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Autore: Alina Alboran    16/12/2015    1 recensioni
Elisa.
Un tempo una ragazza fiduciosa nella vita, con un sorriso radioso capace di scaldare il cuore a chi le stava accanto e innamorata dei sentimenti.
Oggi una ragazza chiusa nei ricordi, con un sorriso che stenta a estendersi agli occhi e ancorata al simbolo della perdita subìta, marchiato sulla pelle.
.
Davide.
Un ragazzo troppo impulsivo, morbosamente curioso e dal sorriso contagiante.
Ma anche a tratti molto insicuro, intimorito dalle troppe certezze sgretolate e bisognoso di affetto.
Destino vuole che i due si trovino uniti nella stessa famiglia, nelle vesti di fratelli, o meglio, fratellastri.
Tra una convivenza inaspettata, stanze condivise, litigi, disagi, sorrisi rubati, ricordi riemersi e parole confessate potrebbe nascere qualcosa di nuovo.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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Q

 Capitolo Uno

 

uando sei morto, tutto il mio mondo e le mie certezze si sono sgretolate.    
Ci sono voluti mesi e tutta la pazienza di mamma per farmi capire che non ero morta con te, che dovevo continuare a vivere…          
Quel periodo è stato il più brutto di tutta la mia vita: avevo allontanato le persone a cui volevo bene e nel giro di poche settimane mi sono ritrovata sola; l’unica ad essermi rimasta accanto è stata Martina, sopportando capricci e momenti di disperazione.      
Ricordo con precisione cosa stessi facendo nel momento in cui annunciarono la tua morte, ma non ricordo le ultime parole che ti dissi.      
Come è strana e ingiusta la vita.       
Un attimo sei felice e spensierato, l’attimo dopo ti ritrovi nella totale desolazione.
Per mesi ti ho immaginato aprire lentamente la porta di camera mia e sussurrarmi il consueto “Buonanotte”.
Per mesi ho cercato di illudermi che stavo vivendo solo un brutto sogno, e che il mattino dopo mi sarei svegliata e ti avrei trovato in cucina a bere il tuo caffè amaro.     
Perderti è stato distruttivo e nemmeno ora, sei anni dopo, mi sono ripresa completamente.         
Ogni volta che ci ripenso sento gli occhi che si inumidiscono e il cuore che rallenta i battiti.        
Mamma si è rifatta una vita e, benché inizialmente non avessi visto di buon occhio l’arrivo di Sergio, ho imparato ad apprezzarlo e a volergli bene.           
Sergio la ama e non potrei desiderare compagno migliore di lui per mamma.

Il nostro primo incontro è stato un po’ burrascoso: io mi sentivo tradita e lui non sapeva come comportarsi con la figlia sedicenne della compagna.      
Con il tempo ho capito che non potevo permettermi di ostacolare la felicità di mamma e perciò ho fatto del mio meglio per andare d’accordo con lui.

Considero Sergio come un padre; ovviamente non potrà mai prendere il tuo posto, ma il nostro rapporto si è rafforzato moltissimo e se perdessi anche lui credo che stavolta non sarei più capace di riprendermi.     
Nei tre anni di relazione ho visto i figli poche volte: nessuno dei due ha preso bene il divorzio dei genitori e ritengono il padre responsabile per la separazione.     
Una volta mamma mi ha detto che l’hanno deciso insieme, che si erano resi conto di quanto continuare a stare insieme non facesse altro che danneggiare loro stessi e i figli.        
L’ultima volta che ho visto Davide e Giulia è stato al quindicesimo compleanno di quest’ultima.
Giulia è di due anni più piccola di me ed ha un carattere davvero particolare: è capricciosa, antipatica e crede che tutto il mondo giri intorno a lei.


Mi sembra quasi vedere il tuo sguardo contrariato e sentire la tua voce che mi dice di star giudicano senza conoscere.           
Credo che la madre, per non farle pesare troppo il divorzio, abbia esagerato nel darle attenzioni.
Immagino che affrontare la separazione dei genitori quando si è così piccoli  non sia facile, ma ciò non giustifica il suo egoismo e la sua indifferenza per Sergio.          
Davide non l’ho ancora inquadrato bene, ma credo che sia più razionale ed equilibrato della sorella.
Le poche conversazioni che abbiamo fatto sono state perlopiù di convenienza, ma forse il riusciremo a instaurare un rapporto civile.          
Non so perché ti stia scrivendo tutto questo, forse per sentirti più vicino in questa nuova fase della mia vita, forse per dirti che ti voglio bene e che mai ti dimenticherò.    
Mi manchi così tanto, papà.  
Darei tutto per averti accanto per almeno un altro giorno, per dirti quanto ti amo e quanto sei stato e sei importante per me.

