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Autore: Querthe    21/12/2015    0 recensioni
Storia ispirata dai Blackmore’s Night, Album “Under a Violet Moon”, canzone “Now and Then”. Il testo è nella storia, indicato in grassetto.
Due Severus rivivono lo stesso momento a una vita di distanza, uno con il cuore colmo di odio e speranza, l’altro di amore e rimpianti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'Storie da una canzone o canzoni in una storia?'
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Attenzione: La storia si basa sul testo della canzone, da me tradotto in italiano e che potere comunque trovare tranquillamente in giro per internet.
L’idea di base è quella di inserire il testo (in parte o totalmente) all’interno di una normale fanfiction, godibile quindi sia che si conosca la canzone sia che non la si conosca. I pezzi del testo sono stati messi in evidenza in grassetto.
Scritta per la Severus House Cup 2014 – Sfida di Febbraio “A Ritmo di musica” del sito “Il calderone di Severus”

Seduto sulla usurata, ma pur sempre imponente poltrona nella sua casa di Spinner’s End, il Professor Piton era pensieroso, come gli capitava spesso in quei giorni. Silente soffriva, si vedeva benissimo, anche se continuava a sorridere e a dire amenità e facezie con professori e studenti come era solito fare prima di essere maledetto. La poltrona dal tessuto serico una volta di un verde cupo, ma da tempo liso e opaco, a tratti apparentemente traslucido quasi a mostrare l’imbottitura sottostante come se questa volesse farsi strada e uscire, lo aveva accolto come sempre con il suo caldo e morbido abbraccio, una quieta, quasi inesistente eppure sempre ben accetta sensazione di protezione che gli ricordava in qualche modo, per alcuni troppo corti istanti, la sensazione che sicuramente provava quando era sua madre a stringerlo, fanciullo prima e adolescente poi. Si mosse quasi impercettibilmente, quasi a voler dimostrare a se stesso che la poltrona era reale e le sue sensazioni un po’ meno, mediate probabilmente troppo dai ricordi felici e idealizzati che aveva dei momenti con sua madre, quindi allungò il braccio destro in direzione del basso tavolino rotondo su cui riposava un tozzo bicchiere cilindrico riempito da una dose generosa di whiskey incendiario. Era uno di quei bicchieri da bar per alcoolici “on the rock”, ma lui preferiva il sapore pieno del liquore a temperatura ambiente: il freddo ottenebrava la sua lingua e il suo olfatto, entrambi per lui vitali per il lavoro che svolgeva e per godere appieno del superalcolico. Dopo la promessa fatta mesi prima al suo amico, l’unico e vero che avesse mai avuto, si era ritrovato sempre più frequentemente a ripensare ad altre, mai dette, ma pensate innumerevoli volte, promesse che avrebbe potuto fare e che forse gli avrebbero permesso di non dover proferire sia quelle dolorose parole a Silente, sia quelle ancora più dolorose che avevano sancito il patto con il rampollo Malfoy. Perché lo aveva fatto? Forse un modo per tentare di lasciare intonsa l’anima di quel ragazzino? O forse solo un modo per giustificarsi davanti ai suoi stessi occhi nel momento in cui avrebbe ucciso l’unico uomo che aveva sempre creduto in lui e che gli aveva dato una seconda possibilità? Avvicinò il bicchiere al viso, il bordo poco oltre il labbro superiore, proprio vicino al naso. Chiuse gli occhi assaporando con le narici il forte odore dell’alcool e degli aromi che trasportava. C’erano punte di vaniglia e di frutta secca, e sapeva che sarebbero esplose in un tripudio di legno di quercia, noci e nocciole quando il liquido avrebbe toccato la sua gola e si fosse riscaldato oltre la temperatura ambiente a cui era. Fu rinfrancato dal sentire proprio quei sapori e quegli aromi nei secondi che