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Autore: ladyRahl    28/12/2015    0 recensioni
Un nuovo caso coinvolge Sherlock e Joan, che si trovano a dover fare i conti con una delle organizzazioni criminali più pericolose al mondo. Le cose sembrano mettersi male, quando un ragazzo attira l'attenzione di Holmes. Cosa si nasconde dietro le sue apparenti intenzioni? Quale strano passato lo tormenta? Per quale motivo Sherlock si sente così legato a lui? Storia che metterà alla luce tratti nascosti del famoso detective, il quale dovrà fronteggiare uno dei suoi più grandi timori, a cui cerca invano di sfuggire: il suo lato più umano.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Coraggio, Jaroslaw" lo incitò la donna. "Non puoi dormire tutto il giorno! Abbiamo diverse cose da fare oggi"
La sua voce risultava più stridula del solito, probabilmente per colpa di quel dannato mal di testa. Gi pareva di avere due trapani che gli perforavano le tempie e ogni cosa gli provocava un fastidio insopportabile. In quel momento avrebbe venduto l'anima per una dose.
La sera prima era riuscito a guardare tutta la partita insieme a Josh. I due avevano chiacchierato per quasi due ore del più e del meno, ma alla fine aveva dovuto cedere alla stanchezza.
Verso le otto e trenta, quando la dottoressa Allen e Kent erano arrivati nella sua cella svegliandolo, non gli sembrava di aver dormito neanche dieci minuti.
"Ti abbiamo portato la colazione. Alzati e mangia qualcosa, per favore" continuò l'uomo.
Jaroslaw decise di tenere gli occhi chiusi e ignorarli. Quella mattina non stava affatto bene e l'ultima cosa che voleva era farsi vedere in quello stato dai quei due. In ogni caso, anche se avesse voluto, difficilmente sarebbe riuscito a sollevare la testa dal cuscino.
Kent indicò alla collega il vassoio della cena pressoché intatto.
"Facciamo così: ripasseremo tra un'oretta. Quando torniamo vogliamo vedere i piatti vuoti, ok?"
Nessuna risposta. I due se ne andarono e nella cella tornò la calma, così che i nervi del ragazzo poterono distendersi di nuovo.

Appena imboccarono il corridoio che li avrebbe portati agli uffici, si ritrovarono di fronte Sherlock e Joan.
"Siete arrivati presto" disse Allen. "In effetti oggi potreste esserci utili"
"Ne saremo felici" rispose Holmes con un velo d'ironia.
"Ho l'impressione che il ragazzo tenda ad ascoltarvi più di quanto non faccia con noi" ammise con espressione seccata."Sarei contenta se riusciste a fargli mangiare qualcosa. Non voglio che svenga durante la giornata"
"Alle dieci e trenta ci sarà un incontro con un responsabile della struttura in cui abbiamo intenzione di ricoverarlo" spiegò Kent. "Per quell'ora deve essere pronto"

I due investigatori si fermarono davanti alla grata della cella. Jaroslaw era sdraiato sul letto e dava loro le spalle.
"Come sta?" chiese Joan, avvicinandosi a Josh.
"Ha dormito ininterrottamente per tutta la notte. Ad un certo punto non ho resistito e sono entrato per vedere se respirava ancora, mi stavo preoccupando!"
Tirò fuori le chiavi ed aprì la serratura.
Watson si avvicinò piano al ragazzo: stava tremando come una foglia, gli occhi erano socchiusi e aveva il respiro affannoso. Gli poggiò una mano sulla fronte sudata e si accorse che era bollente.
"Che medicinali gli hanno dato?"
"Un'aspirina ieri sera, prima di andare a dormire. Hanno detto che fino a stamattina sarebbe bastata e che ne avrebbe presa un'altra a colazione"
"Che incoscienti" mormorò lei.
"Ci servirebbe un bicchiere d'acqua calda" disse Sherlock. "Possiamo usare il bollitore che c'è nell'ufficio? Non vorrei che quei due ficcanaso si insospettissero"
"Nessun problema, ci penso io!"
Josh tornò con ciò che gli era stato richiesto.