 


Ti amo, papà.

Rievocare quel periodo buio le fece male, ma era l’unico modo di rimanere aggrappata al ricordo paterno e non ci avrebbe mai rinunciato.         
Per qualche minuto – come se tutto intorno a lei fosse sparito – Elisa fissò la piccola farfalla tatuata sul polso destro.           
Con l’indice ne tracciò i contorni, e solo quando una lacrima cadde sul suo polso sembrò risvegliarsi e ritornare alla normalità.       
Con un braccialetto di cuoio nero si coprì il tatuaggio e solo allora il dolore cominciò ad affievolirsi ma non a cessare completamente.         
Quel tatuaggio era un rito di passaggio: necessario e inevitabile per uscire dal baratro di solitudine e disperazione in cui era precipitata alla morte del padre.        
Dopo svariati lavori estivi e un prestito di Martina, finalmente aveva radunato i soldi per pagarsi la sua
libertà.
La madre, nonostante fossero passati tre anni, non l’aveva mai visto.        
Elisa sapeva quale sarebbe stata la sua reazione e nasconderglielo le era sembrato la soluzione più facile.
Nascose tra i libri di scuola il foglio protocollo su cui aveva scritto la lettera al padre e, al richiamo della madre, raggiunse Davide e Giulia in salotto.
Dal corridoio intravedeva Giulia che, seduta sul divano di pelle bianca, si guardava intorno disgustata.
Davide stava invece in piedi e parlava animatamente con suo padre, come se stessero litigando.
La porta si aprì con uno scricchiolio fastidioso e quattro paia di occhi si posarono sulla sua figura.
«Lo sapevo che non avrei dovuto accettare di vivere qui», borbottò Giulia mentre la fissava con un’aria di superiorità; cosa che infastidì all’inverosimile Rossella.      
Elisa però, intenta a regolarizzare il suo respiro, non ci aveva nemmeno fatto caso.          
«Ciao, Elisa», salutò Davide cercando di trattenere un sorrisino derisorio.           
«Siediti vicino a Giulia», le intimò Sergio con il sorriso sulle labbra.         
Non voleva assolutamente fraternizzare con il nemico, ma lo sguardo severo della madre la fece desistere da qualsiasi piano di ribellione.     
Anche Davide, che fino ad allora era stato in piedi, seguì il suo esempio e si sedette accanto a Elisa.
Ancora una volta il suo viso si colorò di rosso e nemmeno si accorse di Davide che, passandogli una mano davanti agli occhi, cercava di farsi notare.    
Giulia, indossava dei leggings a pois e una canottiera che le arrivava a metà coscia.
Aveva un viso molto dolce e, se non fosse stata tanto maleducata e capricciosa, Elisa avrebbe adorato guardarla mentre parlava per vedere quegli occhi, di un marrone tanto scuro da sembrare cioccolato fondente, illuminarsi ogni volta che l’argomento le interessava.
Le sarebbe piaciuto trovare in lei una confidente, quella sorella che la madre non aveva potuto darle.
«Elisa», la rimbeccò la madre quando la risata di Giulia divenne udibile.  
«Sì?», chiese dopo ulteriori attimi di silenzio.         
«Bene. Questa qua è pure sorda», disse la diciassettenne ostentando ancora una volta il suo rifiuto per quella stramba situazione.      
«Giulia», la rimproverò il fratello. Aveva sorriso alla battuta innocente della sorella, ma l’espressione poco rassicurante del viso di Rossella gli aveva fatto capire che, se volevano rimanere in quella casa, avrebbero fatto meglio a essere gentili con Elisa.      
Elisa si accorse che anche gli occhi di Davide, benché un po’ più grandi, erano dello stesso colore e riuscivano a trasmetterle la stessa sicurezza e allegria.     
Si accorse di starlo fissando solo quando lui, imbarazzato, le sorrise e puntò lo sguardo sul tappeto nero ai suoi piedi.            

