
Corse ad afferrare per il bavero della maglia il suo amico e
lo scosse un paio di volte:
-Cosa diavolo credi di fare?!-
Domandò, sibilando.
Non poteva alzare la voce, non poteva far capire agli altri
che conosceva chi aveva di fronte.
Steve non era pronto a vederlo così.
Non era assolutamente pronto a vedere Bucky in quelle
condizioni.
Magro, ferito, trascurato.
Era qualcosa che, temeva, sarebbe stato terribile ma, il suo
cuore, sembrò volersi fermare.
Gli occhi azzurri, quando incontrarono quelli dell’amico,
tremarono minacciando di lasciar cadere delle lacrime.
Aveva temuto di non arrivare in tempo e, invece, era riuscito
a raggiungerlo:
-Sono..venuto a salvarti, non potevo lasciarti..qui..non era giusto-
Sussurrò alzando le mani per posarle su quelle che gli
stavano stringendo il collo della maglia.
-Tu sei pazzo! Non saresti mai dovuto venire!-
Ribattè prontamente James premendolo contro il muro della
cella.
Il capitano scosse il capo:
-Non mi interessa ciò che avrei dovuto fare, mi interessa ciò
che volevo fare e..io non potevo continuare a vivere la mia vita sapendoti in
questa prigione-
Le mani appoggiate su quelle di Bucky salirono per
appoggiarsi ai lati del suo viso e, Steve, chinò il capo per provare ad
appoggiare la fronte su quella dell’amico:
-Staremo insieme fino alla fine..-
Il Soldato d’Inverno nel sentire quelle parole e
nell’avvertire il biondo così vicino a lui, chiuse gli occhi.
Serrò le palpebre cercando di reprimere quelle lacrime che, a
tutti i costi, volevano scendere dai suoi occhi.
Si era ripromesso di non piangere e che, quel luogo, non
avrebbe visto una sola delle sue lacrime.
Eppure, ora, volevano scendere a tutti i costi.
Era in Siberia in una prigione russa, ma non importava.
Steve era con lui
e, anche se si trovava all’inferno, improvvisamente tutto appariva meno
terribile.
-Bucky, non chiedermi di..abbandonarti, io non posso lottare
senza avere te al mio fianco! Senza di te..io non sono nulla-
Il moro scosse il capo a quelle parole, non poteva certo credere che Rogers lo
considerasse così importante.
In fondo, lui era Capitan America e, alla fine, aveva sempre
pensato di essere lui a provare le emozioni più forti.
Non pensava certo di poter essere ricambiato:
-Steve, non..non dire così, tu sei Capitan America e..sono io
che, senza di te, non sono altro che un semplice assassino, sei tu a rendermi
migliore, sei tu che hai sempre creduto in me anche quando l’intero mondo mi
voleva morto-
Mormorò abbandonado la presa salda sulla maglia.
Le mani scesero ad appoggiarsi sul petto di Steve dove, ben
presto, furono seguite dalla fronte.
-Non saresti dovuto venire, non voglio che ti fai ammazzare
per me-
Riuscì a dire, mentre la voce si faceva più flebile.
Tremante per via delle lacrime che avevano iniziato a
bagnargli gli occhi.
Steve sorrise, un’espressione molto dolce che, purtroppo,
Barnes non potè vedere.
Alzò le braccia per stringerlo a sè e, cullandolo
delicatamente, tornò a parlargli:
-Bucky..io preferisco morire oggi al tuo fianco, piuttosto
che vivere anche solo un’altra ora lontano da te. Non sono qui per conto della
mia nazione, non sto ricoprendo il ruolo di Capitan America, sono qui perché
Steve Rogers lo vuole, per una volta nella mia vita, ho deciso di seguire il cuore
prima che fosse troppo tardi -
James sentì chiare e forti quelle parole che l’amico gli sussurrò
Avrebbe voluto urlare ciò che il suo cuore sentiva, ma scelse
di non farlo.
