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Autore: Suzue    08/03/2009    3 recensioni
Ad Harumi piace Taro Misaki? Sì, come no.
Ad Ayako piace ... quello lì, insomma? Nono. O forse sì.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio, Taro Misaki/Tom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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daisukiornot2 Dai Suki ... or not?


Scritto da Suzue

Disclaimer: Captain Tsubasa è proprietà di Yoichi Takahashi, della Shueisha, della Star Comics e di tutti gli altri legittimi detentori dei diritti. Questo scritto non è stato creato per essere utilizzato a scopo di lucro.


Note: ehi, grazie mille per le recensioni Manila, Martyx1988 e Mila83! Grazie per il benvenuto e per i complimenti. Sono felice che la mia storia vi sia piaciuta. So che questo secondo capitolo è un po' più cupo, ma mi serviva per tornare su toni più allegri dopo.


/ 2 / Fallo /


§°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°§



Forza Harumi, forza, devi muoverti.
Passa davanti a quelle e guardalo in faccia, per una volta.
Sento le guance iniziare a prendere fuoco.
Sono una scema, una scema!
Mi riappoggio contro l'albero.
L'allenamento sta per finire e oggi mi sono ripromessa di sedermi su una delle prime panchine e tentare di incrociare lo sguardo di Taro.
Mi sono spinta troppo in là coi propositi: ce l'ho fatta a sedermi su una delle panchine più visibili dal campo, ma me ne sono andata neanche qualche minuto dopo.
E' che ... mi sono fatta talmente tanti viaggi mentali che al solo stare seduta lì stavo diventando più nervosa di quanto non fossi mai stata.
Cose tipo ... se ora mi guarda, sicuramente mi sorriderà, perché è fatto così, lui è gentile. E poi magari, sempre per gentilezza, un altro giorno mi vedrà e mi farà un saluto e poi io farò una delle mie solite figure e non sarò in grado di spiccicare parola e lui penserà che sono stupida e ...
Sospiro disperata.
Forse oggi non è giornata.
Ma perché non posso già conoscere tutti quelli che vorrei conoscere?
Quando conosco una persona la smetto con tutte queste sciocchezze, mi sciolgo un po'.
Ho troppo paura del giudizio altrui.
Ho provato così tanto a dirmi che non conta nulla, ma alla resa dei conti non riesco a non pensarci, vince la voglia di fare buona impressione, di non fare un solo errore e inevitabilmente finisco per fare tutto quello che non vorrei.
Scuoto la testa.
Dietro di me inizio a sentire un chiacchiericcio sempre più insistente e una delle ragazze del fan club di Taro lancia un piccolo urlo.
Non perdo tempo e guardo verso il campo.
Oh, dio ... si è tolto la maglietta.
Non ho nemmeno la bava alla bocca, è totalmente prosciugata.
Quelle impiccione mi si mettono davanti e senza pensarci mi sposto di lato e salgo su una delle panchine più alte, per vederlo.
Si è già messo un'altra maglietta. Peccato. Mi sfugge involontario uno sbuffo scocciato e inizio a ridacchiare da sola della mia stessa reazione.
Be', oggi l'ho visto a torso nudo. Direi che come passo avanti può andare.
Okay, non ci ho parlato, non mi ha visto, ma sfidare la sorte non è un bene, no?
Sì, non è bene. Deciso!
Indietreggio.
E inciampo, rotolando su me stessa.
"Ahhi!!" urlo.
Che stupida, scema! Neanche da una panchina so scendere!
Controllo il danno e vedo che la pelle del ginocchio è tutta graffiata e perde sangue.
Mi viene da piangere! Dalle elementari non mi capitava!
Inizio a tirarmi su, dolorante. Ho dell'acqua nella cartella e devo disinf-
"Tutto bene?"
Rimango immobile.
Taro mi giro intorno fino a potermi guardare in faccia e ripete, "Tutto bene?"
Lo fisso solamente. Lui invece guarda il mio ginocchio, quindi mi prende per le spalle, aiutandomi a sedermi.