"Ottimo! Watson, hai portato l'infuso?"
"Certo, eccolo qui" e tirò fuori un piccolo sacchettino simile ad una bustina di tè dalla sua borsa, che Sherlock immerse nella tazza.
"Sembra un cucciolo infreddolito" bisbigliò la donna. "Dammi una mano a tirarlo su"
La branda era sistemata accanto al muro, così Jaroslaw riuscì a sedersi appoggiando la schiena alla parete. Non fu sufficiente: le vertigini lo fecero barcollare e la testa dovette trovare sostegno sulla spalla di Sherlock, seduto accanto a lui.
L'uomo non aveva mai amato il contatto ravvicinato con la gente. Nonostante quei mesi di convivenza e la loro ormai salda amicizia, Joan non ricordava di aver mai scambiato un vero e proprio abbraccio con l'amico, se non nei momenti più duri, e anche in quei casi rimaneva piuttosto freddo. Si meravigliò parecchio, quindi, di come in così poco tempo tra lui e il ragazzo fosse nato questa sorta di legame.  Vide Sherlock cingergli le spalle con un braccio, mentre con l'altra mano gli accarezzava il capo con fare protettivo, come un padre fa con il proprio figlio. Mai Holmes aveva mostrato così palesemente tanto affetto come in quel momento. Era proprio vero: loro stavano aiutando Jaroslaw, ma anche Jaroslaw li stava aiutando a sua volta.
"Allora, che fai lì impalata?"
Joan stava contemplando quella scena come se fosse un miracolo e a stento riuscì a trattenere la propria commozione.
"Che cosa?" chiese improvvisamente, quando la voce di Sherlock la risvegliò da quella visione.
"La medicina!"
"Ah già, scusami! Mi ero incantata" e gli porse il farmaco.
"Quei due avevano detto che doveva prenderla a stomaco pieno" chiese Josh, un tantino preoccupato.
"Se aspettiamo un altro po' potremo cuocergli un uovo in testa" gli rispose l'investigatore.
In quel momento entrò Bell.
"Holmes, è arrivato Gregson. So che volevi parlargli"
"Arrivo subito" e fece segno a Josh di avvicinarsi per prendere il suo posto.
"Ah, Joan" continuò Bell. "Ti abbiamo liberato l'infermeria, così potrai lavorare meglio"
"Grazie, Marcus"

"Cerca di berla tutta, ok? Ti farà bene"
Jaroslaw annuì debolmente e Joan gli avvicinò di nuovo la tazza alla bocca.
"Anche questa è una medicina?" chiese Josh incuriosito, mentre sorreggeva il capo traballante del ragazzo.
"Non proprio, è un infuso di erbe cinesi che mi preparava mia madre quando non stavo bene"
"E funziona?"
La donna sorrise.
"Ha convinto anche Sherlock" disse soddisfatta. "Prima era molto scettico, ma adesso al minimo segno di influenza ne ingurgita almeno un litro"
L'uomo rise di gusto.
"Allora deve proprio funzionare!"
Dopo una decina di minuti, il colorito di Jaroslaw si fece più vivace e riuscì ad alzarsi in piedi da solo.
"Sei un fulmine a riprenderti! Se mai ti darai alla boxe dimmi qualcosa che scommetterò su di te!" commentò il poliziotto.
"Non è certo per merito mio!"
Watson vide per la prima volta un sorriso sincero dipingersi sul volto del ragazzo, solitamente freddo come il ghiaccio, e trovò che fosse una delle espressioni più raggianti che avesse mai visto. Non avrebbe permesso per nulla al mondo che qualcuno gliela cancellasse di nuovo.

"Cosa dici se approfittiamo del fatto che stai meglio per darti un'occhiata?" chiese la donna.
"Agli ordini, madame!" le rispose lui con un sorriso. "Prima però vorrei darmi una rinfrescata. Mi sento ancora addosso l'odore del sangue di quel…"
Non riuscì a finire la frase. Josh gli tirò una pacca sulla schiena.
