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Autore: Clockwise    27/12/2015    4 recensioni
Servono dieci anni di sogni (un'ape e un trifoglio), per costruire una storia insieme (un prato).
È innocua, John lo sa bene. L'ape si inebria, beata, del polline profumato che sembra esalare da quel piccolo uomo – il capo dorato, gli occhi luminosi, la pelle splendente. È così bello – l'ape vorrebbe solo sfiorarlo, dargli un bacio. Niente di più – un bacio gentile, casto, puro, d'amore.
Lo ha ferito.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bonne soir!
Due paroline e poi vi lascio tranquilli. E' una sorta di esperimento – una raccolta di sogni, uno per Sherlock e uno per John, lungo dieci anni. Non ha a che vedere con le altre storie che avevo pubblicato. I numeri dopo il cancelletto sarebbero la notte in cui avviene il sogno, dal momento in cui si incontrano.
Buona lettura, buone feste e buon anno :)
-Clock

 

 
To make a prairie



To make a prairie it takes a clover and one bee,
One clover, and a bee,
And revery.
The revery alone will do,
If bees are few.
Emily Dickinson, #1755



#62

Gli ultimi brandelli di sonno scappano dalle sue ciglia quando sbatte le palpebre. La polvere danza sui corridoi di luce che filtrano dalle tende. John si passa una mano sul volto, girandosi sulla schiena. Che sogno, che ha avuto. Lui e Sherlock si trovavano in un posto stranissimo, sembrava di stare sul fondo del mare, roccioso, il cielo verde. Sherlock gli scappava, non riusciva mai a vederlo in volto, e lo rincorreva, lo rincorreva, vedeva solo i lembi del suo cappotto svolazzargli sotto il naso. Alla fine lo aveva afferrato per una manica e voltato verso di sé, e Sherlock aveva sorriso e lo aveva baciato. A John sembra di avere ancora sapore di salsedine sulle labbra.
Si sistema un braccio sotto la testa, contando meccanicamente le crepe nell'intonaco del soffitto.
E se lo raccontasse a Sherlock?
“Ehi, senti, so che sei sposato con il tuo lavoro eccetera, ma il mio subconscio ha detto che sono innamorato di te, e io sono d'accordo con lui. Che si fa?”
Si immagina la faccia di Sherlock e ridacchia. No, non potrebbe mai dirglielo. Sherlock non ricambia, e John sarebbe costretto a troncare la loro amicizia – assolutamente no, questo mai.
E poi, ma cos'è tutta questa storia di John innamorato, fermi tutti? Solo perché ha fatto un sogno particolare... Non ha mai nemmeno creduto in queste scemenze. Probabilmente vuol dire soltanto che ha bisogno di trovarsi una ragazza. E probabilmente Sherlock era la prima faccia che il suo subconscio aveva a portata di mano. E poi John non è gay, quella è sua sorella, lui è quello normale della famiglia, non può mica mandare tutto all'aria così...
, decide, alzandosi con un po' troppa foga dal letto, rifugiarsi in queste scuse è molto più comodo che ammettere che Sherlock non ha e non avrà mai alcun interesse per me. Meglio ritirarsi in partenza, se la battaglia è persa.
Ci sono tredici diverse crepe solo nella parte in alto a destra, forse è ora di imbiancare di nuovo.