"Non è una bella ferita." Sorride. "Hai lanciato un bell'urlo. Dovresti stare più attenta."
Mi ha toccata. Mi ha TOCCATA!
Riesco solo ad annuire e lui continua. "Devi disinfettare."
Si guarda intorno e verso la panchina, poi mi fissa dubbioso.
Già, non ce la faccio ad arrivare rapidamente fino a là. Forse ora mi prenderà in braccio, oddio, oddio ...
"Ishizaki! Portami del disinfettante!"
Come no.
Sbuffo e lui si gira subito verso di me, facendomi sussultare.
"Non ti preoccupare, ora arriva subito." mi dice.
Annuisco di nuovo, abbassando lo sguardo.
Non ce le faccio a fissarlo in faccia, devo trovarmi qualcosa da fare, qualcosa di intelligente possibilmente ... la ferita! Inizio a guardarmi la ferita con fare apprensivo.
Taro si abbassa appena e anche lui mi osserva il ginocchio, con fare esperto. "Non rimarrà neanche la cicatrice. Ne ho viste di ferite come queste."
Di lato scorgo le ragazze del suo fan club e vedo che sono verdi d'invidia. A causa mia!
Muovo bruscamente la testa e mi accorgo che è incredibilmente vicina a quella di Taro. Lui si scosta subito. "Scusa."
Ishizaki arriva con il disinfettante e dell'acqua, accompagnato da una ragazza. E' una delle manager. Lei gli toglie di mano le due bottigliette. "Lascia faccio io."
Taro si alza. "Allora ci pensi tu, Yukari?"
Lei annuisce solerte e inizia a versarmi dell'acqua sulla sbucciatura del ginocchio. Brucia un po', ma Taro sta per andarsene ed è l'unica cosa che riesce ad attirare la mia attenzione.
"Allora ciao." mi dice lui. Lo vedo allontanarsi con Ishizaki verso lo spogliatoio.
C'è un lungo istante in cui non riesco a pensare a niente.
La manager mi parla, mentre mi applica il disinfettante con del cotone. "Il segno rosso andrà via presto, non credo rimarrà nessun segno."
Mi giro verso di lei solo dopo un po' e mi accorgo di non averle risposto. Lei mi fissa in modo strano, poi guarda di sfuggita in direzione degli spogliatoi. Mi sorride condiscendente e si alza per andarsene.
Ha capito tutto.
"Grazie." riesco finalmente a dire.
"Di nulla." Mi sembra di sentire un po' di ... pietà nella sua voce.
Se ne va, mentre io arrossisco per la vergogna.
Ora è una cosa degna di pietà avere una cotta?
E' una cosa bella invece!
Chissenefrega se per lui non è scattato nulla quando mi ha vista?
Abbasso le spalle che avevo alzato appena due secondi prima.
E' stato così gentile. Ma ... non mi è sembrato interessato.
Be' .... è stato un grandissimo passo avanti, no?
Cerco di nascondere quel pizzico di delusione che sento, ripensando invece a come mi ha parlato, a quando mi ha aiutata ad alzarmi.
Sì, la prossima volta che lo vedo lo ringrazierò!
Visto, è facile! Non dovrò nemmeno pensare a cosa dirgli, ci ho già pensato ora.
Un bel 'grazie'. Quando mi guarderà, mi riconoscerà e io gli passerò accanto solo ringraziando. Non dovrò inventarmi altri discorsi o dire chissà cos'altro, dovrò solo scandire quelle poche sillabe.
Mi rialzo di scatto piena di baldoria e sento subito la pelle del ginocchio tirare.
Faccio una smorfia e provo di nuovo a fare un passo rapido, ma non posso ignorare il dolore.
Mi fermo e decido di prendermela comoda.
Di solito vado a casa a piedi ma oggi sarà meglio prendere l'autobus.
Uffa, ed era una così bella giornata.
Scuoto la testa, sorridendo ... chi se ne importa! Oggi ho parlato con Taro! Grazie ferita!
Una decina di minuti dopo, finalmente, sono quasi arrivata alla fermata dell'autobus. I graffi al ginocchio oramai li sento poco.
Mi guardo intorno con aria decisamente sognante.
Dalla parte opposta della strada arriva l'autobus. Lo guardo distrattamente, mentre arrivo ad appoggiarmi al palo della mia fermata.
"Taro!"
