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Autore: VeronicaFranco    24/12/2015    15 recensioni
Occhi spalancati sul mondo degli adulti, azzurri e verdi, contemplano il giorno natale di Oscar.
Per la rassegna “Christmas Carol” indetta dalla premiata ditta Orny&co., il mio contributo natalizio! Buone Feste a tutti!
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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– Il suo nome è Oscar, ed è mio figlio!

 

Il Generale ripeté queste parole alla moglie, quando, con il fagotto di Oscar tra le braccia, entrò a vederla.

Nella stanza rischiarata dalle candele, il viso di Marguerite apparve tra le coperte sontuose, sudato e stravolto: era molto freddo, tuoni lontani annunciavano la tempesta, e il parto era stato lungo e difficile. Ma un debole sorriso illuminò la sua bocca, quando la dama si accorse che il marito le era accanto, e la guardava coi suoi occhi azzurri e penetranti.

– È… un maschio, allora… – sussurrò la donna, muovendo appena lo sguardo sulla copertina di lana che ricopriva l’erede dei Jarjayes. – Finalmente… non ti ho deluso.

Il Generale, in piedi al fianco del letto, osservò la moglie tendere debolmente le braccia. Le donò Oscar, lasciando che lei accomodasse la creatura sul proprio petto.

– Com’è biondo… e quanti capelli ha… – sorrise Marguerite, annusando con delizia il profumo di bimbo che emanava dal fagotto.

Marguerite aveva perso conoscenza, un attimo dopo lo sforzo maggiore. Era stata capace solo di sentire il pianto del piccolo, e poi aveva chiuso gli occhi un istante, due istanti; subito qualcuno si era preso cura di lei, mentre Marie e Justine, la sua cameriera personale, avevano pensato al… bambino.

Proprio Marie comparve alle spalle del Generale. Sembrava profondamente a disagio. I suoi occhi si muovevano dal Generale a Marguerite, finendo poi sul fagottino, con ansia.

– È un bambino forte e sano. – disse il Generale alla moglie, con tono compiaciuto.

Marie si morse le labbra, al colmo della contrarietà. Uno sguardo del Generale, violento come una staffilata, l’atterrì. Marguerite cullava ancora il fagottino, apparentemente ignara di tutto.

– Madame Grandier. – chiamò il Generale, i denti stretti in un ghigno poco rassicurante. – Fate le vostre obiezioni, se ne avete.

– Signore… – si fece coraggio Marie – … la natura non si può piegare…

Marguerite alzò lo sguardo sul Generale e sulla governante. Oscar, dal petto di lei, iniziò a emettere teneri vagiti. Agitava le piccole mani a scatti, ascoltava i suoni e le voci, senza localizzarli. Assorta, la creatura aveva calmato il suo pianto, e respirava sommessa l’odore della madre, tastandole la pelle del collo con manine maldestre.

– Marie… cosa intendete dire? – la voce di Marguerite tremò nell’aria, controcanto del timbro profondo e forte del Generale.

– Avanti, Madame Grandier. Che sia l’ultima volta che ve lo sento dire. – concesse e minacciò lui. Marie, chiamata in causa, si riscosse e accennò:

– Madame… questa… questa è una bambina.

Marguerite attese un secondo. La notizia l’addolorò poco a poco, come un veleno che addormenti, piano piano, la gioia. Anziché sciogliere le fasce che le impedivano di vedere coi propri occhi, Marguerite guardò il marito, chiedendo conferma nell’espressione del viso di lui. Ma François Augustin Reynier de Jarjayes parlò con toni solenni, con il piglio profetico e tetro di un prete alla messa del Venerdì Santo, non di Natale.

– L’educazione permetterà quello che la natura non concede.

Marie gemette.

Marguerite osservò, allora, il viso di Oscar. Le parve bellissimo, coronato da quei capelli già così lunghi, come un’aureola; e le venne da pensare che quell’ultima sua creatura fosse nata allo scoccare della mezzanotte, come un piccolo Messia d’altri tempi, speciale per la puntualità della luce che portava nel mondo.

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– Signor Generale… vi prego… pensate a quando sarà grande… quando sarà nell’età di potersi sposare, come…

– Uscite, Madame Grandier. – ordinò il Generale, con tono perentorio. Marie strinse i pugni, ma si arrese.

La Governante chinò il capo a Marguerite, e fece come per prendere il fagotto.

