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Autore: kety100    23/12/2015    1 recensioni
Credo che il titolo dica tutto, no? Voglio raccontarvi una disfatta - tipo, la mia, ecco -. Perché noi abbiamo perso: ci abbiamo provato, abbiamo combattuto, ma abbiamo perso. Non che ci si possa fare gran che, a questo punto, e raccontarlo a voi non cambierà niente questo è chiaro e lampante ... ma se fossi in voi vorrei sapere cos'è successo. Almeno sapete con chi prendervela, quando le cose inizieranno ad andar male, giusto? Dunque ci sono sei regole semplici semplici che ho imparato nella mia carriera: se le avessi seguite all'inizio, forse ora non saremmo qui. Ah, e poi c'e la Numero Sette, che è quello che non dovete mai fare - e che io ho fatto, ovviamente -. Insomma, a fare questa cosa siamo stati un po' costretti, non è che ne avessimo tanta voglia, ecco. Vi racconteremo la storia in modo oggettivo, giuro, a partire dall'inizio ... è la parte più importante, quella. Che alla fine abbiamo perso lo sapete già, ma magari quello che è successo nel frattempo v'interessa.
Genere: Azione, Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Svegliarsi era sempre un trauma. Da che mondo è mondo, nessuno è mai felice di doversi alzare alle 6 del mattino, prendere un autobus stracolmo di gente e doversi fare spazio a spintoni in un autobus pieno zeppo di zombie addormentati quanto te. Eppure, straordinariamente, quel giorno fu più traumatico del solito per Nat … beh, c’e da dire che tutta la settimana sarebbe stata più traumatica del solito in realtà. Il giorno iniziò con delle voci soffocate – un idioma stranamente conosciuto, che la ragazza non riuscì a comprendere bene – e la consapevolezza di essere sdraiata su una superficie ben più fredda e dura del suo letto. Sfido chiunque a svegliarsi con calma ed a realizzare che non si trova in un luogo conosciuto: probabilmente farete come Nat, aprendo gli occhi di scatto ed alzandovi con lentezza, guardandovi attorno con circospezione. Se poi scopriste anche di essere nudi, beh … ma lasciate pure che Nat affronti questa situazione, vi va?
 
La ragazza aprì gli occhi lentamente, sollevandosi prima sulle braccia ed iniziando a guardarsi attorno sorpres … no, in realtà non era particolarmente sorpresa. Stranita, questo si, molto confusa ed un filo arrabbiata, ma non sorpresa. Nat non si prese nemmeno la briga di spaventarsi, quando si rese conto che attorno a lei non c’era proprio nessuno: eppure, il mormorio era comunque presente, ed oramai era chiaro che non se l’era immaginato. Si sentiva piuttosto confusa, come se avesse preso una bella dose di sonniferi prima di andare a dormire, ma in ogni caso stava bene.
La stanza in cui si trovava era essenziale e pallida: pareti bianche e pavimento ocra chiaro, non vi era un solo granello di polvere né tantomeno una finestra. La stanza era a stento abbastanza grande per contenere lo strano letto in pietra su cui si era svegliata, quindi non era molto più lunga di un paio di metri e larga a stento uno e mezzo … si vedeva una nicchia laterale, ma Nat non riusciva ad intuire cosa ci fosse dentro. La luce proveniva più o meno dalla zona del soffitto, più bianca e fredda di quella di qualunque lampadina. Se da qualche parte c’era una porta, non era visibile.
Inizialmente non si accorse di essere nuda: se ne rese conto solo dopo qualche minuto passato a guardarsi attorno spaesata, quando finalmente realizzò che i piedi nudi che le stavano davanti erano i suoi, che erano collegati ad un paio di gambe nude e … beh, immagino che tutti abbiate ben presente una ragazza nuda.
