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Autore: claws    20/12/2015    0 recensioni
Fuoco su fumo, fumo su fuoco—erano il segnale di un altro ordine.
[Genderbender!SmoAce & ASL feels][Ossi di seppia][≈7100 parole]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Sabo, Smoker | Coppie: Ace/Smoker
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'The person that you take a bullet for is behind the trigger'
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La compagnia dei morti

 

 

Fuoco su fumo, fumo su fuoco—erano il segnale di un altro ordine. Per questo anche una criminale e una marine ebbero la possibilità di un accordo, benché fragile e rischioso. Nel nuovo sistema di quella malformata relazione l’entropia aumentò a dismisura dal primo contatto tra i poteri delle due protette del Diavolo.

 

 

Quando Anne toccava Smoker e faceva prendere fuoco alle proprie mani, il fumo reagiva in maniera quasi automatica: dei viticci grigi risalivano sulle mani di Anne e cercavano di controllarne le fiamme. Era una sensazione piacevole, come immergere i polsi nell’acqua tiepida, come mettersi sulle braccia un maglione riscaldato dal calore di qualcun altro mentre infuria un freddo del diavolo. Anne aveva dimenticato da tempo quelle sensazioni, e quando per la prima volta il fumo di Smoker le aveva provocato una scossa di sorpresa, allora si era ricordata di quanto fosse gradevole sentire caldo proveniente da qualcun altro. Essendo lei fuoco, le sarebbe stato difficile trovare qualcuno che riuscisse a darle calore concreto: da tempo, comunque, Anne aveva trovato i suoi fratelli di ciurma che, col Babbo, le avevano rivoltato il cuore grazie all’affetto.

Smoker non poteva bruciarla, ma poteva restituirle, di riflesso, un tepore piacevole.

Per le mani di Anne tutto il resto del mondo era freddo: Smoker, involontariamente, riportava alla memoria la sua infanzia—Sabo aveva sempre avuto le mani caldissime e lei non lo ricordava o meglio lo ricordava nel suo subconscio cattivo ed egoista e meschino e schivo e—Smoker, involontariamente, la riportava a un tempo in cui era stata felice con i suoi due fratelli di cuore. In questo momento, distante ere geologiche da quando era piccola, si trovava a inseguire un uomo (un bastardo) che le aveva tolto un caro amico (un fratello di ciurma). Tornare temporaneamente a quello stato felice di condivisione delle difficoltà era uno shock: il suo corpo cominciava a ricordare il tepore delle mani di Sabo, il suo fiato, la sua voce, la voce di Rufy, i suoi occhi, il suo sorriso. Smoker diventava il tramite con un mondo oltre il nostro e anche per questo Anne non poteva fisicamente smettere di frequentarla nel breve periodo.

Il potere del Diavolo del commodoro reagiva spesso senza che Smoker lo controllasse, ma a volte qualcosa sembrava incepparsi e Anne bruciava, in attesa di quel miracolo di intercessione che non arrivava per chissà quale motivo.

«Smokie, perché a volte non reagisci al mio fuoco?»

Smoker l’aveva guardata attentamente negli occhi, cercando la domanda implicita. «Vuoi la risposta sincera? Ti avviso, non ti piacerà.»

«Non importa. Rispondimi.»

«Tu parti per il tuo mondo, a volte, ed è il mio fumo ad alimentare i tuoi viaggi mentali. Riesco a sentirlo nella mia forma Rogia e non mi piace per niente. Per questo cerco di trattenermi.» Smoker sbuffò – non per la noia, ma per quell’enorme seccatura di una ragazzina criminale che stava lì al suo fianco. «Che cosa ti succede quando il mio fumo tocca il tuo fuoco, marmocchia?»

Accidenti. Conoscendo almeno un pochino Smoker, si sarebbe dovuta aspettare sia la verità sfacciata che la domanda.

Anne titubò finché poté, ma poi capì che non ne sarebbe uscita, se non avesse detto almeno un pezzetto di verità. «Mi vengono in mente cose della mia infanzia.»

«Voglio sapere. Non voglio essere il tramite di cose che non conosco.»

«Non posso parlarne.»

«Perché no?»

«È troppo doloroso,» disse Anne con un filo di voce, «risparmiamelo.»

«Tch. Fa’ come vuoi.»

Smoker le dava ora le spalle. D’accordo, la sua schiena era comunque una bella schiena, ma qualcosa diceva ad Anne che si era lasciata scappare un’occasione.

Anne mise una mano tra le scapole di Smoker e fece prendere fuoco alle proprie dita. Non ci fu reazione. Le piccole lingue di fuoco mordevano e nulla rispondeva. Anne, frustrata, arrabbiata e addolorata, aumentò la temperatura delle fiamme. Ancora nulla. O meglio, sulla pelle di Smoker ora c’era un marchio che se ne sarebbe andato via con il primo soffio di fumo.

L’occasione era scivolata via come l’acqua tra le mani, come il tempo tra i granelli di sabbia.

 

 

Anne aveva parlato di cose della mia infanzia. Si trattava di ricordi racchiusi in un piccolo angolo del suo cuore: da quando Sabo era morto, Anne aveva sigillato le memorie di quel periodo lontano in modo tale da non esserne affetta mortalmente. Ogni tanto lasciava che il sorriso di Sabo si impadronisse di lei, e allora stringeva il proprio ASNNE d’inchiostro sotto le mani e sospirava. Quelli erano stati i suoi primi tempi sul mare.

Alla morte di Satch tutti quegli episodi che aveva conservato nell’inconscio erano riaffiorati e il dolore era stato tale da portarla sull’orlo del delirio di un moribondo. Satch e Sabo si erano sovrapposti uno sull’altro anche in quella S tatuata e la testa di Anne aveva girato come in una danza di marmocchi in fiera e le gambe avevano ceduto e gli occhi si erano inumiditi e il pianto non l’aveva liberata da alcunché. E, e, e, gli eventi si erano susseguiti con una lentezza esasperante che glieli aveva fatti rivivere in una rapidità e un’intensità da attacco cardiaco.

Anne aveva bisogno dei propri ricordi, ma ne aveva molta paura. Il solo pensare a Sabo o Satch la riempiva di odio per se stessa e di un forte rimorso. Quando, con il fumo che Smoker incarnava, aveva avvertito calore, Anne aveva pensato per prima cosa a Sabo e Rufy, e poi a Satch e Marco.

La contraddizione le stringeva il cuore in una morsa. Amava il calore sulla pelle, questo sì; ma rivivere quei ricordi—era meraviglioso e doloroso allo stesso tempo—era la tortura di chi trova giusto sentirsi colpevole e responsabile per tutto il male attorno.