"Solo perché sei tu, ti permetto di usare la doccia del fantastico bagno del nostro spogliatoio. Sai, noi del turno di notte siamo privilegiati. Sempre che la dottoressa sia d'accordo, ovviamente"
Joan rise di gusto.
"Certo! Riportamelo indietro tutto intero"
"Non preoccuparti, lo tengo d'occhio io!"

Sarebbe rimasto sotto quel getto d'acqua calda per ore.
Si ricordò di quanto gli piacesse da piccolo fare il bagno nella grande vasca di casa, tanto che sua madre doveva obbligarlo con la forza ad uscire. Per un momento gli sembrò di sentire ancora l'aroma del bagnoschiuma alla lavanda che erano soliti comprare.
Una fitta alla spalla lo riportò alla realtà. Doveva stare attento a non bagnare troppo la ferita, come gli aveva ordinato Watson, così si diede un'ultima sciacquata e concluse. Era come se quella doccia e quel vapore avessero lavato via dalla sua pelle l'orribile sensazione che aveva provato durante i giorni precedenti.
"Mi presti metà dei tuoi addominali? Te li restituisco tra qualche giorno"
Josh lo osservava dalla panchina dello spogliatoio, mentre lui si rivestiva.
"Guarda che non ne hai bisogno"
"Non ne ho bisogno? Quella che vedi è tutta pancia!" disse lui, percuotendosi a mo' di tamburo. "Ha detto Watson di non metterti la maglietta, così eviti di sforzare la spalla inutilmente visto che la devi togliere di nuovo"
L'uomo lo accompagnò in infermeria, dove Joan li stava aspettando.
"Io sono qui fuori. Per qualsiasi cosa chiamatemi"
Lo ringraziò.
"Vieni Jaroslaw, stenditi sul lettino"
La vista delle cicatrici sul suo corpo le fecero salire un fremito di rabbia: in quel momento avrebbe voluto raggiungere Kalinin e tutti i suoi maledetti compagni per picchiarli a sangue, fino a far loro implorare pietà.
"Ti fanno male?" gli chiese.
Il ragazzo fece spallucce.
"No, sono solo un po' fastidiose quando cambia il tempo. Ormai non ci faccio neanche più caso"
La donna prese l'occorrente e cominciò a cambiare la medicazione alla spalla. Nel frattempo, gli misurò la temperatura.
"Bene, la ferita è a posto e la febbre per ora non va oltre i 38 gradi. Adesso ho bisogno che tu faccia dei respiri profondi" e cominciò ad auscultargli il cuore e i polmoni.
Il battito era piuttosto irregolare e non riusciva ancora a respirare bene come doveva, tuttavia la sua capacità di recupero si stava rivelando impressionante.
"Joan, posso chiederti una cosa?"
"Certo, dimmi pure"
"Però voglio che tu mi risponda sinceramente"
Si tolse lo stetoscopio dalle orecchie e lo guardò dritto negli occhi.
"Lo prometto"
Il ragazzo abbassò lo sguardo e lei capì quanto fosse difficile per lui aprirsi con le persone, dopo anni passati a tenere tutto per sé.
"Ieri vi ho chiesto quanto ci vorrà prima che, beh ecco, metta la parola fine alla mia dipendenza, ma Sherlock non mi ha risposto. Probabilmente non vuole spaventarmi"
Il suo sguardo sconsolato intenerì Joan nel profondo del cuore.
"Lo so che adesso sono altri i problemi da sbrigare, ma io devo saperlo. Devo almeno farmi un'idea di quanti giorni dovrò passare in un letto perché non riuscirò ad alzarmi dal mal di testa, di quanto tempo ci vorrà perché possa tornare a vivere normalmente e…"
La donna lo zittì, appoggiandogli l'indice sulle labbra, poi prese il suo volto tra le mani.
"Capisco che sei preoccupato, ma ogni situazione è a sé" gli disse con voce dolce. "Quando lavoravo come assistente post riabilitazione ho visto molto casi e non te lo nascondo: ci sono persone che in un mese riescono a disintossicarsi e altri che hanno bisogno di anni per ripulirsi del tutto"
In quell'occasione Jaroslaw appariva per quel ragazzino che effettivamente era, con i suoi dubbi, paure e alla ricerca di conforto. Era come se si stesse togliendo alcune parti della sua intaccabile corazza.
