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Autore: Ortensia_    25/12/2015    1 recensioni
[ SPIN-OFF HALL OF FAME ]
In breve – ma non troppo – il riavvicinamento di Nijimura e Akashi al ritorno del primo in Giappone e la felice conclusione di un periodo doloroso.
[ Buon Natale ]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Shuuzou Nijimura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche io e te, a modo nostro, siamo luce e ombra




10 dicembre 2011



Con lo stomaco ingarbugliato a causa del volo, un gusto amaro in bocca e le membra intorpidite, Nijimura osservava, al di là delle ampie vetrate dell'aeroporto, la pista d'atterraggio, lunga lingua d'asfalto che si estendeva fra due immensi spazi verdi.
Chiudeva gli occhi ogni qualvolta sulla sua testa riecheggiava un annuncio – che si trattasse di una partenza, di un ritardo o di un volo cancellato – e ascoltava con attenzione; inspirava con forza, profondamente, come a voler analizzare più attentamente l'odore che si insinuava nelle sue narici per capire se fosse lo stesso di quattro anni prima: era felice di poter ascoltare nuovamente la sua lingua natale, di essere a Tokyo. Finalmente a casa.
Dal giorno in cui suo padre aveva perso la battaglia contro il cancro, Shuuzou aveva creduto che non sarebbe mai più potuto tornare in Giappone, dunque, pur di limitare il più possibile le “fughe mentali” a Tokyo, aveva stretto i denti e si era preso cura della sua famiglia, si era occupato della casa al posto di sua madre e le era stato accanto per spronarla a tornare a lavoro, aveva insegnato ai suoi fratelli a giocare a basket e aveva abbracciato il più piccolo quando lo aveva sorpreso a piangere in cortile.
Appena giunto all'uscita dell'aeroporto, Shuuzou restò fermo all'ingresso per una decina di minuti, il viso affondato nella sciarpa e le labbra increspate in una smorfia di disappunto nei riguardi del freddo pungente di gennaio: sembrava stesse aspettando qualcuno, ma nessuno sarebbe venuto a prenderlo. Nijimura non aveva fatto parola del suo ritorno, forse per scaramanzia aveva ritenuto opportuno tacere fino alla fine, quasi si era costretto di non pensarci per paura che qualcosa lo trattenesse di nuovo a Los Angeles e gli impedisse di partire, di potersi finalmente ricongiungere con la persona che amava.



11 dicembre 2011



Shuuzou aveva lasciato Tokyo alle otto del mattino per essere sicuro di arrivare a Kyoto in tempo, e ora, dopo circa tre ore di viaggio, osservava un'interminabile fila di alberi spogli oltre i vetri lucidi di un treno della Linea Chuuou.
Mancava circa mezz'ora al suo arrivo e cominciava a pensare che le sue palpebre fossero sul punto di cedere alla pressione del sonno, ai residui di stanchezza causati dal viaggio in aereo e alle ore che quella notte aveva trascorso a pensare piuttosto che a dormire.
Alcune volte pareva che i rami neri e scheletrici degli alberi si protendessero gli uni verso gli altri come dita e si fondessero, il treno sobbalzava e sferragliava sotto il cielo bianco e vuoto: probabilmente si respirava un'aria diversa da Tokyo, doveva fare molto più freddo e non era da escludere un'imminente nevicata. Tutto, immerso in quel candore, sembrava sospeso.
Nijimura inspirò profondamente e chiuse gli occhi, inclinò il capo e adagiò la testa contro il vetro freddo: non si poteva dire che si stesse muovendo alla cieca, visto che sapeva perfettamente dove si trovava l'Istituto Rakuzan, ma siccome non aveva detto nulla ad Akashi la sua situazione era perfettamente accostabile a quella di una persona che stesse procedendo a tentoni nel buio.
Gli scheletri neri degli alberi si fecero improvvisamente più fitti e, allo stesso tempo, dietro la muraglia di tronchi sottili e rametti arsi dal gelo, apparve Kyoto.
Sotto di lui si estendeva un tappeto di cemento, i grattaceli e i palazzi, come lapidi squadrate, si stagliavano alla volta del cielo, dita grige di morto protese verso un candore tanto uniforme da dare l'impressione che un foglio di carta mai utilizzato fosse stato steso sulla città dalle mani di un gigante; più lontano, lì dove ogni contenuto pareva fuoriuscire dal suo contenitore, il colore si impastava e la forma delle cose diveniva obsoleta, brillava una pagoda rossa, cuore pulsante di una metropoli cupa e frenetica, sangue stilato dalle fauci di una chimera: Kyoto era una visione mostruosa e fantasmatica, e forse era quella la ragione per cui Nijimura la trovava molto più affascinante della capitale.
Si soffermò sulla pagoda, un rubino incastonato in un muro di un grigio anemico, poi chiuse gli occhi e pensò che se mai avesse imparato a dipingere, avrebbe ritratto Kyoto come una donna triste, in attesa del ritorno dell'amato.