In tutto questo, Smoker era la sua Caronte dagli occhi di cinigia, diremmo noi da un altro universo: tuttavia non sarebbe mai una definizione esatta, perché Smoker non era una guida, bensì l’incenso che apre il varco tra i mondi, la tempesta epifanica. Perdere lei significava perdere l’opportunità di sentire di nuovo calore concreto, che nulla toglieva all’affetto dei suoi compagni (dei suoi fratelli) – anzi, forse lo rendeva ancora più consapevole.

Doveva risolvere la questione con Smoker. Stava diventando pazza – avrebbe fatto prendere fuoco all’intera nave, se necessario, perché il fumo si manifestasse di nuovo.

 

 

«Cosa ti avevo detto, marmocchia? Mi sento sfruttata.»

«Non devi. Non lo sei. Non al di fuori dei termini che abbiamo stabilito.»

«Così dici, ma la situazione non cambia.»

«Cambierà. Dammi una possibilità.»

Anne stava mettendo alla prova la fiducia di entrambe davanti a una Ma’at a cui porgeva un cuore di piombo.

Allungò una mano verso il collo di Smoker. Le dita erano già roventi prima di toccare la pelle del commodoro, che non si mosse di un solo millimetro, non sbatté le palpebre, forse non respirò. A contatto con le lingue di fuoco il suo collo prese fumo con un lungo sibilo. Entrambe avvertirono la sensazione di calore diffondersi di cellula in cellula – come se potessero percepire ogni microscopico elemento dei loro corpi.

Era un tepore piacevolissimo.

Non era fusione col fuoco e col fumo: il fumo era un mezzo che creava calore e quello era colore nei ricordi scialbati di Anne. Mordeva. Il suo corpo azzannava il cuore per obbligarlo a proseguire. Che cosa doveva Anne a Smoker? Non era meglio infierire e tirar fuori altri colori per le proprie memorie?

«Non sei vile. Non diventarlo.»

Era stata una voce lontana e demonica a parlarle.

Il tocco leggero di Anne divenne una presa da strangolamento. Smoker si sublimò in fumo e quello fu il sublimarsi dell’esperienza di Anne. Trascorsero solo pochi secondi prima che Smoker si addensasse di nuovo nelle proprie fattezze e bloccasse la giovane sotto il proprio peso.

La terra si era sollevata e ne erano usciti i morti, ma Anne aveva perso un’altra occasione.

 

 

«Smokie, prometto.»

«Cosa ci guadagno, da tutto questo?»

«Se non ci riesco, me ne vado. Per sempre. Prometto.»

Smoker, nell’osservare Anne, sembrava un gatto che guarda oltre l’occhio del proprio umano, cerca di capire oltre, arriva a cogliere qualcosa ma non riesce a dire – a decifrare – quello che ha scoperto, come un Poignee Griffe ai suoi occhi di non iniziata.

«Voglio fidarmi un’ultima volta,» rispose Smoker, «e non lo faccio per te.»

«Per chi? Per te stessa?»

«Sì. Non posso aver sbagliato così tanto nel mio giudizio.»

Anne sorrise. L’avrebbe morsa e abbracciata se Smoker non le avesse inchiodato i piedi con quegli occhi da Atena glaucopide.

Stavolta Anne aveva una strategia. A furia di provarci e di fallire, aveva capito come combattere quel delirio febbrile che l’assaliva quando il calore le inumidiva le dita. Mise una mano su quella di Smoker e l’altra nei suoi capelli grigi: la prima si arroventò, la seconda strinse forte.

Il fumo reagì prontamente, e quando i morti si mostrarono debolmente, come velati nei suoi occhi scuri, Anne strinse forte i capelli di Smoker. Capelli rimasero, ma le parvero i fili reggenti il varco tra memorie e presente.

Anne vide Rufy—Sabo—i loro tre bicchierini verso il cielo. Strinse la sua accompagnatrice al punto tale da rubarle un ringhio, che quasi riportò l’io di Anne sulla nave della Marina. Quasi: Anne stringeva ora la mano di Sabo nella propria ed erano dita bambine.

Forse fu questo rivedersi di nuovo piccola che riportò Anne da questa parte dello squarcio.

Smoker la stava guardando (che novità): aveva la testa storta all’indietro, tanto che il collo sembrava del colore delle ossa pulite. La mano di Anne era ancora tra i suoi capelli, che in controluce avrebbero brillato come delle ragnatele irrugiadite.

«Puoi anche smettere di cercare di rompermi il collo, adesso.»

Anne sciolse la presa e tentò, senza molto successo, di rilassare la mandibola. Ansimava. Aveva gli occhi di un ubriaco. Poi, sorridendo, spiccò un piccolo salto per atterrare sul petto di Smoker e abbracciarla.

«Grazie,» le disse, desiderosa solo di piangere o di dormire.

Il cuore di Smoker si turbò (in maniera forse un po’ maldestra, come se non avesse previsto un ringraziamento) e perse l’accordo. Il commodoro sciolse la treccia di Anne e le pettinò i capelli con le dita, in silenzio, senza imbarazzare, senza rimproverare. Il sentimento che provava per Anne non era né quello di un’amante, né quello di una madre o di una sorella – era qualcosa come l’immagine proiettata dalla luce dietro la nebbia, una figura sfuocata e inafferrabile. Ecco. Inafferrabile era il suo sentimento.

(Anne si era addormentata, alla fine. La sua stretta sul petto s’era fatta molle e il suo fiato più lento.)

Smoker non credeva che il proprio potere potesse nascondere sorprese simili – forse Anne si lasciava suggestionare dalla piacevole sensazione di fumo su fuoco? Forse si stava prendendo gioco di Smoker, la stava raggirando?

Anne sembrava sincera. Il buon intuito del commodoro non poteva sbagliare in una situazione del genere, quando in altri casi aveva capito subito a quale gioco la marmocchia stesse giocando – non perché fosse più facile capirla, ma perché questa sembrava proprio una situazione seria. Di importanza vitale.

Smoker adagiò la stupida addormentata sul letto e decise che per quel giorno ne aveva viste a sufficienza.

 

 

Quando Anne si svegliò, si trovò stretta tra il muro in legno della cabina e il corpo di Smoker, ancora nel mondo dei sogni (chissà cosa sognava, il commodoro: probabilmente tazze di caffè giganti bevute mentre mandava a quel paese metà dei propri superiori). Si ricordò di aver provato ancora quelle belle sensazioni della propria infanzia – i sogni di allora e le fantasie del mattino si intravedevano nel pulviscolo che galleggia nell’aria e che si vede solo in controluce.

Smoker grugnì nel sonno. Probabilmente stava davvero maledicendo i boss della Marina. Come diavolo faceva ad avere quella faccia scazzata perfino mentre dormiva? Forse era nata con quell'espressione? Pff.