"Ascoltami" continuò lei. "Tu sei giovane e straordinariamente forte, sia a livello fisico che mentale. Non ti sto dicendo che tra una settimana sarai già fuori da questa situazione, ma che hai tutte le carte in regola per affrontare questa battaglia ed uscirne vincitore"
L'espressione del giovane si rilassò.
"Hai ragione" fece lui. "Devo cercare di mettermi l'anima in pa…"
"Jaroslaw!"
Gli occhi del ragazzo si chiusero: aveva perso i sensi.
"Josh!" chiamò Joan, e subito l'uomo arrivò scattando nella stanza. "Mi serve una bustina di zucchero o qualsiasi cosa di dolce tu riesca a trovare! Presto!"

I due assistenti sociali si guardarono e scoppiarono a ridere sonoramente.
"Scusatemi signori, ma questa è davvero bella!" disse la dottoressa Allen, senza riuscire a smettere. "Quindi voi mi state chiedendo di affidare un ragazzo con problemi di aggressività e droga ad un uomo altrettanto impulsivo e uscito dalla clinica di riabilitazione meno di un anno fa? Voi siete impazziti!"
Sherlock fece appello con tutte le sue forze a quel briciolo di autocontrollo che gli era rimasto.
"Mi sembra di avervi già detto che non sarà solo" disse con pazienza Gregson. "Con lui verrà affidato anche alla dottoressa Watson che, oltre ad essere chirurgo, per parecchio tempo ha lavorato come assistente post riabilitazione"
"Capitano Gregson, non mi dica che anche lei è d'accordo con questa assurdità?" chiese Kent.
"Mi fido dei miei due collaboratori e, da quello che vedo, anche Jaroslaw si fida di loro. In questo momento credo che la signorina Watson e il signor Holmes siano i più indicati per questo tipo di compito"
La risposta era una vera e propria frecciatina nei confronti dei due assistenti sociali, il cui approccio con Jaroslaw non aveva dato frutti.
"Mi ascolti bene" gridò Allen. "Quel ragazzino ha bisogno di tranquillità, sicurezza ed un ambiente privo di tentazioni! Con loro rischierebbe ricadute su ricadute!"
"Non con noi al suo fianco" disse Sherlock. "Mi creda, per lui ci sarebbe un più alto rischio di ricaduta in quella noiosa e monotona clinica in cui volete mandarlo che nella vita reale"
"Vuole farci credere che lei conosce Jaroslaw meglio di noi, signor Holmes?"
"Mi sembra abbastanza evidente anche per voi che sia così"
Non riusciva più a trattenersi. Lui lo capiva, aveva già vissuto quella situazione, cosa potevano saperne loro? Non si rendevano conto che quella struttura per la riabilitazione non avrebbe fatto altro che aumentare la sua rabbia e farlo chiudere ancora di più in se stesso.
"La sua modestia mi commuove" disse sarcasticamente Allen. "Solo perché lui si fida di lei non vuol dire che…un momento, allora era questo il vostro piano"
"Di cosa diavolo sta parlando?"
"Andiamo, non faccia finta di niente, capitano! Avevate previsto tutto fin dall'inizio, ecco perché Jaroslaw è così ostile nei nostri confronti!" continuò lei, infuriata. "Gli avete detto di non darci ascolto, così noi avremmo gettato la spugna e lo avremmo affidato a voi"
"Mi dispiace, ma è totalmente fuori strada. Il rifiuto nei vostri confronti è completamente spontaneo" le disse Sherlock sorridendo, facendola adirare ancora di più.
"Basta, ne ho abbastanza dei vostri giochetti!" gridò lei. "Ora andremo a parlare con il ragazzo e provvederemo a togliervi il caso!"
Uscì dall'ufficio sbattendo violentemente la porta, seguita a ruota da Kent.
"Piano B?" chiese Gregson quando se ne furono andati.
