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Autore: Willow Gawain    23/12/2015    1 recensioni
Parigi, anno 2070.
Leef Leroy, scienziata con un pessimo carattere, e Lance Langford, cacciatore di teste dal sorriso arrogante, sono tra gli ultimi sopravvissuti ad un esperimento genetico che nel 2048 ha segnato la fine della razza umana. La nuova razza in cima alla catena alimentare, gli Alpha Nominus, desidera solo una cosa: vivere. Il problema è che per farlo gli Alpha Nominus hanno bisogno di nutrirsi di specifiche parti del corpo umano. Ritrovarsi improvvisamente nel ruolo della preda ha convinto i sopravvissuti, comandati dall'agenzia militare Nemesi, ad asserragliarsi in una base sotterranea, mentre nel mondo di sopra si combatte una guerra per la supremazia.
In quanto membri della Nemesi, Leef e Lance ricevono l'incarico di indagare la veridicità di una leggenda, secondo cui uno specifico minerale ha il potere di uccidere gli altrimenti inscalfibili Alpha Nominus. Ma quando i due raggiungono la superficie rimangono coinvolti in una serie di avvenimenti che li condurrà ad un terribile destino...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Twilight

Lost Light 2.0

1 - Alpha Nominus

 

 

Parigi, 15 gennaio 2042 - 21.55

L’orario delle visite era finito da un pezzo.

Nella piccola bianca stanza d’ospedale, sdraiata sul letto e ancora dolorante a causa del recente parto, una donna osservava la sua bambina nata da poche ore, inerme tra le lenzuola della culla termica.

«Come somigli a tuo padre…» sorrise, in direzione della piccola figura che teneva gli occhi serrati, addormentata «Leef.»

La madre combatté con i spasimi della ferita del cesario per allungarsi e regalare alla bimba un bacio sulla fronte. Una fitta particolarmente dolorosa la costrinse a sdraiarsi di nuovo.

Quando finalmente si sentì meglio si concesse un lungo sospiro, poi torno a guardare la bimba: una piccolissima creatura, completamente indifesa e innocente. Più la guardava più le sembrava la cosa più bella di sempre.

Sorrise, in fondo le dodici ore di travaglio erano valse eccome.

Alzò lo sguardo all’orologio appeso sopra la porta; erano le dieci. Solo allora si ricordò: quel pomeriggio degli scienziati americani avevano portato a termine il primo esperimento di clonazione di un essere umano. Ci erano voluti dieci anni di dibattiti, polemiche, cause legali e quanto altro può essere scatenato da una cosa così antietica prima che infine si giungesse al fatidico giorno.

Prese con mani traballanti il telecomando impolverato, che suo marito aveva lasciato sul comodino di fianco al letto poco prima di uscire. Gli effetti del parto si facevano sentire, infatti impiegò diverso tempo per riuscire a premere il tasto REP, che permetteva di rivedere in qualsiasi momento qualsiasi trasmissione degli ultimi mesi.  

La donna sospirò annoiata: la tecnologia se ne usciva con una nuova trovata di giorno in giorno. La trovata di quel giorno era la clonazione.

Selezionò il telegiornale serale. La voce dello speaker risuonò per la stanza.

“Dopo dieci anni di interminabili proteste e posticipazioni, il primo esperimento di clonazione umana, tenutosi oggi nei laboratori di Sunville, nello Stato di Washington, è risultato un successo. Il primo tentativo di clonazione umana ha dato i suoi frutti. A capo delle operazioni è stato Severin Braun, noto scienziato tedesco che da anni lavora al progetto. La prova non ha dato del tutto i risultati sperati, ma non sono state rilasciate ulteriori informazioni.

Il nome conferito al soggetto è Alpha Nominus. Appena avremo aggiornamenti ve li comunicheremo. Ed ora passiamo alle proteste sulla nuova legge varata…

*Click*

E di nuovo un sospiro, stavolta leggermente irritato. La donna posò il telecomando sul comodino, precisamente dove lo aveva trovato, poi cercò con lo sguardo la neonata, temendo per un secondo di non trovarla più nella sua culla.

La bambina invece stava dormendo beatamente, inconsapevole del mondo che si scatenava fuori.

«Leef… spero che la realtà che tu vivrai sarà migliore di quella che ho vissuto io.» la donna non era mai stata una gran chiacchierona, ma le veniva così naturale continuare a parlare alla bimba dal nome strano; incapace di separarsi da lei per troppo tempo, la prese tra le braccia con delicatezza e la appoggiò al proprio petto, sistemandole il berrettino che le copriva la testa «Imparerai  che niente è impossibile e tutto è difficile. Ma sono sicura che tu ce la farai.»