 
#375

C'è una luce violenta che irrompe dalle finestre del soggiorno. John è in poltrona.
«Ehi, Sherlock, puoi venire un istante?»
Sherlock vede sé stesso, di spalle, muoversi attraverso il soggiorno e fermarsi davanti a John. Il medico si alza e gli sorride, gli posa le mani sulle braccia. Sherlock sente calore alla pancia, e nei punti in cui lo tocca – strano, lui è fuori dal suo corpo. Le mani di John fanno su e giù sulle sue braccia, poi una risale fino alla spalla, l'altra si ferma sul fianco. Sherlock sente un gorgoglio di piacere nel ventre, sente il sangue più caldo. John si fa più vicino – Sherlock però non può vederlo in viso, e catalogare le sfumature delle sue iridi o analizzare di cosa è fatto il suo profumo, perché c'è la sua stessa sagoma a bloccargli la strada. La mano di John sale sul collo, si ferma possessiva sulla nuca, il pollice accarezza reverente la gola e la mandibola – Sherlock sente una bassa onda di piacere irradiare dalla sua nuca e scendere giù per tutto il corpo. La mano sul suo fianco lo stringe, morbida, nella stessa morsa in cui Sherlock si sente strizzati il cuore e le viscere. Eppure non riesce a vederlo.
John si avvicina ancora, Sherlock lo sente sempre più vicino al suo viso – e mentre si sveglia capisce che non ha bisogno di vederlo per sapere che le sue iridi sono blu di Prussia, screziate di ocra, terra bruciata e ossidiana, e che il suo profumo è quello di legna arsa, sapone al muschio e calore – il calore può avere un profumo? – John sa di casa.
Si sveglia boccheggiando, in apnea. Ah, se è questo l'effetto che i sogni fanno su di lui, starà bene attento a dormire anche meno di prima...
In realtà, rettifica subito una voce nella sua testa, questo è l'effetto di John su di te. Il Mind Palace si mobilita per zittirla, per l'ennesima volta.


 
#782

Sherlock sta cadendo. Di nuovo. E John sa già come andrà a finire – l'urlo brucia i polmoni, raschia la gola, lo lascia svuotato – come l'ha lasciato Sherlock, gettandosi da quel maledettissimo tetto. John si tira su boccheggiando, la gola dolente – e vorrebbe, vorrebbe così tanto potersi passare una mano sugli occhi, andare in soggiorno e dire, “Oh, Sherlock, che brutto sogno che ho fatto”, poi riderci su e farsi una tazza di tè, e l'ha fatto, è imbarazzante ammettere quante volte si è svegliato urlante, ha fatto finta di niente e ha preparato il tè per due. Quante volte si è girato, nella folla della metropolitana al mattino, credendo di aver visto una nuca, un cappotto, una sciarpa familiari – quante volte, girando a caso le manopole della radio, ha trovato qualche brano di musica classica e ha detto, “Ehi, Sherlock–” e le parole gli sono morte in bocca. Perché Sherlock non c'è più, nonostante la sua ombra continui a tormentarlo a qualunque ora del giorno – John non sa se desiderare di sognare o di essere sveglio, qualunque opzione è un incubo. Perderà il lume della ragione, prima o poi. Perché Sherlock non c'è più.

 
#1059

«Vediamo quanto sei disposto a collaborare...»
I suoni gli giungono ovattati, non capisce bene perché. È come se avesse l'acqua nelle orecchie – acqua nelle orecchie, che pensiero buffo, sono così tanti giorni che non si fa un bel bagno come si deve, con le bollicine, i sali profumati, a John dava sempre così fastidio che si facesse il bagno, diceva che consumava tutta l'acqua calda, e una volta aveva aperto la porta senza bussare e l'aveva visto lì dentro, tanto le bollicine coprivano tutto, ma John era arrossito e si era masso a parlare ad alta voce sbattendo la porta, che buffo...
Ahi, dolore. Oh, così tanto dolore, la schiena, brucia, che male... Il dolore lo sente bene, sì, per un momento gli riaccende i sensi abbastanza da rendersi conto di trovarsi in una situazione niente affatto rosea – l'hanno drogato, portato in quel bunker maleodorante e ora stanno cercando di fargli sputare qualche informazione – fatica sprecata, Sherlock non saprebbe dire nemmeno il proprio nome completo, al momento – idioti, la dose era troppo forte.
«Allora, dobbiamo andare avanti? Non c'è niente che vuoi dirci?»
Aaah, di nuovo. Stringi i denti e zitto, Sherlock, che dolore...
«Cos'è questo silenzio? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Di nuovo. Sente la carne della sua schiena bruciare. Il dolore è indescrivibile. Eppure lo sta facendo per un motivo, è lì per una ragione, lo sa bene...
«Niente timidezza, andiamo...»
Ah.
Sherlock piange, si morde le labbra a sangue.
C'è John che legge il giornale nel 221b assolato, sorseggia tè, gli sorride, gli parla. Tutto il resto è dolore – per quella silenziosa bolla di pace dorata, sopravviverà.