"Esatto" gli rispose Holmes, che non riuscì a nascondere la sua preoccupazione. "Spero davvero che funzioni"

"Va meglio? Avanti, prendine un'altra"
Jaroslaw accettò controvoglia la terza bustina di zucchero che Joan gli stava porgendo.
"Ragazzo mio, devi deciderti a mangiare qualcosa o non riuscirai a stare in piedi!" gli disse Josh.
Sapeva che si stavano preoccupando per lui, ma tutta quella situazione gli aveva completamente chiuso lo stomaco: non sarebbe riuscito a mandar giù neanche un pezzetto di pane.
"Ti fa ancora male la testa?" chiese Watson, mentre controllava con una piccola luce il riflesso pupillare dei suoi occhi di ghiaccio.
Senza rendersene conto, Jarosalw aveva portato le mani sulle tempie premendo con forza. Rispose affermativamente.
"E' per colpa del calo di zuccheri?" domandò il poliziotto.
"No, purtroppo è legato all'astinenza" spiegò la donna. "Mi dispiace, ma non posso darti niente. Cercherò di far capire a quei due dei servizi sociali che le dosi prescritte sono ridicolmente basse"
Esattamene in quel momento, qualcuno bussò alla porta e, senza neanche aspettare risposta, la spalancò con forza.
"Parli del diavolo…" mormorò il ragazzo.
"Dottoressa Watson, si allontani da lui immediatamente. La salute di Jaroslaw non è più di sua competenza!" gridò Allen entrando nella stanza.
I presenti guardarono i nuovi entrati con occhi spalancati.
"Come prego?" chiese lei.
"Le ho detto di allontanarsi" ripeté la donna. "Ascoltami, ragazzo. Puoi smettere di recitare perché abbiamo capito le vostre intenzioni"
"Recitare? È impazzita?"
"Ve l'ho detto che gli state antipatici per davvero, ma voi non mi volete credere!" commentò Sherlock mentre varcava la soglia dell'infermeria insieme a Gregson.
"Lei stia zitto, signor Holmes! E tu, Jaroslaw, smettila di prenderti gioco di me e del signor Kent, hai capito?"
"Ma che cavolo…"
"Ora basta!" continuò Kent. "Non verrai affidato ad Holmes e Watson, non è la scelta migliore per te! I loro tentativi di intromettersi nella tua vita sono finiti. Il caso verrà passato ad altre persone più responsabili e verrai trasferito in un'altra struttura oggi stesso in attesa del ricovero nella clinica"
"Non potete farlo!" protestò Joan.
La dottoressa Allen sorrise con espressione perfida.
"Oh, sì che possiamo! Non lasceremo che lo portiate sulla cattiva strada!"
"Cattiva strada? Se sono qui oggi è solo grazie all'aiuto di queste persone" s'intromise il ragazzo. La sua voce era debole, ma riusciva a risultare comunque decisa.
Allen si avvicinò a lui e cercò di stringergli una mano, ma lui la ritrasse immediatamente, guardandola con distacco.
"Jaroslaw, non dare ascolto a quello che ti dicono! Ti hanno fatto il lavaggio del cervello! Siamo noi quelli che vogliono aiutarti!"
Lui continuò a non degnarla di uno sguardo.
"Non voglio litigare" disse Watson. "Io rispetto la vostra professionalità, ma credo che abbiate confuso questo caso per una competizione contro di noi! Questa non è una gara per stabilire chi è il più bravo, c'è in gioco la vita e la salute di questo ragazzo!"
"Certo, quindi mi state dicendo che sarebbe felice solo con voi?" chiese ironicamente Kent.
"Non l'avrei detto così esplicitamente, ma sì. Crediamo che la tutela del ragazzo debba spettare a noi" rispose candidamente Sherlock.
"Avete proprio un bel coraggio a ritenervi migliori della più rinomata clinica di disintossicazione dello Stato!"