Mentre la madre pronunciava quelle parole, in un altro continente il primo agente dell’apocalisse apriva i suoi bellissimi occhi gialli.

 

 

***

 

Parigi, 19 novembre 2048 - 20.30

Leef posò la bambola sul letto.

Era la sua preferita: piccola, dai capelli neri, con due grandi occhi azzurri ed un bellissimo vestito da principessa. Si chiamava Ann.

Molte volte la bambina si era immaginata al suo posto: l’amata principessa del regno delle fate; il suo sogno segreto era poter vivere in un castello e avere tante persone intorno che la servissero: ma lei non le avrebbe mai trattate male, no, no! Voleva renderle tutte felici!

Voleva che nel mondo tutti fossero felici.

La bambina alzò finalmente la testa dai suoi giocattoli ed aprì bene le orecchie, notando che finalmente i genitori avevano smesso di litigare. Avevano urlato per tutto il pomeriggio, tanto che si era rifugiata sotto il letto a piagnucolare e farsi consolare dai peluche.

Parlavano di cose strane, per lei incomprensibili: l’argomento principale era la fuga, voluta dalla mamma; in effetti quasi tutti avevano lasciato le loro case ormai, Leef aveva perso tutte le sue amichette e smesso di andare a scuola.

Ma nella sua ingenuità di bambina di sei anni non riusciva proprio a capire perché tutti erano così spaventati: stava arrivando un brutto temporale, come quello di Pasqua?

Però le sembrava così strano… erano andati via tutti di corsa, lasciando le case aperte e le automobili in strada, messe tutte storte contro il marciapiede. Non era una reazione un po’ esagerata per un temporale?

In quel momento la porta della cameretta si aprì con un cigolio di cardini e la madre di Leef entrò a grandi falcate: aveva gli occhi rossi e gonfi.

La bambina ebbe solo il tempo di chiedere se andava tutto bene, prima che la donna la superasse «Andiamo via, Leef. Prendi quel che vuoi portare, niente giocattoli troppo grandi.»

«Cosa?!» esclamò Leef, guardandola mentre spalancava l’anta dell’armadio, per poi uscirne una valigia che posò sul letto.

Stava davvero facendo i bagagli!

«Fai come ti ho detto, Leef.» ripeté la donna, con tono stavolta più duro.

Capendo che la situazione non era delle migliori, la piccola decise di ubbidire e si apprestò a quella che per lei era la scelta più difficile di sempre: quali bambole portare? Senza dubbio Nathan, che era il principe di Ann. E poi…? 

«Leef.»

Leef alzò gli occhi alla madre, vedendo per un attimo se stessa adulta, solo coi capelli un po’ più chiari. Aveva in mano Ann, sulla cui schiena c’era una cerniera in cui Leef nascondeva ogni tanto pezzi di carta o cioccolatini, fingendo che fossero grandi tesori. Stavolta però non vi fu nascosto nessun dolce, ma una gemma.

Un piccolo cristallo bluastro dalle mille venature cremisi, dall’aspetto così mistico che Leef immaginò si trattasse di qualcosa di oltremodo prezioso.

Quando fu sicura che la figlia avesse impresso nella memoria quell’immagine, la donna richiuse la lampo della bambola e si chinò, spostò il letto e poi il tappeto, e sotto questo Leef notò per la prima volta un piccolo buco in una delle assi di legno. La madre si sfilò dal collo una catenella con una chiave, che infilò dentro il foro: un click quasi silenzioso e l’asse fu rimossa.

Ann sparì nel buio del nascondiglio segreto, che fu perfettamente riportato allo stato di prima. Mentre metteva la collana al collo della figlia, la donna disse «Non dimenticare questo posto e questa bambola, hai capito? Quando sarà il momento giusto, torna qui e prendi quella gemma. Adesso non possiamo portarla con noi, ma tu non devi dimenticare, chiaro?»

La piccola annuì, in realtà non le era per niente chiaro il senso degli avvenimenti di quella sera, ma il suo intuito fu abbastanza pronto a suggerirle che forse non potevano portare con loro adesso quel cristallo perché era troppo pericoloso.

Pochi minuti dopo erano già in macchina, pronti per partire. La grande jeep di papà sembrava molto più buia del solito agli occhi di Leef, che a malincuore aveva rinunciato non solo a capirci qualcosa, ma anche alla sua bambola preferita.

«Non possiamo proprio passare da mia madre?»