«Cosa? Mamma mi ha detto che devo sempre dire ciò che penso senza avere paura del giudizio altrui».
“Qui non si tratta di giudizio, ma di rispetto”, avrebbe voluto risponderle Rossella, ma per amore di Sergio si trattenne e sopportò la maleducazione della ragazza in silenzio.     
Tra le frecciatine di Giulia, le labbra torturate di Elisa che non faceva altro che mordersele, e Davide che cercava di alleggerire la tensione, arrivarono a ciò che Sergio più temeva: la disposizione delle camere.       
«Oltre la nostra ci sono altre due camere. Tu e mia figlia prenderete quella più grande, mentre Davide l’altra», annunciò Rossella spazientita.          
Si era stancata della paura di Sergio e della volontà di assecondare ogni richiesta di Giulia.        
«Credo che non abbiate capito bene», cominciò quest’ultima contrariata «o mi date una camera tutta mia o me ne vado».
Il viso di Rossella divenne paonazzo per la rabbia e Sergio, sapendo che qualsiasi reazione sarebbe stata sbagliata, non disse nulla.          
«Quella a non aver capito sei tu, ragazzina. Questo non è un motel e non decidi tu dove o con chi dormire», cominciò a dire Rosella alzando di qualche tono la voce.       

Anche Davide si alterò e pochi attimi dopo si accese una forte lite tra lui, la sorella e la compagna del padre.   
Gli unici due a non dire nulla erano proprio Sergio ed Elisa.          
Sergio, consapevole di trovarsi in una situazione scomoda, non sapeva decidere da che parte stare; Elisa, troppo riservata per impromettersi, preferì uscire e liberare la sua testa da tante urla e offese.


Il tempo non era certamente dei migliori, ma il giubbotto che aveva afferrato prima di uscire di casa la riparò dal freddo che preannunciava un temporale.     
Seduta su una panchina, con la testa che poggiava mollemente sulle ginocchia raccolte al petto, Elisa si ritrovò a pensare a Davide e Giulia.    
Davide – doveva ammetterlo – era davvero un bel ragazzo.           
I lineamenti del suo viso ricordavano molto quelli di Sergio, ma il taglio degli occhi e il labbro superiore, leggermente più sottile di quello inferiore, lo rendevano più interessante e attraente ai suoi occhi.
Elisa amava le piccole imperfezioni delle persone perché erano quelle a renderle uniche. 
Era consapevole che nemmeno loro accettavano quella improvvisa convivenza, ma non per questo sarebbe stata più favorevole o avrebbe accettato tutto senza battere ciglio.   
Parole.
Le sue erano solo parole.       
Pensieri che avrebbe condiviso solo con Martina davanti a una coppa di gelato.   
Si sentiva colpevole del brutto periodo che aveva fatto passare alla madre e da allora non faceva altro che compiacerla in tutto.  
La farfalla tatuata sul suo polso era l’ultimo atto di ribellione che aveva fatto.     
Se da una parte rappresentava la libertà di scegliere, dall’altra era anche l’obbligo morale che aveva nei confronti di sua madre, la stessa che avrebbe rinunciato a tutto – persino alla possibilità di rifarsi una vita ed essere felice – per lei.           
Non ne poteva più delle offese gratuite di Giulia perché, anche se faceva finta di non accorgersene, anche se passava per quella tonta, la ferivano. 
Uscendo di casa nessuno, neppure sua madre, si era girato per chiederle dove stesse andando: tutti troppo occupati ad urlarsi contro.       
Non li stava accusando, ma ciò che più temeva si stava realizzando: Davide e Giulia si stavano impadronendo del suo posto e lei sarebbe diventata ogni giorno più invisibile.