Assurdamente, la consapevolezza di essere priva di vestiti in una stanza sconosciuta la rese più lucida: finalmente si decise a scendere dal letto in pietra – qualunque persona intelligente l’avrebbe fatto all’inizio, ma le reazioni di Nat erano sempre piuttosto tranquille ed inadatte al contesto. Era una fangirl lei, mica una di quelle ragazzine scattanti ed atletiche che si vedevano in giro! Le sarebbe piaciuto, perché perfino lei ammetteva che avere un corpo simile sarebbe stato un sogno, ma non lo era assolutamente –, poggiando i piedi scalzi sul pavimento gelido e rabbrividendo. Che fosse stata rapita, drogata e spogliata dagli alieni o da un qualche maniaco, quella sensazione era sempre orrenda. Ma era stata sul serio rapita, poi? E nel caso da chi? E perché? La famiglia De Luca non viveva di stenti, ma non era neanche ricca: avevano di che mangiare si, ma mai troppo. Ed il bis c’era solo ed esclusivamente se era il tuo compleanno o stavi particolarmente male. Pensierosa, Nat andò verso la nicchia laterale, scoprendovi dei vestiti della sua taglia: pantaloni di tela, una canottiera azzurra ed un paio di …cos’erano quelli? Stivali? In ogni caso, qualcuno aveva pensato di riservarle anche un paio di plasticose calze lunghe fino al ginocchio, che le avvolgevano la caviglia e la gamba come una seconda pelle. Guardandosi, Nat pensò con amarezza che addosso ad una ragazza più magra quegli abiti sarebbero stati benissimo: lei aveva sempre avuto un po’ di pancetta, messa bene in risalto dalla canottiera. Inoltre nonostante fosse di media altezza aveva le cosce evidentemente grosse e le gambe leggermente ad X … per non parlare delle braccia o delle spalle, prive di muscoli. Se non altro, pensò, aveva fatto lo sforzo di depilarsi qualche giorno prima. In ogni caso, non era mai stata una ragazza particolarmente pelosa … grazie al cielo, madre Natura le aveva fatto almeno quel dono. Forse in fondo non si era del tutto dimenticata di lei, nel distribuire agli altri grazia e bellezza a piene mani.
Terminata la vestizione, Nat si ritrovò con le mani in mano, decisamente ad un punto morto, cercando di capire cosa diavolo fosse il materiale opaco che aveva al posto delle scarpe. Le sembravano quasi calze di plastica, ma erano troppo spesse e morbide: inoltre, se fosse stata davvero plastica a quel punto Nat si sarebbe trovata i piedi già belli e cotti, pur stando ferma. Al tatto erano morbidi, ma un po’ appiccicosi e … beh, in realtà portarli era da una parte piacevole e dall’altra terribilmente scomoda. Insomma, Nat non sapeva bene cosa ci si aspettasse da lei in quel momento. Volevano che urlasse? Che chiedesse di uscire? Oppure stare li, zitta e ferma, seduta sul tavolo con le spalle ingobbite, andava bene? Dopo qualche minuto di silenzio, però, la ragazza non ce la fece proprio più: iniziava ad essere stanca, affamata e decisamente seccata. Chi erano quei tizi per rapirla così? Non era mai stata una ragazza intraprendente, tuttavia supponeva che un’eccezione fosse d’obbligo in quel caso: si alzò in piedi, scoprendo con sorpresa che quelle buffe calzature non erano affatto scomode, ma anzi le rendevano la camminata più facile e sicura, permettendole di aderire meglio al terreno senza intralciarla affatto. Chiunque le avesse inventate era senza ombra di dubbio in genio.
Iniziò ad ispezionare la stanza palmo a palmo, anche se non c’era molto da vedere: niente pulsanti segreti, nemmeno un graffio ad indicarle che quella stanza aveva una via d’uscita – o di entrata –. Pareva quasi che le fosse stata costruita attorno mentre ancora dormiva, e la cosa sarebbe parsa stranamente inquietante a chiunque. Non che le fosse chiunque: in ogni caso però, non si sentiva esattamente la persona più tranquilla del mondo a rimanere così in balia degli eventi.