"Non ci riteniamo migliori, ma in questo caso quell'ambiente non sarebbe il più indicato"
"Sapete che ho lavorato in questo campo" aggiunse Joan. "Con noi avrà tutto ciò di cui ha bisogno, lo faremo partecipare alle sedute e non esiteremo a chiedere aiuto se sarà necessario"
"Ormai il suo curriculum lo sappiamo a memoria, dato che il capitano e il suo collega hanno cercato per due ore di convincerci proprio usando questa carta!" rispose Allen. "In ogni caso si tratta di una follia. Come potrà disintossicarsi vivendo fianco a fianco con un ex drogato e circondato da mille tentazioni? Non lo permetteremo"
"Lei sta sottovalutando in maniera esponenziale la sua forza di volontà" ribatté Holmes.
"Non si è mai chiesto se forse è lei che la sta sopravvalutando? È pur sempre un ragazzino di sedici anni!"
Il cervello gli stava scoppiando. Quel dibattito non dava l'impressione di voler finire presto e la sua sopportazione era ai minimi livelli. Quei due non avrebbero ceduto, era evidente. Le loro voci, dannatamente alte, si stavano accumulando come mattoni con tutto il loro peso nella sua testa. Aveva bisogno che quella tensione mista a rabbia trovasse una valvola di sfogo al più presto.
Non riuscì più a trattenersi.
"State tutti zitti!!"
Il grido di Jaroslaw riportò il silenzio totale nella stanza.
"Per favore" le ultime parole risuonarono più deboli, quasi stanche.
Sherlock fermò la dottoressa Allen, già pronta a dire qualcosa, e si avvicinò al lettino su cui era ancora steso il ragazzo. Il volto era nascosto da entrambe le mani, le dita premevano con forza sulla fronte nell'inutile tentativo di eliminare il dolore e il petto si muoveva velocemente a causa della difficoltà nel respirare.
"Calma ragazzo, calma"
La voce di Holmes era poco più che un sussurro. Accarezzò piano la sua testa, continuando a rassicurarlo, poi si voltò verso i presenti.
"Gli effetti dell'astinenza possono essere devastanti per chi ha i sensi piuttosto sviluppati come lui. Come noi"
Conosceva bene quella sensazione.
"Più gridate e più lo farete stare male"
Nel giro di un minuto Jaroslaw si rilassò di nuovo. Si strofinò il volto e si ricompose.
"Capitano, Josh, perdonatemi ma devo chiedervi di uscire dalla stanza" disse piano.
I due si girarono verso Holmes che fece loro cenno di fare come veniva detto loro, così lasciarono l'infermeria.
"Che significa?" chiese sospettosa Allen, quando se ne furono andati.
Il ragazzo scese cautamente dal lettino, si voltò verso i due assistenti sociali e sul suo volto apparve un sorrisetto furbo. La sua espressione indagatrice fece nascere nei due la sensazione di essere messi a nudo, come se stessero per essere esposti ad una macchina a raggi X.
"Comincia lo show" bisbigliò Sherlock.
Dapprima i due occhi di ghiaccio si concentrarono su Allen.
"Lei ha uno strano tic, sa?" le disse Jaroslaw. "Continua a toccarsi l'anulare della mano sinistra, esattamene nello stesso punto"
La donna strinse le labbra a causa del nervosismo. In effetti aveva ragione.
"La prima volta che si è avvicinata a me, ho notato che ha ancora un leggero segno esattamente in quel punto, di un anello suppongo. Data la posizione, deduco sia stato lasciato da una fede, che lei non indossa più al massimo dall'estate scorsa. Mi dica, lei e suo marito siete solo separati o ha già ottenuto il divorzio?"
"Complimenti. Mi avevano detto che eri un bravo osservatore. Sì, sono divorziata da pochi mesi. Non vedo però cosa c'entri tutto ciò"
"Un po' di pazienza, per cortesia" le rispose. "Ho notato anche un'altra cosa. Ogni volta che mi avete tenuto sotto torchio c'era una sola bottiglia d'acqua, da cui bevevate entrambi a collo. Non che sia una cosa strana, ma tra colleghi è inusuale perché si tende comunque a mantenere un certo tono di professionalità.  All'inizio non avevo dato molta importanza a questo fatto, ma alla fine si è rivelato illuminante"
La sicurezza cominciò a scomparire dal volto dei due.
"E con questo?" chiese Kent.
