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Autore: Rob_Peter    28/12/2015    2 recensioni
Questa serie non ha niente a che fare con il film "The Amazing Spider-Man", il titolo rende omaggio al fumetto iniziato da Stan Lee e Steve Ditko nel 1963. La storia inizia nel classico modo, Peter Parker, giovane studente modello della Midtown High School viene morso da un ragno radioattivo in una mostra di scienze ed acquisisce forza e agilità proporzionali dell'aracnide, oltre che un senso di ragno che lo avverte del pericolo; Accade l'avvenimento clue per la formazione del personaggio che gli darà una lezione di vita molto importante e lo farà diventare l'eroe più grande di tutti i tempi: lo stupefacente Uomo Ragno. Inizia nello stesso modo del fumetto originale per poi diventare una storia differente e personale, senza però perdere alcuni dei momenti classici della storia di Spider-Man.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Betty Brant, Flash Thompson, J. Jonah Jameson, Peter Parker, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Mi chiamo Peter Parker e sono il supereroe più grande del mondo. Un giorno, ad una presentazione di scienze sulla radioattività sono stato morso da un ragno radioattivo, che mi ha conferito la sua forza e agilità proporzionale. Ho cercato di sfruttare i miei poteri per il guadagno, ma nel mio momento di gloria mi sono lasciato sfuggire un ladro che in seguito ha ucciso mio zio Ben. Da quel giorno ho capito che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Agli occhi di tutti sono solo un timido studente della Midtown High School, ma in segreto uso i miei poteri per combattere il crimine. Chi sono io? Sono Spider-Man.»



Capitolo 6

Spider-Man mai più

 

Lo zoo del Bronx di New York era accessibile a tutti. Chiunque poteva entrare ed ammirare i meravigliosi animali in esposizione. Una stanza in particolare, però, non molto lontana dall’entrata principale, aveva costantemente la porta chiusa con l’insegna Staff only, intimando ai visitatori di non avventurarsi al suo interno. Non che ci fossero problemi a riguardo, quella porta restava lì, inosservata. Nessuno l’aveva mai vista aprirsi, nessuno aveva idea di cosa nascondesse. A nessuno importava. Di notte, però, poco prima che l’alba illuminasse lievemente il verde che la circondava, quella porta era aperta da uno strano uomo con un corto gilet, che a stento copriva tutti i fianchi, ma dalla pelliccia che scendeva dalle spalle lungo tutta la schiena e, visto da dietro, qualcuno avrebbe potuto giurare che fosse una criniera. Come se non bastasse, i pantaloni erano leopardati e davano la sensazione che fossero davvero fatti con la pelle del felino, e la cintura che li teneva stretti era completamente ornata di zanne. L’uomo entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Visto davanti, appariva ancora più strano. La pelliccia del gilet terminava alla base dei pettorali, dove, lungo tutto il busto, vi era il volto di un leone, dagli occhi verdi e immobili, orecchie e muso con i baffi troppo realistici per essere finti. La cosa più spaventosa, però, è che il gilet era aperto, tagliando il leone a metà e rivelando pettorali e addominali scolpiti e ricoperti da folti peli, e una collana con zanne più piccole di quelle sulla cintura. Il volto dell’uomo era severo ma tranquillo, quasi sembrava imbalsamato per quanto non si muovesse. Le rughe erano perfettamente distribuite, facendolo apparire virile e non vecchio, i capelli perfettamente neri, ma stempiati, avevano un’attaccatura a V. I baffi e il pizzo, dello stesso colore dei capelli, erano folti e contribuivano a farlo apparire rigoroso.

La misteriosa stanza, illuminata da una gialla luce artificiale, era piena di animali impagliati. Un gorilla in posizione di attacco, con le braccia verso l’alto e lo sguardo minaccioso, era rimasto immortalato su un piedistallo. Il volto di un enorme elefante, con tanto di orecchie e proboscide era fissato alla parete, affianco a quelli di un leone, un cinghiale e un rinoceronte. L’uomo attraversò la stanza, calpestando un tappeto di tigre bianca, e raggiunse una stanzetta interna, delimitata all’entrata da una tigre a destra e una pantera nera a sinistra, entrambe ferme nella posizione di corsa. All’interno, l’uomo si trovò circondato da mensole piene di pozioni ancora fumanti ed erbe. Afferrò una delle boccette e ne bevve il contenuto, per poi lasciare la stanzetta e guardarsi intorno. 

«La mia stanza dei trofei…» esclamò fiero con una voce roca «Ho battuto con le mie mani nude ogni bestia selvaggia che cammini, si arrampichi, o strisci sulla Terra.» camminò tra gli animali, accarezzandone qualcuno «Eppure, mi manca il più grande dei premi…» raggiunse una parete con una testa di plastica bianca appesa «Non posso più trattenere la mia frustrazione. Devo combattere il mio più grande nemico mortale, oppure, tutti i miei traguardi e risultati saranno vani. Un giorno questa testa di plastica sarà coperta dalla maschera di Spider-Man, dovessi ottenerla con la mia stessa vita!»

