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Autore: Alphabet Loser    23/12/2015    0 recensioni
Stavo pensando che forse potremmo tenerci per mano.
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Cose che penso riguardo a una persona della cui esistenza non sono sicura.
Che per me hanno un significato, ma che per qualcun altro potrebbero risultare incomprensibili.
[1618 parole]
Genere: Introspettivo, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Stavo pensando che forse potremmo tenerci per mano, in fondo è una cosa da amici.
Camminare attaccati, uniti, un po' più vicini.

Sacrificare il modesto calore delle tasche per stringere una mano fredda non è cosa da poco, lo capisco, ma la temperatura non è così bassa.
Non ho nemmeno bisogno di stringerla, mi basta toccarla.


Stavo pensando, magari sediamoci su una panchina, non dovrebbero essere umide. Ti dispiacerebbe se mi appoggiassi a te? Solo un po', sulla spalla, non ti do fastidio. E se sono scomoda non importa, penso ne valga la pena. E ti dispiacerebbe, poi, spingermi ancora un po' verso di te, come se ti facesse piacere?
Lo so che non mi sono mai piaciute queste cose, tutta quella storia dell'uomo che protegge la donna e la donna che, niente, si fa proteggere, assecondando chissà quale suo virile istinto.
Forse sono sempre stata un po' ipocrita, forse cambio idea quando io sono direttamente coinvolta, o forse non è una questione di ragazza e ragazzo, ma di me e te; fatto sta che qui al sole si sta bene, il tepore mi causa un po' di sonnolenza, a differenza della tua mano abbandonata al mio fianco, che sfiora impercettibilmente la mia coscia. Così mi sposto a sinistra, e ci sfioriamo un po' più percettibilmente. Chiudo gli occhi, solo per un attimo. Sai di dopobarba, o di qualcosa del genere.



Ti chiedo cosa vuoi fare quando ci giriamo a guardare un cagnolino bianco, mentre passeggiamo più piano del solito tenendo in mano un bicchiere di cioccolata calda con la cannuccia. Io l'ho presa alla Nutella, non mi piacciono le cose amare, è risaputo.
Tu alzi le spalle e dici che non lo sai, che sono io quella del posto.
A me andrebbe bene anche solo andare a casa mia, sederci sul mio letto a gambe incrociate l'uno di fronte all'altra, così potrei guardarti e pensarti senza dover fare altro.
Con i termosifoni che si accendono, con i tuoi capelli che scivolano di lato.

E così abbiamo fatto. Perché andava bene anche a te.



Ho una mano poggiata sul tuo braccio, e tutti e due abbiamo la testa abbandonata sul tavolo fresco di cristallo. Non dormiamo, ma quasi. Mi piace che con te io non debba fare niente, ma possa fare qualsiasi cosa. Anche tu puoi farlo, con me. Ti guardo senza che tu mi veda, e mi sembra quasi di stare barando. Sembra che tu sia davvero addormentato. Hai gli occhi chiusi, e sembri così pacifico, così sereno. Non sorridi, hai le sopracciglia distese. Le labbra nascoste dalla manica che tiri su fino alle dita. Penso che mi piacerebbe accarezzarti, che vorrei farlo, ma non dovrei, perché poi tu apriresti gli occhi. Allora continuo a guardare l'ombra delle tue ciglia sui tuoi zigomi, i tuoi capelli che si diradano vicino all'orecchio. Vedo la tua schiena alzarsi ed abbassarsi seguendo un ritmo lento e regolare, come una melodia; mi infonde tranquillità.
Se mi avvicino, nel silenzio cadenzato dall'orologio riesco a sentire il tuo respiro, e allora lo ascolto. Fuori è già buio. Ti metterei sulle spalle una coperta, ti lascerei dormire sul tavolo della mia cucina per tutto il tempo che vuoi.

Stiamo solo aspettando l'ora in cui arriva il tuo autobus, con cui tornerai in albergo.



Ridi e ti copri la bocca con una coperta con delle pecore disegnate, e penso che sei scemo, ma anche che sei bello quando ridi. Mi spingi la gamba con un piede, sempre con quegli occhi sorridenti, e io ti guardo male e basta.
Ma sorridiamo entrambi.

Hai le calze grigie con la punta e il tallone neri, io mi giro verso di te e tu posi una caviglia sulla mia spalla. Sbuffo, tu torni nella posizione di prima, e ridi di nuovo. In televisione c'è un qualche talk show che non ci interessa davvero ma che probabilmente è il meglio che abbia da offrire il palinsesto questa sera. Il volume è basso, per non disturbarci.

Ma anche se non lo fosse, non ci farei caso comunque, perché la tua risata soffiata, per quanto lieve, giunge alle mie orecchie più chiara di qualunque altro suono.



