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Autore: flatwhat    27/12/2015    3 recensioni
“Javert!”.
La figura, in piedi sul parapetto, si voltò appena alla chiamata, quasi non fosse sorpresa al suono di quella voce.
Valjean era sorpreso, invece.
Numerose volte, in tutti quegli anni, Ispettore e prigioniero, cacciatore e preda, erano stati spinti l'uno contro l'altro dal destino, e, eccezion fatta per l'incontro alla barricata di quello che era ormai il giorno prima, la situazione era stata invariata. Valjean in fuga e Javert all'inseguimento.

Javert viene salvato.
(Ma a caro prezzo).
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Cosette, Javert, Jean Valjean, Marius Pontmercy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Javert, come Valjean prima di lui, assistette al suo stesso funerale.

Valjean gli rimase accanto, mentre i suoi vecchi colleghi elogiavano le sue capacità di Ispettore, anche quelli che lo avevano abbandonato quando era ancora in vita. Persino il Prefetto Gisquet era presente, solenne e silenzioso mentre si svolgeva la funzione.

Né Valjean né Javert si erano parlati, in tutti questo tempo. Javert teneva gli occhi abbassati e Valjean, non riuscendo a guardare lui, osservò le reazioni dei presenti. Andre piangeva a dirotto. Aveva pianto anche Françoise, prima, e Valjean era sicuro che avrebbe voluto tanto essere presente anche lui, ma per coprirlo dalla polizia Andre gli aveva ordinato di non farsi vedere e aveva mentito dicendo di non averlo visto, la sera prima.

Chabouillet aveva l'aria molto triste, ma stava composto. Marius e Cosette, un po' più in là, erano completamente distrutti. Cosette soprattutto: era molto pallida mentre le lacrime le scorrevano libere lungo il volto, e a tratti sembrava sul punto di perdere i sensi.

Quando la cerimonia fu finita, alla lapide di Javert si trattennero Andre, Chabouillet, e i due consorti Pontmercy.

"Vai a casa, Andre", disse Chabouillet.

Il ragazzo sul momento non lo ascoltò. Continuava a singhiozzare, sconsolato. Non riusì neanche a rispondere a Chabouillet, che gli ripeté di tornare a casa. Il povero giovanotto alla fine annuì e se ne andò a passi lenti.

"Mio caro Javert", sussurrò poi Chabouillet alla tomba. Valjean poté vedere che Javert aveva alzato lo sguardo, come risvegliatosi da una trance al richiamo del suo vecchio mentore.

"Ti porterò dei fiori in questi giorni, anche se non ho mai saputo quali ti piacessero sul serio".

Il vecchio Segretario sospirò.

"Ti avevo detto di non morire fino alla mia pensione. Ed eccomi ancora in servizio e tu morto. Hai fatto di testa tua".

"Monsieur", mormorò Javert. Fu la prima parola che Valjean gli sentì dire dopo ore di silenzio.

Chabouillet sorrise.

"Riposa in pace, amico mio", disse, e poi salutò Marius e Cosette con un cenno del capo e se ne andò.

"Cosette", disse Marius. "Dovremmo andare anche noi. Mi sembra che tu stia male".

"Come potrei stare bene?", gli rispose Cosette con voce roca. "Prima Toussaint e ora Javert. Sono morti entrambi per colpa mia!".

Marius cercò di confortarla.

"Cosette... Questo non è vero".

Valjean provò una gran pena nel vedere la figlia adorata in queste condizioni. Si voltò verso Javert per cercare una sua rezione e vide che i suoi occhi erano puntati su di lei.

A fatica, Cosette si riprese.

"Voglio solo salutare un momento l'Ispettore", disse, e si avvicinò alla lapide.

"Monsieur Javert", cominciò. 

Javert andò a mettersi di fianco a lei.

"Avrei dovuto farmi promettere da voi anche il vostro benessere, non solo quello di mio marito". Chissà come, Cosette riuscì a fare una piccola risata. "Ma voi siete stato sempre così coraggioso... Vi ringrazio di tutto".

Javert non mosse neanche un muscolo.

"Siete stato un secondo padre, per me. Addio".

Prima che le lacrime potessero ricominciare a scorrere sulle sue gote bianche, Cosette si voltò e, preso il braccio del marito, se ne tornò a casa.