 
#1402

Tutto è molto rumoroso, bianco, accecante – la musica è una fanfara, l'odore dei fiori dà alla testa, gli invitati sono troppi, la chiesa troppo piccola. John viene praticamente spinto verso il minuscolo altare al braccio di una sposa velata di bianco – Mary. La navata sembra rimpicciolirsi man mano che camminano – John si sente come Alice nel Paese delle Meraviglie, quando mangia il pasticcino. Si inginocchiano davanti all'altare, per poco non sbattono le teste sul soffitto affrescato – il prete, le damigelle, gli invitati sono così piccoli laggiù in basso. Il prete deve urlare per farsi sentire, John non ha idea di quello che sta dicendo, è improvvisamente euforico, nonostante la leggera claustrofobia. Quando tutta la chiesa grida di “baciare la sposa”, John sente le campane suonare, assordanti, e si volta verso Mary. Gli sembra di muoversi nella gelatina: alzare quel velo diventa così faticoso, le mani sembrano non rispondergli più. Finalmente ce la fa, e le campane gli rimbombano nelle orecchie, e Sherlock gli sorride da sotto il velo bianco, il viso incorniciato di riccioli, gli occhi luminosi...
John apre gli occhi con un sussulto. Il suo primo istinto – del tutto irrazionale, ovviamente – è di riaddormentarsi e baciare la sposa, ma sa bene che non ci riuscirà mai. Sbatte le palpebre un paio di volte per svegliarsi per bene e mettere a fuoco la camera in penombra – è tutto ancora così vivido, gli sembra di sentire le campane.
«Non c'è che dire, Sherlock, in bianco sei una visione» mormora prima di rendersene conto. Chissà come sarebbe stato, baciare quelle labbra, hanno una forma che lo ha sempre incuriosito molto...
Mary sospira nel sonno, accoccolata accanto a lui. A John sale un conato di vomito – vorrebbe prendere la sua stupida mente e tornare indietro, riscrivere il sogno e piazzare Mary, sotto il velo, dove è giusto che stia.


 
#1825

«Sai che non ci riuscirai mai.»
Un labirinto con le fattezze del suo Mind Palace. Niente da dire, la sua mente è raffinata.
«Sai che non tornerai mai da John.»
È la voce di Janine, o è una sua impressione? Sherlock continua a camminare spedito, attraversa gli atri del primo piano – gli archivi, le memorie infantili e le nozioni di base, quelle indispensabili.
«Sai che lui se n'è andato, è con un'altra adesso.»
Una scala, una scala, da quando c'è una scala nel suo Mind Palace? Dove porta? Non riesce a ricordare... Era la voce di Mycroft, quella?
«Sono in luna di miele... Si staranno divertendo tantissimo, proprio adesso, su un lussuoso letto d'albergo...»
Irene.
Stringe i denti e continua a salire, gli manca il fiato. Secondo piano, ala Ovest. Le camere blindate – gli affetti, le memorie, i tesori.
«Oh, è qui che tieni John, non è vero?»
Mrs Hudson? Il suo subconscio è davvero infido.
«Perché non dai un'occhiata? Rinvangare i vecchi tempi non serve a niente, non fa che aumentare il dolore, ma è tutto quel che ti resta...»
Spinge la porta, esitante. C'è un neonato, in una culla. Il figlio di John, Sherlock lo sente. Si avvicina, vuole guardarlo – chissà se assomiglia a John, chissà se lui gli farà da padrino, chissà se costruiranno un buon rapporto, chissà se potrà amare quel bambino sognando che abbia altri genitori, chissà se il dolore e l'amore lo uccideranno.
Un pianto si alza, lieve. Sente il profumo di John, scosta la tendina.
«Ciao, dolcezza. Did you miss me?»
Sherlock trasalisce. E Moriarty ride, ride, ride sguaiatamente, grottesco e orrendo in quella culla bianca, ride e Sherlock si tappa le orecchie, ride e Sherlock strizza gli occhi, ride e Sherlock si sveglia.
Il sogno sta diventando peggio della realtà, ultimamente.