– No. Oscar rimane con noi. – le intimò il Generale.

Marie uscì, allora, con passo svelto, il cuore greve.

Le si pararono di fronte le contessine, tutte e quattro, dalla maggiore alla minore. Tutte loro avevano visto il padre rinnegare la quinta figlia e presentare al cielo un figlio inesistente.

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Hortense aveva gli occhi lucidi per questo. – “Che me ne faccio di un’altra femmina”, ha detto – sussurrò tra i denti la ragazzina, ferita. Marie Anne, la secondogenita, le teneva la mano, e con espressione seria osservava la porta da cui era sparito il padre con il loro fratello-sorella. Poi c’era Clotilde, che la sfuriata del padre aveva finito per spaventare, e che piangeva lacrimoni silenziosi, tirando su col naso. Catherine, la più piccola e vivace, andò ad attaccarsi alla gonna di Marie, chiedendo: – Ma è una sorellina o un fratellino?

– Non lo so, piccola cara, non lo so… – si sentì dire Marie, confusa da tutto, addolorata per tutto. L’orologio batté l’una. – Ma ora… andate a dormire. Siete state giudiziose e affettuose ad aspettare finora, ma è tardi…

– Vogliamo vedere la mamma. – disse Hortense, prendendo ad accarezzare il capo di Clotilde, inconsolabile. – Vogliamo sapere se sta bene…

– Sta bene, bambina cara… – mormorò Marie, prendendo per mano la piccola Catherine. – Ora sta riposando. Domattina potrete vederla e parlarle.

 

– François… nemmeno stavolta, dunque… – gemette Marguerite, stringendosi al petto Oscar con rinnovata tristezza.

Il Generale scosse il capo. Le strinse le spalle, chinandosi su di lei con sollecitudine, seduto a bordo letto.

– Riposati. È tutto finito.

– Se io fossi più giovane… e se solo fossi più forte… proverei a darti un altro figlio…

– Marguerite. Mi hai dato cinque figli. Hai compiuto egregiamente il tuo dovere.

– Lo dici per consolarmi… sei buono, ma…

– No. Lo dico perché è vero. E sono fiero di mia moglie, ogni volta che guardo le altre dame. Sei una perla tra le donne… e finalmente… mi hai dato un erede.

Marguerite chiuse gli occhi, ispirò profondamente e contemplò di nuovo il marito, il cui piglio sicuro la incoraggiò. – Credi davvero che… Oscar… potrà…

– L’addestrerò personalmente. Seguirò la sua educazione, perché è il figlio che ho sempre sognato di avere. Lo educherò ai valori in cui credo. Sarà un magnifico soldato, capace perfino di mettere in difficoltà gli altri uomini. Io ne sono certo, Marguerite.

– Ma se… la sua natura le impedisse davvero tutto questo? È… una scommessa rischiosa, caro.

François raddrizzò la schiena, posò le mani sulle ginocchia, in posa severa.

– … se dovessi fallire… Oscar tornerà a essere ciò che la natura ha deciso. Ma questa è la mia ultima possibilità. Non metterò più a rischio la tua vita con un’altra gravidanza… e non desidero un figlio che non sia sangue del mio sangue, o che altri abbiano già educato al mio posto. Plasmerò questo erede a mia immagine. Guardalo… – François chinò lo sguardo a Oscar, e sorrise soddisfatto. – Com’è bello, com’è pieno di energia. Ha una voce così imperiosa… ce la farà, Marguerite. Mi riempirà d’orgoglio.

Marguerite attese un istante. Valutò ogni parola del marito, schiarì i pensieri e sentì d’essere spossata. Si arrese facilmente. – Che il Signore ci protegga, dunque. D’altronde, nascere oggi… è un segno anche questo...

– Riposa, adesso. Te lo sei meritato, amore mio.

François vegliò sulla moglie finché non si addormentò. Oscar rimase vigile, invece, con gli occhi blu che, sul viso paffuto, parevano enormi e fissavano il Generale intensamente, come se lo riconoscesse.

– Dicano quello che vogliono. Tu sei mio figlio. – mormorò François di fronte a quello sguardo.

Oscar fece il suo primo, vero sorriso, increspando le minuscole labbra all’insù. Un suono piccino e acuto fu la sua risposta.