 

«Papà, le permetti veramente di trattarmi in questo modo? Sono tua figlia, maledizione», urlò Giulia infastidita.
Era suo padre, diamine. Era obbligato a darle ragione.       
«Tesoro…».
Il pensiero di essere rifiutata ancora una volta le fece male, ma non smise di litigare con Rossella.
Persino Davide, che le stava dando ragione, preferiva non impromettersi troppo. 
Giulia odiava dover dividere suo padre con Rossella e avrebbe fatto di tutto per rendere la convivenza odiosa per tutti.   
«Basta!», sbottò Sergio quando la situazione divenne insostenibile.          
«Non ne posso più di voi due. Siete una peggio dell’altra», continuò adirato.      
Giulia si zittì subito. Era pur sempre suo padre e si ricordava bene che Sergio – solitamente calmo e pacifico – le si rivolgeva in quel modo solo quando era deluso e arrabbiato per il suo comportamento.
Rossella, però, per niente intimidita dalla prepotenza di Sergio, continuò a dirle che se voleva avere un posto in quella casa, avrebbe dovuto sottostare alle sue regole.        
«Rosella, io ti capisco, dico davvero», cominciò Davide spazientito. «Ma tu non sei nostra madre – non sei nemmeno sposata con papà – e non ti permetterò di alzare un’altra volta il tono con mia sorella».

La donna, passandosi una mano tra i capelli, si sedette sul divano. La testa le doleva talmente tanto da farle desistere dal rispondere al moro.         
Il picchiettio continuo che gli stivali di Giulia producevano a contatto con il parquet aumentò il suo mal di testa.           
Si stava comportando come una completa idiota e si stava anche dimostrando molto più immatura della diciasettenne. 
«Giulia, prima ho esagerato», le costò fatica ammetterlo, ma il sorriso che Sergio le rivolse la ripagò appieno.   
«Avrò una camera tutta mia?».         
«Ci penseremo», acconsentì. Il dolore era diventato insopportabile e avrebbe fatto di tutto per pochi attimi di tranquillità.    
«Vado a vedere come sta mia figlia».          
           

Controllò in tutta la casa, ma Elisa sembrava sparita nel nulla.       
Il panico si impossessò di lei, impedendole di pensare lucidamente.          
«Sergio», urlò dalla camera della figlia.       
L’uomo la raggiunse in pochi secondi. I figli, incuriositi, gli andarono subito dietro.       
«È scappata. Mia figlia è scappata», disse con la voce impasta dal pianto.

Alla morte di suo marito, Elisa era cambiata tantissimo e un giorno, dopo l’ennesima lite, era scappata di casa. 
Per due giorni la figlia si nascose a casa di Martina, la sua amica del cuore.                      
Quei due giorni furono i peggiori di tutta la sua vita. Si sentiva svuotata e la paura le impediva addirittura di piangere e di esternare il suo dolore.   
Il terzo giorno Elisa era ritornata chiedendole scusa.          
La esaminò per diversi minuti, ma oltra il polso destro fasciato, sembrò non avere altro.  
Dopo qualche giorno, un braccialetto di cuoio nero prese il posto della fasciatura.           
Aveva sempre finto di ignorare cosa ci si nascondesse sotto, ma la verità è che l’aveva sempre saputo.
Inizialmente l’aveva presa molto male, ma grazie a Sergio che aveva appoggiata la decisione di sua figlia, Rossella aveva capito che Elisa aveva fatto una scelta; una scelta sulla quale non poteva discutere.
«La ritroveremo», sussurrò l’uomo tentando inutilmente di calmarla.        
Le prese il viso tra le mani e, dopo averle dato un tenero bacio a stampo, giurò che avrebbe smosso mari e monti per trovare la ragazza.     
Si frequentavano da più di tre anni e aveva imparato ad amare Elisa come fosse sua figlia. La conosceva, sapeva che non avrebbe fatto nessuna sciocchezza, ma un genitore si preoccupa sempre, anche quando non serve.  
Davide, vedendo le premure del padre nei confronti di Rossella e l’evidente preoccupazione di entrambi, capì quanto la ragazza contasse per loro due.      
«Vado a cercarla. Magari ho fortuna», sussurrò.     
Agli occhi di Davide, Rossella era quella che aveva impedito qualsiasi possibilità di riappacificazione tra i suoi genitori, ma ora – con il mascara colato a causa delle lacrime e nascosta tra le braccia di Sergio – la vedeva come una persona debole e fragile.       
Anche se non era più in piena fase adolescenziale come la sorella, anche lui aveva visto in quella donna una minaccia; una fiera pronta ad attaccare da un momento all’altro.       
Rossella voleva chiamare i carabinieri e denunciarne la scomparsa ma Sergio, molto più ragionevole, le disse che non avrebbero preso in considerazione la denuncia dopo così poche ore.         
Giulia, l’unica ad aver sentito le parole del fratello, provava sollievo per la sparizione di Elisa.   
Sapeva che in poche ore l’avrebbe rivista varcare la porta di casa, ma il desiderio di non essere più quella messa da parte le offuscò la mente talmente tanto da desiderare che non ritornasse più.      