Appena uno sparuto crocchio di studentesse varcò la soglia dell'istituto, Nijimura si allontanò dalla cancellata di un paio di passi e si soffermò con ancor più attenzione sull'uscita del Rakuzan, le labbra serrate e leggermente protese, la punta della lingua premuta nervosamente contro il palato.
Trattenne il fiato per qualche istante, poi, stordito dal battito impetuoso del cuore, schiuse le labbra in un sospiro profondo.
Si sentiva un po' ingenuo a temere di non riuscire a riconoscerlo, considerando soprattutto che Akashi doveva essere l'unico in tutta Kyoto – se non in tutto il Giappone – ad avere quel particolare colore di capelli.
Shuuzo prese una grande boccata d'aria e sospirò una seconda volta nel vedere altri due studenti avviarsi verso l'uscita, incrinò le labbra in una smorfia di disappunto quando altri dieci – forse quindici – varcarono la soglia.
«Dove diavolo sei?» sussurrò fra i denti, entrambe le mani in tasca e il diaframma sollevato in uno spasmo.
Pochi istanti dopo, Nijimura sobbalzò e non riuscì a trattenere un rantolio soffocato: Akashi era fermo a un paio di metri da lui, lo osservava in silenzio, le labbra rosee a tracciare una linea ritta sul viso pallido, le ciglia fini abbassate sugli occhi ferini. Parlare doveva avergli impedito per qualche istante di vedere ciò che accadeva di fronte a lui.
«A-Akashi...» boccheggiò, deglutendo a fatica.
Akashi restò a fissarlo in silenzio, gli occhi spalancati, l'angolo destro delle labbra leggermente sollevato, in un sorriso impercettibile e forse addirittura inconsapevole.
«Sei tornato...» quando Nijimura lo sentì sussurrare a fior di labbra, non poté trattenere un sorriso: era bello come lo ricordava, o forse anche di più. In effetti c'era qualcosa di diverso in lui, guardandolo si intuiva immediatamente che aveva lottato, che per tanto tempo era rimasto nascosto e poi, raccolta la forza sufficiente per respingere l'Imperatore, era riaffiorato dalla dimensione oscura dell'inconscio.
La luce tenue di gennaio gli bagnava il viso, la pelle immacolata trasudava oro liquido e Shuuzou contemplava in silenzio la fusione dei colori.
«Avrei dovuto avvisarti,» Nijimura si massaggiò la nuca con le dita della mano destra «scusami.»
Akashi, dal canto suo, negò con un piccolo cenno del capo: perché scusarsi? Certo, si trattava di un incontro inaspettato, ma senza dubbio era anche una meravigliosa sorpresa.
«Non ero sicuro della data di ritorno e così non ho detto nulla.»
«Sei arrivato ieri?»
«Ieri sera,» quando Akashi lo raggiunse, la sua voce si ridusse ad un sussurro «sì.»
In silenzio, fianco a fianco, si avviarono oltre la grande cancellata nera.
Appena si fermarono sul ciglio della strada, in attesa che la luce verde del semaforo si illuminasse, Nijimura si irrigidì e cominciò a ripetersi mentalmente di tenere gli occhi fissi sul marciapiede opposto, questo perché avere Akashi così vicino dopo tanto tempo lo disarmava, lo annichiliva. Non riusciva più a parlare, e molto probabilmente lo avrebbe fatto solo per esigenza.
«Resterai in Giappone per qualche giorno?» fortunatamente, subito dopo aver attraversato la strada, Akashi lo interpellò.
«In verità...» Nijimura esitò per qualche istante, poi accennò un sorriso «è molto probabile che io non torni più in America.»
Seijuurou lo guardò, gli occhi sgranati, le labbra socchiuse in un sospiro sommesso e tremante: avrebbe voluto dire qualcosa, ma la felicità era tale che ne fu sopraffatto e restò immerso nell'intimità dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti.
«Lo so che questo è il tuo ultimo anno e che sarai sicuramente molto impegnato, ma visto che domani è sabato vorrei chiederti una cosa» Shuuzou parlò in fretta, cercando di non badare al pizzicore diffuso sulle guance.
«Che cosa?» Seijuurou, dal canto suo, lo incalzò a voce così bassa da essere a malapena udibile.
«Stasera...» Nijimura corrugò la fronte, protese le labbra e questa volta fu più che sicuro di avere il viso completamente rosso «ecco, non è che ti andrebbe di andare al cinema?»