François si trovò a sorriderle. La benedisse in cuor suo. Egli detestava le sconfitte. Per un uomo come lui, barattare una sconfitta con una nuova sfida era già una vittoria; un modo coraggioso di stare al mondo e piegarlo alla propria volontà.

 

Marie portò le contessine a dormire, una per una. Le affidò alle altre cameriere, e in quella lunga notte tornò a vegliare la porta della camera della padrona, attendendo di essere di nuovo richiamata dentro.

Cercò di immaginare cosa il Generale stesse discutendo con Madame. Certo lei si sarebbe opposta. Quale donna di senno avrebbe fatto il contrario? Quell’idea di considerare la piccola un maschio era folle! E per tanti motivi. Per cominciare, avrebbero dovuto mentire a tutti. E sul registro di battesimo cos’avrebbero scritto, che era un maschio? Ma a mentire su cose simili si rischia l’anima! No, il Generale avrebbe certamente dovuto registrarla come femmina, com’era giusto; ma allora cosa sarebbe cambiato? I Jarjayes erano nell’esercito da generazioni. Lui voleva dunque trasformare una bambina in un soldato? Povera bambina! Povera piccina! Come poteva chiederle l’impossibile? Con che diritto voleva cambiare ciò che Dio aveva deciso? Gli uomini sono fatti per la guerra e la politica, le donne per la casa, il matrimonio e i bambini! Se si nasce diversi vuol dire anche essere diversi! Questo avrebbe dovuto gridarglielo in faccia, al padrone! E invece aveva avuto paura di lui, e non aveva saputo dare una voce coerente alla propria protesta.

In quel mentre, la porta della camera di Marguerite si aprì.

Il Generale ne uscì un istante dopo. Il suo passo era tranquillo, il suo viso sereno e assorto.

– Signore…

– Ah, eccovi. Madame si è addormentata. Assistetela e prendetevi cura di mio figlio.

Marie seppe in quel momento che la decisione era stata presa; irrevocabile, come tutte le decisioni dettate dalla passione e dall’orgoglio.

“Ma non può finire così”, tornò a pensare Marie con istinti battaglieri, mentre andava da Marguerite. “Questa sua stramba idea gli si ritorcerà contro, anche se ancora non lo sa! Voglio proprio vedere la contessina Oscar quando impugnerà una spada… sarà un totale disastro! Le femmine in casa, gli uomini alla guerra, così va il mondo! Le femmine non combattono! Ah, se ne accorgerà, il Generale! E quel giorno gli dirò: io vi avevo avvertito, caro Signore!”.

 

Il giorno dopo, Marguerite era ancora molto debole a causa del parto. Marie l’assistette personalmente, incerta se parlarle a cuore aperto oppure aspettare. Madame Jarjayes, tuttavia, non sembrava avere pesi sul cuore. A Marie parve, sì, un poco più pensierosa, e spesso il suo viso diafano restava assorto a contemplare Oscar, che nemmeno a dirlo appariva bella come un angelo del Paradiso, o come un Bambinello; ma non c’era alcuna traccia di rimorso, in Marguerite. Forse si poteva anche capire: dopo anni e anni di tentativi infruttuosi, l’idea di avere finalmente dato un erede al marito doveva appagare il cuore fragile di Madame. “Anche questa è una follia bella e buona, pretendere una cosa simile e fargliene una colpa, povera padrona!”, protestò Marie nella sua mente, talmente forte che si girò a osservare la signora, nemmeno temesse d’essere stata udita.

 

Una mezz’ora dopo, bussarono.

– Perdonatemi, Madame Jarjayes, – disse Justine, entrando – c’è una persona per Madame Marie…

– Una persona? – fece Marie, aggrottando la fronte. – Dille che sono occupata.

– Ma… ha detto di dovervi solo consegnare una cosa… – insistette Justine, e questo era raro, considerata l’ottima disciplina di tutti i servi di casa Jarjayes.

– E allora? Che la lasci a Monsieur Jean, la prenderò più tardi…

– … è una donna, si chiama Michelle. C’è un bambino, con lei. – aggiunse la cameriera, e Marie si fermò. Per un attimo, la tristezza la vinse, improvvisa e impietosa. Marie guardò Justine, e l’altra le sorrise, consapevole.

Marguerite, che aveva seguito quelle parole, s’informò subito. – Di chi si tratta, Marie? Lo sapete?