Stavo pensando che sembra sia passata una vita dall'ultima volta che ci siamo visti, e in effetti più o meno è così. Ti lavi le mani fredde sotto l'acqua calda, mentre io resto seduta sul bordo della tua vasca. È come se tutto il tempo in cui tu non sei con me fosse solo un gigantesco preparativo. Una lunghissima vigilia, che dura secoli in più del Natale. È come se ogni parola che ci scambiamo da lontano fosse un preambolo sfocato di tutti i discorsi che vorrei potessimo fare guardandoci negli occhi. Ma stavo anche pensando a tutte le volte che ti ho creduto perfetto, e a quelle in cui la mia bolla di completa fiducia è scoppiata, e mi chiedo costantemente se sia colpa mia, tua, o di qualcun'altro ancora. So che avrei dovuto essere più pronta a sopportare un'eventuale delusione, che sapevo sarebbe arrivata, ma ho sperato fino all'ultimo di sbagliarmi. Ti sfreghi gli spazi tra le dita. Riesco solo più a rendermi conto di quanto essere soli sia difficile, e non esserlo lo sia altrettanto, o di quanto forse entrambe le cose siano in realtà una cosa unica. E mi chiedo costantemente, ormai, se essere innamorati non sia semplicemente essere disillusi, arresi, e nel contempo in qualche modo speranzosi, o più fiduciosi, o forse accontentabili, per scelta o per costrizione che sia. E mi chiedo se essere innamorati sia davvero possibile, a questo punto. Se è quello che io sono, e se tu lo sei, e se lo sei, di chi. E di quella persona mi chiedo di che colore siano gli occhi, quanto siano lunghe le dita, che cosa ha fatto per farti innamorare di sè, o se invece l'unica cosa che ha fatto per averti è stata non fare. E mi chiedo quanto sia più alto di me, quanto più robusto, quanto più ruvide le sue guance nei giorni in cui non si rade. Posi l'asciugamano, e mi indichi di uscire precedendomi e sfiorandomi una mano con la tua. E fa male agli occhi, alla fronte e alla gola, ma a volte non credo a niente di ciò che dici di essere.

(È il tuo vero nome, quello con cui io ti chiamo? )



Avete una camera per gli ospiti e io dormo in quella, e i tuoi non hanno nemmeno ancora chiuso la porta di casa che io sono già sgusciata nel tuo letto. Sonnecchiamo mezzi coricati, vicinissimi l'uno all'altra e senza alcuna tensione, tranne per il fatto che penso come secondo me a volte lo fai apposta ad ignorare le parti di me che forse io vorrei che tu prendessi in considerazione più delle altre. O forse no. La verità è che lo farei anch'io, perché probabilmente un po' di paura ne hai, come ce l'ho io, nonostante adesso da sotto il tepore del tuo lenzuolo possa non trasparire affatto. Magari, dopotutto, l'unica cosa che dovresti fare in questo momento è stringere un po' di più il braccio intorno alle mie spalle, e fingere che io sia un peluche con il quale ti piace dormire, e non una persona con la quale ti piace parlare.

Sicuramente ci riaddormenteremo, probabilmente tra un'oretta al massimo ci risveglieremo più lucidi, e io avrò sulle guance il segno del tuo cuscino e dei tuoi capelli, e li accarezzerò sperando che se ne vadano via il più tardi possibile.



Ti stavo pensando. Capita che mi guardi intorno e che non riconosca più niente e nessuno, in quei momenti nemmeno il tuo pensiero incorporeo riesce a farmi stare meglio.



Stavo pensando che è come se fossimo tornati all'inizio. Siamo seduti a gambe incrociate uno di fronte all'altra, ma su una panchina, che però questa volta è di quelle grosse, di pietra, senza schienale. Tamburelli con le dita e mi guardi un po' di sbieco. Fa più freddo di prima. Non molto. Qualche soffio di vento agita gli alberi e fa suonare le foglie come canne di un organo. Le nostre mani si toccano, se le avvicinassimo di più le nostre dita si intreccerebbero da sole, ma non lo pretendo. Mi concentro sul piccolo strappo nei tuoi jeans una decina di centimetri sopra al tuo ginocchio. Lascio che le tue dita suonino la panchina accanto alle mie. Forse stai eseguendo un concerto insieme al vento e io nemmeno me ne rendo conto. A volte guardi verso destra, distratto, leggero, a volte guardi i miei occhi e poi abbassi lo sguardo sulle tue scarpe, stringi le labbra; a volte guardi in alto e mi sfuggi, perché non so più chi sei e cosa stai diventando.

Stavo pensando che non so a che cosa pensi.

Che posso dire di conoscerti tranne quando non sento di conoscere nemmeno me stessa. Vorrei sapere a cosa pensi. Vorrei che tu lo dicessi volentieri. Vorrei dirti ogni mio pensiero, vorrei che tu sapessi di me tutto quello che è possibile sapere, vorrei essere per te un mistero come tu a volte sei per me, vorrei cancellare tutto ciò che ti ho confessato, perché più mi rivelo e più ti sento sfuggire dalle mie dita come acqua che non mi disseta ma mi raffredda. Vorrei solo essere giusta, non per gli altri ma per te. Vorrei sapere cosa pensi.

E ti direi, ti darei ogni pensiero che ho fatto oggi e tutti quelli che ho fatto da quando essi hanno cominciato a ruotare intorno a te, per sapere solo che cosa c'è nella tua mente in questo singolo istante.
Perché i miei pensieri sono dozzinali e contraddittori, e i tuoi sono così preziosi.
  
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