micro-nota iniziale: la storia si colloca tra le puntate 8x07 (puntata della partita di baseball, per intenderci) e la 8x10
Buona lettura!
Partiamo
ovvero,
quel giorno in cui Henry Burton era ricoverato in ospedale ed ebbe
troppo tempo per pensare
L'acqua
scorreva calda sulle sue mani, ma non era d'aiuto per il loro
tremore, visto che non era dovuto al freddo. O, meglio, era dovuto al
freddo che provava internamente. Si bagnò anche il viso,
facendovi
scorrere sopra le mani molto lentamente, lasciando gli indici premuti
contro gli occhi per qualche secondo.
"Sarebbe scoppiata lo
stesso." la voce piatta e tremendamente razionale della Yang
riuscì a trovare uno spiraglio per entrare nel suo cervello.
"Lo
so." ribatté sicura.
"Le tremano le mani, vuol dire
che-"
"Lo so che cosa vuol dire, Cristina." la
interruppe la bionda, scocciata: significava che temeva di aver
commesso un errore in sala. "Come so che quell'arteria si
sarebbe perforata. Ho sbagliato ad intervenire: era troppo presto, ma
se non fossi intervenuta sarebbe morta ugualmente. Era spacciata, lo
so." solo che a volte sperava di riuscire a guarire anche i casi
impossibili, soprattutto quando si affezionava troppo ai pazienti.
Inoltre, odiava infondere speranza nelle famiglie e poi dover
comunicare loro che il loro caro era deceduto sul tavolo operatorio:
a volte era più facile stare in Iraq, dove morivano molte
più
persone sotto i ferri, ma non c'erano mogli, genitori o figli a cui
doveva portare cattive notizie. Sospirò, fermò il
getto dell'acqua
e si asciugò le mani, il tutto sotto lo sguardo attento ed
allo
stesso tempo sospettoso della sua tirocinante: era pronta per andare
a parlare con Tom e i suoi figli. In quel momento, però,
suonò il
suo cercapersone:
"Dannazione, lo sanno che sono in sala!"
esclamò, scocciata.
"Parlo io con la famiglia: vada."
Teddy sbuffò contrariata, ma alla fine cedette,
ripromettendosi di
andare a cercare i famigliari della sua paziente non appena avrebbe
finito, e cominciò a correre verso le scale che l'avrebbero
portata
al secondo piano.
Arrivò in cima ansimando, ma allo stesso tempo
grazie alla corsa si era ripresa dalla batosta dell'intervento ed era
pronta a salvare un'altra vita: trovò colui che l'aveva
chiamata al
banco delle infermiere.
"Spero per te che sia qualcosa di
serio." a sentire quelle parole, pronunciate a scatti, Owen si
voltò e la squadrò da capo a piedi, perplesso, al
che lei sorrise
divertita, gli occhi verdi che scintillavano. Qualche anno fa lui
aveva amato quello scintillio, che la rendeva ancora più bella, e in quel momento lo
amava Henry, più di quanto non lo avesse mai fatto lui.
"Se non vuoi
sapere che tuo marito se ne sta sdraiato beatamente nella 329 ti
lascio andare."
"Che succede a Henry?!"
l'improvviso cambiamento nel tono di voce della Altman lo
portò a
sorridere: la conosceva da anni, ma non l'aveva mai vista
così
preoccupata fino a tre mesi prima. Da quando la sua migliore amica si
era dichiarata innamorata di suo marito, quando le parole 'Henry
Burton' ed 'ospedale' si combinavano il suo comportamento mutava
radicalmente.
"Nulla di grave, lo tengono in oss-"
cominciò a spiegare, poi si rese conto del fatto che la
Altman non
era più accanto a lui.
Lo comprese anche Henry, che la vide non
appena si appoggiò allo stipite della porta, improvvisamente
restia
ad entrare, come quando la loro relazione esisteva solo su
carta.