12 gennaio 2012



Nel giro di poche settimane, vedersi ogni venerdì pomeriggio e fermarsi per la notte nel piccolo appartamento affittato da Akashi in vista della sua permanenza triennale a Kyoto era divenuta una piacevole abitudine.
Shuuzou aveva trovato un impiego part-time in un caffè della capitale che lo teneva impegnato ogni mattina, per un totale di cinque giorni la settimana, mentre il pomeriggio era consacrato alla ristrutturazione di un piccolo appartamento acquistato in periferia, ma ogni venerdì alle quindici – o alle sedici, a seconda degli orari del treno – si trovava a Kyoto.
In quei pochi giorni che avevano avuto occasione di passare insieme, Nijimura aveva accompagnato Akashi in libreria e poi lo aveva ascoltato quando, seduti alla tavola di un piccolo locale con una cioccolata calda fra le mani, gli aveva raccontato degli andamenti della squadra e degli ultimi test dell'anno, inoltre erano andati un paio di volte al cinema, ma non poteva negare che il suo momento preferito fosse la sera, quando ordinavano cinese e guardavano un film sul divano o, ancora meglio, quando decidevano di cucinare a quattro mani.
Quando si trovava in seconda gli era capitato di assaggiare una pietanza preparata da Akashi e per un istante aveva pensato che non era così perfetto come voleva far credere, che anche lui, come ogni persona sulla terra, aveva delle debolezze: ricordava ancora con chiarezza il riso molliccio e la carne insipida, e proprio basandosi su quella sfortunata reminiscenza doveva ammettere che il suo ex compagno di squadra aveva fatto grandi progressi in cucina – a questo proposito aveva addirittura considerato la possibilità che quel primo piatto fosse venuto male per una serie di sfortunate coincidenze, non per scarsa abilità da parte del suo esecutore. Seijuurou era particolarmente bravo proprio nella preparazione del riso, ed essendo una buona forchetta, Shuuzou non poteva che apprezzarlo profondamente.
Da circa un mese si poteva dire che Nijimura vivesse in funzione del venerdì, cominciava la settimana con il solo pensiero di arrivare al momento in cui sarebbe salito su un treno diretto a Kyoto e avrebbe cenato con Akashi, si sarebbe addormentato nel futon accanto al suo.
L'improvviso e assordante rombo di un tuono fece tremare i vetri del salotto e la televisione si spense; Nijimura, preso alla sprovvista, sussultò e rischiò di farsi andare di traverso un chicco di riso.
«Nijimura-san, va tutto bene?» la voce di Akashi, così discreta e vicina al suo orecchio, gli diede l'impressione di una carezza, tanto che Nijimura chiuse gli occhi e inspirò profondamente, le labbra increspate in un sorriso quasi impercettibile.
«Sto bene, non preoccuparti» tastò il tavolino di legno con una mano e vi adagiò la ciotola di riso, per poi tornare con la schiena aderente al divano, i muscoli delle gambe tesi e contratti, le braccia piegate, rigide.
Erano completamente immersi nel buio, l'uno di fianco all'altro, e Shuuzou poteva sentire chiaramente il respiro sommesso di Seijuurou, come quando dormivano nella stessa stanza.
«Cerco una candela, dovrebbe essercene una in cucina...»
Nijimura sapeva che Akashi era sul punto di alzarsi, perciò, istintivamente, tese il braccio sinistro e gli afferrò la mano con un rapido movimento.
«Nijimura-san?» Akashi si era irrigidito, probabilmente preso alla sprovvista, ma Nijimura era certo che stesse rivolgendo il viso verso il suo.
Non parlarono più, la mano di Nijimura lasciò quella di Akashi per andare in cerca del suo viso, trovarlo e accarezzarlo un istante più tardi.
Seijuurou schiuse le labbra e sospirò contro il palmo della sua mano; Shuuzou, continuando ad accarezzargli la guancia, si avvicinò e chinò appena il viso.
Un fulmine illuminò la stanza, un istante di luce abbagliante che fu sufficiente per guardarsi negli occhi e trovare il consenso tanto agognato.
Nijimura gli afferrò il viso fra le mani e Akashi si precipitò verso di lui, le bocche si scontrarono in una collisione violenta, ma parvero fondersi pacificamente non appena si furono abituate l'una alla presenza dell'altra.