Il papà sembrò a disagio quando rispose «Claire… nell’ultimo notiziario hanno detto che quella zona è…»

«D’accordo, ho capito. Andiamo. Dobbiamo mettere al sicuro Leef.» tagliò corto la madre, quindi allacciò la propria cintura.

«Mamma, voglio andare dalla nonna!» s’innervosì la bambina, che cominciava a sentire un groppo alla gola «Ha detto che questo sabato mi avrebbe preparato la torta alle fragole!»

La mamma girò la testa verso di lei, cercando di sorriderle in maniera rassicurante «Ci andremo domenica. Adesso allaccia la cintura e non fare i capricci, signorina.»

L’auto partì e Leef, come ogni volta, si mise in ginocchio sul sedile dopo aver combattuto una estenuante lotta con la cintura, voltandosi a guardare fuori dal lunotto.

Era così tetro… la loro via di solito era piena di bambini che giocavano in strada con le biciclette e a palla, mentre le madri si riunivano nel giardino della loro vicina.

Invece ora non c’era nessuno, le macchine giacevano abbandonate disordinatamente, alcune case avevano porte e finestre  aperte. Sembrava tutto desolato…

«Mamma… non torneremo mai più qui, vero?» chiese la bambina, colta da un’improvvisa consapevolezza.

Dal sedile anteriore, la madre della bambina riuscì a parlare solo dopo un lungo silenzio «No, tesoro…»

Leef alzò lo sguardo per osservare un’ultima volta casa sua, mentre questa spariva in fondo alla via, tra altre abitazioni. Sentì gli occhi pizzicarle, ma prima di avere il tempo di mettersi a piangere, qualcosa fermò per un attimo il suo cuore.

Un’ombra nera attraversò la strada, rapida come un lampo, avvicinandosi finché gli occhi celesti della bambina non incontrarono due cavità gialle affamate. Leef urlò e si gettò indietro.

Sentì sua madre urlare «Marc, frena!» e la macchina sbandò in maniera violenta.

Poi solo fu un botto, un urlo non umano, puzza di sangue, un dolore fortissimo alla testa.

 

 

***

 

Parigi, 10 dicembre 2070 - 22.02

La porta si aprì con il solito, nostalgico fischio di cardini vecchi. Al di là di essa, si rivelò davanti ai suoi occhi un mondo così lontano nel tempo che credeva d’averlo sognato, non vissuto.

Era tutto uguale a come era stato lasciato: i giocattoli al loro posto, il letto perfettamente in ordine, senza neanche una piega sul piumone azzurro, i peluche, i libri, le penne, persino il disegno sulla scrivania che aveva fatto poco prima di fuggire.

Era tutto uguale, solo molto impolverato.

Fatto il suo ingresso, la ragazza si mostrò alla tenue luce biancastra che filtrava dalle persiane semichiuse.

I lunghi capelli neri le scivolavano sulle spalle, la pelle chiarissima - quasi spettrale, come di qualcuno che vive sotto terra e che non vede mai il sole – era coperta da un’uniforme nera che si confondeva facilmente col buio; si mosse lenta nella stanza, reprimendo l’istinto di piangere.

Quanto le era mancata la sua cameretta.

«Sono a casa…» mormorò, concedendosi un sorriso.

Si soffermò su ogni particolare, fissando tutto tra l’ammaliato e il confuso. Come poteva essere tutto così perfetto? Possibile che niente fosse entrato in quei vent’anni? O forse loro non avevano sentito l’odore di esseri umani e quindi si erano fermati?

Qualunque fosse la ragione, era felice in quel quadro famigliare.

Si avvicinò al letto, lo stesso letto che l’aveva riscaldata in lunghe notti d’inverno; vi posò una mano sopra, lasciandosi attraversare da un turbine di emozioni.

Ricordava che si trovava lì, sotto l’asse segreta. Seguendo i gesti di sua madre, che aveva stampato a fuoco nella memoria, ripeté meticolosamente il procedimento: il letto, poi il tappeto, poi la chiave – la portava appesa alla collana -, infine lo scompartimento segreto.

E infine sorrise: eccola, Ann. La prese con delicatezza tra le mani: come le era mancata, la principessa di un regno lontano…

Il rumore di passi risuonò nel corridoio, mentre la ragazza si asciugava velocemente una lacrima ribelle. Voltandosi, incontrò un paio di occhi verde acceso.

Un uomo avanzò nel buio con passo fermo, seguendo con espressione preoccupata i movimenti di lei; nonostante il viso gentile e lo sbarazzino ciuffo bruno che gli dava qualche anno in meno, la spada che gli pendeva da un lato della cintura e la magnum calibro 45 che pendeva dall’alto gli davano un aspetto abbastanza minaccioso.

