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Autore: Earth    27/12/2015    2 recensioni
"Quando aprì gli occhi si ritrovò a fissare i fiori gialli della carta da parati che si rincorrevano, lungo tutto il perimetro del soffitto, in un girotondo silenzioso e spensierato. Un odore zuccherino e familiare invase il suo respiro e, per un attimo, credette che uno di quei boccioli biondi fosse caduto fino a lei. [...]
« Rinfrescami la memoria un attimo, dove è che lo abbiamo comprato noi questo TARDIS? » [...]
Quel posto doveva essere pieno di ombre, di segreti nascosti, che fossero poi nei sotterranei, nella torre più alta o nell'ala ovest a lei non importava, perché in quel momento Clara cercava solo un modo per far sbollire la rabbia."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Astrid Peth, Clara Oswin Oswald, Danny Pink, Doctor - 12
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Attenzione: Spoiler! Finale nona stagione! 9x10, 9x11, 9x12!

Seconda classificata al Winter Contest II° Edizione indetto sul forum di EFP da My Pride e portato a termine da meryl watase ( a pari merito con "Sotto il porticato" di AcquaSaponePaperella ).
Nona classificata al Flash contest – Who's gonna watch you die? Indetto da Stareem sul forum di EFP.

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Quando aprì gli occhi si ritrovò a fissare i fiori gialli della carta da parati che si rincorrevano, lungo tutto il perimetro del soffitto, in un girotondo silenzioso e spensierato. Un odore zuccherino e familiare invase il suo respiro e, per un attimo, credette che uno di quei boccioli biondi fosse caduto fino a lei. Poi, in un guizzo di lucidità, si tirò su, ritrovandosi seduta su un divano dalla pelle chiara e consumata.
La stanza in cui si trovava era piccola e satura di mobiletti: il divano scolorito, un tappetto dalla forma asimmetrica, un pianoforte che raccoglieva la povere sotto la finestra e una lampada magra, in un angolo, che illuminava timidamente un vassoio di dolcetti annoiato su di un tavolino.
Si alzò – barcollò leggermente, ma poi i suoi piedi trovarono l'equilibrio giusto – e fece qualche passo verso la vetrata, nascosta dietro le tende rosa, da cui la luce filtrava pigra. E mentre si guardava intorno notò come in tutta la stanza vi era un suono curioso, sordo e regolare, di cui non riusciva a individuare la provenienza; sembrava una conta o un orologio che batteva il tempo in lontananza.
Si accorse di un filo di fumo che saliva su per la cappa del caminetto; avanzò fino all'invisibile fiammella e alzò lo sguardo sulla fila di cornici di legno chiaro che sfilavano sul bordo del camino.
Osservò quei volti che le sorridevano, sguardi schietti, fermati per un istante e immortalati per sempre.
C'era anche lei nelle foto: nel suo primo giorno di scuola con la coda di cavallo disordinata, al suo quindicesimo compleanno con il viso ancora sporco di torta, in quel Natale in cui aveva dimenticato di fare il regalo alla nonna e in una mal riuscita scampagnata con suo padre.
Sorrise.
Poi uno scricchiolio la fece voltare. Vide uno specchio sulla parete, vi si accostò e, dopo qualche secondo, decise di guardarci dentro: Clara.
Clara Oswin Oswald si fissò per qualche istante: quel suo caschetto castano, quel filo di matita ormai sbiadita attorno agli occhi e il colletto della camicia che scappava fuori dal maglioncino celeste. Socchiuse gli occhi, inclinò leggermente la testa e mosse una mano, come a fare ciao–ciao, in un maldestro tentativo di assicurarsi che fosse lei.
Sorrise ancora e vide le proprie labbra curvarsi in quella così semplice certezza di ritrovarsi davanti a se stessa.
Poi si voltò leggermente, raccogliendo i capelli, e sfiorando con le dita la base del collo dove il tatuaggio non c'era più. E sussultò nel trovare l'origine di quel suono che continuava a riempirle le orecchie, nel sentire il battito del proprio cuore sotto la pelle.
« Devo dirtelo: sei in ritardo. » Il riflesso di Danny apparve alle sue spalle.
Lei corrucciò la fronte, lo osservò, per un attimo incerta se credere o no a quel curioso specchio delle brame, ma poi si voltò, abbracciandolo forte distruggendo ogni incertezza. Ed era lui, proprio come se lo ricordava; l'odore del suo professore di matematica – o di ginnastica? A lei andava bene lo stesso – l'investì, mentre lui ricambiava quell'abbraccio. « Credo di essermi persa » rispose Clara, sciogliendosi un poco da quella stretta.
Danny ridacchiò: « la prossima volta ti conviene portare dietro una cartina. »
E rise anche lei, mentre i battiti dei loro cuori si sincronizzavano.
Ma era vero: Clara si era persa.
Dopo che aveva visto il suo Danny andarsene via per sempre, volare via promettendole il suo amore, dopo che lo aveva visto non tornare mai più. Così, un po' per sbaglio e un po' per volontà, aveva lasciato un sorriso su di un pianeta, uno sguardo in un epoca lontana, una risata su di un'astronave, un pensiero in una corsa. E, a poco a poco, Clara si era smarrita, in quel labirinto fatto di mondi da salvare, di respiri affannati e avventure da rincorrere.
Era stata impossibile e coraggiosa, ma con il passare dei giorni Clara aveva dimenticato anche la paura. Era sempre stata una ragazzina giudiziosa fin da piccola, da quando la mamma le ripeteva di non parlare con gli sconosciuti, ma poi doveva aver perso quel post–it giallo su cui era solita appuntare le cose importanti – era successo in una mattina calda in cui il sole brillava imperterrito sull'asfalto, oppure in una di quelle sere in cui, tornata a casa troppo tardi, non trovava mai le chiavi della porta in quella maledetta borsetta con i lustrini.
Clara aveva visto cose incredibili, aveva conosciuto eroi, i suoi eroi, e aveva creduto di essere invincibile.