– … è… mia nuora, Madame. Con suo figlio…

Marie tacque, e così Marguerite e Justine. Un non detto triste e doloroso lasciò la sua impronta sulle tre donne. Solo Oscar si fece sentire dal suo giaciglio sontuoso, con un piccolo vagito frutto di discorsi solitari e sogni a occhi aperti.

– Marie… – riprese Marguerite, con dolcezza. – Andate da lei. Qui mi può aiutare Justine.

– Ma… le visite, Madame… oggi è Natale, e per il pranzo…

Marguerite scosse serenamente il capo.

– Non preoccupatevi, Marie. Siete libera, questa mattina.

Marie chinò il capo e si allontanò con deferenza. Ma mentre scendeva le scale, il cuore le tremò, e cercò di prepararsi al meglio a quella visita inaspettata, tanto gradita quanto era dolorosa, in un modo inspiegabile.

 

Michelle aspettava nelle cucine, dove l’avevano portata prima di annunciarla a Marie. Portava in braccio un bimbo dai capelli castani che si guardava intorno, gli occhioni verdi e attenti a quanti più dettagli possibile: il viavai di camerieri e cuochi doveva sembrargli parecchio curioso, così il piccolo muoveva il capino rapidamente, cambiando spesso obiettivo. Michelle lo guardava con malinconia, senza dirgli nulla.

Marie entrò. Vide la nuora di schiena, i lunghi capelli castani che tanto somigliavano a quelli del piccolo che le cingeva le spalle con un braccino. A quella vista, gli occhi le si annebbiarono, li asciugò immediatamente. Avanzò verso la donna, la chiamò dolcemente.

– Michelle… sono qui.

– Oh. Mamma… – disse subito Michelle, voltandosi con un sorriso triste, ormai consueto sul bel viso di lei. Si chinò per dare e ricevere un bacio, con il bimbo che le rimaneva aggrappato e osservava curioso anche la nuova arrivata.

– Come stai, cara? Oh… e chi è questo bellissimo giovanotto? Vieni dalla Nonna, tesoro!

– Saluta la Nonna, André. – sussurrò Michelle, affidando il piccolo all’abbraccio di Marie.

– Non mi dici niente? Eh? Ti piace questo posto? – chiese Marie al piccolo che, per quanto perplesso, si era lasciato accogliere da un'altra presa. André ridacchiò timidamente e deviò lo sguardo, andando a osservare una torta sul ripiano vicino a loro, che una cameriera stava decorando con fette di mela e cannella.

– Non parla ancora? – chiese Marie, sorridendo con il favore tipico che si riserva ai cuccioli, belli e teneri per definizione.

– Parla, sì. Ma credo sia un po’ intimidito… sta vedendo troppe persone. Vero, André? – mormorò Michelle, e il bambino per un attimo cercò lo sguardo della madre, con gli occhi sgranati. Le sorrise e si portò il pollice alla bocca, tornando a guardarsi intorno.

– Vieni, Michelle… andiamo nella mia camera. – disse Marie, portando con sé il bambino in braccio. Michelle si chinò per raccogliere un cesto, e la seguì.

 

Quel cesto fu la prima cosa che la donna consegnò a Marie, appena furono sole.

– Buon Natale, mamma. – disse, e Marie mise giù André con triste stupore.

– Non dovevi, cara...

Le due donne si abbracciarono. Poi Marie le indicò un tavolino con due sedie, in un angolo della camera in cui si trovavano anche un armadio, uno specchio, una toletta e un lettino.

– Ho ricevuto il tuo regalo, mamma. Nemmeno tu dovevi.

– Oh, tesoro. Finché posso, voglio che non vi manchi niente.

– Ma sono troppi soldi.

– Mi pagano bene. Il padrone è un buon uomo… – una punta di fastidio, al ricordo della notte appena trascorsa. – … tutto sommato.

– André. Fai il bravo. – ammonì Michelle, distraendosi un attimo. Il bambino stava trotterellando verso la toletta, e in quel momento cercava di arrampicarsi sullo sgabello che gli avrebbe fatto guadagnare i suoi oggetti invitanti: spazzole, contenitore per il talco, il grande specchio rettangolare…

– Lascialo fare, cara. – intervenne Marie. – Non c’è niente che possa rompere. E poi sembra un bambino molto tranquillo.

Michelle annuì. – Lo è.