Valjean si avvicinò a Javert, che era rimasto a fissare la lapide. Non si mosserò per lungo tempo.

***

Valjean e Javert si sedettero su una panchina ai giardini del Lussemburgo. Era notte fonda.

"Gavroche di solito passa di qua", disse Valjean, tentando di rompere il silenzio. "Te lo ricordi, Gavroche? Era il bambino alla barricata...".

Javert, le braccia conserte, non rispose. Valjean si leccò le labbra.

"Puoi dormire, se vuoi, anche se è un'esperienza ben strana".

Ancora una volta, Javert non disse niente. Valjean sospirò.

"Ascolta", gli disse. "Purtroppo non so esattamente come comportarmi, ma sappi che ti sono vicino e a me potrai chiedere quello che vuoi, va bene?".

Gli fece un sorriso e gli mise una mano sulla spalla. Javert sussultò al contatto e, per qualche secondo, Valjean sentì le emozioni di lui passargli attraverso. Era come se si sentisse a disagio.

Improvvisamente, capì. Arrossì di colpo. 

Se aveva potuto sentire le emozioni di Javert, anche Javert aveva sentito le sue. Che avesse avvertito l'amore di Valjean?

Si alzò di scatto. Javert lo guardò con aria interrogativa.

"E pensare che ti ho dato-- Vi ho dato del tu per tutto il tempo!", si coprì il volto con le mani. "Perdonatemi, sono abituato a stare da solo, e...".

Si voltò e cominciò ad allontanarsi.

"Perdonatemi! Forse volete stare da solo...".

"Valjean", lo chiamò Javert.

Valjean si fermò di colpo.

"Rimanete pure", sentì Javert balbettare. 

Dovette fare un grande sforzo per vincere il proprio imbarazzo, ma riuscì a tornare alla panchina.

Quando si fu seduto nuovamente, tamburellò il le dita sulle proprie ginocchia per un po'.

"Non c'è bisogno che mi diate del voi", disse infine.

Ci volle un momento prima che Javert rispondesse.

"Non sono sicuro di riuscire a darvi del tu".

"Non siete costretto", rispose Valjean. Poi rise, per fare capire a Javert che non c'era niente di cui preoccuparsi. Per tutta risposta, Javert lo guardò stranito.

"Davvero non siete arrabbiato con me?", chiese.

"Cosa?", fece Valjean. "Perché dovrei?".

Javert si irrigidì e volse lo sguardo altrove.

"E mi chiedete pure perché?".

Valjean tentò di parlargli nel modo più dolce possibile.

"Javert. Non avete alcuna colpa e se l'avevate, vi ho già perdonato".

"Il fiume", disse Javert. "E ora Cosette. Sono stato completamente inutile".

"Non vi riterrò mai inutile", ribattè Valjean. Gli prese una mano fra le sue, e sentì di nuovo il turbinio di emozioni di Javert. "Avete fatto tutto il possibile per mia figlia e non ho parole per esprimere la mia gratitudine". Così, lasciò che fossero le sue emozioni a parlare.

Javert scosse la testa furiosamente.

"È tutto così strano. La vita dopo la morte la pensavo diversa. Vi ho sognato spesso, sapete?".

Valjean fu grato di non essere arrossito di nuovo, perché le parole successive di Javert non furono lusinghiere.

"Vi ho sognato come un angelo spaventoso Monsieur, un angelo che dopo la morte sarebbe venuto a giudicarmi e a gettarmi negli Inferi. Anche se sapevo che non eravate così, anche se sapevo che mi avreste sorriso, è così strano vedervelo fare. Ed è strano che mi prendiate la mano e che... che proviate affetto per me, dopo tutto quello che vi ho fatto. Dopo che vi ho--".

"Non ditelo", sussurrò Valjean.

"... Ucciso", concluse Javert. 

Valjean non gli lasciò andare la mano, tentando di tranquillizzare l'amato il più possibile. Si rese conto che, se lui aveva potuto osservare e conoscere Javert in un anno, Javert non poteva conoscerlo allo stesso modo.

"Immagino che debba scusarmi", disse.

"Voi?", chiese Javert.

"Sì, vedete, vi ho osservato a lungo e ho invaso i vostri spazi. Vi ho visto nei momenti di maggiore vulnerabilità e...".

"Davvero?"