Proprio come Steve.
Entrambi sapevano che quello non era il momento e, tantomeno,
il luogo.
Non c’era bisogno di guardarsi e, tantomeno, di parlare.
I loro cuori, ora, sapevano.
Copri i miei occhi
Copri le mie orecchie
Dimmi
di che queste parole sono una bugia
Il piano era semplice, avrebbero atteso che si facesse notte
inoltrata ed avrebbero tentato la fuga.
In quel posto nessun piano elaborato avrebbe mai funzionato,
potevano solo provare a correre e, sperare, di non venire scoperti.
Quella cella, purtroppo, era a prova di Soldato d’Inverno.
In quel Gulag sapevano benissimo che lui aveva un braccio in
grado di distruggere facilmente delle sbarre e si era ritrova ad essere
ospitato in una cella speciale.
Per fortuna, quella prigione, era a prova della sua sola
forza e, con l’aiuto di Steve, riuscirono a piegare abbastanza facilmente le
sbarre della finestra.
Una volta fuori, dovevano solo attraversare il campo e
scavalcare il muro che li avrebbe portati a dover affrontare una lunga
camminata verso il primo centro abitato.
Lo spazio che, di giorno, ospitava i lavori forzati era ben sorveglianto.
C’erano guardie ovunque e la scarsa illuminazione all’interno
era completamente compensata all’esterno.
Si ritrovarono a dover fare attenzione ad ogni singolo passo,
ma alla fine riuscirono a raggiungere il muro.
Qualcosa, però, fece fermare Steve.
Bucky si accorse subito che si era voltato e, anche lui, lo
fece.
Si ritrovarono a guardare uno degli uomini che era arrivato
quella mattina.
Rogers lo ricordava bene, era Alexej.
Quando erano arrivati aveva subito visto che l’avevano
separato da loro e, ora, aveva capito il motivo.
L’avevano torturato.
Quel povero ragazzo era legato ad un palo, al freddo della
Siberia e, il suo viso, era una maschera di sangue.
Non l’avevano nemmeno fatto cambiare, aveva ancora indosso i
suoi abiti da civili.
Probabilmente sapevano che non avrebbe superato la notte.
Il biondo si voltò verso l’amico che sospirò:
-Tu sei troppo buono, Steve..lo sai-
Gli fece un cenno con il capo e, il capitano sorrise:
-Grazie..e..perdonami..-
Steve si allontanò per poter raggiungere il punto in cui si
trovava quel povero ragazzo, sapeva bene che la fuga non sarebbe stata più così
semplice, ma non poteva lasciare indietro nessuno.
James lo aspettò vicino al muro cercando un punto abbastanza
buono da permettere di portare un uomo sulle spalle.
Di sicuro non avrebbero potuto chiedere a quel prigioniero di
correre, li avrebbe rallentati anche se fosse stato bene.
Figuriamoci in quelle condizioni.
Steve, per fortuna, non impiegò molto tempo a recuperare il
russo, ma compiendo quel gesto sapeva che l’allarme sarebbe scattato molto
prima.
Fecero appena in tempo a scavalcare il muro e coprire pochi
metri che, dall’interno del Gulag, avvertirono l’allarme.
Avevano coperto poche centinaia di metri e, voltandosi, James
vide le luci di diversi mezzi mandati al loro inseguimento.
Il buio era loro d’aiuto , permetteva di nascondersi meglio,
ma il freddo pugente avrebbe fatto esaurire presto le energie di entrambi.
Alexej, per fortuna, sembrava aver ripreso conoscenza e, non
appena riaprì gli occhi sembrò stupito di ritrovarsi fuori dal campo di
prigionia.
Steve sapeva che, con loro due, avrebbe avuto molto meno
possibilità di cavarsela.
Di sicuro, le guardie, avrebbero preferito recuperare Bucky
piuttosto che un prigioniero qualsiasi.