In ogni caso, Smokie era stata brava. Non solo era riuscita a invischiarla in quella relazione; aveva anche trovato delle maglie rotte nell'angolino recintato del cuore di Anne in modo tale che la giovane potesse frequentarlo senza la paura di rimanerci intrappolata.

Da qualunque angolo venisse guardato, si trattava di certo di un atto d’amore. Magari non strettamente amore per Anne – improbabile, a dire il vero –, piuttosto amore per il dovere, per la giustizia, per il sentimento etico che Smoker doveva aver provato quando aveva permesso ad Anne di usarla come tramite con i morti. Era un sacrificio per amore dei propri ideali e della propria integrità.

Anne capì: quando lei e Smoker cominciarono a frequentarsi, il commodoro (allora capitano) aveva mostrato pochi problemi nell’affrontare una relazione simile perché si era fidata del proprio istinto e del proprio giudizio. Con ottima fiducia in se stessa aveva deciso e si era comportata di conseguenza – almeno così sembrava.

Un animo forte e un’anima vecchia. Al confronto, Anne si sentì una nullità.

Quella consapevolezza fu una scintilla, scoccata sul suo cuore già provato da troppi dolori e da troppi affetti. Su quella scintilla scrosciò una sferzata di vento secco che alimenta gli incendi estivi; improvvisamente, il suo cuore riprese a bruciare, ricordi e fantasia si sovrapposero per un solo istante e un’altra rivelazione la colse – che cosa ne sai, tu, di questa donna? Che cosa ne vorresti sapere? Credi davvero che una marine (una nemica!)—ma il tempo trascorso ha dimostrato che non è come gli altri, e che perfino i suoi sottoposti sono diversi—

Anne scavalcò con agilità Smoker e recuperò i vestiti che aveva lasciato sulla sedia. Nello scuotere la testa per riprendersi, notò di avere i capelli slegati.

Non poteva aver sciolto la treccia, era troppo importante – troppo intimo – perché l'avesse fatto davanti a Smoker. Il panico di chi ha appena scoperto il fianco al proprio avversario fu tanto intenso che Anne desiderò bruciare il legno sotto ai propri piedi, lasciando affogare anche se stessa nello scrigno di Davy Jones. Il rimorso e la paura si intorbidavano vorticando.

Il suo elastico era sulla scrivania. Quando se ne accorse, Anne lo acchiappò come se quel pezzetto di gomma stesse per cadere in una voragine; poi si sedette sul tavolo, a gambe accavallate, e cominciò a intrecciarsi i capelli. Voleva arrabbiarsi – era stata preda di una furia cieca per due secondi, benché le fosse sembrato un tempo infinito – e far saltare in aria tutto. Lasciar perdere il mondo intero, salire a bordo del proprio Striker e allontanarsi dalla maledetta nave il più velocemente possibile, sì, lo desiderava con tutto il cuore. Solo due freni rimanevano ai suoi piedi, ed erano più pesanti di due ancore.

Avete mai provato ad astenervi dal godere della cosa (non della persona) che più vi piace? Che sia privarsi del cibo preferito, dell’alcol, del gioco, delle sigarette, c’è un momento in cui il fisico richiede attenzione. Il corpo, non lo spirito, reclama delle attenzioni che prima erano concesse senza remore: superato quel momento di crisi, l’organismo si adatta e oltrepassa quella che prima era considerata un’urgenza.

Anne, seduta sulla scrivania di Smoker, con i capelli ancora tra le mani, si trovava nel mezzo di una transizione simile. Aveva toccato di nuovo un calore che non ricordava più – lo aveva toccato nelle mani piccine di Sabo, le sue manine da ragazzino, lo aveva ascoltato nella risata di Rufy, nelle loro particolarità che Anne temeva di dimenticare solcando mare e tempo. Era stato commovente poter tornare nel cantuccio della propria testa dove aveva rinchiuso i propri ricordi d’infanzia e abbracciarne dolcemente uno, uno soltanto, con Sabo e Rufy e Anne felici, insieme, pronti a vivere. Nel periodo in cui aveva vissuto con loro, lo spettro di una vita che non valeva la pena vivere era stato un incubo, che emergeva in pochi momenti e veniva subito scacciato da uno dei suoi due fratellini.

Poter tornare a quell’armonia—a quella spensieratezza macchiata di una prematura coscienza dell’esistenza—era uno dei regali più belli e drammatici degli ultimi tempi.

Prima di quella notte, Anne aveva trovato altri motivi per vivere – Sabo, ormai morto, Rufy, in giro con la sua ciurma, Barbabianca e tutti i suoi figli e figlie. Ma poter ricordare sulla pelle (sulle dita!) il calore dei suoi due affetti più grandi era tanto doloroso da renderla felice: il dolore di una perdita vergognosa come quella di Sabo veniva accompagnato dal tenero ricordo di quegli anni verdi come i dintorni del monte Corbo.

Rivivere quell’esperienza, però, era stato devastannn—

Smoker, nel sonno, si voltò verso la scrivania e ringhiò di nuovo.

Le due ancore incatenate ai piedi di Anne l’avrebbero costretta in quella cabina finché il commodoro non si fosse svegliato. Allora le avrebbe parlato, avrebbe risolto tutti i conti che doveva saldare con quella testa calda di una Cacciatrice Bianca e si sarebbe ritirata come la marea – per scomparire per sempre, una volta per tutte. Non sarebbe scappata. Doveva dimostrare a una delle poche persone della Marina con un minimo di intelligenza morale che i pirati non sono tutti feccia. Non l’avrebbe fatto per Smoker – anzi, voleva mettere in difficoltà il commodoro, comportandosi in quel modo: voleva complicare l’ideale di giustizia e di lealtà che Smoker s’era costruita nel corso degli anni.

«Perché sei così sconvolta? Cosa significa quella treccia?»

Ma quella fingeva di dormire? Era un cyborg? Si alimentava a sigari, come lo Striker con le fiamme? Che razza di donna, accidenti.

Siamo alla fine, posso anche dirtelo.

Anne cercò in tutti i modi di sembrare tranquilla: quando però capì che Smoker non ci sarebbe cascata, rispose: «Da piccoli eravamo in tre. È un modo per ricordarmi di loro.»

«Non ricordi la loro voce?»

«Guarda che Rufy è ancora vivo e l’ho visto da poco.»

«E l’altro?»

«Chi ti dice che era un lui?»

«Hai detto piccoli, non piccole. Cappello di Paglia è in giro per la Rotta Maggiore a combinare casini, e tu tendi a nascondere il tuo io dietro al plurale.»