"Sì", disse Valjean, diventato improvvisamente incapace di sostenere il suo sguardo. "Vi ho anche sussurrato all'orecchio, una notte, per dirvi di recuperare il denaro per mia figlia".

"Allora eravate voi!", esclamò Javert, alzandosì di scatto. "Ero convinto di essere diventato pazzo, ma non riuscivo a spiegarmi... I soldi erano lì, ma come diamine--".

Si batté una mano sulla fronte e cominciò a ridere. Valjean si sentì sollevato a quella vista.

"È davvero possibile?", chiese Javert, una volta ripresosi. "Farsi sentire dai vivi?".

"Io ci sono riuscito solo una volta", rispose Valjean. "Un vero e proprio miracolo".

"Incredibile". 

Javert si sedette di nuovo e si grattò la tempia. "Vi ringrazio per essermi stato vicino", disse con un certo imbarazzo. "Nonostante non me lo meritassi".

Valjean sorrise, contento che Javert si sentisse come si era sentito lui tanto tempo prima quando Fantine gli aveva confessato di essere rimasta tra i vivi per vedere Cosette crescere.

"Sono stato felice di farlo. Volevo rimanervi accanto e rimanere accanto a mia figlia".

"Ma non avete...", cominciò Javert. Gesticolò con le mani in direzione del parco. "Un posto dove andare? Insomma, c'è qualcosa oltre a questo?".

Valjean ricordò la nostalgia che aveva provato prima che Fantine lo contattasse. Nei giorni seguenti, l'aveva sentita comunque, ma l'aveva ignorata per rimanere accanto alle persone care. Si rese conto che, da quando si era riappacificato con se stesso, non l'avvertiva più. 

Tentò di descriverla nel modo più accurato possibile a Javert.
 
"In effetti", gli rispose lui, dopo essersi concentrato sulle sensazioni che provava. "Credo di sentire anche io una cosa del genere".

Valjean sorrise di pura contentezza.

"Questo vuol dire che andrete nello stesso posto dove andrò io".

Javert sbuffò.

"Io? Impossibile".

"E perché mai?".

"Perché voi--", Javert si interruppe, fissando il proprio sguardo su Valjean. Incrociò le braccia e sospirò, senza finire la frase.

Valjean si ammutolì a sua volta. Cercò dentro di se le parole adatte.

"Non siete costretto ad andar via immediatamente. Non è così male, stare qui, quando si raggiunge la propria pace. Non fa differenza per me qui o lì. Aspetterò che vi sentiate pronto, andremo insieme, vi va?".

Javert sospirò di nuovo.

"Se è questo che volete".

***

"Cosette continua a stare male", disse Valjean.

"E l'artista non si trova più", Gavroche fece una smorfia. "Mia madre dice che non l'ha visto volteggiare attorno a mio padre come l'avvoltoio che è. Quei due si meritavano a vicenda, sissignore!".

"In ogni caso", riprese Valjean, scuotendo la testa. "Noi non possiamo fare niente per Cosette, così come l'artista non può più nuocere ai vivi".

Javert, accanto a Valjean, rimaneva silenzioso e con le braccia conserte.

"Ma vorrei dirle una cosa, Monsieur l'Inspecteur", Gavroche si rivolse a Javert con un sorrisetto da vero monello. "Anche se, da quello che mi dice Monsieur Valjean, siete un tipo coraggioso, non mi pento affatto di avervi fatto scoprire, alla barricata. Però pace fatta, eh?".

Javert digrignò i denti e alzò lo sguardo al cielo.

"Sei coraggioso anche tu", disse fra i denti, in un tono inespressivo. "Pace fatta".

Con una mano cercò, distrattamente, di dare una pacca sulla testa del birbante, ma egli la schiaffeggiò via.

"Avete tutti la fissazione che vado accarezzato in testa", disse, porgendogli la manina destra. "Stringetemi la mano come fate con gli adulti".

Javert sospirò rumorosamente, ma accettò la mano di Gavroche, che strinse la sua con un po' troppa forza. In un attimo fugace, nel quale le emozioni dei due passarono tra le loro mani, Valjean poté vedere nei loro occhi un barlume di nuova stima reciproca, e non poté trattenere un sorriso.

"Cosa ti fa tanto ridere? È un vero monellaccio...", gli disse poi Javert, quando ebbe notato il suo sorriso. Si corresse immediatamente.