 
#2036

Assomiglia alla vecchia casa in cui lui e Harry sono cresciuti – ma John sa che è la sua casa, adesso. I muri sono intonacati di bianco, il prato è di un verde che tende all'oro, il cielo di un azzurro fragile, pallido come gli occhi di Sherlock. Amanda è lì, in mezzo all'erba alta, che gioca, corre. Rincorre qualcuno? Sì, ecco Sherlock sventolare una mano, correre nell'erba, girarsi per vedere se Amanda lo sta ancora inseguendo. Arrivano ad un dirupo – c'è il mare, sotto di loro – Brighton, sussurra la voce della memoria, è il mare di Brighton, dove ha trascorso tutte le estati della sua infanzia. Sherlock sorride, di un sorriso da strappare il cuore, e salta – John si sente morire, letteralmente morire, è pronto a saltargli dietro, ma lo vede fluttuare. Non crede ai suoi occhi: Sherlock plana dolcemente nell'aria, con la grazia di una libellula, per poi tuffarsi tra i flutti.
John si sveglia con il ronzio degli insetti nelle orecchie e gli occhi ancora pieni di sole. Si volta nel grande letto, tastando meccanicamente il materasso – freddo. E la realtà lo schiaffeggia in pieno volto: Sherlock è in missione da sei mesi, Mary è morta e lui occupa quel letto vuoto che non gli appartiene per sentirsi meno solo.
Serra le palpebre, tentando disperatamente di tornare in quel bellissimo sogno crudele.


 
#2521

Il signor Openshaw ha un'imponente collezione di pupazzi a molla, di quelli ridicoli che saltano su da scatole colorate. Ne ha a dozzine, impilati nel soggiorno – ci sono orsi, razzi, giullari e un numero spaventoso di clown. Sherlock non era uno di quei bambini che piangevano davanti ai clown che regalano palloncini al supermercato, ma aveva visto It da piccolo, con Mycroft, e gli facevano un certo effetto.
«Ecco, signor Holmes, le lettere che ho ricevuto... Tutte firmate 'KKK', non capisco, le confesso di essere piuttosto preoccupato...»
Le scatole iniziano a suonare la loro ridicola canzoncina, mentre il suo cliente continua a parlare, e poi si aprono tutte insieme, una dopo l'altra, a raffica. Sherlock vuole ignorarle, concentrarsi sul caso, ma quegli assurdi pupazzi continuano a rimbalzargli in faccia, uno più brutto dell'altro, tutti improvvisamente con le fattezze di John, e la canzoncina diventa una cantilena:
Io non ti amo, Sherlock, non voglio stare con te, Sherlock, chi mai starebbe con te, Sherlock, io non ti amo, Sherlock, non voglio stare con te, Sherlock...”
Si sveglia di soprassalto. Deglutisce e scuote la testa per togliersi quel ritornello dalla mente. Che idiozie. Si vergogna di sé stesso.
Da la colpa al divano di Lestrade – il più scomodo su cui abbia mai dormito – si tira su e dedica cinque minuti ad analizzare la sua situazione. Sherlock ha dichiarato – brutalmente e senza alcuna delle parole che si era preparato, è vero – i suoi sentimenti; John gli ha detto chiaro e tondo che non staranno mai insieme perché Sherlock è troppo instabile e a lungo andare John ne avrà abbastanza – a grandi linee, questo è quello che Sherlock ha capito; Sherlock se ne è andato sbattendo la porta.
Decide che deve fare un uso migliore del suo tempo, invece di sprecarlo con sogni senza senso, quindi riordinerà la libreria dell'ispettore – la sua smorfia inviperita domattina lo ripagherà di molti incubi.