passarono il suo sorso. Poi vennero le note finali, fatte di frutti rossi, liquerizia e legno di quercia e rovere affumicato. Rovere, come la bara lucidata a mano, non con i mezzi magici normalmente usati, in cui lei riposava da quel giorno di sedici anni prima. Gli capitava sempre meno di andare a trovarla. Ma lei spesso veniva a trovare lui, con o senza whiskey incendiario a portata di mano. Infatti da lì a poco il volto di Lily si materializzò davanti ai suoi occhi, dietro le palpebre chiuse. Severus non seppe se stava parlando davvero o se era solo la sua mente. “Il passato è ancora troppo famigliare per me, ma proprio per questo non puoi rimanere. ” Le disse. “Accanto a te troppi fantasmi, troppi sogni ricorrenti sono stati creati dalla mia mente per trovare la tua strada… Per trovare come arrivare a te ogni volta che volevo, sebbene spesso sia tu a cercarmi non richiesta.” Senza aprire gli occhi il pozionista non poté comunque fare a meno di crogiolarsi nell’immagine quasi statica della donna, una sorta di mezzobusto dai lunghi capelli che ondeggiavano lenti al ritmo del vento della sua immaginazione. Portò il liquido giallastro alle labbra, assaporandone una piccola quantità che scese lungo la gola con un dolce dolore bruciante. “Ma dopo tutti questi anni ho pensato che ci fosse ancora qualcosa tra noi, qualcosa che ci unisce per sempre oltre quanto è davvero successo.” Calde lacrime si formarono alla base degli occhi, sotto le palpebre, non riuscendo comunque ad uscire. La sua abitudine a nascondere le emozioni ebbe la meglio anche quella volta. “Ma quando mi sembra di averti raggiunto e cerco i tuoi occhi, i tuoi occhi verdi come la speranza che mi hanno acceso nel cuore quel giorno in cui mi resi conto che ti amavo più della mia stessa vita, allora vedo la verità, vedo la triste realtà. Vedo gli stessi occhi che mi guardavano mentre mi dicevi ciò che non volevo sentirmi dire. Vedo che te ne sei già andata anni fa…” Un altro piccolo sorso, un altro piccolo ricordo bruciante come il liquore che scendeva in gola. Era adolescente, alla scuola di Hogwarts, aveva appena saputo che lei, il suo amore, la sua unica ragione di vita da quando aveva capito cosa voleva dire voler vivere una vita con una persona che è la tua anima gemella, si era fidanzata con quell’insulso Grifondoro. Non sapeva cosa gli facesse più male, se il dolore per la scoperta di un amore non corrisposto o la rabbia per la persona che era stata scelta per condividere la propria vita, la scelta di un inetto che mai l’avrebbe fatta felice. Era appoggiato ad uno dei tanti muri della scuola, poco lontano da dove li aveva visti camminare assieme, due macchie rosse e oro che si muovevano nella folla di ragazzi e bambini, inframmezzata dalle scure forme dei professori. Le lacrime bruciavano negli occhi, ma non uscirono nemmeno in quell’occasione. “Va bene, starò bene...” borbottò a denti stretti il ragazzo, gelidamente. Si staccò dal muro, irrigidendo la schiena come se fosse un soldatino di piombo sull’attenti. “Mi sono ripreso, col tempo non me lo ricorderò nemmeno. ” Sorrise, alzando lo sguardo al cielo, negli occhi il volto della ragazza che lo aveva ferito. “Ma quando te ne andrai con lui, per un attimo ricordati cosa avevamo io e te. C’è altro nella vita che solo te, potrei piangere per ciò che hai fatto, ma ci passerò sopra. ” Si mosse, osservando attorno a sé senza davvero vedere, le parole dette sottovoce, un borbottio così accennato che nessuno di coloro i quali gli passavano accanto poteva capire ciò che diceva. “E so che il sole splenderà di nuovo su di me, ho davanti un grande futuro, un giorno rimpiangerai quello che hai fatto, quando noi governeremo il mondo magico. Ma anche quando sarò in cima, a guardarvi dall’alto, forse mi dimenticherò di te