"Perdonatemi. Stavolta sono stato io a darvi del tu. Ero distratto".

A Valjean scappò un'altra risata, felice com'era di aver udito di nuovo Javert parlare con più leggerezza.

"Vi ho già detto che potete farlo".

Javert alzò di nuovo gli occhi al cielo, sconfitto.

"Solo se mi date del tu anche voi".

"Affare fatto".

***

Nei giorni seguenti, però, Cosette continuava a stare poco bene e Javert era tornato di umore malinconico se non a dir poco tempestoso. Era arrivato addirittura a rispondere male a Valjean, che non si era allontanato da lui un secondo, sapendo quanto poteva essere difficile e alienante scoprire da soli la nuova esistenza da fantasmi.

Javert si era poi scusato profusamente per aver alzato la voce mentre Valjean, tornando un po' il vecchio se stesso, cominciava a scusarsi a sua volta per avergli dato fastidio, il tutto sotto gli occhi di due divertiti Enjolras e Grantaire, incontrati casualmente in giro per la città.

"Sono contento che vi teniate compagnia", disse Enjolras, salutandoli. A differenza di quando Valjean lo aveva incontrato, notava che questa volta Enjolras cercava di nascondere il proprio divertimento, al contrario del compagno che sorrideva apertamente. Era innegabile dalle pieghe degli occhi, però, che stesse ridendo sotto i baffi.

"Anche io sono contento della tua compagnia", sussurrò più tardi Javert, ancora in tono di scusa, senza poter guardare Valjean in faccia. Per tutta risposta, Valjean intrecciò le sue dita alle sue, cercando di infondergli la sua stessa tranquillità.

Per farlo distrarre, lo riportò alla sua vecchia casa, per vedere se, abitata ora da Andre, avesse ricevuto qualche sistemazione diversa da quella a cui erano abituati.

Così abituato com'era a entrare in casa degli altri senza essere annunciato, Valjean entrò con poca cura nella stanza da letto, mentre Javert lo seguiva, fidandosi ciecamente di lui. I due girarono immediatamente i tacchi quando videro che Andre non solo aveva compagnia, ma riconobbero come Françoise l'uomo che si trovava insieme a lui. Cari lettori, non pensiamo che sia il caso disturbare ulteriormente gli spazi di quei due giovani. Accontentatevi di sapere che, poco più tardi, il povero Blanchard, senza essere fantasma lui stesso, fece lo stesso errore dei due fantasmi, ovverosia quello di entrare senza bussare e il tutto si risolse in una scena oltremodo imbarazzante. Va detto anche che Blanchard era abituato a un individuo ligio e solitario come Javert, che avrebbe trovato composto e attento in qualunque ora della giornata.

Non si pensi, però, che Andre avesse dimenticato così presto il lutto per Javert. Il ragazzo infatti si recava spesso alla tomba di Javert, per giurare davanti ai morti il suo impegno di proteggere i Pontmercy a qualunque costo, ed era andato anche a trovare Marius e Cosette un paio di volte, iniziando a fare amicizia con loro in questo momento così difficile per tutti.

Javert, invece, non entrava più molto spesso a casa di Cosette. Valjean sospettava che non riuscisse a vederla stare male e un giorno, prima di entrare a controllare le condizioni di sua figlia, gli disse così:

"Quando avevo bisogno di consolazione, parlavo con le anime che hanno lasciato questo mondo. Una volta ho persino parlato con i miei parenti".

Una volta finito il suo controllo, ritrovò Javert seduto sul gradino davanti alla porta. Aveva sul viso un'espressione più rilassata di quando lo aveva lasciato.

"Sai, Valjean, ho parlato con i miei genitori. Hanno detto che mi hanno perdonato da tempo".

Valjean vide le sue labbra alzarsi leggermente per raggiungere gli occhi.

***

Nonostante Javert sembrasse rilassarsi ogni giorno di più, rimaneva una certa irrequietezza che Valjean riusciva a sentire anche quando si prendevano per mano, gesto ormai frequente tra loro.

Una notte, Javert finalmente fece uscire tutta la sua agitazione.

"E va bene, Valjean, basta aspettarmi, verrò con te!", esclamò, quasi con furia, e prese con forza la mano di Valjean fra le sue. "Ma prima, promettimi che farai una cosa per me".