"Ciao, tesoro." la salutò tranquillo, mentre lei
lo guardava come se venisse da un altro pianeta.
"Stai bene?"
ribatté senza neppure salutarlo.
"Alla grande!" esclamò
lui, mentre con la mano destra le faceva cenno di avvicinarsi. In un
attimo lei si stese sul letto accanto a lui, la testa vicina alla
sua, gli occhi che si immergevano gli uni negli altri. Teddy
resistette all'impulso di poggiare la testa sul suo petto: avrebbe
voluto sentire il suo cuore battere, assicurarsi che fosse vivo, come
faceva spesso di notte quando si svegliava a causa dei fantasmi del
passato e aveva paura che anche lui se ne fosse andato.
Gli passò
una mano tra i capelli e sorrise. "Sicuro?"
"Sicurissimo"
"E
allora che ci fai qui?" obiettò lei a quel punto, alzando un
sopracciglio.
"Stavo andando a comprare l'insulina e sono
svenuto. Nulla di grave, davvero: vogliono solo assicurarsi che tutto
ritorni nella norma e che il mio cervello non dia in escandescenza.
Se questa sera vai a casa mi dim-" si corresse non appena
notò
l'espressione pensierosa di lei. "Mi diverto a stare qui,
davvero: mi viziano come un bambino, soprattutto il dottor Webber.
Poi se questa sera vieni a dormire qui-" lasciò volutamente
la
frase in sospeso.
"Potrei." sorrise lei, mentre uno
sbadiglio la investiva in pieno.
"Dormi un po' anche ora, su.
Non ti fermi mai un attimo: potrei cominciare preoccuparmi."
"Devo
lavorare."
"Ti lascio andare solo se vai a mangiare
qualcosa e poi mi porti un budino. Non oso immaginare da quanto tempo
non metti in bocca qualcosa che non sia acqua: quando sono arrivato,
ore fa, eri già in sala."
Teddy scosse la testa per
dimenticare quello stupido intervento e, decidendo di ribattere solo
alle prime affermazioni, gli diede un pugno leggero sulla spalla.
"Sciocco. E goloso."
"Bisogna essere davvero
disperati se si è golosi del budino della mensa." lei
finalmente rise alle sue parole, mentre lui ricordava a se stesso che
farla ridere e stare bene era ormai diventato lo scopo della sua
vita. E che quel budino gli piaceva solamente quando Teddy lo
mangiava assieme a lui.
"E poi ho un disperato bisogno di
zuccheri dopo tutto lo jogging che mi hai fatto fare questa
mattina."
"Mmmh... ti ricordo che sei stato tu a volermi
seguire." obiettò lei, ad occhi chiusi e quasi nel mondo dei
sogni: quella mattina stava uscendo di casa quando lui l'aveva
rincorsa e fermata.
"Ti seguirei ovunque."
"Quindi
è per questo che sei svenuto in mezzo alla strada."
osservò,
ironica.
"Potrebbe essere." la Altman rise brevemente, e
a Henry quasi dispiacque non poter ammirare anche i suoi occhi; le
carezzò il viso con la mano sinistra, e la sentì
prima rabbrividire
poi rilassarsi sotto al suo tocco.
"Stavo pensando..."
rifletté a voce alta, mentre lei sorrise ed evitò
di domandargli
stupita se davvero fosse in grado di pensare. "Sì, a volte
penso. Sai, ho molto tempo per farlo." replicò lui alzando
un
sopracciglio, intuendo i suoi pensieri.
"Siamo telepatici,
ora?" commentò a quel punto lei.
"Sai a che cosa stavo
pensando?!"
"Non ancora così telepatici."
"Mi
consolo, perché a volte è meglio se non conosci i
miei pensieri."
"Sciocco." rise lei, al che lui trasse un respiro
profondo e disse tutto d'un fiato:
"Domani quando usciamo di
qui posso portarti fuori a cena?"
Notò subito gli occhi di
sua moglie spalancarsi e riempirsi di stupore.
