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Autore: Dark_Flame    27/12/2015    0 recensioni
Jessica prova una profonda gelosia per la bellezza di Asia e per l'attenzione che suscita in Alessandro. Ne è talmente gelosa da decidere di rovinarla, con l'aiuto delle sue due migliori amiche.
Dopo quel giorno, però, qualcosa comincia ad andare storto. Qualcuno la perseguita.
Jessica cade in uno stato di profonda angoscia e paranoia.
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Ho cominciato a pubblicare questa storia qualche tempo fa, ma per motivi personali non ho più potuto continuarla... Ora ho deciso di rimuovere ciò che avevo pubblicato e ricominciarla daccapo. Spero sia di vostro gradimento!
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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capitolo due
Atto II: Converse nere

Jessica quel giorno indossava una graziosa gonna rosa, accompagnata da un paio di calze semplici e chiare. La maglia era scollata e, a causa dell'inverno sempre più vicino, anche troppo fredda. Tuttavia, la vista generosa che regalava aveva attirato in diverse occasioni lo sguardo di Alessandro, perciò si disse che valeva la pena soffrire un po'.

Era affacciata al davanzale della finestra, nel corridoio della scuola. Scorgeva le teste dei ragazzi che se ne stavano nel cortile senza prestare particolare interesse.

Erano trascorsi due giorni da quella fatidica notte. Ci aveva riflettuto a lungo, il pianto di Asia l'aveva tormentata in sogno. Una volta aveva ripensato a quella figura spettrale fra gli alberi. Si era ripetuta più volte di averla solo immaginata. Ma poi ripensava allo sguardo di Asia, fisso in un punto imprecisato alle sue spalle...

Se davvero c'era qualcuno, lì, e aveva visto quello che avevano fatto, sarebbero state in guai seri.

Dall'aula accanto a lei proveniva un vociare fastidioso. Molte delle sue compagne di classe preferivano restare dentro, durante la ricreazione, per poter spettegolare in tutta libertà degli affari altrui. Jessica amava i pettegolezzi, erano l'arma che le aveva permesso di diventare così potente, tuttavia non c'era nulla che quelle ragazze avrebbero potuto dirle che lei non sapesse già. Grazie alle abilità da fotografa di Flavia, lei era sempre la prima a conoscere i segreti più oscuri di tutti i suoi compagni di scuola.

Inspirò a fondo, chiedendosi che fine avessero fatto Roberta e Flavia. Si erano allontanate dicendo di voler prendere un caffé alla macchinetta. Jessica non era andata con loro, aveva preferito restare un po' per conto proprio.

La verità era che, dopo quella sera, cercava di evitare il più possibile la compagnia delle altre. Roberta ancora le parlava di quanto fosse stato divertente, mentre per Flavia ogni occasione era buona per farle notare quanto avessero esagerato.

Jessica voleva solo dimenticare quel momento.

“Jess? Posso parlarti un attimo?”

Alessandro le si era avvicinato tanto che Jessica percepiva il suo profumo. Non aveva un odore particolare, sapeva di bagnoschiuma misto a dopobarba, ma per lei era come un afrodisiaco. Ogni volta che lo annusava, le tornavano dei flash di quando suo padre la abbracciava, da piccola. Aveva lo stesso identico odore.

“Sì?”, chiese Jessica. Le uscì una voce fin troppo acuta. Si morse il labbro, sperando che lui non se ne fosse accorto.

Gli occhi di lui sostarono qualche secondo sull'ampia scollatura, prima di sollevarsi per incontrare quelli di lei. “Sei davvero carina, oggi.”

Jessica sentì un formicolio piacevole fra le gambe. Moriva dalla voglia di sentire il tocco delle sue dita sulla propria pelle. Se non fossero stati a scuola, non avrebbe saputo resistere alla tentazione di buttarsi fra le sue braccia e lasciarsi spogliare. “Grazie,” rispose, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Alessandro lanciò un'occhiata all'interno della classe. “Tu sei in classe con Asia, vero?”, chiese.

Il cuore le mandò una fitta lancinante nel petto. Lo sfiorò con una mano, la bocca, resa lucente dal lucidalabbra, dischiusa. “Sì,” mormorò.

“Ecco... sai per caso che fine ha fatto? Sono due giorni che non viene a scuola. Sta male?”

Chiuse gli occhi, ricacciando indietro ogni lacrima, ogni singhiozzo pieno di angoscia. Non doveva preoccuparsi, non avrebbe perso un'altra volta l'uomo della sua vita. Quando Asia avrebbe trovato il coraggio di uscire di nuovo di casa, lui avrebbe scoperto il suo nuovo aspetto e sarebbe corso dalle braccia di Jessica. Era solo questione di tempo...