"Farei qualunque cosa per te", disse Valjean. Non aveva immaginato che una tale risposta provocasse un ringhio angoscioso da parte di Javert. 

Valjean si fece dirigere velocemente a un posto che tornava prepotentemente nelle loro esistenze: il parapetto tra Pont Notre Dame e Pont-au-Change.

Lì, esattamente sullo stesso punto sul quale si era arrampicato in quella notte ormai lontana, lo spettro di Javert si posò.

Valjean lo osservava, chiedendosi che cosa avrebbe fatto. Anche se sapeva che niente avrebbe più potuto Javert, il fatto di vederlo così furioso e tormentato lo preoccupava.

"Javert, va tutto bene?", si arrischiò a chiedere.

"Valjean!", gridò Javert. La sua voce divenne un boato alle orecchie di Valjean.

Javert respirava affannosamente mentre Valjean diventava sempre più preoccupato.

"Javert, cosa ti succede?", gli chiese ancora, tendendo le mani verso di lui.

Debolmente, Javert, gli rispose.

"Se io saltassi".

Rise debolmente.

"Valjean. Se io saltassi giù, mi seguiresti ancora?".

Jean Valjean non rispose, non con le parole. Ma le parole non servivano: aveva già fatto la sua scelta un anno prima e non l'aveva mai rimpianta. Non sapeva di cosa avesse bisogno Javert in quel momento, ma se la sua soluzione era saltare di nuovo, per quanto inutile, allora Valjean, altrettanto inutilmente, l'avrebbe seguito una seconda volta.

Salì sul parapetto, ritrovandosi accanto a Javert.

Javert fece un respiro mozzato e finalmente saltò. Valjean lo seguì.

Non caddero veramente, piuttosto fluttuarono, a una lentezza quasi inquietante, rispetto alla velocità con cui erano precipitati la volta precedente.

Non colpirono veramente l'acqua, non ci fu nessuno splash e Valjean non sentì i polmoni o gli occhi che gli bruciavano. Respirava e vedeva normalmente.

Raggiunse Javert con facilità, e con altrettanta facilità lo afferrò tra le sue braccia. Javert sussultò quando sentì il suo tocco.

Tornarono in superficie, forse nello stesso punto dove Valjean era morto la volta precedente, chissà. Valjean non ebbe tempo di farci caso, perché appena furono di nuovo sulla terraferma, venne immediatamente circondato dalle braccia di Javert, e dalle sue innumerevoli, confuse emozioni.

"Ho sognato anche questo...!", singhiozzò Javert, la testa nell'incavo del collo di Valjean. Valjean non si rese conto di stare trattenendo il respiro. Fino a quel momento, aveva solo tenuto per mano Javert, e già quella sensazione era stata più forte di qualunque cosa avesse potuto provare in vita.

"Quando non ti sognavo in veste di angelo vendicatore, ti sognavo così!". Javert si staccò da Valjean, ma continuò a tenere le mani sulle sue spalle in una stretta che, una volta, avrebbe potuto fargli paura. Aveva gli occhi spalancati, come se non potesse credere a ciò che aveva davanti o a ciò che stava dicendo.

"Sognavo che-- che eri vivo, e che ti chiedevo perdono in ginocchio e accettavo la tua proposta di prendere un tè".

Rise, tra le lacrime. Improvvisamente, batté un pugno per terra con violenza.

"E anche così è tutto inutile! Questo stupido teatrino non cambierà niente. Non restituirà alla vita né me né te".

Guardò Valjean con una nuova tristezza nello sguardo. Tirò su col naso.

"Perdonami, ti ho fatto perdere tempo. Sono solo un bambino idiota. Vattene pure, se vuoi".

Valjean, dopo che una simile scarica di parole e sentimenti gli si era abbattuta addosso, ebbe bisogno di qualche momento per ricomporsi.

"Javert", disse. "Se avevi bisogno di questa cosa, sono felice di averla fatta per te".

Javert scosse la testa, sconsolato.

"Ma non cambierà nulla. Rimarremo morti, e quel che è peggio...".

"Quel che è peggio?", ripeté Valjean, sforzandosi di sorridere in modo rassicurante. "Javert, non c'è più nessun peggio per noi".

"E non è questa una cosa terribile già da sé?", chiese Javert, abbassando lo sguardo. Valjean approfittò di quel momento per asciugargli una lacrima che, a dir la verità, non sentì mai al tatto.