Si assicurò che potesse correre o, almeno, camminare e, dopo
averlo fatto scendere dalla sua schiena, gli disse di correre dalla parte
opposta di quella in cui loro stavano andando.
Gli disse di mettercela tutta e tornare dal suo ragazzo.
Il russo non si fece ripetere una sola parola.
Corse via, quando ormai quelle luci stavano per scoprirli.
James e Steve riuscirono a riprendere a correre appena in
tempo.
In cielo nemmeno la luna brillava e, essendo appena iniziato
l’inverno, iniziò presto a nevicare.
Il freddo divenne ancora più insopportabile, ma a nessuno dei
due importava.
Steve era felice per essere riuscito a far fuggire Bucky da
quell’inferno e, Bucky, era felice perché era insieme alla persona, per lui,
più importante di tutti.
Nessuno dei due si era pentito di un solo passo fatto.
Le voci dei russi si stavano facendo, man mano, sempre più
lontane.
Portate via dal vento e dalla neve che, per fortuna, rendeva
meno visibili le loro orme nella neve.
Nella corsa, però, si ritrovarono di fronte ad un punto
morto.
Non si erano resi conto di essere andati verso un dirupo.
Guardando in basso, non era poi così alto.
James, in fondo, ricordava un salto ben peggiore, tuttavia,
non sarebbe stato indolore.
Si guardarono.
Dovevano scegliere se affrontare una lenta discesa o
buttarsi.
Purtroppo, non si erano resi conto che i russi che erano
riusciti a seguirli avevano abbandonato i mezzi per proseguire ai piedi e,
quindi, più silenziosamente.
Bucky sentì il suono di una raffica di spari e l’ululato del
vento.
Gli venne spontaneo chiudere gli occhi per un solo battito di
ciglia.
Quando li riaprì, davanti a lui, c’era Steve con le braccia
aperte.
Gli aveva fatto da scudo.
Spalancò la bocca, lo vide cadere in ginocchio.
Sul petto e sull’addome avevano iniziate a fiorire numerose macchie
di sangue.
Steve, però, gli sorrideva.
Bucky riuscì ad afferrarlo prima che cadesse.
Lo abbracciò tentando di farlo rimanere sveglio:
-Steve..cosa…cosa hai fatto.:Steve…-
Riuscì a dire con la voce rotta dal pianto.
L’amico alzò la mano sinistra per posarla sulla sua guancia
destra in una lenta carezza, lo guardò negli occhi cercando di ignorare i russi
che urlavano ordini mentre ricaricavano le loro armi:
-Fino..alla fine Bucky..io..fino alla fine..resterò con..te-
James lo abbracciò con forza, lo strinse al suo petto
ascoltandone il battito del cuore sempre più lento ed arretrò verso il dirupo.
Se il loro destino era morire, non avrebbe permesso ai russi
di prenderli.
Non voleva che usassero il corpo di Steve per i loro
esperimenti.
Non avrebbe permesso loro di riportarli indietro:
-Si, Steve, fino..fino alla fine…saremo insieme, te l’ho
promesso-
Gli sussurrò con gli occhi ancora bagnati dalle lacrime.
Non era il momento giusto, ma probabilmente quello sarebbe
stato l’ultimo momento in cui poteva farlo.
Bucky si chinò sull’amico e gli posò un bacio delicato sulle
labbra:
-Ti amo, Steve…-
Furono le sue ultime parole, lesse lo stupore negli occhi di
Rogers.
Poi una risposta, coperta da una seconda raffica di spari.
James sorrise e si buttò dal dirupo tenendo Steve stretto a
sé.
Avvertì alcuni proiettili colpirlo, era un dolore che
conosceva bene, ma ormai nulla aveva più importanza.
Chiuse gli occhi.
Probabilmente quei secondi sarebbero stati gli ultimi delle
loro vite, ma poco importava.
Perché sarebbero stati insieme fino alla fine.
Senti il grido del cielo
Le lacrime di un angelo
Le lacrime di angelo