«Dillo, che hai tirato a indovinare.» Esclamò Anne, cercando di dissimulare il disagio dietro uno schiocco di dita, una treccia ben fatta e uno stirarsi delle gambe. «Senti, Smokie, grazie per stanotte, ma adesso me ne vado. Per sempre. Be’, a meno che tu non decida di inseguirmi, ma a quel punto ti denuncerei per molestie.»

«Quello sarebbe il mio lavoro, marmocchia.» Poi Smoker guardò dritto negli occhi di Anne, come se esistesse un modo per sezionare le emozioni con uno sguardo laser. La sua voce era ancora un po’ roca dal sonno. «Non riesco a capire se la tua è paura o uno stupido tentativo di farmi arrabbiare per avere la scusa per andartene.»

«Ma come? Io pensavo che fossi contenta di vedermi sparire.»

«E io pensavo che sapessi leggere fra le righe.» La marine scosse la testa, si passò una mano tra i capelli e si alzò: in quella situazione poteva sembrare una valchiria statuaria e plastica. L’immagine incantata si spezzò quando quella insultò chissà chi tra i denti e si mise in bocca due sigari fumanti.

«Avrei bisogno di un tuo diario segreto, commodoro, ma sfortunatamente sono costretta a prendere sul serio qualsiasi cosa tu dica, perché altrimenti non ti si capisce.»

«Qual è il problema?»

Sii precisa. Una stoccata, poi via.

«Che non voglio più mostrarmi debole davanti a nessuno. Tantomeno a te, che sei insopportabile.»

«Avere sentimenti è da deboli?»

Anne rimase in silenzio, perché (come al solito) Smoker non era stata per nulla chiara. Certo si sarebbe spiegata, ma non prima di osservare con cura la reazione di Anne—gli occhi che si mossero verso sinistra e un tremito in un pollice.

«Non parlo di me, né di te in generale. Parlo di quelli per i tuoi fratelli. Ci voleva il mio potere per tirarti fuori dei ricordi che prima ti facevano solo del male e che adesso ti fan felice? Questo sì che ti farebbe cadere in basso, marmocchia.»

«Ma tu non hai la minima idea—»

«Un’idea ce l’ho.» Rispose Smoker, battendo giù il sigaro consumato nel posacenere, con la voce di chi vuol finire un dannato discorso e lo finirà, costi quello che costi. «Non sei l’unica a stare bene quando i nostri poteri si scontrano. In breve: se pensi di potermi sfruttare – perché è quello che hai fatto, infrangendo il patto – e poi di andartene senza darmi delle spiegazioni ragionevoli, hai veramente sbagliato persona fin dall’inizio.»

Sul viso di Anne comparve quel sorriso amarissimo di chi vorrebbe piangere e non ci riesce. «Non c’è nulla di ragionevole. È tutto un groviglio. La verità? Tu sei la compagna dei morti, per me. Non ho mai più sentito calore sulle mani da quando posso diventare fuoco. Il tuo dannatissimo fumo me lo fa percepire, e allora riesco a ricordare il mio passato – quando ero felice con i miei due fratelli e sognavamo di diventare pirati, e anche se a quel tempo ero felice, ora non lo sono. Mi fanno male. Non c’è ragione, ci sono solo contraddizioni: altrimenti non avrei cercato di strangolarti almeno un paio di volte.» Poi Anne guardò negli occhi l’altra donna e aggiunse: «Tu sei la compagna dei miei morti e non posso sopportare un giorno di più la tua presenza.»

Smoker non sembrava sconcertata da quelle parole, ma doveva esserlo per forza. Erano termini troppo duri perché non la spaventassero un poco. «Ti mancano loro o i tuoi ricordi felici di loro

«Basta. Ho risposto.» Disse Anne, ora scocciata e impaurita dalla propria confessione. «Hai finito il tuo interrogatorio, Cacciatrice Bianca.»

«Un’ultima cosa. Rispondimi sì o no. Non ho bisogno di altro.»

Anne sbuffò.

«Hai paura che tuo fratello sia morto odiandoti?»

Silenzio. Anne cercò di rimanere il più ferma possibile. Solo quando Smoker le si avvicinò tanto da metterle le mani sulle spalle la giovane si divincolò e scese dalla scrivania con uno scatto da animale che sente invaso il proprio territorio.

«Va bene, hai risposto anche così. Vattene. Ma ficcati in testa, marmocchia, che ai bei tempi una marea di cose era incomprensibile. Diventare adulti non è un peccato: i tuoi punti di riferimento non cambiano perché i tuoi anni aumentano, ma perché tu capisci di più il mondo. Ripensare al passato dovrebbe servire a capire meglio le cose, non a rimanere attaccati a pensieri da bambini.»

«Questa è una bugia, commodoro.» Anne ridacchiò senza essere divertita.

«Questo è perché non vuoi mettere in moto il tuo cervello, marmocchia.» Aggiunse Smoker, prima di acchiappare una mano di Anne e lasciare che le proprie dita evaporassero su quelle di Pugno di Fuoco. «Se tu lo volessi, potresti capire molto di più di quello che capisco io – anche di te stessa. Ma sei una codarda.»

«Codarda a me

«A te, marmocchia. Tieni nascosto il tuo passato perché hai paura che la tua identità finisca per essere la sovrapposizione dei tuoi ricordi nel tuo presente, però ti ostini a riviverli. Rivivi quei momenti in cui eravate insieme in un misto di gioia e odio, perché hai paura che tuo fratello sia morto odiandoti.»

Un altro silenzio, un’altra risposta – anche se questa volta non le era stata posta una domanda direttamente. La mano di Anne ancora non aveva reagito al fumo che si stava aggrovigliando sul suo polso.

«Ti perdi nel tuo dispiacere e sei felice di odiare te stessa – è una stupida giustificazione per quello che hai o non hai fatto. Lo so perché ci sono passata anche io, molto tempo fa.»

«Vedi che allora sei vecchia, commodoro?»

«Non te lo sto dicendo per farti divertire, idiota.» Smoker prese un altro sigaro, ma questa volta fu Anne ad accenderglielo con la punta dell’indice.

«Lo dici per sembrare più forte di me.»

«Sei dura di comprendonio. Forte non significa chiudersi in se stessi.»

«Parla Miss Espansività.»

«Sai benissimo cosa intendo. Significa che dovresti occuparti dei tuoi ricordi. Superarli. Non lasciare che condizionino il tuo presente in questo modo – in un altro, ma non così.» Ci fu una breve pausa che preannunciava l’ennesima spiegazione. Ancora Anne non capiva per quale diavolo di motivo fosse arrivata a discutere del suo passato con quella maledetta impicciona di un commodoro: glielo concedeva, indagare era il suo mestiere e la sua ragione di vita, ma quell’interrogatorio-monologo dove e quando sarebbe finito? «I ricordi delle persone care dovrebbero aiutarci ad andare avanti, non a rimanere incastrati in vecchie idee o vecchi sentimenti.»