Quella volta Ashildr – Me – aveva le scarpe sporche di fango e le mani macchiate di fuliggine e, ad un tratto, si era fermata. Erano ore che camminavano a vuoto in quel labirinto alieno fatto di comignoli e pozzanghere e poi Ashildr si era guardata intorno confusa e, mentre Clara ancora seguiva la loro strada invisibile, si era seduta sul tronco di un albero caduto.
« Dovevamo girare a sinistra, te l'avevo detto! » l'aveva chiamata, e Clara era tornata indietro, calpestando le sue stesse impronte.
« Rinfrescami la memoria un attimo: dove è che lo abbiamo comprato noi questo TARDIS? »
Clara ridacchiò e si sedette anche lei sul quel tronco dormiente: « non lo abbiamo comprato, lo abbiamo rubato. »
Ashildr arricciò il naso « Credo che dovrò rileggermi quella parte. »
Clara le sorrise e si stiracchiò le gambe stanche del troppo girare in tondo.
« Questo posto odora di morte da tutte le parti. »
Ed Ashildr aveva ragione: non un'anima, non un battito, solo silenzioso grigiume viveva in quella landa.
« A volte mi ricordo di persone che ho dimenticato. Capita nei momenti più disparati: quando faccio colazione o leggo un libro, mentre sono nel bel mezzo di una guerra, una volta perfino mentre mi lavavo i denti...
« E ovviamente sono morte. E poi scopro che le ho amate, che gli ho voluto bene e che ho pianto tutte le mie lacrime nel vederli scomparire. »
Clara quella volta aveva stretto i denti e guardato lontano verso l'orizzonte opaco; chissà se anche a
lui, a volte, capitava di ricordarsi di lei, di loro.