 
#2782

«Sherlock, ascoltami, ti prego. Sono mesi che cerco di parlarti.»
È come se fossero immersi in un acquario – le parole si perdono nell'acqua, sono inutili.
«Sherlock, perdonami.»
Sherlock gli volta le spalle e si allontana, diventa un puntino nero sempre più piccolo. John allunga una mano per trattenerlo, ma solo acqua gli scivola fra le dita, gli entra nel naso finché John non respira più, tossisce e un vento arido gli sferza la faccia. Il cambio è repentino e brutale, e John riconosce la situazione perfettamente: caldo, sole, sabbia, sangue, metallo, polvere da sparo. Sono anni che non ha di nuovo questo incubo – stranamente, è cosciente di trovarsi in un sogno, ma non riesce a svegliarsi, quindi va avanti.
Cammina nel deserto fino ad un camion, in mezzo ad una folla di soldati. Prende il suo fucile e il suo elmetto, si unisce alla marcia. Si apre il fuoco. E quello che lo lascia spiazzato è il cielo: azzurro pallido – di solito, diventa sempre plumbeo, o di un bianco terrificante, a questo punto. John spara e schiva proiettili, fra urla, sabbia, sudore e sangue. In breve, ne è coperto, anche se non sono molti i caduti intorno a sé – ma sopratutto, il nemico è invisibile. Cerca di avanzare fino alla prima linea, o di capire dov'è il suo battaglione, ma viene distratto – una testolina bionda, in mezzo a quell'inferno. Il cuore gli martella in gola, congela nel terrore. Perché Amanda è lì? Cosa ci fa, chi ce l'ha portata, che cosa–
È più rapido del suo pensiero. È un'ombra, che si lancia su di lei, la prende in braccio e corre nelle retrovie, in salvo – gli passa accanto, è Sherlock, in completo, senza elmetto né fucile, che stringe convulsamente Amanda a sé. Il sollievo invade John e gli fa tremare le gambe, finché il terrore non sopraggiunge di nuovo. È Sherlock in ginocchio, una chiazza rossa sulla sua schiena, Amanda corre via, non ci crede, non può essere, non possono togliergli Sherlock di nuovo, non di nuovo, non così, non–
Qualcuno lo sta cullando. John non vede chi, è buio pesto. Qualcuno lo culla e gli accarezza la schiena, gli sussurra nell'orecchio parole calmanti. John si aggrappa forte alle braccia che lo circondano e si lascia andare, per la prima volta dopo tanti anni. Confessa tutto il suo dolore, il suo rimpianto, la sua rabbia, il suo amore. Le braccia che lo stringono non smettono di cullarlo, dolci; lo fanno distendere e, gentilmente, lo guidano verso un'oblio rilassante, senza sogni.
John non riuscirà mai a capire se è stato tutto un sogno o se c'era davvero qualcuno – cioè Sherlock – con lui, quella notte. Ma Sherlock sembra tranquillo, il mattino dopo, in pace con sé stesso. Quando John decide di baciarlo, non si tira indietro.


 
#3005

C'è un'ape, che ronza intorno al viso di John. Lui si allontana istintivamente, ma quella non demorde. È innocua, John lo sa bene. L'ape si inebria, beata, del polline profumato che sembra esalare da quel piccolo uomo – il capo dorato, gli occhi luminosi, la pelle splendente. È così bello – l'ape vorrebbe solo sfiorarlo, dargli un bacio. Niente di più – un bacio gentile, casto, puro, d'amore.
Lo ha ferito. John ha arricciato le labbra quando l'ha baciato, ha stretto la mano a pugno. L'ape sente il suo dolore pulsare vivo, e sente sé stessa farsi sempre più debole. Quel bacio l'ha prosciugata, non ha più niente da dare. Il suo pungiglione è rimasto inculcato nella bella pelle, la sua morte è vicina.
E invece, John la salva.
Basta una goccia di miele. Dorata, dolce, perfetta – l'ape riesce a scivolare via, il suo pungiglione con sé, viva, per miracolo, si libra nell'aria davanti al sorriso di John. L'ha salvata, nonostante il dolore che gli ha causato. Poteva schiacciarla, ucciderla, e non l'ha fatto. Ha accettato il suo bacio.
Sherlock si sveglia, per la prima volta dopo molto tempo, sorridendo.


 
#3262

Un prato si distende a perdita d'occhio, fino a confondersi con l'azzurro, screziato di nuvole bianche, come un dipinto. C'è un'ape, che ronza tranquilla, di stelo in stelo, da un trifoglio all'altro. Il ronzio spensierato è quasi musica. Il prato è verde e rigoglioso, le api hanno fatto un bel lavoro.
C'è pace.

 




 

  
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