«Non mi dire cosa devo fare. Non sono una dei tuoi sottoposti.»

«Pugno di Fuoco, credo proprio che tu sia stata superata in questo dalla mia seconda in comando. Tu hai la tua vita. Non devi nulla ai morti. Lasciali in pace. Non richiamarli in questo mondo.»

Che occhi. Grigi come due perle, taglienti come due spade di Ambizione.

«Io devo tanto ai miei morti. A Sabo, a Satch—»

«Sono morti. Lasciali riposare. Ricordali, porta avanti le loro volontà, se ti può servire, ma farti del male ricordando bei momenti non ha senso.»

Anne, a metà tra l’incredulo e lo sconvolto profondamente, riuscì soltanto a sussurrare. «Perché me lo dici?»

«Perché non posso essermi sbagliata così tanto, nel mio giudizio.»

Allora, dopo un momento di indugio, la mano della giovane prese fuoco, un’ultima volta: il fumo fu in grado di contenere le fiamme senza alcun problema. Quando Anne avvertì nuovamente il calore fisico e capì che non ci sarebbe stata un’altra occasione, decise di dimostrare a Smoker che anche lei sarebbe diventata più forte e avrebbe potuto imparare a convivere con le proprie memorie, senza relegarle in un angolo, senza venirne assalita ogni volta che cercava di assaporarle.

Nella cabina c’era un fumo tale da far venire le lacrime agli occhi. Non riuscivano più a vedersi in faccia, ma Anne pensò che di sicuro – di sicuro – quella maledetta stava sorridendo con l’aria di chi ha vinto una sfida.

«Essere forti non esclude la possibilità di farsi aiutare. Bastava chiedere.»

«Sì, perché la Cacciatrice Bianca avrebbe accettato di aiutarmi fin da subito. Certo.»

«Solo quando Pugno di Fuoco avesse deciso di aver bisogno di una mano

Fumo e calore schiusero le porte di fuoco del mondo. Non era più la nostra Anne ad avere le mani di Sabo bambino tra le proprie dita: era una piccola Anne, una ragazzina, ad abbracciare Rufy e a contemplare il sorriso e le voci dei suoi due fratellini.

Anne Pugno di Fuoco stava osservando la bambina Anne dall’esterno, come l’attrice di un film che decide di riguardare il primo lungometraggio della propria carriera – come una scrittrice che torna a rileggere i capitoli che ha scritto. Non era spiacevole: erano più apprezzabili i gesti della piccina, le sue risposte ai segnali mandati da Rufy o Sabo; dall’esterno poteva cogliere tutti i movimenti di uno e dell’altro senza doversi muovere. Era uno stato contemplativo, in cui Anne Pugno di Fuoco non poteva e non voleva agire – ci pensava già la piccina, in quella maniera un po’ schiva e un po’ contraddittoria che Anne riconosceva in se stessa.

Lo riconobbe come un bel ricordo, anche se vissuto da quel punto esterno. Era separata dalla bambina Anne, ma non la sentiva come una mancanza – o meglio, era una distanza che non le toglieva più il fiato e non le pungeva più gli occhi in lacrime.

Oh. I loro tre bicchierini di sake al cielo, tutti e tre finiti in un sorso. L’alcol in gola – Anne bambina doveva averlo sentito, ma Pugno di Fuoco non sentiva più neanche il bruciore di un liquore; la loro risata e la piccola lotta giocosa che ne era seguita, come se anche quella baruffa fosse il sigillo del legame che avevano deciso di ufficializzare con il sake.

I tre bambini si disfacevano piano piano negli occhi della nostra Anne. Il ricordo si stava spegnendo come una voce al termine di una canzone di strada, con un tremolio di languore. Quando Anne riprese coscienza di sé e dell’ambiente circostante, per prima cosa vide dei tralci di fumo riformare le dita di Smoker attorno al polso di Anne, poi vide la faccia serissima del commodoro, davanti a lei.

«Difficile?»

Anne le fece una linguaccia. La voglia di scappare via non era diminuita – forse era ancora più forte, visto che Anne non voleva proprio ringraziare quella maledetta Cacciatrice Bianca: allo stesso tempo andarsene non—non le sembrava giusto. Non subito, almeno.

Chissà in che direzione avrebbe puntato una bussola che indica ciò che più si vuole al mondo. Se solo ne avesse avuta una...! Ma certe fantasie non possono avverarsi, e forse per lei era meglio avere il beneficio del dubbio, in quel momento.

«Ora puoi andartene, marmocchia.» Smoker aveva parlato con così tanta convinzione da risultare non autentica – come se non volesse che Anne sparisse di colpo.

«Adesso sei tu a mandarmi via? Volevi soltanto farmi una ramanzina?»

Smoker predicava bene e in genere seguiva i precetti su cui insisteva sempre, ma questa volta sembrava in difficoltà. Non sarebbe riuscita a esporsi e a chiederglielo? Avere sentimenti non è una debolezza, giusto?

«Solo se è una cosa seria. L’ultima cosa seria.» Rispose Smoker.

«Promettiamo?»

«Promettiamo.»

Anne aveva creato quella che davvero fu l’ultima occasione – ecco quanto era migliorata. Consumarono tutto il tempo che avevano a disposizione per dedicarsi a sé e all’altra in un intervallo sospeso nel tempo dell’esistenza: quando il fuoco e il fumo si toccarono di nuovo furono le carezze profonde di chi sa che la mancanza del contatto sarà terribile ma si sfalderà a lungo andare.

Si amarono completamente senza che tra loro ci fosse amore completo (o anche solo amore a metà); si chiamarono per nome perché era la più immediata forma dell’io a cui si può arrivare, benché imperfetta—incompleta—parziale.

Il sole stava sorgendo dal mare quando Anne si sollevò dal letto – o cercò di alzarsi, perché un braccio di Smoker che aveva indugiato sulla vita di Anne le aveva fatto perdere l’equilibrio: così la giovane era finita di nuovo sul petto del commodoro.

«Cos’hai da ridere, ragazzina?»

«Senza volerlo dare a vedere, sei carina. A modo tuo. Ma lasciami andare, adesso.»

«Sei tu che sei scoordinata,» rispose Smoker, evitando di mostrare il proprio imbarazzo (il che le riusciva in genere abbastanza bene).

Anne le fece un’altra linguaccia. «Se ti piacciono le ragazze goffe, dovresti fare un pensierino sulla tua seconda in comando.» Schioccò un bacio innocente sulle labbra di Smoker e poi si alzò per lasciare definitivamente quella cabina di quella nave della Marina.