« Dove siamo? » chiese mentre Danny le appoggiava un braccio attorno alle spalle e la accompagnava oltre la porta del salotto.
« È un po' difficile da spiegare » ammise il ragazzo « però non è niente male. Vedrai che ti abituerai in fretta. »
E lei pensò che sì, voleva abituarsi in fretta a quel – di nuovo – suo Danny.
Così entrarono in quella che, agli occhi di Clara, si presentò come una cucina ricoperta da una nevicata di farina e zucchero.
« Ti dai anche alla pasticceria adesso? » chiese allegra liberandosi dal braccio del ragazzo e passando un dito sul tavolo.
« Mi dispiace deluderti, ma no » rispose lui « non sono io a fare i dolci » e con un cenno del capo indicò qualcosa alle sue spalle.
Clara ancora lo guardava, sorridendo, con l'indice bianco alzato quando uno sbatacchiare di pentole la fece voltare: da dietro il tavolo apparve una signora con i capelli raccolti in una coda un po' cadente ed un grembiule a quadretti.
« Oh, tesoro, benarrivata! » la donna si avvicinò a Clara e la strinse forte in un abbraccio che aveva lo stesso odore zuccherino dei fori della carta da parati « Mi sei mancata tanto » le sussurrò all'orecchio.
Clara la osservò per qualche secondo senza sapere con chi stesse parlando fino a che non sentì il respiro mancarle e il cuore battere forte.
Posò lo sguardo sul vestito verde bottiglia della donna, che aveva indossato in quell'ultimo Natale, e sul filo di perle – false, Clara lo sapeva – che avevano comprato insieme quel giorno di pioggia al mercatino delle pulci.
« Mamma » e Clara non riuscì a dire altro perché, un po' per la gioia, un po' per la sorpresa, la gola le era diventata secca, arida come il deserto di Gallifrey.
« Sì, tesoro, sono io » e la mamma le accarezzò una guancia – era rimasta uguale, con gli occhi scuri e profondi della foto all'ingresso.
Poi però del fumo alle spalle di Ellie Oswald iniziò a conquistare la stanza.
« Oh santo cielo! » esclamò correndo verso il forno « oddio, ragazzi per favore potete aprire la finestra » disse tra un colpo di tosse e l'altro « si sta bruciando tutto! »
E Clara e Danny risero, spalancando la porta a vetri che dava sul balconcino.
« Ehi » le chiese lui togliendole un po' di farina dalla spalla « va tutto bene? »
Clara annuì osservando il cielo che sovrastava i grattacieli: era così azzurro che solo un principe – un vero principe, di quelli che vivono in un castello, che arrivano al galoppo del loro destriero bianco, con la spada al fianco e che salvano le principesse dai draghi e dalle streghe – avrebbe potuto competervi.
« Insomma » continuò lui « non è facile accettare di... di essere qui. »
« Danny » lo interruppe lei « so cosa pensi, ma credimi io– »
« Lui starà bene? » e Clara fece per continuare, ma poi si fermò e guardò Danny sorpresa da quella domanda.
« Lui » rispose mentre lasciava cadere lo sguardo sul balcone difronte – dove una signora dalla pelle ambrata stendeva il bucato – e un sorriso caparbio le si faceva strada sulle labbra: « Lui sarà il Dottore. »

Clara camminava svelta, con i pugni serrati e la fronte corrucciata. Marciava per i corridoi del TARDIS che gorgogliava ogni volta che svoltava un angolo.
Quel posto doveva essere pieno di ombre, di segreti nascosti, che fossero poi nei sotterranei, nella torre più alta o nell'ala ovest a lei non importava, perché in quel momento Clara cercava solo un modo per far sbollire la rabbia.
Chi si credeva di essere il Dottore per dirle quando "era ora di tornare a casa" ?
Clara sapeva badare a se stessa ed era abbastanza grande da saper leggere l'orologio. Non aveva certo bisogno di un grillo parlante che le ricordasse l'avvicinarsi della mezzanotte.
E si morse il labbro quando si ritrovò davanti la porta del guardaroba per la terza volta.
« Tu non demordi mai, eh? » soffiò all'indirizzo della nave.
Poi afferrò la maniglia d'ottone sbiadito ed entrò.
Un leggero odore di flanella l'accolse e, mentre scorreva con lo sguardo una fila di soprabiti, dovette ammetterlo: se lo ricordava più grande quel posto.

E provò un certo senso di appagamento alla quattordicesina scarpa che tirò fuori dalla scatola.
Forse il TARDIS aveva ragione: le avrebbe fatto bene un po' di sano shopping natalizio – o era Ferragosto? E i saldi? Non poteva essesi persa anche quelli. Ma Clara dovette ammettere anche questo: non se lo ricordava.