Nonostante continuasse a ripetersi quelle parole, Jessica non riusciva ad attenuare in alcun modo la propria sofferenza.

Avrebbe dovuto rispondergli, ma non ne trovò la forza. Temeva che, se avesse aperto bocca, la voce l'avrebbe tradita. Per questo restò in silenzio ancora qualche secondo, nella speranza che qualcosa la salvasse da quella situazione orribile. Avrebbe tanto desiderato sprofondare sotto terra e morire soffocata.

Roberta e Flavia scelsero proprio quel momento per tornare. Per la prima volta dopo quel fatidico giorno, Jessica fu felice di vederle.

Non trattenne un sorriso, che tuttavia si smorzò non appena notò le loro espressioni. Flavia aveva gli occhi rossi e lucidi, se ancora non era scoppiata in un pianto, presto l'avrebbe fatto. Roberta era truce, aveva le sopracciglia abbassate e lo sguardo preoccupato. Jessica non ricordava di averla mai vista in quello stato.

“Jess, dobbiamo dirti una cosa,” disse Roberta.

“Ehi, ciao!”, le salutò Alessandro.

La figlia del macellaio lo guardò appena, ma non gli diede retta. “È importante.”

Jessica ebbe appena il tempo di salutare Alessandro agitando una mano, che Roberta le afferrò l'altra e la trascinò lungo il corridoio. Flavia le seguiva, in silenzio, il respiro spezzato.

Le tre ragazze entrarono in una classe piccola e abbandonata, dove la polvere era la sovrana dei banchi, ammassati gli uni sugli altri. La cattedra era addossata al muro, inutilizzata, e presentava alcune ragnatele. I bidelli pulivano una volta all'anno le stanze ancora in uso, perciò Jessica non fu sorpresa dello stato penoso in cui versava quella classe.

Roberta le lasciò finalmente andare la mano. Le si parò davanti, con il suo metro e settantasette di altezza. Non cercò i suoi occhi, aveva il capo chino.

Erano in arrivo brutte notizie, molto brutte. Jessica si tormentò il labbro inferiore con gli incisivi.

“Cos'è successo?”, chiese, quando ne trovò la forza.

“È Asia il problema...”, rispose Roberta. Parlava con una lentezza insolita da parte sua. “Abbiamo sentito dei professori che ne parlavano...”

“No, non dirmi che ha spifferato tutto! Quella troia, adesso gliela faccio vedere io...”

“N-no...”, la interruppe. Jessica corrugò la fronte. “Lei... è morta,” terminò Roberta.

“Co...?”

“L'hanno ritrovata morta sul letto,” spiegò Roberta.

“Si è suicidata! Si è uccisa, ed è tutta colpa nostra!”, urlò Flavia. La figlia del macellaio le fece cenno di abbassare la voce, ma l'altra si limitò a scuotere la testa.

Jessica non riusciva a crederci. Quello era un incubo divenuto realtà. Era a conoscenza, da sempre, della depressione di Asia, per un certo periodo era stato un argomento di moda a scuola. Sapeva che visitivava uno strizzacervelli, che le aveva prescritto delle medicine. Sapeva anche che lei aveva smesso di prenderle, da quando aveva cominciato a uscire di nascosto con il professore di ginnastica.

Nonostante tutto, Jessica non avrebbe mai immaginato che avrebbe mai trovato il coraggio di arrivare a tanto.

“Non è vero,” replicò Roberta. “Non è colpa nostra se era una debole e depressa.”

“Depressa?”, sbottò Flavia, paonazza in volto. “Noi le abbiamo rovinato la vita! Se non ha trovato più le forze di andare avanti, è solo colpa nostra, porca puttana!”

Asia era sempre stata sull'orlo del suicidio, ma non era mai riuscita a perdere completamente la speranza. Per questo aveva sempre fallito. Ma loro tre avevano distrutto anche quel piccolo filo di speranza che le restava...

Jessica digrignò i denti, li strinse tanto forte che le parve di sentirli incrinarsi. “Ha lasciato detto perché l'ha fatto?”

La vita di Asia faceva schifo ancor prima del loro intervento. Non era detto che fosse per forza colpa loro. E, anche se lo fosse stata, nessuno avrebbe mai dovuto scoprirlo. Avrebbero passato dei guai seri, e la loro reputazione sarebbe venuta a mancare.

“Ma perché, serve che te lo dica qualcuno?”, Flavia riusciva appena a tenere basso il tono di voce. Sembrava sull'orlo di una crisi isterica. “Siamo state noi a ucciderla!”