Mi mancherà, pensarono entrambe. Non fraintendiamole: non perché ci fosse amore tra loro. Si trattava del fuoco e del fumo, del rispetto che ognuna aveva per i propri ideali, del coraggio che avevano mostrato in quella relazione non meglio definita e non meglio definibile. Provavano nostalgia del contatto prima ancora di allontanarsi.

«Fa’ la brava, Smokie. Non farti venire un’ulcera per lo stress.»

«Tu non farti ammazzare troppo presto.» Rispose Smoker, con quel ghigno da arrogante persona sveglia che ogni tanto le compariva sul viso.

«Non te lo garantisco.»

Poi Anne sparì fuori dalla finestrella della cabina in una nuvola rossa di fuoco. Lo Striker ruggì e la giovane uscì dalla vita di Smoker per diverso tempo.

 

 

Quando vi rientrò fu con gran prepotenza, in un pessimo momento e per una ragione terrificante. Eugenetica, mai sentita nominare? Una ragione fuori di senno, anche quando attuata contro un pirata.

«Le colpe dei padri ricadranno sui figli,» disse Smoker, ad alta voce, mentre fumava una sigaretta assieme a Hina – entrambe erano rimaste in silenzio da quando la battaglia (la guerra) si era conclusa. «Cosa dicevano quei vecchiacci, Hina?»

«Va’ e non far più del male.» Rispose Hina, la Gabbia Nera. Le sue nocche erano bianche come latte e dure come l’acciaio, e avrebbero spaccato un muro di Marijoa, se lei ne avesse avuto l’intenzione.

«No, prima di quello. La parte che tutti sanno.»

«Chi non ha fatto del male colpisca per primo.»

Ecco: Va’ e non far più del male aveva più senso, ora. Peccato che nessuno ricordasse tutta la storia. Ci si limitava a citarla per sentirsi sollevati da ogni colpa, mentre tutti i dolori provocati sarebbero ritornati, ritorti e molto arrabbiati.

 

 

Ci pensava ancora—non era salutare, per lei, ma nonostante tutto ci pensava ancora. In quanto a volersi male, Smoker aveva avuto ottimi insegnanti nel corso della propria vita: quella marmocchia forse era stata la sua maestra più brava.

(Non si erano lasciate in una brutta maniera. Non era doloroso: forse malinconico, questo sì.)

Lei, la compagna dei morti, ogni tanto pensava ai propri defunti e il fumo dei due sigari che aveva in bocca si contorceva, come le radici di un cipresso che divelgono una pietra tombale e si arricciano su un epitaffio. Le parole si annerivano della terra e Smoker si sentiva leggera più della cenere che soffiava fuori dalla finestrella della propria cabina. Immaginava che la polvere fosse quella dei corpi bruciati delle persone che aveva amato e rispettato, e che spargerla sul mare fosse il gesto più—giusto?—che potesse compiere nei loro confronti.

Certe memorie infestavano i suoi sogni. Smoker era capace di avvertire il calore di una tazza di caffè o del sangue: ciononostante provava nostalgia al ricordo delle mani di Anne, perché emanavano un calore particolare – certo, questo era dovuto al potere del Frutto, ma come poteva dissociare l’alta temperatura e la persona che la emetteva, quando quello stesso ricordo era tenuto insieme soltanto da una fioca forza di volontà?

A volte – di rado, certamente – Smoker era debole. Debole e in continua contraddizione con se stessa: con i propri pensieri, non con il proprio istinto morale. Allora prendeva la cenere dei sigari e la rovesciava nel mare.

Sapeva che certe memorie dovevano infestare i suoi sogni, ma a differenza di qualcun altro Smoker aveva imparato a sfruttarle per migliorarsi e irrobustirsi. Le prendeva con le proprie mani di fumo e le accompagnava nell’angolo morto della propria mente: le abbandonava lì per qualche tempo. Quando tornava a recuperarle, alle sue spalle spirava un vento di mare che assottigliava la sua proiezione eterea, ma non riusciva mai a sconfiggerla e a diradarla completamente.

La traghettatrice non si permetteva mai di naufragare—doveva combattere contro le correnti e le tempeste, ma era—giusto. Aveva persone di cui fidarsi, a cui affidare le vele e le funi. I morti si manifestavano sulla linea dell’acqua e ogni tanto uno di loro veniva sbattuto sul fianco del suo traghetto: nessuno, però, poteva valicare di nuovo il confine.

Era sospesa tra due mondi ma rimaneva stabile sui propri piedi. Questo certo non vuol dire che non avesse la propria parte di rimpianti o di rimorsi; a volte (di rado, di sicuro) non raccogliere il riflesso di una persona amata o un profilo che emergeva dall’acqua e sembrava parlare, lasciarlo al grembo marino, tutto era una tortura—erano lupi che la mordevano nella bonaccia sdentata.

 

 

               

 

 

Dal rapporto che il viceammiraglio Smoker aveva sotto gli occhi saltava fuori che ad acquisire i poteri del frutto Foco Foco, dopo la morte di Anne, era stato Sabo, il secondo in comando dell’armata dei rivoluzionari. Smoker conosceva quel nome oltre il titolo che portava: dunque la volontà di Anne era passata nelle mani del terzo fratello? Si trattava solo di un caso di omonimia? Dopotutto, Pugno di Fuoco stessa aveva detto, una sola volta e a bassa voce, che Sabo era morto quando erano ancora piccoli. 

Avendo avuto a che fare sia con Cappello di Paglia che con Pugno di Fuoco, Smoker era quasi certa che non potesse trattarsi di un caso: era lo stesso Sabo dell’infanzia di Anne ed era l’ultimo fratello, quello scomparso per un decennio. La volontà di Anne era stata raccolta e, come un fuoco di calce viva, avrebbe resistito a tutta l’acqua del mondo—finché non fosse finito l’ossigeno.

Non ci fu gioia: solo uno strano sentimento di timore, o qualcosa del genere, e non perché ad avere quei poteri fosse uno dell’armata dei rivoluzionari. Se questo Sabo di cui si parlava nel rapporto fosse stato davvero quel Sabo di cui Anne aveva raccontato piccole cose due anni prima, Smoker non avrebbe mai voluto misurarsi con lui – né in un duello, né in un discorso. Rivedere Cappello di Paglia non era stato esattamente piacevole: negli occhi di Rufy rivedeva Anne e benché non avesse mai provato nulla, per lei, al di fuori del rispetto e del fuoco (del fuoco del calore delle mani—), le memorie si eran fatte più nitide quando aveva rivisto quel ragazzino a Punk Hazard.