Solo quando stava per andarsene scorse il Dottore, dietro uno scaffale di cappelli, intento a piegare una camicia.
Clara sospirò e gli si avvicinò.
« Che fai? » chiese accostandoglisi – e si sentì un po' una bambina che cerca di chiedere scusa ai grandi per aver mangiato tutte le caramelle.
Il Dottore non aveva sussultato sentendo la sua voce, si era solo fermato – con il colletto spiegazzato tra le mani – e l'aveva guardata alzando un sopracciglio. Clara gli sorrise sperando che lo shopping facesse bene anche ai Signori del Tempo.
« Cercavo una giacca nuova » disse lui.
« Quella con il risvolto rosso non va più bene? » chiese ancora Clara – rosso come l'inchiostro che macchiava le dita di lei, perché quei bambini ancora non avevano imparato la differenza tra passato remoto e l'imperfetto.
« Non sempre appare chiaro a tutti il motivo per cui ci si cambia d'abito » il Dottore guardò Clara, scrutandone lo sguardo – e l'anima.
E per un attimo nessuno dei due parlò.
« Cosa ne pensi dei Gran Balli? » chiese poi lui.
Clara lo guardò interrogativa.
« Ne danno uno su Marte la settimana prossima » continuò l'alieno dai capelli grigi prendendola per mano e facendo un paio di passi verso una parete piena di abiti da sera scintillanti « potremmo andarci questa notte, che ne dici? »
Lei sorrise e non poté impedire ai suoi occhi di imitare il luccichio di quei vestiti.
« Va bene » rispose piano « ma prima devo passare a scuola per fare l'appello. »


Poi le dita di Clara si intrecciarono a quelle di Danny e, mentre l'odore di soufflé impregnava i loro vestiti, guardò oltre la ringhiera dove quella misteriosa cittadina si infittiva e le lenzuola appese ai fili, tra un balcone e una finestra, sventolavano come vessilli di un esercito, come bandiere di una festa.
E Clara pensò che, alla fine della storia, erano stati i suoi occhi a vederla morire. Era stato lo sguardo del Dottore ad accompagnarla quando era caduta, sotto il grido tetro del corvo.
E gli sarebbe stata grata per sempre, anche se, un po', le lasciava l'amaro in bocca la certezza di non poter ricambiare quell'amore.







# Note: devo ammetterlo questa storia l'ho scritta un pochino di fretta e spero vivamente di non aver fatto un buco nell'acqua, perché ad essere sincera non ne sono del tutto soddisfatta, ma ci tenevo a pubblicarla e quindi eccomi ^.^
Sì, la storia è ambientata dopo la morte di Clara, nel Nethersphere/al di là/ chiamatelo un po' come volete che viene accennato nel finale della scorsa stagione.
Spero si sia compreso come la ff sia divisa in: una parte ambienta nel presente narrativo (quella scritta in normale) intervallata da due flashback (quelli in corsivo e allineati a destra) del passato di Clara: il primo fa riferimento al periodo dopo l'ultimo episodio in cui lei e Lady Me viaggiano insieme e il secondo ad un momento non ben precisato, ma comunque collocabile tra gli episodi finali della nona stagione.
Ora spero tantissimo di non essere andata Out Of Character, e su questo punto ci terrei a precisare un attimo il comportamento di Clara nell'ultimo flashback poiché non era affatto mia intenzione rappresentarla come una ragazza frivola o superficiale, anzi tutt'altro! Ma ho avuto come la sensazione che Clara non si fosse mai ripresa dalla morte di Danny e di come lei volesse scappare il più possibile dalla realtà e che il Dottore ne fosse più che consapevole. E ho tentato di descrivere questa sensazione. Per quanto riguarda il pezzo finale era mia intenzione mostrare come il legame tra Clara e il Dottore sia diventato qualcosa di indelebile, una costante, un ricordo, di cui lei non potrà mai fare a meno.
Detto questo sparisco, sperando in un vostro piccoliiino parere mie adorati lettori *_* grazie di essere arrivati fino qui ^.^



   
 
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