Jessica scosse la testa. A quanto sembrava, il disco di Flavia si era incastrato. “Io non ho ucciso proprio nessuno. E neanche voi.” Lo disse più a se stessa che alle altre. Non ci credette neanche una sola parte di lei, ma farsi prendere dal panico non l'avrebbe aiutata in alcun modo.

“Mi stai prendendo per il culo?”

“So che ha lasciato un biglietto,” intervenne Roberta. Almeno lei aveva un'aria più lucida e pacata. Jessica si aggrappò a quella freddezza, ne aveva bisogno, non voleva precipitare nel baratro della disperazione. “Ma non credo abbia detto niente su di noi.”

“Bene,” sibilò Jessica fra i denti. “Deve restare un segreto, altrimenti...”

“Altrimenti cosa? Come potrebbe andare peggio di così? Non... non riuscirò più nemmeno a guardarmi allo specchio...” Flavia si era presa la testa fra le mani e la agitava con troppa energia. I capelli neri tinti balzavano di qua e di là, accompagnati dai lamenti della ragazza.

“Non l'abbiamo uccisa noi!”, urlò Jessica. Il secondo dopo, si portò una mano davanti alla bocca. Ormai era troppo tardi, poteva solo sperare che non stesse passando nessuno in corridoio. Aveva perso la calma. Se non si sbrigava a ritrovarla avrebbe fatto la stessa fine di Flavia.

“Sì, invece! Ma non te ne rendi nemmeno conto? Hai rovinato tre vite e ne hai spenta una, solo perché vuoi farti quello stronzo di Alessandro!”

“No... io... come facevo a sapere che sarebbe successo?”

“Porca puttana, Jess! Abbiamo fatto una cosa orribile! Siamo dei mostri!”

“Non è vero, smettila di dire stronzate,” s'intromise Roberta. Aveva assunto un tono glaciale. Se provava ancora delle emozioni, le aveva nascoste dietro una barricata indistruttibile. Jessica desiderò essere come lei, desiderò riuscire a ricacciare indietro quella sensazione terribile che le attanagliava lo stomaco. “Come fai a sapere che è colpa nostra? Era depressa già da prima, probabilmente sarebbe successo comunque.”

Asia aveva provato a mettere fine alle proprie sofferenze già un mucchio di volte, prima di quel giorno. Ogni volta la madre l'aveva trovata, e lei si era risvegliata in ospedale, con le voci di tutti gli abitanti del paese che spettegolavano del suo tentato suicidio. Anche quando tornava a scuola, si ritrovava gli occhi dei ragazzi e perfino dei professori puntati addosso per giorni, finché la notizia non veniva eclissata da qualche altro pettegolezzo.

Tuttavia, era da più di sei mesi che non accadeva più niente del genere, e Jessica aveva finito per dimenticarsene.

“Siete due teste di cazzo,” continuò Flavia. “Non so se fate solo finta di non capire, ma non mi interessa. Non voglio avere mai più niente a che fare con voi. Vaffanculo.” Con queste parole, aprì la porta e uscì dalla classe senza neanche guardare le sue vecchie amiche in faccia.

“Aspetta, non azzardarti a dirlo a nessuno!”, le urlò dietro Roberta, ma non ottenne alcuna risposta.

Jessica guardò Flavia allontanarsi lungo il corridoio, fissò le sue spalle curve, la sua schiena arcuata. Fino a un giorno prima, camminava sempre a testa dritta. Una sola notizia e la sua intera vita era cambiata per sempre.

Con la coda dell'occhio, Jessica notò la punta di una scarpa, una converse nera con le borchie. La persona a cui appartenevano se ne stava attaccata contro la parete. Aveva appena origliato la loro conversazione...

Come se si fosse resa conto di essere stata individuata, la persona sconosciuta si allontanò.

“Non darle retta.” Roberta le aveva afferrato un braccio per tirarla verso di sé. Le due si guardarono negli occhi. In quelli dell'altra, Jessica non scorse alcuna esitazione, alcun dubbio. Ancora una volta, invidiò quella sua sicurezza. “Forse è vero che abbiamo esagerato, ma non credevamo che sarebbe mai arrivata a tanto. Non è colpa nostra.”

Quelle parole avrebbero dovuto rassicurarla. Invece, Jessica non avrebbe saputo dire se fosse a causa di Roberta o se fosse stata la consapevolezza che qualcuno le avesse sentite, ma ebbero l'effetto contrario. Lo stomaco, già in subbuglio da prima, le mandò una fitta lancinante. Il dolore fu simile a quello che lei aveva sempre immaginato derivasse da un calcio che ti prende in pieno.