26 aprile 2012



«E con questo abbiamo finito» Nijimura protese le labbra ed esalò un sospiro affannoso, le ginocchia ancora piegate, le mani aderenti allo spesso strato di cartone dello scatolone.
«Grazie» appena si risollevò, Akashi gli rivolse un sorriso.
«Sistemeremo il contenuto degli scatoloni dopo pranzo, va bene?»
Akashi schiuse le labbra per rispondere, ma le serrò nuovamente quando il cellulare vibrò contro la sua coscia destra.
Nijimura lo osservò in silenzio mentre estraeva il cellulare dalla tasca dei jeans, increspando le labbra in una piccola smorfia non appena lo vide distogliere lo sguardo dal display e adagiare l'oggetto sulla scrivania.
«Non rispondi?»
«È un compagno dell'università,» Seijuurou uscì dalla stanza «rispondo più tardi.»
Nijimura, dal canto suo, fu incapace di muovere anche un solo passo e rivolse un'occhiata mesta al cellulare: Akashi doveva aver sperato che fosse suo padre.
Subito dopo il diploma, tra un esame di ingresso e un altro per accedere alla Facoltà di Lettere, Akashi aveva definitivamente tagliato i ponti con il padre. Quando avevano parlato al telefono, Seijuurou gli aveva spiegato che, oltre a essere sempre più oppressivo e pretenzioso, suo padre aveva contratto alcuni debiti piuttosto pesanti che lo avevano reso molto più irritabile ed egoista del solito, inoltre aveva cominciato a nutrire qualche sospetto su di loro.
Era stato Nijimura stesso a proporgli di trasferirsi a casa sua, che si trattasse di una soluzione temporanea o permanente non gli importava, gli bastava che Akashi non trascorresse giorno e notte in qualche squallido hotel pur di risparmiare i contanti che era riuscito a prelevare appena in tempo dal suo conto personale, prima che il padre se ne impossessasse.
Shuuzou si dispiaceva quando lo sguardo di Seijuurou si illuminava e poi, immediatamente dopo, si rabbuiava senza mezze misure, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di sentirsi sollevato nell'osservare simili reazioni quando l'altro controllava i messaggi e le chiamate ricevute: meno il signor Akashi si faceva sentire, meglio era per loro. Ancora meglio, a dire il vero, sarebbe stato se avesse deciso di scomparire per sempre dalla vita di Seijuurou, ma era altamente improbabile che un padre – specie se autoritario e in cattive condizioni economiche – accettasse senza remore l'abbandonato del figlio.