Ricordate il periodo di transizione in cui Anne si era ritrovata, quella mattina in cui sparì dalla vita dell’allora commodoro? Ecco, Smoker (ora viceammiraglio) era caduta in una condizione simile. Era riuscita a disintossicarsi in un periodo di due anni, si era tuffata nel proprio lavoro come se potesse ancora nuotare nell’acqua: dopo tutti questi sforzi era finita con un doppio pericolo di fronte. Sabo e Foco Foco sarebbero stati la sua nuova rovina, se non fosse stata cauta.

Smoker avrebbe voluto ridere per l’ironia della sorte: sperò di non incontrar mai il secondo di Dragon.

 

 

Qualcuno, lassù o laggiù, doveva odiare Smoker profondamente: il viceammiraglio si trovò davanti a Sabo per una serie di sfortunate coincidenze (ma il caso non poteva esistere, davvero) e furono costretti allo scontro. Inutile dire che, quando fuoco e fumo si scontrarono, fu come rivivere Alabasta – ma Smoker era invecchiata così tanto, in trenta mesi, e Sabo non era Anne. La sensazione non era stata la stessa: Smoker era piuttosto brava a discernere i propri sentimenti e quello non era esattamente ciò che il fuoco di Anne le aveva comunicato.

Anne e Sabo avevano un dolore affine, non identico: nel corso di dieci anni avevano ricevuto un’educazione diversa l’uno dall’altra e forse la diversa raffinazione era una delle chiavi per identificare più precisamente le loro sofferenze. Smoker capì facilmente che alla base di tutto c’erano esperienze che Anne e Sabo, da piccoli, avevano condiviso, ma un decennio intero li aveva separati, senza possibilità di rimedio.

Il fuoco trasmetteva rimorso in entrambi i casi, ma mentre Anne lo aveva tenuto nascosto, Sabo sembrava disposto a combatterlo a viso aperto. Sabo si malediceva per non essere stato al fianco di Rufy e Anne quando ce n’era stato bisogno, ma si rivestiva di quel sentimento come se fosse stato un’armatura di Ambizione. Quello di Anne era stato un dolore completamente privato: solo dopo molto tempo e molte pressioni lo aveva mostrato a Smoker (e non glielo aveva celato solo perché quella era un commodoro della Marina, ma soprattutto perché era un’altra persona, un altro io). La sofferenza di Sabo era personale, ma comprensibile a chi avesse deciso di osservarlo attentamente – o a chi avesse messo fumo sul suo fuoco.

Smoker capì il suo dolore quando lottarono. Sabo, dal canto proprio, avvertì verso il fumo di quella donna una forte spinta che non riusciva a spiegarsi. O che non voleva spiegarsi, visto che quella era una marine. Che cosa diavolo aveva combinato Anne con una del genere? Quante cose Sabo non poteva capire della sua sorellona, neanche dopo aver ottenuto il fuoco che era stato suo?

Sabo aveva raccolto la volontà di Anne, però molto di lei era andato perduto. Era desiderio e compito dei due fratelli rimasti sostenere quello che lei aveva cominciato. Dunque qual era il pezzetto della vita di Anne che questo viceammiraglio teneva stretto tra le mani?

«Ho conosciuto Anne,» disse Smoker, dopo aver contenuto le fiamme di un pugno di fuoco, «sono stata la compagna dei morti. Tra i suoi morti c’eri anche tu.»

«Lei ora è tra i miei.» Rispose Sabo. Aveva un’espressione rigida in viso. «Non chiederò i dettagli, ma—»

«Ti ho detto tutto quello che volevo dirti. Rispetta la decisione di chi ha dovuto intercedere tra morti e vivi.»

«Solo una domanda,» e un pugno ambizioso di Sabo colpì Smoker nello stomaco, spezzandole il fiato, «quanto di Anne è morto con te?»

Il respiro prima del balzo.

«Non molto. Ma ora che hai questo potere tra le mani, potrai capire com’è vivere senza poter più sentire fumo e fuoco uno contro l’altro.» La voce di Smoker era sottile, perché il duello le infiacchiva le ossa e un po’ anche il cuore, o forse la testa, i ricordi, quel lavoro ingrato di traghettatrice tra i mondi e di scassinatrice di memorie chiuse come in una cassaforte. Non ci sarebbe stata una seconda volta. «Sarò sincera: l’incubo peggiore che mi ero ripromessa di non vivere era quello di combattere contro il successore di quel potere.»

In uno scatto Smoker evitò l’ennesimo colpo di Sabo e lo stese a terra con un calcio; il sigaro che il viceammiraglio stava fumando cadde e si spense sotto il tacco del suo anfibio.

«So che tu non sarai così vile da chiedermi di mediare tra aldiqua e aldilà.»

Il manganello di Smoker era puntato sullo stomaco di Sabo, che non poteva non respirare debolmente a causa dell’agalmatolite. «Anne non era vile!» Disse, in un sibilo.

«Lo è stata. Una volta sola.»

«Non ti credo!»

«Credi quello che vuoi. Mi ha dimostrato di essere una brava persona, prima di essere una stupida criminale.»

Sabo, infuriato, strinse la punta del manganello con entrambe le mani e si sforzò di resistere all’impulso di vomitare intestino, cervello e anima. Con enorme impegno riuscì a sollevare l’arma dal proprio stomaco e a spostarla di fianco, dove quella non l’avrebbe raggiunto. Smoker non aveva tentato resistenze, perché stava soltanto studiando il ragazzino. I risultati della sua rapida analisi erano contrastanti: da un lato riconosceva a Sabo una forza fuori dal comune – per la tenacia con cui sopportava le sofferenze e il rimorso, piuttosto che per l’essersi opposto al potere dell’agalmatolite –, dall’altro questa volontà ferrea avrebbe procurato alla Marina diversi problemi.

Sabo inspirò profondamente, si rialzò con un colpo di reni e scagliò subito un destro ambizioso contro Smoker. Pugno contro pugno, rimasero stretti in quella posizione per alcuni secondi, sufficienti perché parlassero ancora.

«I nostri poteri sono alla pari.»

«Hai paura a combattere contro di me?»

«Non è paura, è economia,» ribatté Smoker, con convinzione.

«Non dicevi che uno scontro con me sarebbe stato un incubo?»

«Non ho paura di te, ma voglio evitare di stare a contatto con il potere che ora tu possiedi.»

Sabo finalmente guardò Smoker – oltre Smoker. Un ricciolo di fuoco che si disegnò sui suoi capelli biondi prese il volo e si scontrò con un viticcio di fumo nato dalle ciglia di Smoker. La scintilla venne stroncata dopo qualche istante. Anche senza contatto tra i corpi, fumo e fuoco reagivano automaticamente e trascinavano con loro tutta una serie di sensazioni—e a Smoker ricordavano così tanto Anne, ma così tanto, il pensiero la torturava con la nostalgia—

«Finiamola qui.» Dissero all’unisono. I loro pugni, ancora uno contro l’altro, persero l’Ambizione e scivolarono sui loro fianchi. Sabo e Smoker erano diritti in piedi, si fissavano, in silenzio.