 

“Chissà se hanno notato che me ne sono andata”, pensò Elisa.      
Aveva abbandonato la sua fedele panchina già da una ventina di minuti, rifugiandosi nel bar sotto casa di Martina.           
Perché non andava direttamente dalla sua amica? Perché aveva bisogno di stare da sola e riflettere.
Martina, una ragazza tanto minuta quanto spavalda, teneva molto a lei, ma spesso cercava di imporle la sua opinione su qualsiasi argomento, come se sapesse cosa fosse meglio per lei e cosa invece l’avrebbe fatta soffrire.
La loro amicizia durava già da tredici anni e pur litigando spesso il loro legame non si era ma incrinato.
Era sempre stato così.

Una ragazza con i capelli talmente biondi da sembrarle bianchi le si era avvicinata e timida le aveva proposto di giocare insieme a lei. 
Con il tempo i capelli si erano scuriti fino a diventare un biondo cenere e la timidezza di tredici anni prima era stata sostituita da arroganza e spavalderia, ma la dolcezza che faceva sì che tutti l’amassero era sempre rimasta la stessa.

Delle piccole gocce di pioggia colpivano a ritmo regolare la grande vetrata del bar; si sentì fortunata di trovarsi al chiuso bevendo il cappuccino che ormai si era raffreddato.
«Ti porto altro, Elisa?», le domandò Fabio, il proprietario del locale.        
«Sto bene così. Aspetto che la pioggia finisca e poi vado da Martina», rispose sforzandosi di sorridere.
Fabio aveva una cinquantina d’anni, era vedovo e il suo unico figlio non si faceva vedere già da qualche anno.
Il suo bar, essendo frequentato maggiormente da ragazzi di età compresa fra i quattordici e in venticinque anni, proponeva ogni settimana attività come karaoke, bingo e anche qualche serata poker.
D’estate, insieme a Martina, gli dava una mano con l’impressionante mole di turisti che venivano a visitare la principale città d’arte dell’Italia.      
Abitare a Firenze certe volte era stancante, ma le bastava guardarsi attorno per capire quanto fosse fortunata a vivere circondata da tanta bellezza.

 

Quando quaranta minuti prima era uscito di casa, pur facendo freddo, non c’era alcun presagio di pioggia. E ora, mentre cercava di coprirsi meglio che poteva con il suo giubbotto di pelle nera, stava diluviando.
Appena vide il bar di Fabio tirò un sospiro di sollievo: avrebbe aspettato lì che terminasse di piovere.
Alla cassa c’era una ragazza che non aveva mai visto prima. Era carina e, se non fosse stato così incazzato per essersi bagnato, ci avrebbe provato sicuramente.    
«Ciao», disse avvicinandosi alla bionda.      
«Mi daresti un caffè?», chiese subito dopo. 
Pochi minuti dopo si stava passando disperatamente la mano tra i capelli per cercare di asciugarsi.
«Vai al bagno e tamponati i capelli con i fazzoletti di carta», le suggerì la bionda posando il caffè sul bancone di marmo.           
«Io sono Marta, piacere».     
«Davide».
«Io…». E ora perché diamine si sentiva in imbarazzo? Da quando bastava solo un gesto come quello per attirare la sua attenzione?          
«Vai pure».    
Il consiglio di Marta gli fu molto utile e, dopo aver finito la scorta di fazzoletti, finalmente i suoi ricci avevano riacquistato un aspetto decente.       