« Dunque: di uscite segrete non se ne trovano, a quanto pare non c’e nessuno strano meccanismo … o mi do alle parole magiche o resto chiusa qui. No, non ci penso neanche a rimanere in questo postaccio. EHI, QUALCUNO PUÒ FARMI USCIRE?! » Nat tossicchiò un momento, passandosi la lingua sulle labbra screpolate. Iniziava ad avere sete, e di certo urlare non aiutava la sua condizione. Nonostante tutto però, nulla si mosse né qualcuno diede segno di averla sentita. « Per favore » aggiunse dopo un momento, senza sapere bene quale processo mentale l’avesse portata a chiede ai suoi aguzzini se potevano lasciarla andare in santa pace, per piacere. Intimamente certa che quelle due paroline non avrebbero cambiato niente, Nat fece per risedersi con uno sbuffo sconfitto, lasciando che l’idea che sarebbe morta li come l’idiota che era le penetrasse ben bene nel cervello e mettesse radici. Click. La ragazza rialzò la testa di scatto, osservando a bocca aperta il muro di fronte a lei che scivolava di lato, aprendosi su una stanza più grande di quella in cui era stata fino a quel momento, esagonale e con due ragazzi più o meno della sua età nel mezzo. Erano loro ad aver prodotto i mormorii, evidentemente, parlando evidentemente due lingue diverse. Una ad orecchio le sembrava più o meno spagnolo o qualcosa di simile, mentre per l’altra non ne aveva proprio idea … in ogni caso, due non avrebbero potuto essere più diversi: lui era piccolo, magro, pelato e con due occhi enormi, da scarafaggio. Nonostante i vestiti gli stessero aderenti, c’era qualcosa nel suo modo di muoversi che li faceva sembrare troppo grandi, quasi rattrappirsi fosse la sua attività preferita; l’altra però … beh, l’altra ragazza era semplicemente un sogno ad occhi aperti. Alta, magra, bionda e con due immensi occhi chiari, il volto esprimeva dolcezza e forza in egual misura. Nat storse istintivamente le labbra nel vederla riempire pantaloni e canottiera nei punti giusti … con il tempo, la fitta d’invidia che le trafiggeva il petto alla vista dell’altra ragazza sarebbe diventata un’abitudine talmente radicata da essere accolta quasi con dolcezza. Ma per il momento, lei e la bionda erano ancora delle perfette sconosciute. Il ragazzino disse qualcosa nella sua assurda lingua con un sogghigno, mentre la ragazza gli diede una spinta e cercò di indicare a Nat qualcosa, che si rivelò essere un’altra nicchia nella parete, contenente uno strano liquido color vomito – avrei potuto descriverlo come ambrato, certo, ma non rende l’idea vi pare? –. Non che l’italiana volesse bere niente di simile, per carità, ma immaginava di non avere altra scelta: prese un profondo respiro, si tappò il naso e mandò giù la sbobba. Il cicaleccio simile a spagnolo non si interruppe, ma improvvisamente Nat seppe il significato delle parole. Non avrebbe mai potuto dare una traduzione precisa, ma sapeva perfettamente chi stava dicendo cosa. Peccato che ci fosse solo silenzio: all’improvviso le due pareti ai lati della sua stanza si alzarono, facendo uscire due ragazzi talmente simili da poter essere fratelli, sempre con il solito abbigliamento fornito a tutti – e ad alcuni, doveva ammetterlo, stava meglio che ad altri –. Il tempo di varcare le loro soglie che tutte le porte delle stanze, fino a quel momento aperte, si chiusero con uno scricchiolio ed un tonfo sordo. E se ne aprì un’altra, proprio davanti ai ragazzi, con un lungo corridoio all’apparenza buio. Per un lungo istante, tutti rimasero in un silenzio quasi relgioso.
 
 
Angolo me:
Innanzitutto mi scuso per questo enorme ritardo … ma grazie alla scuola e, soprattutto, ai gentilissimi e super-efficienti signori della Telecom – che mi hanno staccato internet per quasi un mese. Grazie Telecom, davvero. Anche io ti amo – la mia possibilità di scrivere e pubblicare qualcosa di nuovo è stata davvero esigua. Pertanto, chiedo scusa a tutto e vi ricordo che c’e il divieto di lanciare cose all’autrice di questa storia *indica il cartello*
Nel prossimo capitolo capiremo, finalmente, quali poteri tarocchi hanno i nostri protagonisti … visto che inoltre il “giochino” dei soprannomi non è piaciuto molto ho deciso di lasciar perdere XD M’inventerò qualcosa, o almeno ci proverò. In ogni caso, ci sono parecchi personaggi secondari che faranno da “contorno” alle vicende: se qualcuno desidera essere nominato nella storia gli basterà mandarmi nome e un abbozzo di aspetto e carattere. Non garantisco che vengano nominati tutti assiduamente, ma avranno una piccola parte.
Detto questo vi saluto e mi metto a scrivere il prossimo capitolo, che devo recuperare parecchie cose XD Alla prossima – che, salvo scherzi della Telecom, sarà davvero fra due settimane.
  
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