e di lui, sarete solo formiche con altre formiche, sebbene credo che ti penserò di tanto in tanto... ” Il professore, seduto sulla poltrona, scosse la testa, un debole sorriso, una smorfia quasi disgustata sulle sue labbra al pensiero di ciò che gli aveva attraversato la mente quel giorno di molti, troppi anni prima. “Chissà cosa credevo davvero di ottenere seguendo Lui?” pensò. “Quello che cercavamo era distruzione, ed eravamo convinti che potevamo, dovevamo distruggere, bruciare il mondo per ricostruirlo come volevamo. Ma non avevamo capito, nessuno di noi aveva capito che non si può far nulla con le ceneri se non gettarle via nel vento... ” “Sì, penserò a te mentre con le ceneri del vecchio mondo creerò il mio, penserò a te quando sarò padrone del mio mondo, quando potrò essere ciò che davvero merito di essere, e allora riderò della tua insulsa scelta.” Pensò con un ghigno quasi cattivo il giovane Severus, camminando a testa alta, le mani dietro la schiena come se stesse meditando su profondi concetti, e nel suo cuore, nella sua mente lo erano. Sapeva di aver fatto la scelta giusta, e sapeva che lei se ne sarebbe pentita. Pentita molto presto. Di tutto. Amaramente, come il sapore che aveva in bocca in quel momento. “Sebbene il mio cuore sia a pezzi ora, sai che lo rimetterò assieme con la rabbia e il dolore che mi stai facendo provare, e tornerò davanti a te e a lui più forte di quello che sono mai stato prima. Tremerete e mi pregherai di prenderti con te mentre lui striscerà via come il verme che è.” Il giovane rise malvagiamente, mentre giocherellava con la sua bacchetta immaginandosi la scena. “Ma io ti guarderò come un signore guarda chi non gli è pari, e ti dirò che potrai tenerti solo ciò che hai voluto oggi, quindi con un gesto ti manderò via, verso l’entrata della mia sala, ricordandoti solo di non voltarti quando uscirai da quella porta... ” “Eri sciocco Severus, eri davvero sciocco.” Si disse il pozionista, ingollando l’ultimo sorso di whiskey e sospirando, permettendo ai dolci e brucianti vapori del liquore di farsi strada lievemente anche nelle narici, stuzzicandogliele e facendogli appieno godere degli aromi che il calore della sua gola faceva sprigionare dal liquido. Aveva poche possibilità di provare pochi piccoli piaceri, e quella era una che si concedeva spesso, anche se in maniera morigerata. Soffermò il suo sguardo sul bicchiere vuoto, mentre ancora rigirava la lingua nel palato per raccogliere gli ultimi retrogusti, le ultime stille di liquore. Osservò il vetro come se fosse un contenitore pieno della più difficile delle pozioni e lui dovesse carpirne i segreti solo osservandone il colore e la consistenza. Ma la sua mente vagava altrove. Ripensò a quello che aveva detto quel giorno, a quelle parole dure e stupide che avevano portato lui a compiere delle scelte e tutti gli altri ad agire in determinati modi. Per un attimo si rese conto di essere l’omicida, sebbene non il diretto esecutore, dei genitori di Potter, ma poi capì che aveva accelerato solo l’inevitabile. Era l’Oscuro Signore il nemico. Quello di tutti, del mondo magico. Il suo vero nemico, invece era solo lui stesso, e avrebbe dovuto conviverci per sempre. Vide il suo riflesso distorto nel vetro vuoto. “Va bene, starò bene. ” Disse a nessuno in particolare, pensando a Lily e allo sguardo dolce che ogni tanto aveva per lui quando erano ragazzi, prima di Hogwarts. “Mi sono ripreso, col tempo non me lo ricorderò nemmeno. ” Mentì, sapendo che il suo dolore, il suo amore lo avrebbero benedetto e perseguitato fino alla sua morte. “E anche se tra di noi è finita, potrei ancora pensare a te di tanto in tanto... ” Si versò altro liquore, chiudendo gli occhi e rilassandosi nella poltrona.
   
 
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