Marie la osservò. In ogni movimento della donna era impressa una profonda malinconia, simile agli intarsi pregiati che un orafo lascia su una superficie d’oro. Era una donna bella e semplice, ma il dolore aveva rifinito ogni sua espressione come una mano d’artista. Marie le prese entrambe le mani nelle sue: mani affusolate, dalle unghie lunghe e belle, mentre quelle di Marie erano paffute e tozze, d’eterna bambina.

– Ti somiglia molto. – sussurrò Marie con dolcezza.

Michelle esitò, e gli occhi le si fecero lucidi. – Lo so… e ne sono felice. Se non mi somigliasse tanto… somiglierebbe di più a lui. Ma anche così… ogni giorno, ogni momento in cui guardo nostro figlio… provo un dolore che…

Marie era pronta. Sapeva che avrebbero parlato di lui. Nondimeno, dietro gli occhiali sentì pizzicare lacrime insidiose. Michelle si coprì il viso con le mani, cedette. Marie fu rapida, l’avvolse in un abbraccio forte e sollecito, e lasciò che tutto quanto, acqua, sale, inconsolabile lutto, scivolasse via dagli occhi verdi di Michelle.

– Devi essere forte. – disse, ma suo malgrado si trovò a singhiozzare. – Fabrice... è sempre con noi… lui ha posto la sua benedizione su di te e André… io lo so… lo so…

– Mamma, perdonami… dopo più di un anno… io piango ancora mio marito, ma tu… anche per te è difficile… era tuo figlio…

– Non pensarci. Pensa ad André… cosa gli fai vedere, la sua mamma che piange? – Marie sorrise, pur nel dolore. E si volse a cercare, con lo sguardo, il piccolo nipote, che aveva sì gli occhi dolci della madre e i suoi capelli e la sua bocca, ma ricordava, purtroppo, anche Fabrice. Era possibile intuirlo anche solo dal suo modo di guardare, timido e posato, che pareva pieno di consapevolezza: così era stato suo padre.

Ma il piccolo non c’era più. Marie scattò subito a guardare la porta: era aperta, con uno spiraglio abbastanza largo perché vi passasse un bambino curioso e disinibito.

 

Marguerite sedeva sul letto. Cullava Oscar tra le braccia, cantandole la ninna-nanna che era stata per tutte le sue figlie. Rifletteva sul destino di quella figlia speciale, e sorrideva tra sé e sé.

Una bambina tra gli uomini. Una bambina a dimostrare costantemente quanto sia assurdo designare a priori i ruoli, imporre una vita alle donne e un’altra agli uomini. Una donna che avrebbe compiuto cose diverse da quelle delle altre donne…

Perdonami, Signore, se non mi oppongo a tutto questo. Perdonami, se accetto così facilmente che il suo destino sia straordinario e difficile. Proteggi Oscar e rendila nobile e forte più di qualunque altra donna che esista…

In quel momento, Marguerite sentì un suono di piccoli passi. Era entrato qualcuno, qualcuno d’imprevisto. Un bimbo, immobile al centro della stanza, stava fissando lei e Oscar.

Per un attimo, Marguerite sentì addosso lo sguardo del bambino. Ebbe la sensazione che in quegli occhi verdi risuonasse una forma di accusa, o peggio, il pronostico di un giudizio futuro: tale è il potere d’uno sguardo innocente, così libero e vibrante da caricarsi di ogni nostra temuta condanna.

Ma poi, André chinò il capo con un sorriso timido, e tornò bimbo. Marguerite lo accolse con dolcezza.

– E tu... chi sei?

André esitò. Osservava soprattutto Oscar: ne sembrava rapito, e Marguerite sospettò che solo la sua presenza adulta gli impedisse di dar sfogo alla curiosità, e avvicinarsi.

– Vieni pure avanti. Non aver paura.

André fece qualche passo avanti, a zig zag e non diritto, come se procedendo a gambero potesse eludere eventuali pericoli. Costeggiò il letto, vi si appoggiò; e finalmente fu al cospetto di Marguerite e della piccola creatura di cui, annegata di coperte e fasce, si scorgeva appena il visetto, le manine minuscole e qualche ciuffo biondo.

Marguerite osservò Oscar, prima di mostrarla ad André. La bambina aveva gli occhi aperti, sgranati. Il cambio di voce della mamma l’aveva strappata al sonno.