«Niente altro da dire?» Domandò Sabo.

«Non potrò continuare a evitarlo. Prima o poi troverò la forza di affrontarti.»

«Ci conto, Cacciatrice.»

Avere debolezze non le era mai sembrato così giustificabile.

 

 

 


Note Autrice:

Avevo detto, da qualche parte, che mi sarei soffermata sulla questione fuoco/fumo in chiave SmoAce. Leggere gli Ossi di seppia di Montale è stata l’ispirazione che ha portato a questa shot. Sono in genderbender perché in OP il genderbender è una cosa magnifica. Giuro che prima o poi scriverò SmoAce senza renderli donne. Forse. E magari parlerò anche del passato what-if? appena accennato di Smokie (ma sinceramente, sarebbe what-if? Perché Oda ancora non ha detto niente? Lo dirà mai? Rivoglio lui, Tash e Hina in scena, mannaggia...), se mai lo svilupperò decentemente.

Si tratta di una storia scritta soprattutto a ore assurde (incredibile la quantità di riferimenti mitologici e religiosi della prima stesura, la notte mi fa uno strano effetto) e in momenti intensi dal punto di vista emotivo: ho cercato di risistemare le contraddizioni nel testo in modo tale che fossero solo dei personaggi, e non della storia, lol. 

La canzone che mi ha accompagnato e che accompagna questa storia è Disloyal Order Of Water Buffaloes, della band Fall Out Boy.

Ci sono molti riferimenti a poesie di Montale della raccolta Ossi di seppia (di sotto ne ho segnalati soltanto un paio per spiegare due cose che mi stanno a cuore). Se qualcuno volesse conoscere tutti i rimandi agli Ossi, sarebbe sufficiente scrivermi, glieli spiegherei senza problemi. Non li scrivo qui perché altrimenti le note diventano seriamente infinite, e poi perché magari qualcuno vuole cercarli – esiste qualcuno con questi hobby? Io mi diverto a seminare indizi, ma mi chiedo se non ci sia qualcuno disposto a raccoglierli.

 

Di seguito alcune note che credo possano tornare utili.

il segnale di un altro ordine › È il segno di un’altra orbita: tu seguilo. (Arsenio, Ossi di seppia, E. Montale) Segnale, in semiotica, è un segno motivato naturalmente, ma intenzionale.

ordine › si intenda il cosmo (dal greco kòsmos, che vuol dire proprio ordine). Anche un’altra dimensione, se rende meglio l’idea. Si riferisce anche all’entropia di cui si parla poco dopo.

protette del Diavolo › si riferisce al fatto che hanno entrambe poteri derivati da Frutti del Diavolo. Non so, è una perifrasi che mi sono inventata e che mi piace un sacco.

forma Rogia › quando uno dei protetti del Diavolo che ha mangiato un frutto del tipo Rogia si trasforma nel proprio elemento. Mi chiedo spesso che caspita si provi ad essere un po’ di fuoco e un po’ di carne... Diciamo che non voglio darmi fuoco per scoprirlo, comunque.

ASNNE d’inchiostro › il tatuaggio di Ace è ASCE: col Genderbender, andava ovviamente cambiato. È comunque sul braccio sinistro.

Satch › è il nome ufficiale in italiano. È Thatch (versione che preferisco, in realtà) nell’edizione inglese.

cinigia › cenere ancora calda, con braci accese. È il colore degli occhi di Smoker – grigi, ma che ricordano gli occhi di bragia di Caron dimonio.

epifania › manifestazione, tipicamente degli dei in epoca classica.

Ma’at › l’ordine cosmico nella religione egizia: dopo la morte, il cuore del defunto veniva pesato su una bilancia. Sull’altro piatto della bilancia c’era una piuma di Ma’at. Se il cuore del defunto fosse stato più pesante della piuma, gli sarebbe stato proibito entrare nei campi Iaru – per quello che ne so, questi erano in pratica (?) come i Campi Elisi, chiamiamoli così per esigenze di tempo e spazio. Ma’at rappresenta anche la Verità.

demone/demonio › ho recuperato il significato del termine greco: vale come genio sovrumano.

Atena glaucopide › Atena dagli occhi azzurri. Nell’Antica Grecia gli occhi chiari non erano molto apprezzati: in effetti, Venere aveva gli occhi scuri. Gli occhi grigi spesso sono scambiati per azzurri (per esperienza personale, almeno).

cuore che perde l’accordo › il vento [...] / suonasse te pure stasera / scordato strumento, / cuore. (da Corno inglese, Ossi di Seppia, E. Montale)

scrigno di Davy Jones › il fondale degli oceani.

vecchie idee o vecchi sentimenti › uno è infanzia = periodo meraviglioso della vita, l’altro è contraddizione di: tenero ricordo di momenti felici + dolore nel pensare che ormai sono trascorsi e non torneranno più.

bussola che indica ciò che più si vuole al mondo › citazione da Pirati dei Caraibi.

trenta mesi › Anne muore a Marineford: due anni dopo Rufy incontra Sabo a Dressrosa. Ho ipotizzato un intervallo di tempo di alcuni mesi tra la fine della saga di Dressrosa e questo momento vago (in stile what-if?) in cui Smoker e Sabo combattono: ecco come torna il conto di trenta mesi a partire dalla guerra di Marineford.

pugno ambizioso › pugno sferrato dopo averlo ricoperto di Ambizione dell’armatura (o Bososhoku Haki).

piuttosto che per l'essersi opposto al potere dell'agalmatolite › vale come invece di...

Il simbolo ⁂ utilizzato a un certo punto è lì perché è una sorta di spartiacque: è chiaro che le due parti in cui la shot è divisa sono molto diverse, sia per lunghezza che per contenuti e modi. Dal momento che questa storia è nata come una shot, ho deciso di mantenerla tale e di postarla tutta in una volta sola. Sappiate che è stata una decisione molto sofferta che mi sta facendo andare fuori di testa. Nella mia testa la separazione è più forte rispetto a come è stata risolta in questa pubblicazione, ma è meno forte della divisione in capitoli.

 

Le note erano infinite, e sarebbero state molto più lunghe se avessi aggiunto anche quelle riferite a tutte le poesie degli Ossi che ho preso in considerazione. Se siete riusciti ad arrivare fino a qui, mamma mia! Siete molto coraggiosi e molto testardi. Vi ringrazio per questo. C:

Grazie per aver letto!

claws_Jo




Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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