17 giugno 2012



Il dottore adagiò i fogli delle analisi sulla scrivania ed emise un flebile sospiro, attirando in particolare l'attenzione di Nijimura, che stava cominciando a perdere la pazienza.
«Mi ha detto che ha ancora la febbre» il dottore si rivolse ad Akashi in quella che pareva una domanda ma, in realtà, era soltanto una pacata constatazione. «I brividi sono passati?»
«No.»
«Sono almeno due settimane,» Nijimura borbottò, immediatamente folgorato dallo sguardo tagliente del compagno «li ha visti i valori, no? Non sono regolari.»
«Shuuzou...»
Il dottore annuì appena, il mento adagiato sul dorso della mano sinistra.
«Akashi-san,» non mosse un muscolo, sostenendo lo sguardo ferino di Akashi per una trentina di secondi «le prescrivo un altro esame del sangue e un'analisi citogenetica.»
Era lecito pensare che quello sguardo sprezzate si sarebbe tramutato all'improvviso in quello di un guerriero stanco e avvilito, e per il dottore, che era già certo del proprio sospetto, non c'era niente di più atroce.


19 giugno 2012



«Shuuzou, non preoccuparti» Akashi schiuse le labbra ed emise un sospiro rassegnato. «Ti ho detto che sto bene, che andrà bene.»
Nijimura sospirò pesantemente e si sedette al centro del divano, i gomiti aderenti alle cosce, le mani congiunte.
«Come puoi esserne tanto sicuro?»
«E tu come puoi essere tanto sicuro del contrario?»
Appena si voltò verso di lui, Seijuurou increspò le labbra in un piccolo sorriso che, però, durò appena un istante.
«Akashi?» quando lo vide barcollare verso di lui e poi sorreggersi allo schienale della poltrona, Nijimura scattò in piedi e lo raggiunse immediatamente. «Akashi?»
Seijuurou chiuse gli occhi e ascoltò la sua voce, inspirò profondamente, cercando di ignorare il tremore alle gambe e il torpore alle braccia, poi, dopo una trentina di secondi, risollevò le palpebre e rivolse la propria attenzione al fidanzato, beandosi del tocco caldo della sua mano sul braccio.
«Shuuzou...» si sentiva così debole, incapace di muoversi «portami a letto‒»
Nijimura gli avvolse la vita con le braccia e chinò il viso per stampargli un bacio sulla guancia; Akashi, dal canto suo, chiuse gli occhi e scostò le mani dallo schienale della poltrona, affidandosi completamente alle forze dell'altro.


Nijimura restò sveglio per tutta la notte, le braccia strette attorno al corpo di Akashi, le labbra serrate, aderenti alla sua testa, i capelli rossi a pizzicargli e stuzzicargli appena le guance.
Ricordava ancora quando la mano di Seijuurou aveva accarezzato la sua e le loro dita si erano intrecciate, lo aveva stretto più forte e gli aveva sussurrato all'orecchio che lo amava, poi aveva chiuso gli occhi e, baciandogli i capelli, aveva ascoltato la sua risposta appena sussurrata.


10 luglio 2012



Era il suo compleanno, ma non aveva alcuna voglia di festeggiare. Da quando Akashi aveva cominciato il primo ciclo di chemioterapia, tornare a casa era diventato sempre più difficile.
Shuuzou non voleva lasciare Seijuurou da solo, anzi si era ripromesso di fornirgli tutto l'appoggio emotivo di cui abbisognava, ma l'impellente necessità di chiudersi in un silenzioso e privato dolore lo costringeva spesso a uscire di casa e trascorrere fuori almeno un'ora – superata l'ora e mezza il pensiero che l'altro potesse stare male si faceva tanto insistente da risultare insopportabile e perciò tornava indietro.
Dopo che la paura per la malattia di suo padre si era dissipata a causa della sua morte e non grazie alla sua guarigione, Nijimura temeva che lo stesso ciclo di sentimenti avrebbe potuto riguardare anche Akaashi; l'idea di perdere un'altra persona preziosa lo terrorizzava e lo confinava nel suo storico dolore, lo faceva sentire terribilmente solo e impotente, così frustrato che pur di distrarsi aveva cominciato a interessarsi alle moto da corsa.
Shuuzou osservò in silenzio l'orologio da polso, per poi protendere le labbra ed emettere un debole sospiro: cinquanta minuti, per quel giorno, erano abbastanza – dopotutto era il suo compleanno e, anche se non voleva tornare a casa, desiderava trascorrerlo con la persona che amava.