"Se ha così fretta di sapere la conclusione vengo subito a lei" sorrise Jaroslaw. "Ieri, durante la seconda parte del mio interrogatorio, le è arrivato un messaggio, giusto? Se non sbaglio diceva: allora buon lavoro, amore! A domani!"
L'uomo si toccò le tasche per controllare se effettivamente il suo cellulare fosse ancora lì e non gliel'avesse sottratto di nascosto.
"Non si preoccupi, non ho rubato nulla. È stato proprio lei ad aprire quel messaggio mentre teneva il dispositivo sul tavolo. Era sua moglie, vero? A differenza della sua collega, lei ha la fede al dito. Immagino che le avrà sicuramente detto che avrebbe passato la notte al lavoro"
Il colorito dell'uomo divenne pallido.
Il ragazzo si avvicinò ai due e cominciò ad annusarli.
"Che diavolo stai facendo?" lo rimproverò Allen.
"Mmh lo riconosco: bagnoschiuma alla vaniglia! Ha un profumo talmente forte che sarebbe impossibile confonderlo!" disse lui, spostandosi poi verso l'uomo. "Ma guarda! Usate lo stesso bagnoschiuma!"
"E' solo una coincidenza! Ci sono centinaia di persone che usano questo prodotto!" protestò la psicologa.
"Sa qual è il mio problema, dottoressa? Io non credo alle coincidenze" affermò serio. "Da quel che vedo mi sembra abbastanza evidente che il signor Kent abbia passato la notte da lei e scommetto che non è la prima volta. Basterà fare una telefonata alla moglie, giusto per scoprire quanto spesso sia stato costretto ultimamente a fare tardi o addirittura a non tornare a casa la sera a causa del lavoro"
L'uomo era teso come la corda di un violino, mentre la donna cercava di mantenere il suo autocontrollo.
"Oppure" continuò Jaroslaw. "Potremmo chiudere un occhio sulla faccenda in cambio di un piccolo favore"
La psicologa cercò di riprendere in mano la situazione.
"Sciocchezze!" gridò. "Stai cercando di trovare altre scuse per fregarci di nuovo, le tue sono solo ridicole supposizioni"
"Ne è così certa?" s'intromise improvvisamente Sherlock. "Watson, ti dispiacerebbe allungarmi la cartellina che hai nella borsa?"
"Con molto piacere" rispose lei soddisfatta.
L'uomo estrasse il contenuto della cartellina.
"Riuscite a riconoscere i soggetti nelle foto?"
I due rimasero a bocca aperta: cominciarono a sfogliare la pila di fotografie che ritraevano il loro incontro della scorsa notte, da quando Kent aveva parcheggiato la macchina fino al bacio dopo il quale erano entrati in casa della donna.
"Abbiamo scoperto di avere un certo talento come paparazzi" commentò ironico Sherlock.
"Sì, a parte il fatto che la prima volta ti sei scordato il flash acceso e abbiamo rischiato di essere scoperti"osservò Joan.
"Le macchine fotografiche di oggi sono peggio dei computer, se avessimo usato il mio vecchio modello…"
"Questo è un ricatto!" sbottò improvvisamente Kent.
"Esattamente! Siete voi che ci avete costretti ad arrivare fino a questo punto, ora ne pagherete le conseguenze" rispose Holmes. "Cosa avete deciso?"
Nessuno rispose.
"Avanti" li incitò Jaroslaw. "Sua moglie è di famiglia facoltosa, vero? Mi sembra piuttosto stupido buttare al vento un rapporto così redditizio con una ricca ereditiera, signor Kent! Inoltre, dottoressa, scommetto che anche lei preferisce che la cosa si risolva ora, se no chi potrebbe comprargli regali come quel costoso pendente che ha al collo?"
"Senza contare, signor Kent, che gli espertissimi avvocati della famiglia della moglie la lascerebbero sul lastrico in caso di divorzio. Altro che il pagamento degli alimenti!" fece notare Watson, rigirando il dito nella piaga.
"Non è giusto" piagnucolò l'uomo.
"Io non lo trovo così ingiusto, anzi. Allora?" chiese di nuovo Sherlock.