Represse a stento un grido, ma non riuscì a trattenere una smorfia. Si premette la mano contro lo stomaco, mentre un sapore di bile le annacquava il palato. La sentì risalire, premere per uscire.

Spinse via Roberta senza troppa delicatezza. “Scusami, devo andare in bagno...”



Il vomito galleggiava nell'acqua del vater. Non era cibo, era una sostanza liquida e giallognola. Jessica quella mattina non aveva avuto tempo di fare colazione, eppure la cosa non le aveva impedito di rigettare.

Rimase a fissare quello spettacolo disgustoso ancora per qualche istante. Si reggeva i capelli dietro la nuca con una mano, per evitare che si sporcassero. L'ultima cosa che le mancava, quel giorno, era andarsene in giro con del vomito attaccato ai capelli. Respirò a fondo, sentendo l'aria entrarle nei polmoni e gonfiarli fino al limite. Aspettò ancora per dei secondi interi, per assicurarsi che il suo stomaco si fosse calmato, e finalmente lasciò andare i capelli. Le ricaddero scomposti sul viso e sugli occhi, ma non si preoccupò nemmeno di spostarli.

Le parole di Flavia continuavano a riecheggiarle nella testa. Avevano fatto qualcosa di orribile. Avevano spento la vita di una ragazza innocente.

Scacciò quei pensieri agitando la testa. Se possibile, ciò che le venne in mente dopo fu anche peggio.

Qualcuno aveva ascoltato tutta la loro conversazione. Qualcuno che lei non avrebbe mai potuto rintracciare.

Non aveva il tempo di andare in giro per tutta la scuola a cercare una ragazza con quelle stesse scarpe: l'intervallo era già terminato e, non appena ne avesse trovata la forza, sarebbe dovuta tornare in classe. Avrebbe dovuto fingere di seguire la lezione, aggrapparsi alle nozioni inutili che gli insegnanti avrebbero spiegato, per evitare di impazzire.

Ma non poteva lasciare che quel qualcuno se ne andasse in giro a raccontare quello che aveva sentito.

Tirò l'acqua, ma non guardò il vomito scivolare giù lungo lo scarico. Abbassò la tavoletta e ci si sedette sopra, le mani davanti agli occhi. I singhiozzi arrivarono e fu impossibile ricacciarli indietro.

Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse lì, quando trovò il coraggio di riaprire le palpebre e fissare la porta chiusa di fronte a sé. Le parve come se fossero trascorsi solo pochi minuti, ma per quanto ne sapeva poteva trattarsi anche di ore intere.

Udì un rumore di passi avvicinarsi. Trattenne il fiato.

Un paio di scarpe si fermò proprio di fronte alla sua porta. Erano delle converse nere con le borchie.

Jessica si coprì la bocca con una mano per evitare di cacciare uno strillo. Il corpo era scosso dai tremiti, la gola all'improvviso le era diventata secca, arida più della sabbia nel deserto. Inghiottì, ma la salivazione sembrava quasi essersi fermata del tutto.

La persona sconosciuta bussò con vigore.

Jessica affondò i denti nella lingua, indecisa se rispondere o far finta di niente.

“O... occupato,” mormorò dopo un po'. Si era resa conto che l'altra persona poteva vedere i suoi piedi da sotto la porta, proprio come Jessica vedeva i suoi. Fingere di non esserci sarebbe stato inutile.

Passarono secondi interi, eppure non giunse risposta.

Bussò di nuovo, più forte.

Jessica chiuse gli occhi. Prese un lembo di pelle del braccio fra il pollice e l'indice e lo pizzicò, sperando di risvegliarsi nel proprio letto e scoprire che era tutto un terribile incubo. Asia era ancora viva, si disse, nel mondo reale era viva e sarebbe tornata a scuola, prima o poi, con il volto sfregiato, ad affrontare il suo destino.

Ma non si svegliò.

Bussarono ancora.

“Vattene via!”, urlò allora. Si era afferrata i capelli, tirandoli indietro. Non notò nemmeno il dolore che questo gesto le provocò, così come non si rese conto di aver cominciato a raschiarsi la pelle del braccio con le unghie. “Cosa vuoi da me? Vattene!”

Il volto immerso nelle lacrime, il cuore che le martellava nel petto così forte da farle male, si gettò in avanti e aprì la porta.

Gli occhi si sbarrarono, le labbra secche si dischiusero, formando una 'o'.

Lì di fronte a lei non c'era nessuno.

Note dell'Autrice:
Ciao a tutti! Questo era il secondo capitolo, da qui in poi direi che comincerà la parte "soprannaturale"!
Ma non ho molto da dire, perciò vi ringrazio per aver letto e mi dileguo.
   
 
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