"Io sono contento della vita che ho vissuto e della fine che mi sono scelto", gli disse dolcemente. "Per quanto tu possa ostinarti a non credermi, Javert, sono contento di averti salvato, quella notte, e lo avrei rifatto altre cento volte, con gli stessi risultati".

Javert rimase ad ansimare per una manciata di minuti, terminati i quali si raschiò la voce e tornò a guardare Valjean.

"Non mi merito il tuo amore, Valjean".

"Non si tratta di meritarlo o meno", disse Valjean. "Devi solo dirmi se lo vuoi o no".

"Lo voglio", rispose Javert. "Dannazione, lo voglio".

Valjean non seppe chi dei due aveva premuto per primo le proprie labbra contro quelle dell'altro. Ma poco gli importò.

Quando si separarono, Javert gli disse: "Ora so cosa mi resta da fare".

***

Erano le sei del mattino.

Valjean non chiese a Javert se fosse sicuro di entrare in camera di Cosette, poiché lui stesso gli aveva riferito che Marius si alzava sempre a quell'ora per cominciare a lavorare. Non ebbero timore di violare la camera dei due sposi.

Come avevano previsto, trovarono Cosette ancora addormentata, sola nel grande letto che apparteneva a lei e Marius. Ella infatti si alzava sempre un po' più tardi del marito e, nei giorni in cui aveva avuto dei malori, era capitato che si svegliasse anche più tardi.

"Hai detto che con te ha funzionato una volta", disse Javert. "Spero che questa sia la volta buona per me".

Valjean lo osservò mentre si sedeva per terra, accanto al letto e a Cosette.

"Cosette", cominciò Javert. "Sono Javert".

Le disse che era con Valjean e che stava bene, e Cosette non avrebbe avuto più bisogno di preoccuparsi per loro.

"Pensa sempre a noi morti. Io, tuo padre, tua madre, Toussanti. Ma pensare troppo a noi, Cosette. Vivi la tua vita e lascia noi alla morte. Non è così brutta, la morte, e me l'ha insegnato tuo padre. È solo un nuovo inizio".

Sorrise, e parve a Valjean che finalmente stesse per togliersi un peso dal cuore.

"Anche se rimpiango un po' la vita. Per tanto tempo ho desiderato essere morto, Cosette, e ora che mi ritrovo morto... Devo ammettere a me stesso che avrei voluto passare più tempo con te. Mi sono sentito in colpa di questi sentimenti. Io, che avrei dovuto essere morto al posto di tuo padre. Mi dicevo che avrei dovuto provare senso di colpa nei suoi confronti o nei tuoi, non essendo stato in grado di proteggerti per molto, eppure sentivo il rimpianto di una vita finita. Sei stata tu a far rinascere la mia voglia di vivere. Quando ripenserai a me, pensa che ti ho voluto bene come una figlia, e te ne vorrò sempre. È stato bello, Cosette. Addio".

Si rialzò, con un sospiro. Pareva molto più leggero di prima.

"Piangi?", disse.

Valjean si asciugò una lacrima, sorridendogli.

"Lasciamo riposare Cosette".

Uscirono dalla stanza, e poi dalla casa, ritrovandosi in strada.

"Ti sentivi in colpa perché ti era piaciuto vivere?", chiese Valjean. La sua mano sfiorò quella di Javert, che prese quella di Valjean tra le dita.

"Te l'ho detto che sono solo un bambino idiota", rispose Javert.

Valjean rise.

"Sono contento che tu sia stato felice".

La presa di Javert sulla sua mano si fece più forte.

I due camminarono per un po', senza nessuna meta, osservano la gente e gli spettri per le strade, i monelli, le carrozze.

"Però, Valjean", disse improvvisamente Javert. "Non me la sento ancora di andare via da qui. Sono riuscito ad ammettere a me stesso i miei veri sentimenti, ma temo che ci vorrà ancora un po' prima che io riesca a perdonarmi per tutti gli errori commessi. Anzi, può darsi che non riuscirò mai. Forse tu dovresti...".

"Niente affatto", disse Valjean. "Te l'ho detto che per me non fa differenza. Sono in pace e lo sarò comunque, finché avrò accanto le persone a cui tengo. Che tu decida di rimanere un anno, dieci o mille, non importa. Non dirò mai 'si è fatto tardi'...".