13 settembre 2012



Forse perché gli era parsa più buia e fredda delle altre, quella notte aveva reso vani tutti i suoi sforzi per apparire il più tranquillo e fiducioso possibile.
Aveva aperto gli occhi lentamente, inspirato l'effluvio intenso di alcool e, infine, scostato il viso dalle lenzuola per cercare, nel buio, i lineamenti chiari del volto smunto di Akashi; una volta trovati non ce l'aveva fatta più ed era scoppiato a piangere.
Fin da piccolo, al contrario di tanti coetanei, non sembrava avere una particolare propensione per il pianto – e nemmeno per le lagne o i capricci –, ma non era un bambino superficiale o insensibile, non lo era mai stato, perciò capitava che in occasioni come quella – o come era successo alla morte del padre – scoppiasse in pianti talmente sguaiati, se non rabbiosi, da finire per vergognarsi profondamente di sé.
Akashi si era svegliato e Nijimura si era sentito immediatamente in colpa, innanzitutto perché aveva disturbato il suo sonno, poi perché aveva appena mandato in fumo la propria apparenza determinata e serena, emotivamente fondamentale per le condizioni di salute dell'altro.
Seijuurou, però, aveva ignorato il dolore alle ossa e il forte senso di nausea che gli riempiva la bocca e, raccogliendo le poche energie di cui era in possesso, gli aveva accarezzato i capelli con gentilezza, nella speranza di placare i suoi singhiozzi.
«Guarirò presto» poi sussurrò, e Nijimura decise che per quel momento si sarebbe fatto bastare la sua flebile rassicurazione.


16 marzo 2013



«Te lo aspettavi?»
«Sì, ma non così presto» Akashi fece una piccola pausa, poi accennò un sorriso. «Se non fosse successo, Kagami ci avrebbe impiegato ancora un bel po' per chiedere a Tetsuya di sposarlo.»
«Sai...» Shuuzou lo aveva osservato senza ascoltarlo, aveva contemplato in silenzio il viso pieno e colorito, i capelli folti che ricadevano in onde morbide sulla fronte e le tempie, gli occhi ferini ardenti come un tempo «a pensarci bene anche io e te, a modo nostro, siamo luce e ombra.»
Seijuurou gli rivolse un sorriso di difficile interpretazione, ma Shuuzou indovinò che doveva essere d'accordo con lui e continuò a contemplarlo senza preoccuparsi troppo di ciò che accadeva intorno: era bellissimo, pareva che ogni giorno sbocciasse sul suo corpo un fiore possente e profumato, luminoso, frutto della guarigione e ambasciatore di speranza per un futuro meno doloroso.
«A che cosa pensi?» Akashi cercò di incalzarlo.
«A niente in particolare» Nijimura, dal canto suo, rispedì la domanda al mittente con finto disinteresse, le labbra increspate in un piccolo sorriso: un giorno anche lui avrebbe chiesto ad Akashi di sposarlo.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Inizio immediatamente augurando buone feste a tutti voi!
Mi dispiace che il mio regalino di Natale sia arrivato leggermente in ritardo, ma sono davvero tanto tanto impegnata con lo studio e non ho potuto fare di meglio.
Questa shot è il risultato di un giveaway che avevo organizzato questa estate. Non avevo in programma di scrivere altri spin-off su “Hall of Fame”, ma la vincitrice, Marta Gori, mi ha chiesto di scrivere di loro due-- e come al solito ho l'impressione di non aver rispettato del tutto il prompt, ma spero mi perdoni (anche se dovrebbe picchiarmi per tutto il tempo che ci ho messo per scrivere questa cosa).
Volevo scriverla quest'estate, ma non sapevo come strutturarla e sono entrata in crisi, quindi ho scritto solo due pagine e poi sono rimasta bloccata per almeno un mese e mezzo.
Fortunatamente sono riuscita a terminarla in questi giorni e non volendo lasciarvi a stomaco vuoto per Natale ho deciso di pubblicarla oggi!
Piccolo appuntino sulla parte finale: quando Akashi dice: Se non fosse successo si riferisce all'incidente che ha causato la morte temporanea di Kuroko (ma perché vi ricordo queste cose a Natale? Perché sono cattiva, giusto!)
Ringrazio Marta Gori per avermi dato l'opportunità di approfondire un pochino la NijiAka, a mio parere la coppia più salda di “Hall of Fame” ;u; ~
Alla prossima e ancora buon Natale!
   
 
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