Quel nome attira immediatamente la mia attenzione. Una ragazza coi capelli mossi e castani sta agitando la mano nella direzione da cui sono venuta.
No, non può essere quel-
Invece è proprio Taro, che arriva correndo.
No, non è proprio quello che ho sentito nella voce di lei. Saranno conoscenti, saranno ...
Quando Taro si avvicina abbastanza, la ragazza gli getta le braccia al collo. Li vedo scambiarsi un rapido bacio. Sulla bocca.
Lei gli prende la mano e vanno via tranquilli per una strada laterale.
Quello che mi esce dalla bocca solo molto dopo è uno strano respiro, la voglia di vivere e morire contemporaneamente.
Morire? Che stupidaggine!
Quando cerco nuovamente di prendere aria però esce solamente un singhiozzo.
E perché no?
Lascio cadere via dagli occhi lacrime impossibili da contenere oltre. Eììun pianto ridicolo, misero, le lacrime di un'illusa.
Fanno lo stesso tanto male.
Lascio cadere la cartella a terra. Non sopporto nemmeno quel peso, ora.
Illusa. Illusa. Illusa.
Ecco cosa succede a vivere di illusioni.
Sono nulla, solo le fantasticherie di una codarda.
Ma le sento ancora quelle mani sulle mie spalle e piango ancora per quella misera e stupida creatura che lo ha  ... amato.
Amavo Taro.
Lo amavo.
Mi abbasso con forza a prendere la cartella da terra, accogliendo quasi con piacere il dolore al ginocchio.
Ma che amavo! Nemmeno lo conoscevo!
E giù altri singhiozzi.
Tutti quei pensieri su di lui, quei sogni ... e non sapevo neppure che avesse una ragazza.
Come si fa a sentirsi traditi se mi ha parlato per la prima volta solo oggi?
Si fa, si fa ...
Le lacrime mi annebbiano la vista e oramai sono costretta ad aprire la cartella alla ricerca di un fazzoletto, col naso otturato che mi impedisce di respirare. Soffio sonoramente sulla carta tra le mani.
Avrei solo voglia di sedermi e sprofondare.
Perché non c'è nemmeno una panchina quando serve? ...
So solo lamentarmi.
Alzo lo sguardo sulla via da cui Taro è sparito.
Ha una ragazza. Ci sta insieme. 
Era carina, forse ... straniera.
Chiaro. Perché mai avrebbe dovuto scegliere una giapponese, no, il grande campione di calcio?
Reprimo quell'ira; non è neanche giustificata. Ha avuto l'unico torto di vivere come fanno tutti gli altri, come non ho mai fatto io.
No, lui non era una scusa per nascondermi, mi piaceva davvero! Però ... era tanto comodo non sforzarsi di farmi vedere da nessun altro, tanto contava solo lui, no? Anche se mi avesse vista, perché mai avrebbe dovuto scegliere me, dalla faccia anonima e con un'anonima coda di cavallo che non sciolgo mai?
Mi strappo l'elastico dai capelli e lo butto per terra.
Esalo un altro faticoso respiro: il punto non sono i capelli, anche se mi fanno sentire come nuda, così sciolti.
Mi sono sempre sentita come nuda, come se avessi tutto da nascondere.
E che ho da nascondere?
Nulla, sono come tutti gli altri. Né meglio né peggio.
Giusto, per niente peggio.
Inspiro l'aria con forza dal naso ora libero e mi asciugo le guance col dorso della mano.
Sì, non ho nessun difetto particolare. Non sono brutta, non sono stupida, il resto ... il resto lo posso superare!
Cinque minuti dopo sono ancora lì in attesa.
Ma ad attendere quell'autobus c'è una nuova me.
Vedo la bicicletta di Ayako arrivare dal fondo della strada. "Ehi, sei qui!" Si ferma all'improvviso. "Pensavo fossi al campo di calcio e quindi sono passata di lì per ... che hai?"
"Niente. Mi sono sbucciata un ginocchio. Puoi portarmi a casa?"
Senza aspettare risposta inizio a montare dietro di lei, sistemandomi alla meglio.
" ... tutto bene? Hai perso l'elastico?"
"Sì, è caduto."
"E non l'hai trovato?"
"Non mi serve più."
Ayako mi fissa interdetta, prima di decidere che forse è meglio pedalare.



