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Autore: SonounaCattivaStella    21/12/2015    7 recensioni
[Storia partecipante al contest "Under the snow" indetto dal gruppo facebook "EFP Fandoms"]
Con passo elegante, il Conte raggirò Sebastian con l’intento di rincasare. Quest’ultimo, tuttavia, lo afferrò per un braccio riportandoselo nuovamente di fronte.
«Lo sa, gli umani dicono che il vischio porti fortuna. Forse averne un po’ su di sé non le farà male.» Disse solamente, gli occhi rossi fissi sulla pianta sopra di loro e un’idea a prendere forma nella sua testa.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buon Natale, bocchan


Mancavano solo pochi minuti allo scoccare della mezzanotte. Il Natale era ormai prossimo e, a rendere l’atmosfera ancora più suggestiva, leggeri fiocchi candidi presero a scendere giù dal cielo, imbiancando l’immenso e ben curato giardino di Villa Phantomhive.
Dall’interno del grande caseggiato giungevano musiche e risate allegre, segno che gli invitati di quella sera stavano apprezzando il rinfresco. Solo una minuta figura, poggiata al parapetto di uno dei balconi, se ne stava in disparte ad osservare la danza spensierata dei cristalli di neve. Ciel Phantomhive, il padrone di quel luogo, preferiva stare nella sua solitudine anziché unirsi alla festa che Elizabeth aveva organizzato senza nemmeno chiedergli il permesso. Si era presentata lì, la mattina stessa, senza alcun invito e aveva preso ad addobbare gli interni e gli esterni con ogni sorta di decoro: palline, luci colorate, striscioni, vischio e un grande albero addobbato erano apparsi a rallegrare gli angoli della casa.
Nella penombra della porta vetrata che collegava l’interno con il balcone, un’altra figura osservava in silenzio il ragazzo. Gli occhi rossi come rubini erano fissi sulle spalle minute del Conte, curve sotto il peso di chissà quali pensieri. A Sebastian piacevano gli attimi in cui il suo padrone abbandonava le vesti austere da “Cane da Guardia della Regina” e si mostrava per ciò che era veramente: un ragazzino provato dalle cattiverie della vita.
Con un passo, abbandonò le tenebre per mostrare la sua figura longilinea al chiaro di luna piena. Si schiarì appena la voce e vide Ciel ricomporsi frettolosamente, le spalle tirate nuovamente su, composte e dritte. Un sorriso obliquo si dipinse sulle sue labbra nel vedere quella reazione. Il suo padrone non si smentiva mai, ciò che lo affliggeva doveva restare un segreto celato all’interno del suo cuore. Non era concesso mostrarsi debole, tanto meno di fronte a lui che era un demone subdolo e tentatore.
«Qualcosa vi turba, bocchan?» Chiese arrivando a pochi passi da lui, la testa che quasi sfiorava un piccolo ramoscello di vischio che pendeva dal balcone soprastante.
«Non sono affari tuoi. E poi… non capiresti.» Ripose con tono amaro Ciel, gli occhi fissi sull’orizzonte scuro.
E invece capiva, Sebastian, quello che affliggeva il suo giovane padrone. Aveva passato abbastanza tempo con lui da riuscire a comprendere ogni più piccola sfaccettatura di quell’anima. Era la tristezza quella che si era posata come un mantello invisibile sulle spalle del ragazzo, tristezza dovuta al fatto di non avere una famiglia con cui condividere quell’attimo di gioia.
Era il terzo Natale che passava all’interno di quella magione, e ogni anno era la stessa storia: Ciel lasciava che Elizabeth gli invadesse casa per addobbarla e ricreare quell’utopia ormai perduta, si univa ai festeggiamenti giusto per non sembrare scortese nei confronti degli invitati e poi, alla prima distrazione da parte della fidanzata, ne approfittava per ritirarsi silenziosamente nell’angolo più nascosto della villa dove passava il suo tempo a farsi divorare dai morsi della malinconia. Nemmeno lo scorrere inesorabile del tempo era riuscito ad attutire quell’antico dolore radicato all’interno del cuore del Conte.
«Volete parlarne?» Azzardò Sebastian studiando attentamente il comportamento del suo giovane padrone.
Ciel sgranò gli occhi di fronte tale richiesta ed osservò il maggiordomo con fare severo, intimandolo a ricordarsi quale fosse effettivamente il suo ruolo e di non immischiarsi.
«Te l’ho già detto, non sono cose che ti riguardano. Cerca di ricordare perché stai al mio fianco, demone.» Lo ammonì freddo, gli occhi nuovamente fissi sulla neve che si posava leggiadra sul parapetto di pietra del balcone.
Il corvino conosceva benissimo il suo ruolo, non aveva bisogno che il ragazzo glielo ricordasse con quel tono tagliente. Tuttavia, la sua proposta era stata sincera. Voleva che, una volta ogni tanto, il suo padrone abbandonasse quella maschera di altezzosità e si liberasse di tutti quei pesi ingombranti che si portava dentro. Voleva che lo rendesse partecipe del suo dolore, che per una notte solamente non lo vedesse come l’infido predatore qual’era, ma come un confidente a cui rivelare i pensieri più reconditi. Era quasi contraddittorio, per uno come lui, pensarlo, ma desiderava essere trattato come l’essere umano di cui aveva preso le sembianze per mischiarsi in quel mondo che non era il suo.