Una volta che le fu davanti, le mise una mano sulla spalla «Leef, tutto bene?»

Lei annuì subito «Sì.» poi, abbozzando un sorriso, sollevò la bambola «Questa è Ann. Salutala.»

«… Eh?» fece lui, curioso, stando allo scherzo «Vuoi dirmi che la grande missione supersegreta era recuperare una bambola?»

«Esattamente. Osserva bene, Lance, questo non è uno spettacolo che capita tutti i giorni…» lei girò la bambola di pezza, mostrandone la cerniera sulla schiena. Con un unico movimento secco la tirò giù, ed una luce azzurra irradiò la stanza: la gemma preziosa era ancora lì, non sarebbe potuta essere altrove «Ti presento il nostro nuovo amico, che salverà l’umanità dall’estinzione. Il suo nome è cristallo di Berg

In quell’esatto momento, Leef e Lance si concessero il peccato più grande che un essere umano del loro tempo poteva fare: sperare.

«Improvvisamente sento di aver fatto bene a urlare addosso a Mason per accompagnarti.» disse infine lui, ponendo una mano su quella della compagna «Sei stata eccezionale, Leef. Alla faccia di quelli che davano questa missione per disperata. Ma ora è meglio andare.»

«Sì, andiamo a sbattere il nostro successo in faccia a Mason.» annuì lei; oh come si sentiva fiera di sé.

Si premurò di richiudere in fretta il giocattolo e riporlo nella borsa a tracolla dell’uomo. Mentre si preparava a far di nuovo strada, però, il rumore di una porta sfondata fece sobbalzare entrambi.

«Merda! Perché devono essere così ostinati?» imprecò a denti stretti Leef, cercando aiuto nello sguardo di Lance «Io sono solo una scienziata, sei tu il cacciatore!»

«Appunto per questo dovresti usare il cervello per farti venire qualche idea, io so usare solo i muscoli!» no, Lance sapeva difendersi bene all’occasione.

La mise subito dietro di sé, restando in silenzio. Passi leggeri risuonavano per il corridoio, nel silenzio del mondo. Si avvicinava, ma era uno solo. Gestibile.

«Nascondiamoci.» fu l’ordine.

Leef si sentì imbarazzata dalla prevedibile scelta del nascondiglio: sotto il letto. Forse, in quanto scienziata, avrebbe davvero dovuto sfornare qualche idea apocalittica e geniale.

Si acquattò contro il muro per far spazio a Lance, ma con sua sorpresa il cacciatore non la seguì, anzi si appiattì tra la porta e il muro, coperto dalla libreria; l’ultima cosa che vide, prima che il bruno sparisse nel buio, fu la sua pistola venir estratta dalla fondina.

Anche Leef corse istintivamente con la mano all’arma che aveva tenuto fino a quel momento sulle spalle: un fucile.

Serrò gli occhi: la paura le scorreva nelle vene, più veloce anche del sangue. Non era proprio fatta per il campo di battaglia, lei, anche se ci finiva sempre in mezzo. Si disse che doveva essere forte: per se stessa, per Lance, per tutta la gente della Nemesi e per l’umanità intera. Doveva portare il cristallo di Berg ai laboratori.

L’ennesimo scricchiolio di cardini la fece raggelare; strinse la presa sulla canna del fucile, abbassando la testa per sbirciare.

L’ospite entrò con passo felpato, silenzioso. Non era umano, nessun uomo sano di mente avrebbe provato a definirlo tale.

Due steli lunghi e neri, duri come il diamante, formavano le gambe; un corpo nudo, completamente fatto da ossa e organi esposti e pulsanti, lunghi artigli al posto delle dita. Un invenzione dell’uomo fatta a sua immagine, come l’uomo stesso era fatto a immagine di dio. Ma l’uomo non era infallibile, e la sua tracotanza lo aveva portato a creare un mostro.

Il suo verso si espanse e rimbombò nella stanza: un sibilo rabbioso, fastidioso alle orecchie umane. Egli era una delle creature perfette, la nuova razza dominante: gli Alpha Nominus.

Leef strinse i denti fino a farsi male, trattenendo la paura che le scivolava addosso come sudore freddo.

La porta si richiuse di botto addosso alla creatura, spinta da Lance, che infine uscì allo scoperto per fracassare di proiettili il nemico.

Quest’ultimo rilasciò un urlo abominevole, accasciandosi mentre una delle braccia si staccava dal resto del corpo, decomponendosi velocemente.

