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Autore: Hayaros    22/12/2015    1 recensioni
[Basato sul Bad Ending di Toma]
Lui non ce la faceva più. Aveva perso il conto di quanto tempo fosse passato da quando erano stati imprigionati all'interno di quell'appartamento. Però, per quanto gli facesse male riconoscerlo, sapeva che era colpa sua. E sapeva che la fine era ormai vicina.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Orion
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Disclaimer: Amnesia: Memories e i suoi personaggi non mi appartengono, sono della proprietà di Idea Factory. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

     Ormai non era più sicuro di quanto tempo fosse passato dall'inizio della prigionia. Qualche mese, quello era certo. Aveva seguito il passaggio del tempo attraverso la trasformazione dei colori delle foglie di fronte alla finestra: aveva visto le foglie verdi dell'estate passare al rosso dell'autunno, fino al marrone dell'inverno, per poi infine vederle cadere a terra, per essere poi ricoperte da un manto di silenziosa neve.
Sapeva che ormai era solo questione di tempo prima che arrivasse la fine.
Si voltò per l'ennesima volta, e guardò la ragazza dentro la gabbia. Si avvicinò a lei, e le parlò.
«Kaede? Riesci a sentirmi?» lui era sicuro che lei riuscisse ad ascoltarlo, ma ormai il suo cervello non era più capace di decifrare le sue parole: ormai, essi erano solo suoni. Eppure, lui continuava a parlarle, sperando che lei rispondesse, anche se sapeva che solo un miracolo avrebbe reso possibile quell'evento.
«Kaede, ormai sono passati mesi.» sospirò, e la guardò di nuovo: era seduta sul fondo della gabbia, come sempre. La sua schiena poggiava sui peluche che le erano stati dati molti mesi prima. Sotto di lei, c'erano una coperta sgualcita ed un vecchio cuscino che lei usava per la notte. Il suo sguardo era vuoto, e guardava il muro di fronte a sé, oltre le sbarre. Le mani poggiate sulle sue gambe, sembrava in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato. «Non so ancora per quanto tempo riuscirai a...» non riuscì a finire la frase, che il padrone di casa era tornato.

     Era stato costretto a nascondersi. Era andato in un'altra stanza, e si stava tappando le orecchie con le mani e chiudeva gli occhi, desiderando di non trovarsi in quel luogo. Non ce la faceva più. Non sapeva cosa fare. Era totalmente impotente. Dall'altra stanza, quei soliti rumori che sentiva ogni giorno continuavano a fargli sentire il peso delle sue colpe nell'anima. Un grande macigno che ormai gli pesava da mesi. E, circondato da quei suoni, piangeva.
-"Non ti preoccupare, Orion, non è colpa tua." - gli aveva detto Kaede, quando lui le aveva consigliato di provare a scappare da quella casa dove erano stati imprigionati, ma erano stati trovati e puniti: rinchiusi nella gabbia.
Eppure, nonostante la situazione difficile, ricordava la gioia che aveva provato in quel momento: la gioia di qualcuno che lo chiamasse per nome e che lo riconoscesse per chi era veramente.
-”Kaede! Questa è la prima volta che mi chiami per nome!” - le aveva detto, mentre sentiva i suoi occhi inumidirsi per la gioia. -”Ti prometto che farò di tutto per aiutarti, e fare in modo che tu abbia un futuro felice.” - le aveva detto, il cuore colmo di gioia.
Per un attimo, pensava di aver trovato un'amica e che lei si fidasse di lui.
Eppure, la crudele verità era un'altra: lui non era riuscito a proteggerla, ed ora lei stava vivendo un destino peggiore della morte, per colpa sua. Ogni rumore che sentiva provenire dall'altra stanza era come un chiodo che gli veniva conficcato all'interna dell'anima, e lui si chiudeva sempre più in sé stesso, anche se sapeva che era un gesto codardo farlo. Non doveva farlo, le aveva promesso di starle vicino. Ma quello era troppo.
I rumori cessarono, e Orion tolse le mani dalle orecchie e riaprì gli occhi. Sentì la porta della gabbia chiudersi, e si diresse di nuovo vicino alla sua amica. I suoi occhi ora erano leggermente chiusi: sembrava che avesse sonno. Sorrise con dolcezza nel vederla ed entrò anche lui nella gabbia. Si sedette vicino a lei e le prese la mano.
-"Qualunque cosa accada, tu non sarai mai da sola. Io starò con te." - queste erano le parole che le aveva detto, in passato, quando era stata rinchiusa in quella gabbia per la prima volta.
E voleva rispettarle fino alla fine.
Si avvicinò a lei, mano nella mano, poggiò la sua testa sulla sua spalla, e sospirò. Sentiva il corpo di Kaede muoversi con il suo respiro, come era normale che fosse. Quei momenti per lui erano speciali: gli davano una parvenza di normalità, che tutto fosse com'era prima: Kaede respirava ed era viva; non erano dentro una gabbia, bensì dentro la loro stanza; il padrone di casa non era lì di fronte a loro davanti al computer, bensì da qualche altra parte lontana da loro. Guardò Kaede ancora una volta e notò che aveva gli occhi chiusi: si era addormentata.