 

“Forse sarà meglio che chiami mamma, sarà preoccupata”. 
Dopo aver tranquillizzato la madre e averle detto che avrebbe passato la notte da Martina, finì di bere il cappuccino e si alzò per uscire.       
Non si era però accorta che qualcuno cercava di farsi spazio tra i tavoli e lei, spostando la sedia di lato, gliela aveva messa proprio difronte, provocando allo sconosciuto una rovinosa caduta.
«Oddio, mi scusi. Non volevo».       
«Elisa?». Lo sconosciuto non era più uno sconosciuto.       
«Ciao, Davide». Il finto sorriso che gli fece non convinse nessuno dei due, ma non ebbe nemmeno il tempo di provare a farne un altro che Davide le stava già urlando contro.    
«Ma sei scema? Tua madre è in pensiero per te. Come ti è saltato in mente di scappare di casa in questo modo? Chi credi di essere?». Il suo sopracciglio destro scattò in alto non appena aveva capito il senso delle parole del moro.           
Elisa era molto pacifica e non alzava mai la voce, ma non avrebbe permesso né a lui né a Giulia di prendersi gioco di lei e di urlarle contro a loro piacimento. Litigare non era nel suo carattere, ma in tredici anni di amicizia con Martina, aveva imparato a difendersi.

«Senti, fratellino», cominciò cercando di mantenere un tono di voce accettabile, «Chi ti credi tu di essere? Non sono Giulia. Ho diciannove anni e non mi faccio comandare da te. Alza un’altra volta la voce con me e ti giuro che convinco la mamma a buttarvi fuori di casa».          
Balle.
Non l’avrebbe mai fatto.       
Voleva troppo bene a Sergio per fargli prendere una decisione così dolorosa: i suoi figli o Rossella.
Davide non rispose, colpito dall’aggressività di Elisa.        
Mentre parlava aveva notato il tremolio nella sua voce e aveva capito che stava solo cercando di proteggersi.
«Scusa, ho esagerato», disse lui tentando di fare pace.
       
«Sai», continuò lui quando il silenzio divenne insostenibile, «mia sorella non è tanto male. Ha solo bisogno di accettare che papà si sia rifatto una vita».    
Elisa, benché desiderasse ardentemente ribattere, stette zitta.        
«Ha sofferto molto, devi capirla».    
Elisa ci provò a non dire nulla, si morse persino le labbra però, all’ennesima frase di compassione da parte di Davide, non riuscì a non dire la sua.   
«Ha sofferto molto? E perché mai? Ha una madre, un padre e un fratello. Dimmi: cosa le è mancato?».
Davide restò sorpreso e irritato dalla presa di posizione di Elisa, e questa volta non fece nulla per nasconderlo.
«Il divorzio dei genitori è doloroso: se non lo provi sulla tua pelle non puoi capire».        
I toni della discussione stavano diventando sempre più accesi, ma nessuno dei due aveva l’intenzione di lasciar perdere.          
«Non mi venire a parlare di sofferenza. Per quanto un divorzio possa fare male, non può nemmeno essere paragonato a quello che ho provato io». Gli occhi di Elisa si inumidirono, ma Davide era troppo immerso nell’imminente litigio per accorgersene.       
«Ti rendi conto che la stai facendo diventare una gara, sorellina?», cominciò alterato, stringendole con forza le spalle, «che ne sai tu di come è non poter contare sul proprio padre quando si ha un problema?».
«Hai ragione: che posso saperne io». Riuscì a liberarsi dalla presa del ragazzo e uscì dal bar diretta dall’unica persona che in quel momento le avrebbe potuto offrire un poco di confronto: Martina
.

Quando Davide rientrò in casa, la situazione non era cambiata di una virgola.      
La sorella era seduta imbronciata sul divano e suo padre con Rossella stavano litigando nell’angolo opposto.
Quando si accorsero di lui interruppero la discussione, pur non occultando la rabbia che stavano trattenendo a fatica.           
«Dove è Elisa? Nel messaggio mi avevi detto che l’avresti convinta a tornare a casa », disse Sergio preoccupato per l’assenza della ragazza.         
La domanda del padre lo infastidì e in un primo momento non volle rispondere: era Giulia sua figlia, non quella.

