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Autore: HergePearl    25/12/2015    2 recensioni
«Perderò il mio lavoro, la mia passione. Forse andrò anche in prigione perché ho passato pomeriggi fantastici con te. Tu sarai la puttanella della scuola perché mi hai amato.»
Una relazione oscura, all'insaputa di tutti. Quel velo che sa di segreto è stato scoperto. E ora guidi piano, poi velocemente. Dove stiamo andando non lo so, sono seduta accanto a te, aspettando gli scherzi del destino.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Iridi nere. Un colore nero carbone. Profonde ma impenetrabili. Che ti possono fissare seriamente senza che tu capisca perché, facendoti sentire a disagio. Uno sguardo provocatorio. Mi hai conquistata così, con gli occhi.

Le tue mani lunghe e magre. Caratterizzate da un tocco delicato.
Si capisce che suoni uno strumento musicale. Si capisce che sei riuscito a farmi percepire emozioni di cui io non avrei mai immaginato l'esistenza.

I tuoi capelli, come i tuoi occhi. Nonostante la tua ancora giovane età sono leggermente brizzolati. Sono soffici, però. Un richiamo muto che desidera il mio tocco.

Il tuo sorriso. E i tuoi occhi sorridono. E credimi, è impossibile non ricambiare quel sorriso.

Guidi piano. Una mano morbida avvolge il volante, l'altra il mio ginocchio.

Il silenzio regna. Ignori il mio sguardo interrogativo - ti fisso ma tu sei concentrato su un traffico quasi inesistente.
«Ci hanno scoperto.»
Ancora non mi dai soddisfazione. Guidi lentamente in questa zona industriale deserta. Non mi dai ulteriori spiegazioni. Aspetti che io reagisca.
«Come?»
Sospiri. Svolti verso destra. Il garage del centro commerciale.
«Pare che qualcuno ci ha visti insieme. Forse mentre stavamo in macchina.» La tua voce è priva di insicurezze. Come se mi stessi raccontando una cosa successa a qualcun altro - un fatto che non ti riguarda.
«E adesso?»
«Dovevamo aspettarcelo. Prima o poi sarebbe accaduto.» Dici senza rispondere alla mia domanda. Poi aggiungi, mentre entriamo nel garage sotterraneo della casa del consumismo: «Sai benissimo cosa succede adesso.»
«Voglio che tu me lo dica.» Un sussuro, il mio. Quasi impercettibile. Perché ho paura di perderti. Questi mesi - i più belli della mia vita - diventeranno un ricordo lontano e tu non sarai il mio souvenir.
«Perderò il mio lavoro, la mia passione. Forse andrò anche in prigione perché ho passato pomeriggi fantastici con te. Tu sarai la puttanella della scuola perché mi hai amato.»
Sei schietto, troppo diretto. Le tue parole impietose mi arrivano come pugnalate al cuore. Un dolore atroce. Lacrime salgono in un istante ai miei occhi. Fa tutto male. Ossa pesanti, pelle che prude.

Guidi sempre piano, sembra che fatichi a trovare un posto per parcheggiare ma i tuoi occhi ti tradiscono: non stanno guardando per un posto libero come un avvoltoio è in cerca della sua preda. No. Stiamo fermi. A destra una fila di macchine parcheggiate ordinatamente, a sinistra altrettanto. Siamo fermi all'inizio di un vialetto lungo circa duecentro metri.
«È quella la vita che desideri? Il destino che mi auguri?» Finalmente mi guardi, il tuo sguardo serio accompagna la domanda affillata come gli altri pugnali.
Nella bocca mi si è accumulata tanta saliva da quasi riuscire a impedire alla mia voce di trovare una via d'uscita. «No.» La mia voce non trema, è decisa su quello che dice.

«Ti amo.»
Dopo quelle due parole premi delicatamente le tue labbra morbide e rosee contro le mie. È un bacio calmo e fresco, quasi giocoso - proprio come il primo, quando tutto cominciò. Posso assaporare il tuo gusto che sa di liquirizia e menta, il tuo profumo mi invade senza prepotenze le narici. Lentamente ci allontaniamo, ho gli occhi chiusi ma so che anche tu sorridi.

Metti in moto la macchina, acceleri. Guidi tanto velocemente che intorno a me vedo un mondo colorato e confondente.
«Raf?»
Cerco la tua attenzione, cerco una risposta usando quel nomignolo che mi diedi il permesso di usare dopo la nostra prima notte d'amore. Ricordo tutto di quella sera. Finito il tuo concerto andammo in albergo, ridendo della vita. I miei pensavano che dormissi da un'amica. I tuoi pensavano che avessi una relazione con una coetanea.
Non reagisci. Non voglio capire, non voglio sapere perché ci stiamo avvicinando a centocinquanta all'ora a quel muro di cemento. C'è scritto EXIT. Dì la verità, questa metafora l'avevi prevista o è uno degli scherzi del destino?
«Raffaele!»
Cerco di usare tutte le mie forze per urlare il tuo nome disperatamente. Chiudo gli occhi, la schiena mi si è incollata contro il sedile, fisica, è l'effetto di questa velocità mortale, qualche legge di Newton - forse: il mio cervello si è scollegato.

Non voglio vedere dagli angoli degli occhi il mondo che scivola via. Una botta. Un dolore forte come non l'ho mai sentito. Polmoni riempiti da sabbia in modo che mi impediscano di respirare. Sento un liquido denso scorrere sul mio viso. Sento qualcosa di caldo ed appicicoso bagnarmi la camicia. Sento urla. Non le mie. E nemmeno le tue.
Tu e le tue azioni - spesso impulsive, segno del tuo carattere dominante -, non mi avete mai fatto paura. Provo ad aprire gli occhi ma vedo un sipario nero. Dietro ci dev'essere la mia vita vissuta. Le tende sono state chiuse dopo il mio passaggio, ora e per sempre sono nell'ignoto del silenzio.

   
 
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