§°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°§



E' successo qualcosa ad Harumi.
Ma non ha detto niente ed è sempre lei ad iniziare questi discorsi, che diavolo!
E adesso non ne parla nemmeno.
Perso l'elastico, un corno.
Non lo vuole più portare. Non l'aveva addosso nemmeno questa mattina e a casa ne ha una scorta colossale di quegli orribili cosi.
Le ho sempre detto che se i suoi capelli lunghi li voleva portare sempre legati, tanto valeva che se li tagliasse corti come ho fatto io.
Ma lei niente, insisteva a legarli. Oh, sono felicissima che abbia mollato la coda, ma non è da lei.
Mi aspetto che entro la fine della giornata scoppi in un pianto dirotto, altrimenti inizierò a preoccuparmi.
Andrò a trovarla più tardi, magari ha bisogno di avermi intorno per un po' per lasciarsi andare.
Inizio a farmi girare intorno al corpo il sacchetto della spesa che sto portando.
E' divertente e se lo faccio abbastanza spesso dovrei migliorare i muscoli delle braccia.
Non fa mai male essere forti.
Mantenere l'equilibrio così non è molto facile, ma la sfida mi piace.
Proseguo fino alla fine della strada e giro l'angolo.
"Ahi!"
La voce è infantile. Oddio.
Mollo il sacchetto di arance per terra e mi abbasso subito sulla bambina che ho fatto cadere.
"Scusa, stai bene?"
"Niisan, mi ha fatto male!"
"Shi, non ti sei fatta niente, in pie- Ancora tu!" Alzo lo sguardo su una voce che già conosco.
Questa volta non raccolgo giusto perché sono io quella in errore.
"Sei un pericolo anche per i bambini."
Adesso esagera. Mi rialzo. "Due secondi fa le hai detto che non si era fatta niente."
Lui si abbassa a mettere in piedi la sorella e mi fissa gelido. "Questo non ti dà il diritto di farla cadere."
"E chi ha mai detto una cosa simile?" Mi metto le mani sui fianchi, esaperata. "Scusa ancora piccola." Me ne vado senza sprecare fiato a salutare lui.
Non ho fatto che pochi passi che sento dietro me, "Le arance ce le lasci in regalo?"
Mi blocco ma vorrei davvero davvero non dovermi girare.
Gliele lascerei quelle arance pur di non dover fare questa stupida figura. Ma ne ho bisogno.
Mi giro solo per fermarmi subito.
Il tipo è a due passi da me e mi sta porgendo il sacchetto delle arance con aria ... meno arcigna del solito. "Tieni."
Cerco di riprendermi la mia roba evitando di toccarlo. Dato che ha le dita sulla presa del sacchetto, questo mi costringe ad appoggiare una mano sotto le arance e a chiudere il sacchetto con l'altra ben sotto il manico. Mi riprendo il tutto.
Lui mi guarda con aperta curiosità: pensa che mi sto comportando da stupida. In effetti ... sì.
Mi viene un po' da ridere. "Grazie."
Che senso aveva prendermela così tanto? Mi sono abbassata a livelli da asilo. Questo qua non è diverso dalla maggior parte dei ragazzi: idiota ma non cattivo.
Però ora mi sta fissando le gambe. "Niente gonna oggi? Scelta intelligente."
Naturalmente dimenticavo che ci sono gli idioti antipatici e pervertiti.
Calma. Calma. Non fare come prima. Non hai più sei anni.
Inspiro per bene. "Spero di non incontrarti mai più, ma se succede, vedi di crescere di qualche anno prima di parlare."
E, questa volta, me ne vado sul serio.