"Mi aspetterai?", chiese Javert, in un tono assurdamente speranzoso, come se fino all'ultimo avesse pensato che Valjean avrebbe potuto abbandonarlo. 

A Valjean venne una gran voglia di abbracciarlo, e lo fece. Si fermarono lì, in mezzo alla strada, senza preoccuparsi degli altri morti che avrebbero potuto vederli o dei vivi che avrebbero potuto attraversarli.

"Ora che posso abbracciarti quando lo desidero, aspettati che lo faccia molte altre volte", gli disse. Ricordò la sera quando lo aveva stretto a se senza averlo potuto sentire o consolare, ma scacciò via quel pensiero. Ormai non importava più.

"Non è così male, un'aspettativa del genere", mormorò Javert, il sorriso nella sua voce. "Non è male per niente".

Qualche ora dopo, Cosette si svegliò. Si sentiva bene.

"Marius, credo di aver sognato Monsieur Javert".

Quello stesso giorno, si rese finalmente conto che stava aspettando un bambino.

***

Monsieur Javert e Monsieur Valjean erano ascesi quella mattina. O, come aveva detto Monsieur Valjean stesso, 'andati via'.

Gavroche avrebbe riso. Non aveva capito perché i due avessero insistito a salutarlo, come se questa separazione, che comunque separazione non era, fosse stata definitiva. Avrebbero potuto sempre parlare, e un giorno anche Gavroche avrebbe lasciato il mondo dei vivi. In fondo, quei due scalmanati dei suoi fratelli erano ormai più alti di lui e se la cavavano da soli.

E, quando i due vecchi erano venuti da lui, quella mattina, dicendogli che ormai i figli di Cosette erano grandi e che loro due avevano finalmente deciso di osservarli non più così tanto da vicino, Gavroche non si era commosso neanche un po', nossignore! Si era lasciato accarezzare la testa soltanto per fare un favore a Monsieur Valjean, non per altro.

Spiegando queste cose a Grantaire e Enjolras, Grantaire commentò: "Sì, sono venuti a salutare anche noi. Che tipi".

Enjolras incrociò le braccia.

"In un certo senso, mi mancheranno. Anche se so che non se ne sono veramente andati per sempre".

"Coraggio, spilungone", gli disse Gavroche. "Forse tra un po', anche voi realizzerete il vostro desiderio di vedere un'altra rivoluzione".

"Ho sentito", disse Enjolras. "Magari questa sarà la volta buona".

Correva l'anno 1848.

"I miei fratelli", riprese Gavroche. "Vogliono andare a combattere alle barricate".

"Sono coraggiosi proprio come te", commentò Grantaire. 

Gavroche si lasciò di nuovo arruffare i capelli. Quel giorno si sentiva fin troppo buono con tutti.

In qualche altra parte di mondo di cui Gavroche non si curava particolarmente, ma che noi citiamo ugualmente per dare una conclusione definitiva a questa storia, quello stesso giorno era morto un signore che di nome faceva Gervais e che il lettore ha già visto citato, solo che, al momento di morire, non era più tanto Petit.

Quel signore, una volta morto e trovatosi fantasma, fu contattato dalla voce di Jean Valjean, ormai tra le anime nella luce, ed essi parlarono a lungo.

Alla fine, anche Gervais perdonò Jean Valjean.
 

 
Autrice:
...
E finalmente è finita. Quasi non ci credo. Sono mesi che la scrivo e mi diverto a scriverla. E pensare che doveva essere solo una OS, all'inizio.
... Scusate, non mi capita spesso di finire un progetto che inizio. X'D Sono assurdamente contenta di aver finalmente concluso, e anche un po' malinconica, perché mi sono davvero affezionata a questa storia e sono felice di averla scritta. Anche se non è stato sempre facile! XD
Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui, e grazie ad Alchimista che mi ha dato una mano ancora una volta rileggendo il capitolo. Ci rivediamo alla prossima storia, che potrebbe essere uno spin-off di questa! Mi piacerebbe scrivere su Enjolras e Grantaire in questo 'verse. Poi, mi piacerebbe finire l'altra long che ho in corso in questo fandom, e che avevo interrotto per via di questa. X'D E poi non so, si vedrà.
Arrivederci!
  
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