«Abbiamo litigato e non so dove sia andata», rispose seccato.       
Giulia, che aveva ascoltato tutta la conversazione, sorrise vittoriosa: Davide stava dalla sua parte, aveva un alleato.           
«A quanto pare non sono l’unica a fare i capricci». 
Rossella desiderò tanto rispondere per le rime a quella ragazzina, ma per l’amore che provava per Sergio, decise di passare nuovamente sopra la sua insolenza. 
«Giulia, potrei dormire io con te», propose Davide non appena Rossella lasciò la stanza.
Non voleva rinunciare a una camera tutta per sé, ma sapeva quanto poteva essere testarda la sorella.
«No!», proruppe Giulia.        
Sergio sospiro abbattuto.      
«Giulia, sei stata tu a scegliere di venire a vivere con me, perché ci rendi le cose così difficili?».
«Io vi rendo le cose difficili, papà?». Si alzò dal divano e con gli occhi pieni di lacrime si avvicinò al padre.     
«Sono io tua figlia, non Elisa. Però sembra che tu te ne sia dimenticato. Perché per una volta non sei dalla mia parte, perché non ti comporti da padre?».  
Sergio la strinse in un abbraccio, sussurrandole che avrebbe fatto qualsiasi cosa lei desiderasse.
Fu così che Rossella li ritrovò.          
«Siamo arrivati ad un accordo?», chiese speranzosa che il compagno le desse una risposta affermativa.
«Sì. Giulia avrà una stanza tutta per sé e Davide e Elisa divideranno la camera». 
«Cosa?», domandarono Davide e Rossella all’unisono.      
«Solo se Elisa sarà d’accordo», disse Sergio cercando di convincere la donna baciandole una guancia.
«Meglio parlarne domani, quando Elisa sarà presente».      
A Giulia quella manifestazione d’amore diede fastidio e bramosa di porgli fine il prima possibile, disse di voler andare nella sua nuova camera e cominciare a sistemare le sue cose.          
«Martina mi sta chiamando. Che Elisa non sia arrivata da lei?». Nuovamente sentì il cuore salirle in bocca e la paura impossessarsi di lei.   
Dopo una decina di minuti riattaccò. Il suo volto era distrutto dal dolore, ma i suoi occhi erano pieni di rabbia.            
«Mi ha detto che è arrivata da lei in condizioni pietose. Cosa le hai fatto, Davide?».       
Amava Sergio, ma non ci avrebbe pensato due volte a lasciarlo se di questo dipendeva la felicità della sua bambina.           
Davide non osò rispondere, dispiaciuto per la sua reazione esagerata.       
«Sua figlia ha offeso mia sorella e io l’ho difesa». Dispiaciuto, ma non pentito.   
«Conosco mia figlia, non l’avrebbe mai fatto. Ti conviene raccontarmi cosa le hai fatto, altrimenti il tuo alloggio in questa casa diverrà insopportabile». 
«Rossella», sbottò Sergio, sentendo riaffiorare la rabbia di prima. 
«Niente Rossella, Sergio. Mia figlia è in lacrime a casa della sua migliore amica e io devo saperne il perché».
«Le ho detto che non può permettersi di giudicare il comportamento di mia sorella perché Giulia ha sofferto molto durante il divorzio, e che lei non sa cosa significhi perdere il proprio padre».       
Gli occhi di Rossella, al sentire le parole del ragazzo, si riempirono di lacrime e in Davide sorse il dubbio di aver fatto una cavolata.  
«Io…». Si passò la mano sulla faccia, non sapendo bene cosa dire o fare. 
«Aiutami a rimediare», supplicò il padre quando un’arrabbiata Rossella uscì sbattendo la porta di casa.

Rilesse ancora e ancora quelle due pagine, scritte con una grafia abbastanza disordinata e frettolosa ma chiaramente femminile.

Ecco, ora si sentivo ancora più meschino, ma cosa poteva saperne lui della sua storia? Il padre, quelle poche volte che lo vedeva, non parlava mai della sua nuova famiglia, tantomeno dell’ex-marito della sua compagna.     
Ripose la lettera laddove l’aveva trovata, nascosta tra il libro di Chimica Organica e quello di Storia dell’Arte.
Davide era un tipo abbastanza curioso e, ora che avrebbe dovuto condividere la camera con lei, voleva saperne il più possibile, anche se per farlo doveva sbloccare un cassetto chiuso a chiave.

“Mi basterà chiedere scusa”, sussurrò al nulla. Disteso sul letto a una piazza e mezzo di Elisa, Davide strinse la morbida coperta, sperando che la ragazza decidesse di tornare il prima possibile, così da non sentire più il senso di colpa che lo tormentava.       