Nonostante quei pensieri gli vorticassero incessanti nella mente, si piegò su di un ginocchio, la mano posata sul petto ad altezza di cuore, e inchinò la testa pronunciando un chiaro “Yes, my Lord” di fronte alle volontà del suo padrone.
In quel preciso momento, campane in lontananza scoccarono la mezzanotte e un’ovazione di auguri si levò dalla villa. Ciel sospirò creando una nuvola densa di vapore per il gelo della notte e si girò, l’unica iride visibile puntata sul servitore che si era messo nuovamente in posizione eretta.
«Andiamo. Lizzy mi starà cercando per donarmi chissà quale strambo regalo.» Proferì portando una mano guantata tra i fili antracite per ravvivarli.
Il corvino si chinò appena e si spostò per aprire il passaggio al Conte. Nel farlo, i suoi capelli sfiorarono un altro ramoscello di vischio che, insieme a molti altri, decorava il cornicione esterno della porta vetrata. Ricordava di aver letto qualcosa riguardo quella pianta in uno dei tanti libri che aveva studiato per diventare il perfetto maggiordomo di Villa Phantomhive. Si diceva che portasse buon auspicio avere qualche rametto di quella piantina in casa e aveva visto molti umani scambiarsi baci sotto di esso, felici e speranzosi di ottenere quella fortuna quasi leggendaria. Era la pianta simbolo della vita, il vischio, capace di allontanare malattie e sventure, e nei tempi antichi anche i più incalliti dei nemici deponevano le proprie armi per scambiare un segno di pace e rispetto sotto quelle palline chiare. Ogni conflitto andava disperdendosi nel gesto spontaneo del bacio.
Con passo elegante, il Conte raggirò Sebastian con l’intento di rincasare. Quest’ultimo, tuttavia, lo afferrò per un braccio riportandoselo nuovamente di fronte.
«Lo sa, gli umani dicono che il vischio porti fortuna. Forse averne un po’ su di sé non le farà male.» Disse solamente, gli occhi rossi fissi sulla pianta sopra di loro e un’idea a prendere forma nella sua testa.
Magari, sotto la benedizione di quel ramoscello, anche lui avrebbe potuto mettere a tacere i conflitti interiori del suo padroncino.
«Sebastian, cosa stai-»
Non riuscì a finire le parole, Ciel, che le braccia del corvino lo strinsero al proprio petto mentre le labbra si posarono improvvise e leggere sulle sue, in un bacio casto e pieno di calore che lo lasciò sbalordito ed interdetto. Non sapeva cosa passasse nella testa dell’altro, ma quel contatto così inaspettato gli aveva trasmesso, inavvertitamente, tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Si staccarono lentamente, le guance del più piccolo si imporporarono appena e Sebastian si sorprese quando lo vide abbassare gli occhi anziché mollargli un sonoro ceffone come suo solito. Al Conte non andavano a genio i suoi colpi di testa e gli ricordava sempre che era un suo subordinato schioccandogli dolorosi schiaffi dritti sugli zigomi. Ma quella sera non lo fece, cosa che portò il maggiordomo ad aprirsi in un sorriso quando capì di aver raggiunto il suo intento.
Il suo padroncino aveva bisogno solo di una cosa in quegli attimi in cui le tenebre gli attanagliavano il cuore: di amore. Lui, pur essendo una creatura malvagia che molti reputavano incapace di amare, sapeva cosa comportava quel sentimento. Aveva vissuto così tante vite, si era nutrito di così tante anime, da conoscere alla perfezione ogni più piccola caratteristica del più complicato e semplice dei sentimenti.
Con due dita, sfiorò leggero come il tocco di una piuma la guancia ancora rossa per l’imbarazzo del più giovane. Arrivato al mento, strinse appena la presa per far si che il viso dell’altro si alzasse e far incontrare così le loro iridi. Aveva gli occhi lucidi, Ciel, e Sebastian capì di esser finalmente riuscito a fare breccia in quella corazza abilmente costruita per proteggersi dal mondo esterno. Con ancora il sorriso sulle labbra, si abbassò all’altezza del Conte per donargli un altro casto bacio, stavolta sulla fronte, a suggellare ciò che era accaduto fra di loro prima di tornare alla realtà che, per quella notte, aveva dato spazio all’inimmaginabile.
«Buon Natale, bocchan.»




Angolo autrice:
Salve gente!
Come accennato nell'introduzione, questa storia partecipa al contest "
Under the snow" con il prompt "Un bacio inaspettato sotto il vischio".
Spero di essere riuscita a soddisfarvi con questa OS anche se ho reso i personaggi leggermente OOC oddio, magari Sebastian è un po' più che leggermente fuori dal carattere originale lol
Mi girava in testa, già da un po', l'idea di una cosa
rrrrromantica da scrivere per Natale, così ho approfittato del contest per sfornare ciò. Se non vi piace consideratevi liberissimi ti lanciarmi contro pomodori, lattughe, comodini o tutto ciò che ritenete più opportuno ewe
Alla prossima storia!

Fanny 
   
 
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