"Niisan, perchè l'hai fatta arrabbiare?"
A Kojiro Hyuga non importa erigere difese con sua sorella. "Non mi sono comportato troppo bene."
"Perché?"
"Ogni tanto succede ai grandi. Non ti fa più male?"
Sua sorella gli sorride allegra e afferra la mano offerta. "No. Torniamo dalla mamma?"
"Sì."


"Ciao Ayako."
Mi chiudo dietro il cancelletto di casa. "Ciao Haru."
Harumi inizia a dirigersi verso la scuola senza aspettarmi. Non ha nemmeno protestato per l' 'Haru'.
Mi metto al passo con lei. "Ieri volevo venire a trovarti solo che ... sai quel tipo dell'altra volta, quello della bicicletta? Ieri l'ho incontrato di nuovo e si è comportato anche peggio. Mi ha messa di cattivo umore."
"Perché volevi venire a trovarmi?" mi chiede lei.
Ancora una volta, non è da lei non commentare una cosa come quella che le ho appena raccontato.
"E' successo qualcosa?"
" ... no."
Non ha voglia di parlarne. Cammino per un po' assieme a lei, senza dire nulla.
La guardo di sottecchi. "I capelli sciolti ti stanno bene."
Sorride! Finalmente.
"Pensi che dovrei acconciarli?"
"Sai che non sono esperta di queste cose. Magari puoi andare da un parrucchiere e vedere un po' di tagli. Se vuoi ... ti accompagno."
Harumi mi guarda e capisco che riconosce il mio sacrificio. Sa che i capelli me li taglia mia madre. Non mi fido di nessun altro da quando un parrucchiere me li ha acconciati in un orribile caschetto quando ero alle elementari. Non mi fiderei nemmeno di mia madre, ma almeno sa quello che voglio e si tratta più che altro di spuntarli di tanto in tanto.
Harumi ridacchia. "Credo che accetterò prima che tu possa cambiare idea. Oggi puoi?"
Scuoto la testa. "Anche oggi ho il club."
"Giusto. Facciamo domani allora?"
Annuisco. Avrei preferito poter andare con lei oggi, però.
Non voglio intromettermi, ma credo davvero che abbia bisogno di parlare.
Lei è sempre stata fatta così.



§°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°§



Il parrucchiere è una buona idea.
Forse dovrei anche andare a comprare dei vestiti.
Non ho molti soldi però. Bah, non ne ho bisogno.
E' tutta una questione di atteggiamento, alla fine.
Passo accanto al campo di calcio.
E' sempre stato sulla strada di casa.
Se magari fosse stato da tutt'altra parte, non mi sarei mai accorta di Taro.
Stanno giocando. Vado avanti: ormai quello che c'è lì non mi interessa più.
Continuo ad avere la mente un po' vuota per diversi minuti. Mi guardo i piedi mentre cammino.
In fondo, non poteva essere tanto facile, no?
E' successo solo ieri.
Però mi sento meglio, riesco a riconoscerlo. Mi sento libera.
Passo dalla fermata dell'autobus.
"Ehi, ciao."
Mi blocco e alzo lo sguardo.
Taro.
Taro Misaki.
In uniforme, seduto sulla panchina.
Parlo senza elaborare alcun pensiero. "Ciao. Grazie per ieri."
Che strana calma.
"Non ti preoccupare. Capita a tutti." Si tocca la gamba. "Oggi è toccato alla mia caviglia."
Ha sempre la solita aria gentile e sincera. E' la definizione vivente di 'bravo ragazzo'.
"E' grave?" chiedo, per gentilezza.
"No, ma il mister ci vuole sani, c'è una partita importante tra un paio di settimane. Ma ... lo saprai. Ho visto che sei venuta a vederci spesso quest'anno."
E così mi aveva notata.  Ieri non avrei saltato su e giù dalla gioia, felice come una pasqua?
"Sì ... il calcio mi piace. E la squadra gioca bene."
"Grazie." Si illumina come se gli avessi fatto il complimento più bello del mondo.
E' stato bello essere innamorata di lui.
"E' la verità. Allora ... ciao."
Riprendo a camminare senza guardarmi indietro.