"Lo prendo per
un sì?" commentò, divertito.
"Dipende... dove mi
porteresti?" ribatté l'altra riabbassando le palpebre: erano
sposati da quasi un anno, ma non erano mai usciti a cena assieme, se
si escludevano i pranzi take away consumati nell'appartamento di
Henry l'anno prima tra un appuntamento e l'altro di Teddy, la cena a
lume di candela saltata e i pasti nella mensa dell'ospedale.
"No,
niente anticipazioni: deve essere una sorpresa." obiettò
lui,
cercando di non farle notare la sua totale mancanza di un
piano.
"Sorprendimi, allora. Solo niente cinema."
"Niente
patetici tentativi di farti avvicinare a me mettendo un braccio sulla
tua poltroncina o con un film horror?"
"No."
concluse la Altman, secca.
"Messaggio ricevuto. Una volta o
l'altra però dovrai spiegarmi questa tua avversione per i
cinema."
la donna rispose con un suono che gli sembrò di assenso e
che portò
lui a ridere e lei a borbottare contrariata qualcosa di
incomprensibile. Henry scosse la testa e le passò entrambe
le mani
tra i capelli, al che lei si protese e dopo qualche centimetro le sue
labbra incontrarono quelle di lui. Sapeva di vaniglia mista a
cioccolato: Webber doveva avergli già fornito una buona dose
di
zuccheri prima che lei arrivasse, quindi forse era opportuno evitare
un altro budino. O forse no. Si staccò da lui e finalmente
posò la
testa sul suo petto: sentire il cuore di suo marito battere in modo
regolare e le sue mani muoversi su e giù lungo la sua
schiena la
portò quasi ad addormentarsi. Finché lui non
riprese la
parola:
"Domani è il nostro anniversario." disse,
mentre lei si irrigidiva: se n'era scordata. O, meglio, non aveva mai
costretto il suo cervello ad imprimere quella data tra i suoi
ricordi, anche se quel giorno non era andato poi così male.
La
serata, quantomeno.
"Pensaci: siamo sposati da un anno e non
siamo ancora usciti assieme, né abbiamo mangiato assieme una
torta
decente, né ci siamo scambiati i voti, né abbiamo
dato una festa,
né siamo mai usciti assieme." continuò intanto
Henry, mentre
Teddy si chiedeva dove volesse andare a parare con quell'elenco
apparentemente infinito.
"Beh, non-" lui non le badò,
perché ricominciò a parlare.
"Partiamo."
"Come?!"
ok, non aveva ben compreso i suoi ragionamenti, ma in quel momento
sembrava pazzo!
"Sì, partiamo. Non serve andare lontano,
anche uno chalet in mezzo al bosco andrebbe bene: facciamo una
vacanza insieme, il nostro viaggio di nozze." lei non sapeva che
cosa rispondere, ma lui l'anticipò. "Non dirmi che non puoi
prenderti una settimana anche scarsa di ferie, perché Owen
me lo
lavoro io. Mi deve un favore dalla partita di baseball
dell'atroieri."
Teddy rimase ad occhi chiusi con la testa sul
cuscino, indecisa sul da dirsi: avrebbe amato fare un viaggio con suo
marito, ma allo stesso tempo ne era intimorita. Si limitò a
rimanere
silenziosa. I secondi trascorsero lenti, sembravano passate ore
quando lui riprese la parola.
"Ok, l'idea non ti piace."
"Non
lo so." ammise lei, abbassando il capo.
"Ok."
pronunciata questa sillaba si zittì, al che la Altman ebbe
una paura
tremenda di averlo ferito. Come poteva spiegargli che uscire
dall'ospedale e da Seattle la avrebbe portata solo ad essere
attaccata da tutti i mostri del passato? Come poteva spiegargli che
la sabbia del mare le ricordava le lunghe notti trascorse a salvare
delle vite nel deserto? Oppure che il bosco la rimandava alla gita in
montagna piena di risate passata con la sua migliore amica il giorno
prima che morisse alle torri?