Non lasciandosi suggestionare, Lance abbatté ogni munizione sul mostro, finché non gli fece saltare tutti gli arti e infine la testa stessa, sulla quale si potevano distinguere solo gli occhi di un giallo intenso, freddi e immobili ma vivi.

L’Alpha Nominus si accasciò a terra, lamentandosi per il dolore.

A quel punto, fattasi forza, Leef uscì lesta dal suo nascondiglio ed afferrò per un braccio Lance, per poi trascinarlo verso il balcone.

«Di qua!» urlò, indicando il piano di sotto. Erano al primo piano, un salto di circa quattro metri.

«Ci sono altri metodi per farmi dimostrare quanto sono atletico!» l’uomo atletico non si fece aspettare; salì sulla ringhiera e si buttò giù, cercando di mantenere una posizione adatta per cadere in piedi… così non fu, e si schiantò a terra in una maniera così poco atletica che Leef si chiese se fosse morto. Quando lo vide rialzarsi, massaggiandosi le braccia, tirò un sospiro di sollievo.

«Spero tu sappia almeno prendermi al volo…» lo rimbeccò, sarcastica. Uno scambio di occhiatacce.

Non perse ulteriore tempo, non sentendo alcun suono dalla stanza. Probabilmente l’Alpha Nominus si stava già rigenerando.

Con un salto mediocre, la giovane scienziata si buttò giù; il vento freddo le sfregava il volto e, stretta contro il petto, sentiva l’energia irradiata dal cristallo dentro la bambola.

Nel giro di pochi secondi, le braccia forti di Lance l’accolsero.

Quando riaprì gli occhi, trovò il suo volto sorridente e spavaldo «Ammettilo, pensavi che ti avrei fatta cadere.» scherzò lui, quindi riprese a correre, con la ragazza ancora tra le braccia.

Ma Leef non era affatto una persona in grado di scherzare, dunque replicò acidamente «Sarebbe stata la fine dell’ingloriosa carriera del grande cacciatore di teste Lancelot Langford

In breve raggiunsero la moto con cui erano venuti, con la quale si diedero a una fuga spericolata per le vie di Parigi.

Proprio mentre sparivano oltre un incrocio, dalla finestra della casa un immondo essere nero uscì alla luce della luna, sfoggiando le sue nuovissime braccia, una sola, acuminata gamba e un orrendo viso nero su cui due occhi freddi e gialli seguivano i due fuggitivi.

Se ne sarebbe ricordato, di quei due.

 

 

 

Note dell’autrice:

Ciao a tutti e buone feste! Come si dice, anno nuovo vita nuova, per cui ho deciso di terminare finalmente la revisione di questa storia e pubblicarla. Lasciate che vi racconti un po’ di più su Lost Light

Fu pubblicata nel 2008, scritta semplicemente per ingannare il tempo tra un capitolo e l’altro della long che avevo in corso all’epoca. A distanza di anni una mia collega mi ha annunciato tutta contenta di averla letta e trovata carina, al che mi sono sentita crollare il mondo sotto i piedi, al ricordo di come scrivevo male nel 2008.

Dunque ho deciso di farne una revisione… che è durata mesi e mesi. Ho cambiato il titolo (da qui il 2.0), i nomi dei personaggi, gli eventi e riscritto alcuni capitoli che, a mio parere (sebbene io ammetta di essere autocritica a livelli distruttivi), erano assolutamente illeggibili. Il risultato è… accettabile. Adesso per lo meno è leggibile, lol.

Vi dico subito di non aspettarvi una storia di eccezionale qualità, ma qualcosa di carino con cui passare un po’ di tempo. Se volete una lettura impegnata scritta da me, vi rimando alla mia ultima long, Twisted Mind.

Lost Light 2.0 conta 5 capitoli, tutti già rivisti e pronti per essere pubblicati. Ne pubblicherò uno ogni due settimane, il mercoledì. Dunque tranquilli, non correte il rischio di vedere la storia lasciata incompiuta.

Spero che qualcuno abbia voglia di dare una chance a questo racconto: non sarà dei migliori che ho scritto, ma sicuramente ci sono affezionata ^_^

Dato che siamo nella sezione romantico… non so se qualcuno si ricorda ancora di me, ma sì, sono quella brutta persona che scrisse What colour is the snow? ormai tre anni orsono. Avete notato il richiamo a Ann e Nathan in questo capitolo?

Qualcuno ancora mi chiede del sequel, in realtà prequel, di Snow. Se state leggendo queste righe, date un’occhiata alla mia bio sulla pagina autore, dove ne parlo approfonditamente.

 

Buon Natale e buon anno nuovo a tuttiiiii!

Sely.

  
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