I due amanti si guardarono negli occhi, poi Kent prese la parola.
"Quale sarebbe questo favore?"
Holmes e Joan sorrisero raggianti e risposero all'unisono.
"Vogliamo l'affidamento del ragazzo"

La macchina arrivò nel viale in cui, pochi giorni prima, il ragazzo aveva camminato, per poi tornare sui suoi passi. Quella volta, però, non sarebbe tornato indietro, sarebbe andato fino in fondo. Quella volta non era più solo contro tutti, contro il suo passato, contro il suo dolore. Quei due lo avevano rimesso sulla strada giusta e avevano tutta l'intenzione di farcelo rimanere.
La vettura si fermò di fronte all'appartamento.
"Eccoci qui!" annunciò Sherlock, aiutando a scendere Jaroslaw, ancora piuttosto debole. "Siamo a casa"
Il ragazzo la guardò con occhi colmi di commozione.
"A casa…era da anni che non potevo realmente dirlo"
"Ora puoi. Nessuno potrà portarti via ciò che ti sei guadagnato con il sangue e il sudore. I tuoi genitori sono sicuramente fieri di te"
Jaroslaw gli sorrise e lo abbracciò.
"Grazie. Grazie di tutto"
Il cuore di Sherlock sussultò. Non si ricordava neanche più quand'era stata l'ultima volta che aveva ricevuto, ma soprattutto contraccambiato una tale dimostrazione d'affetto. Lo cinse a sua volta tra le sue braccia. Quando l'abbraccio si sciolse, l'uomo cercò di asciugarsi in fretta alcune piccole lacrime che gli avevano rigato il volto.
"Coraggio, ci pensiamo noi con le valige"
Mentre il ragazzo si avviava verso l'ingresso, Joan si affiancò all'amico.
"Avevi ragione"
L'uomo la guardò perplesso.
"Capita piuttosto spesso. Puoi essere più precisa?"
Gli tirò un debole pugno sul braccio.
"Stavo parlando di Jaroslaw. È vero: noi stiamo aiutando lui, ma lui per molti aspetti sta aiutando noi. Soprattutto te"
Holmes sorrise e sospirò.
"Quel ragazzino mi assomiglia molto, sia nel bene che nel male, ma è riuscito a lavorare su alcuni difetti trasformandoli in punti di forza. In un certo senso possiamo renderci migliori a vicenda, esattamente come tu rendi migliore me"
Watson arrossì. Non era la prima volta che gli diceva una cosa del genere ed ogni volta ne andava orgogliosa. Era uno dei complimenti più belli e sinceri che avesse mai ricevuto.
Osservarono Jaroslaw per qualche secondo, mentre si guardava intorno con espressione incantata, quasi non riuscisse ancora a credere di aver iniziato una nuova vita. Una vita vera. Un sorriso sorse spontaneo sui volti dei due osservatori nel vedere quella scena.
"Sai" continuò Joan. "Sembriamo proprio una famiglia"
"Sbagliato, Watson. Noi non sembriamo una famiglia" la corresse lui. "Noi siamo una famiglia"
A quelle parole si voltarono entrambi e si guardarono negli occhi. Il tempo sembrò fermarsi. Come attratti da una forza magnetica soprannaturale, le loro labbra si avvicinarono fino ad incontrarsi in un lungo bacio, mentre Jaroslaw li osservava soddisfatto con la coda dell'occhio, seduto sulle scale dell'ingresso.
"Hai ragione. Siamo una famiglia" e si persero l'una nello sguardo dell'altro.

 

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Ciao a tutti!
La mia prima storia "a capitoli" è terminata. Ne approfitto ancora una volta per scusarmi per la lunga attesa che spesso ha preceduto la pubblicazione di alcuni capitoli.
Ringrazio tutti i lettori che mi hanno seguita in questi lunghi mesi e quelli che in futuro avranno voglia di leggere la storia! Ricordo ancora che recensioni, commenti e consigli sono sempre ben accetti e spero mi aiutino a migliorare lo stile di scrittura.
Alla prossima! :)

LadyRahl

  
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