§°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°§



"Ciao papà, sono tornato a casa." Mi tolgo le scarpe all'ingresso.
"Ciao Taro. Come mai così presto?"
"Ho preso una storta alla caviglia e il mister non ha voluto che la sforzassi con gli allenamenti. Sei da solo?"
"Ovviamente."
Ovviamente?
"E Amelie?"
Mio padre posa il pennello con cui stava dipingendo. La sua faccia non mi piace. "Come, 'e Amelie'? E' partita stamattina, no?"
"Cosa?!"
"Con suo padre. Non ti ha salutato?"
Rimango fermo, come uno stupido.
Sono uno stupido.
La faccia di mio padre è quasi costernata. "Pensavo ti avesse salutato, io mi sono svegliato tardi e non ho visto ..."
Lo fermo con una mano. "Papà. Lascia stare."
Vado in camera mia.
Non so nemmeno cosa sto provando.
Apro la porta. Sul mio letto c'è una busta, in bella vista.
Una lettera.
Una dannata lettera!
Rabbia, ecco cosa devo provare.
Respingo l'impulso di strapparla solo perché devo sapere.
Ma non ci sarà una sola parola o scusa che tenga.
La calligrafia di Amelie mi parla e forse è la prima volta che noto quanto è arrotondata, infantile.

"Taro ... sai che ti amo, ma non stava funzionando. Questi anni sono stati belli, anche così a distanza, ma prima che tu tornassi in Francia mancava troppo tempo e io ... scusa se non te l'ho detto. Volevo che gli ultimi momenti della nostra storia fossero felici e non ce l'ho fatta a mentirti oggi e a dirti che ti avrei aspettato. Non riuscivo a pensare di confessartelo e vederti triste. Scusami. So che ho fatto una vigliaccata, ma scusami. Alla fine, è stato un bene rivederci, poterlo capire, no? In un qualche modo, per sempre tua Am-."

Strappo il foglio e, con la gamba sana, do un calcio ai pezzi di carta che cadono per terra.
Non credo di aver mai provato una tale furia.
Mi sdraio sul letto, perché se non mi costringo a stare fermo rischio di colpire qualcosa anche con la gamba malata.
Pretendere la verità da lei era chiedere troppo?
Esatto, è stata una vigliaccata.
Del peggior tipo. Un anno e passa insieme e alla fine non meritavo neanche un discorso in faccia.
O un minimo indizio di quello che stava pensando veramente.
Una che sapeva passare dal dramma all'allegria in due secondi doveva per forza saper recitare, penso con amarezza.
Chiaramente non la conoscevo abbastanza bene.
Ma che razza di persona è una che fa così?
Continuo a sbollire la rabbia per interi minuti.
Minuti in cui penso che coverò rancore per il resto della mia vita.
Poteva dirmelo, dannazione!
Poteva dirmelo, è tutto quello a cui riesco a pensare.
Non ... 'mi ha lasciato e ora cosa farò'. Solo .. 'poteva dirmelo'.
Mi abbasso a prendere il pallone da sotto il letto e lo faccio roteare sul dito. Mi aiuta a riflettere.
Poteva dirmelo?
Tutto qua il problema?
No, continuo ad essere arrabbiato.
Il problema è 'lasciato così, no'. In ogni modo, ma così no.
Sbatto il pallone sul materasso e mi alzo.
Se fosse venuta a dirmi che voleva rompere, non avrei provato rabbia. Non avrei provato ... molto.
Perché stavo assieme a lei?
Perché era carina, divertente. PerchP era comoda. Quando non la volevo vedere, non c'era. Quando la volevo vedere, c'era.
E una cosa del genere era possibile solo perché la volevo vedere neanche tre volte l'anno.
'Taro, sai che ti amo'?
Era piacevole sentirmelo dire. Ma io non l'ho mai detto. E lei lo faceva sempre con troppa facilità.
... ma era bello avere una ragazza.
E stavo con Amelie solo per questo, me ne rendo conto improvvisamente. Perché era la mia ragazza.
Perché avevo una ragazza. E, quando non mi importava, non ce l'avevo.
Butto il pallone giù dal letto e mi alzo.
E se lei mi avesse amato veramente?
Che persona è uno che si comporta come me?
Mi abbasso a raccogliere i pezzi della lettera di Amelie. Una volta in mano, li butto nel cestino.
Forse siamo più simili di quanto pensavo.