     Il tempo continuava inesorabilmente a passare. I giorni diventavano settimane, le settimane mesi.
Quando lei era ancora responsiva, lui aveva commentato di come fosse noioso rimanere lì. Ed era la verità. Rimanevano interi giorni in silenzio, chiusi lì dentro.
Ora, però, Orion non si poteva più permettere di sentirsi annoiato. Il tempo passava inesorabilmente, e lui rimaneva in silenzio, mentre lei non si muoveva da quella gabbia, tranne quando il padrone di casa la spostava. E, quando accadeva, lui si nascondeva nell'altra stanza in preda alla sua codardia. Lacrime agli occhi e unghie sulle orecchie, ascoltava quegli orridi rumori, desiderando che tutto finisse al più presto. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma non gli importava: tutto sarebbe stato meglio che quello che stava vivendo in quel momento.
Lei e lui erano fusi nell'anima. Era stata colpa sua se lei aveva perso i suoi ricordi. Colpa sua se lei era finita in quella situazione... colpa sua se lei si era ridotta ad un guscio senz'anima.
-"La tua amnesia è causata dalla mia presenza." - le aveva spiegato, la prima volta che si erano incontrati, -"Se tu dovessi rimanere per troppo tempo senza stimoli... la mia coscienza prenderebbe il sopravvento sulla tua, e tu ti scorderesti come mangiare, come bere e persino come respirare!"
E tutto ciò stava inesorabilmente accadendo. Essere rinchiusi in quella gabbia era esattamente ciò che non doveva accadere, e molto peggio. Almeno in un letto di ospedale sarebbe stato tutto più tranquillo. In quella casa la sua esistenza era diventata infernale.
Kaede ormai non rispondeva più agli stimoli esterni. Ormai era finita.
E Orion non aveva potuto fare niente. Non passava giorno che non si malediceva per il suo errore, per aver portato la vita di quella innocente ragazza a quella orribile fine. La notte piangeva, mentre guardava fuori dalla finestra e sapeva che Kaede non poteva guardarlo.
«Non so quanto tempo ti rimanga, Kaede.» le aveva detto, un giorno. Lei guardava il muro di fronte a sé, senza muoversi, -"Di questo passo, la tua mente..." - non aveva avuto il coraggio di finire la frase, e si limitò a guardarla.
Quell'orribile situazione. Quell'orrida situazione.
Lei intrappolata in gabbia, e lui intrappolato lì con lei. Non poteva allontanarsi da lei, almeno per non più di qualche metro. I metri necessari per nascondersi nell'altra stanza ogni volta che iniziavano quei rumori.
Alcune volte, quando il padrone di casa era davanti al computer, lui lo guardava, ben consapevole del fatto che lui non poteva vederlo. Non sapeva cosa provare quando lo guardava.
Non si era mai sentito così inutile di sapere di essere solo uno spirito, incapace di interagire con il mondo corporeo. Se fosse stato possibile, avrebbe liberato Kaede da quella maledetta gabbia e l'avrebbe portata via con sé, lontana da quell'uomo. Ma ciò era impossibile. Dopotutto, se lui fosse stato un umano, niente di tutto quello sarebbe mai successo, e Kaede ora starebbe ancora vivendo la sua vita, da normale studentessa universitaria.
Era lui la colpa di tutto. Il padrone di casa non c'entrava nulla, dopotutto.

     Una sera di un giorno di non sapeva quale mese, Orion si avvicinò a Kaede, seduta sul fondo della gabbia. Si mise di fronte a lei: era sicuro che lei riuscisse a vederlo, ma non reagì. Le prese la mano, come faceva ogni notte prima di andare a dormire, e sorrise. Tolse la mano dalla sua, e alzò le braccia per stringerla in un abbraccio. Se doveva essere incapace di muoversi, preferiva che fosse per quella ragione. Ormai era quasi finita, e lui lo sapeva. Non sapeva che cosa gli sarebbe accaduto: lui e lei erano collegati dalle loro anime, e nel caso la sua fosse andata via, non sapeva che cosa sarebbe accaduto a lui. Ma non gli importava più, e non aveva paura. Si allontanò dall'abbraccio e guardò ancora Kaede.
«Mi spiace.» le disse. Aveva perso il conto di quante volte le aveva detto quelle parole. Lei non poteva ascoltarle, ma a lui non importava.
Poggiò la sua testa sulla sua spalla, e notò il respiro di Kaede. Quel respiro che rendeva tutto normale. Orion sospirò, le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi da un momento all'altro. Guardò Kaede, e vide che aveva chiuso gli occhi anche per quella notte.
Lui rimase sveglio, chiuso nella gabbia con lei.

     Ed infine, al sorgere del sole, lui fu liberato.





Note dell'autrice: chiedo venia, gli eventi in questa one-shot sono ambientati negli eventi del gioco di Amnesia: Memories, e non in quegli dell'anime (che conclude la route di Toma con il suo Good Ending). Eppure, per quanto il suo Bad Ending fosse uno dei più inquietanti, mi ha fatto venire l'ispirazione per questa storia. Siamo sempre portati a pensare a come si sente la protagonista (che qui ho chiamato Kaede), ma raramente ci si chiede invece cosa provasse Orion durante queste scene.
Ringrazio chiunque abbia letto questa storia.

  
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