"Scus-" cominciò, con
l'intenzione di cedere per vederlo felice: in fondo una vacanza non
le avrebbe fatto male... poteva crearsi nuove memorie in luoghi
nuovi, e forse con lui non avrebbe neppure urlato nel bel mezzo della
notte a causa degli incubi. Henry però la bloccò
posando il palmo
aperto sulle sue labbra socchiuse.
"Libera mente. E tieni gli
occhi chiusi." lei dapprima fece un'espressione confusa, poi,
non appena lui le posò una mano sulla testa,
ubbidì.
"Bene."
continuò lui. "Ora prendi me e te. Siamo distesi su di un
prato, o sulla sabbia, come vuoi. È notte... la vedi la Via
Lattea,
lassù?" Teddy sorrise: la vedeva davvero, ed era magnifica.
Intimorita dai fantasmi si era dimenticata quanto amasse la
natura.
"Ok, adesso invece siamo a casa, dopo una passeggiata
sul lungomare. Hai i piedi congelati, ma sotto le coperte, a contatto
con i miei, stai subito meglio." questa scena è semplice da
immaginare: lui compiva gli stessi identici gesti ogni volta che lei
ritornava a casa tardi la sera.
"Ora stai leggendo un
articolo di medicina in spiaggia, o appoggiata ad una albero, decidi
tu: sta di fatto che ti porti sempre il lavoro ovunque."
"E
a te non va giù." osserva, divertita.
"Assolutamente
no."
Lei si avvicinò al suo orecchio. "Ti
svelerò un segreto. Quello che è divertente per
una donna spesso
non lo è per un uomo."
osservò
sorridendo, poi riappoggiò la testa sul cuscino, sfiorando
il naso
freddo di suo marito.
"Vale anche il contrario, tesoro,
quindi ti tiro una pigna." replicò sicuro e tranquillo,
mentre
la Altman soffocò una risata.
"Mmmh, non mi convince questa
scena... e se invece siamo davanti al camino schiena contro schiena e
tu leggi un libro mentre finisco l'articolo? Poi possiamo fare una
lotta con i cuscini, se vuoi." propose poi.
"L'idea mi
piace."
"Immaginavo." risero entrambi, gli occhi
chiusi, le menti nello stesso identico luogo, che assistevano alla
stessa situazione. Il cercapersone di Teddy suonò alcuni
minuti
dopo, proprio mentre Henry stava avendo la meglio in
battaglia.
"Salvata dalla campanella." borbottò lui,
contrariato, mentre lei si allacciava le scarpe e gli
sorrideva.
"Dopo ti porto un budino."
"Ti
aspetto."
Si sorrisero, poi lui la baciò, le labbra di
entrambi piegate all'insù. Poi lei poggiò le mani
sul letto e si
spinse in piedi, per poi correre via. Sulla soglia, però, si
fermò:
"Il mese prossimo partiamo. In macchina.
All'avventura." lo scintillio che nacque negli occhi di lui
valeva più di mille risposte.
"Mi procurerò una scorta di
budini!" rispose, entusiasta.
Non fecero mai quel
viaggio.
Angoletto di Hope-barra-Gio:
toc-toc: c'è ancora qualche amante di questa coppia in circolazione?
Sto riguardando delle vecchie puntate e, dopo aver riscoperto il mio amore per questi due mi sono messa a scrivere. La storia partecipa a questo contest: mi sono state assegnate queste due immagini (Immagine 1 e Immagine 2) ed una pagina di Citazioni (da cui proviene la frase scritta in corsivo), a cui io ho aggiunto questa Immagine e il prompt viaggio.
E se siete riusciti ad arrivare alla fine di tutto ciò che ho scritto (più o meno indenni), vorrei ricordarvi che una recensione è gratis, ed ha una sola controindicazione: fa sorridere incontrollabilmente chi la riceve.