André era stupito, teneva la boccuccia aperta, e non parlava ancora. Oscar strizzò gli occhi e agitò i pugni piccini.

– Si chiama Oscar. – disse Marguerite, ridendo per quei gesti maldestri e leggeri, a loro modo impetuosi come la corsa di una piuma al vento.

André!  gridò Marie, appena varcò la soglia e scovò il bimbo presso il letto di Madame.

Il bimbo, richiamato, finse di non sentire. Restò ad osservare serenamente Oscar, tanto che Madame Marguerite intercedette subito per lui.

– È vostro nipote, vero? Non preoccupatevi, Madame Marie. È un bimbo molto buono. Quanti anni ha?

– Un anno… e mezzo, circa.

– Oh… ed è già così grande.

– André, saluta Madame. Torniamo dalla mamma.

Marguerite sorrise. André le fece un piccolo sorriso di rimando, poi si nascose addosso alla gonna della Nonna, sbirciando con un occhio solo da quel riparo. Marie lo strinse alle ginocchia, chinandosi un poco e accarezzandogli il capino riccioluto.

– Scusatelo, Madame. È molto timido, non è nemmeno vestito in modo adatto… lo porto subito via. Andiamo… – e prese il braccino del piccolo, assicurandosi la presa sulla sua manina.

– Arrivederci, André. – disse Marguerite, e Oscar, in braccio a lei, si muoveva ancora a scatti, con minuscoli vagiti che assomigliavano a risate. André continuò ad ascoltarla e guardarla, anche mentre Marie lo portava via.

Arrivederci, Oscar! – disse il piccolo, con vocina sottile.

Marie, al saluto del nipote, lo guardò sorpresa. Il piccolo venne via guardandosi sempre dietro, e rideva solo con le labbra, senza far suono.

 

Il Generale Jarjayes venne loro incontro dal corridoio, diretto alla camera della moglie. Marie arrossì violentemente: aveva creduto che il padrone non tornasse da Versailles fino all’ora di pranzo, invece era rincasato prima, e procedeva col suo passo rapido e agile sul pavimento di marmo, i tacchi che rintoccavano come il ritmo di una parata.

– Signore. – si inchinò subito, e si tenne stretto André.

– Marie. Che cosa significa?

– Perdonatemi… è mio nipote. Mia nuora è venuta in visita… lo riporto subito di sotto.

Il Generale non replicò. Indugiò piuttosto sul bambino, soppesandolo con i suoi occhi severi. André non rideva più: serio, con la boccuccia aperta, sostenne lo sguardo dell’uomo adulto, il visetto tutto rivolto in su, perché il Generale era altissimo per lui.

 

André non avrebbe ricordato nulla di quel giorno di Natale del 1755, tantomeno Oscar.

L’avrebbero fatto François e Marguerite. Cinque anni più tardi, Michelle disse addio alla vita a causa di una malattia simile a quella del marito Fabrice. Nonna Marie, con un nuovo peso nel cuore, chiese il permesso di occuparsi lei stessa del nipote, crescendolo come fosse un figlio. Il Generale glielo accordò, a una condizione…

… il resto è una storia che conosciamo.

 

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(disegno realizzato dalla fantastica mangaka giapponese Kodemari)

 

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Note.

- Per la rassegna “Christmas Carol” indetta dalla premiata ditta Orny&co., il mio contributo natalizio! Buon Natale (e dunque buon compleanno) alla nostra Oscar!

Per chi volesse, dedico a questa rassegna anche il capitolo 41 della mia long Rivoluzione, dal titolo, appunto, "Natale 1789. Il cuore, un bambino", pensato in tempi non sospetti!

- Il titolo di questa OS, come probabilmente molti avranno intuito, è ispirato da un film di Tim Burton, con Amy Adams e Christoph Waltz, sulla storia di Margaret Keane, pittrice che negli Anni Sessanta dipinse quadri di bambini con occhi enormi - questo dettaglio è incredibilmente parallelo allo stile dei manga e anime che amiamo, e mi è sembrato calzasse a puntino.

Un abbraccio forte e fortissimo e superfortissimo alle mie donnine, sempre nel mio cuore, e a chiunque si trovi a passare da queste parti in questi giorni di festa. Tanta serenità a tutti voi! Con affetto, vostra VF.

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(l'immagine mi è stata passata da mamma Orny81)

   
 
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