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Sento un bussare alla finestra.
Mi giro e trattengo con facilità la sorpresa. "Ayako! Un giorno ti romperai l'osso del collo e io non verrò a trovarti in ospedale!"
Quando si fa troppo tardi e Ayako vuole venire a trovarmi, scala sempre l'albero accanto alla mia stanza. 
Lei scavalca il davanzale con una gamba. "Tu saresti quella sempre accanto al letto, invece."
"Appunto. Non ho voglia di perdere le mie giornate così."
Ayako è ormai dentro e unisce le mani, gli occhi al soffitto. "Piangeresti e mi terresti la mano, dicendo: Ayako, come è potuto succedere ...?" Piagnucola, imitando la mia voce.
Io rido. "Finiscila. Perché sei qui?"
Si siede sulla sedia della scrivania con inusitata compostezza. ... Okay, questa non è la solita Ayako.
"So che sei sempre tu a fare così, ma ... cos'è successo Harumi?"
"Io farei sempre cosa?"
"Venirmi a chiedere come sto. E ora ripeto 'cosa c'è Harumi?'"
"Non c'è niente."
"Se non ci fosse niente, ora diresti 'Perché pensi che abbia qualcosa?'. Invece stai solo negando, perché sai benissimo cosa ti sto chiedendo."
Rimango in silenzio. "Preferisco non parlarne."
Forse è la prima volta che vedo Ayako ferita.
"Non è per te, è che ..."
Lei scuota la testa. "Se non vuoi parlarne, se davvero non vuoi parlarne, non ti chiederò più nulla. Ma ... forse ne so poco di questo genere di cose, ma magari ... magari ti farà bene. Non sei più tu dall'altro ieri."
Sospiro. "Non sono più io? Vuoi dire che non sono più una sciocca?"
"No, voglio dire che non sembri più felice."
Rimango zitta.
"Starò bene."
"Sì." L'assenso di Ayako è pieno di convinzione.
"Sei sicura?" Da dove deriva tanta sicurezza?
Lei mi si avvicina e mi prende le mani. "Sì. Harumi, tu prendi tutto dal mondo, ogni sciocchezza che io non riesco a vedere, per te è una cosa felice. Qualunque cosa sia accaduta, questo non può cambiare."
Mi sento crollare le spalle. "A volte fare così non è un bene. Immaginarsi troppo cose a volte ... fa male."
"Sognare è bello. Be', agire è bello altrettanto, ma sognare non è mai un male, Harumi."
"Avrei dovuto farlo prima." Le lacrime iniziano a uscirmi dagli occhi.
"Cosa?"
"Agire prima. Se mi fossi dichiarata a lui, avrei saputo da una vita che aveva la ragazza, no?"
"Harumi ..." Ayako ha capito benissimo di chi sto parlando.
"Avrei evitato di perdere mesi interi dietro a lui. E' una cosa così fa pietà, non credi anche tu? Che stupida sono stata." Sto singhiozzando.
Ayako mi abbraccia.
E io piango.
Ancora una volta.
Non mi ero accorta di quanto ne avessi bisogno.


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/ Continua ... /













  
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