Mentre Davide curiosava tra le cose della ragazza, Elisa fissava intensamente la bellissima farfalla tatuata sul suo polso, un marchio indelebile che continuava a ricordarle il periodo di disperazione che aveva vissuto per anni. 
Le parole di Davide – anche se inconsapevoli e dettate dall’ira – l’avevano ferita e non sapeva se sarebbe riuscita a passarci sopra tanto facilmente.        
Avrebbe voluto avere la stessa natura impulsiva e polemica di Martina, ma non aveva saputo fare altro che asciugarsi frettolosamente le lacrime e scappare. Come una codarda. 
Si ritrovò a pensare a Nicola.
Il suo primo ragazzo, l’unico che avesse cercato di portare un po’ di vivacità e allegria nella sua vita.
Ma presto anche lui l’aveva abbandonata, stanco di non ricevere alcun segno di affetto, dopo pochi mesi aveva deciso di mettere fine a quella farsa.
Elisa non gliene faceva una colpa e, pur non vedendosi spesso, erano rimasti in buoni rapporti.  
Solo quando giunse ormai il tramonto, Elisa si rimise il braccialetto di cuoio nero e si avviò verso casa.

Uscita dal bar si era rifugiata tra le braccia dell’amica, ma le sue parole di conforto non bastavano più.
Elisa aveva bisogno di stare e decidere da sola, senza interferenze di alcun tipo.

Senza nemmeno accorgersi di star trattenendo il respiro, girò la chiave nella porta ed entrò in casa.
Nessuno si accorse di lei: Rossella sedeva scomposta sul divano e il compagno cercava inutilmente di tranquillizzarla, mentre Giulia era troppo presa dal telefono per accorgersi di quel che accadeva intorno a sé.      
Tuttavia le bastò schiarirsi di poco la voce, e tutti gli sguardi, improvvisamente, furono su di lei.
Giulia aveva posato il telefono sul mobile alla sua destra, sua madre aveva sciolto l’abbraccio e la testa di Davide sbucava dalla porta del bagno.         
In un altro momento forse avrebbe trovato la situazione divertente.          
«Scusa», sussurrò guardando i volti sconvolti  di Rossella e Sergio.          

§§§

«Perché? Perché dobbiamo fare solo come vuole lei, mamma? Né tu, Sergio, Davide e io siamo d’accordo con questa sistemazione, ma dobbiamo comunque farcela star bene solo per accontentare il capriccio di una ragazzina troppo viziata?», sussurrò Elisa.       
Chiuse in bagno da più di quindici minuti, Rossella e la figlia cercavano di arrivare a una soluzione che potesse stare essere adatta a tutti.  
«Ti prego, tesoro. Sai che se potessi la camera singola te la darei a te».     
«No, mamma!», cominciò Elisa esasperata. Il desiderio di alzare la voce e urlare tutto il suo scontento era grande, ma gridare non avrebbe di certo cambiato le cose.        
«Non si tratta di avere la camera. Giulia è solo una ragazzina che fa i capricci. Avete troppa paura delle sue minacce».       
«Provaci. Ti prego».  

 

 

 

Note:

Ok, lo sto veramente facendo… Ormai l’ho già fatto! Ed è veramente strano pubblicare questa storia visto che ho cominciato a scriverla un anno e mezzo fa. Non ho mai avuto il coraggio di pubblicare perché io non porto mai a termine una long, mi abbatto molto prima e perdo… la passione (?). Non posso dire se succederà anche questa volta, ma ho già otto capitoli scritti e almeno per qualche mese dovrei essere apposto. Non so perché sia attaccata a questa fanfiction più che alle altre, ma so che è così. Non sono mai stata brava con le note, e non lo sono stata nemmeno questa volta.
Grazie di cuore a tutte le persone che sono arrivate fino in fondo e un grazie particolare a HilaryC per il meraviglioso banner (purtroppo non sono ancora riuscita a trovare il suo profilo per taggarla) e a _Stranger_ perché mi sopporta da anni e perché è grazie anche a lei se ho scritto ben otto capitoli prima di pubblicare il primo.  E anche, soprattutto, perché mi ha scritto l’introduzione. Con le introduzioni faccio ancora più pena che che non le note…
Un bacio,
Alina_95

   
 
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