 

Peter tornò a casa entrando dalla porta principale. Cambiandosi nei suoi abiti civili, poco prima, aveva potuto notare che era pieno di lividi nei fianchi e nella zona dell’addome. Con i suoi poteri di ragno, solitamente, guariva molto più velocemente del normale, ma quella sera il dolore non sembrava abbandonarlo e si sentiva debole. L’agilità di ragno era sparita, a stento riusciva a saltare. Volteggiare tra i tetti e fare capriole mortali era pura utopia. Per non parlare del fatto che persino la sua capacità di aderire alle pareti era scomparsa. E tutto questo, poteva notarlo solo quando provava effettivamente a saltare. La cosa che più lo tormentava era la mancanza della sua forza di ragno, che avrebbe percepito anche mentre dormiva.

La mattina seguente, quel poco che era rimasto della vita precedente al morso di ragno di Peter sparì quando fu svegliato dall’insolito suono della sveglia del cellulare, che aveva dovuto sostituire alla solita sveglia vintage che l’aveva accompagnato per sedici anni, ormai distrutta.

Provò ad alzarsi ma il dolore agli addominali lo bloccò, quindi rotolò fino all’orlo del letto. Durante il sonno aveva dimenticato che i suoi poteri di ragno erano andati. Quasi zoppicando, scese le scale e fece colazione da solo; zia May aveva un impegno in mattinata, quel giorno. Un bene, pensò Peter, perché avrebbe sicuramente notato il suo malessere e sarebbe stato difficile spiegare i lividi che gli contornavano il corpo. 

Poco dopo, a scuola, la routine fu la solita; soliti esperimenti con il professore di chimica al laboratorio, che evidentemente solo Peter e Malcolm McBride conducevano. Fu insolita, però, la mano che Peter vide afferrargli la maglia e tirarlo verso di sé; era Flash Thompson. Il senso di ragno non l’aveva avvertito come era solito fare.

«Ascolta, perdente.» attaccò il bullo con tono minaccioso «Non so come tu abbia fatto a fare quello che hai fatto ieri…»

«Accidenti, Flash!» lo interruppe Peter sarcasticamente «Hai usato il verbo “fare” tre volte nella stessa frase!»

«Stai zitto!» replicò lui spingendolo leggermente verso il tavolo «Non sono in vena di scherzi. Non so che tipo di roba prendi né voglio saperlo, ma ti avverto: Prova a rifare qualcosa del genere e sei un uomo morto.»

«Che razza di minaccia era mai questa, Flash? Hai paura di essere umiliato un’altra volta?»

Il biondo non restò a sentire un’altra parola, colpì Peter con un pugno in pieno volto, facendolo quasi cadere. 

Forse, quella volta, Peter avrebbe fatto meglio a star zitto. Sentì pienamente gli effetti di quel colpo, che fino al giorno precedente non avrebbe nemmeno potuto ricevere. 

«Taxi!» gridava intanto un uomo in strada, a pochi isolati dalla scuola «Ho detto taxi! Sono J. Jonah Jameson!»

Un taxi gli si parò davanti, ma mentre si accingeva ad entrare, una figura rossa e blu lo bloccò saltando dal nulla.

«Vai di fretta, Jameson?» 

«Spider-Man

«In persona.» gli saltò addosso.

«No! Sparisci! Non puoi attaccarmi così in mezzo alla strada! Aiutatemi! Qualcuno me lo tolga di dosso!» gridava disperato l’editore, mentre si dimenava.

In poco tempo una folla di gente si radunò attorno ai due, ma il ragno saltò via, arrampicandosi goffamente alle pareti.

Poco dopo, sul tetto di un edificio nelle vicinanze, lo scalamuri si toglieva la maschera, rivelando il volto dello strano uomo dello zoo;

«Ha funzionato.» esclamò fiero di sé «Li ho fregati! Spider-Man solo saprà dell’inganno, e quando mi cercherà… cadrà in una trappola

Il vero Spider-Man, intanto, era appena tornato a casa da scuola, e si stava rilassando mangiando una mela sul divano in sala quando per poco non la sputava sentendo il notiziario;

«J. Jonah Jameson, editore del Daily Bugle, è stato appena attaccato da Spider-Man sulla ventiquattresima…»

Zia May, vedendo Peter improvvisamente teso, chiese:

«Cosa c’è che non va, caro?»

«Niente, zia May… Devo essermi morso la lingua» rispose il ragazzo cercando di apparire calmo di fronte alla zia. Questa non ci voleva, pensava intanto, proprio ora che il Dottor Octavius è ancora in giro ed io non ho più i miei poteri, qualcuno ha avuto la brillante idea di impersonarmi. Che il Camaleonte sia tornato? 

Raggiunse la sua camera e ci si chiuse dentro. Cosa devo fare ora? Se è ancora lì, potrei riuscire a raggiungerlo. Ma una volta che l’ho trovato? Non ho poteri. Non ho possibilità di batterlo. E tra l’altro sono già stato battuto da Octavius; anche se avessi i poteri, potrei comunque perdere. Perché evidentemente non valgo come supereroe…

Attraversò la stanza, avanti e indietro, camminando nervosamente. Poi si decise. Si spogliò ed indossò rapidamente il costume e saltò fuori dalla finestra senza pensarci troppo. Appena si ritrovò a mezz’aria, però, fu colpito dalle vertigini. Non aveva considerato il fatto che non aveva più forza e agilità di ragno, e che avrebbe finito per schiantarsi al suolo se non avesse fatto qualcosa. Lanciò, quindi, una tela verso la casa dei vicini e riuscì a raddrizzarsi. Continuò a volteggiare per pochi isolati, ma poi si rese conto di non sentirsi tanto bene, quindi si lasciò andare a pochi metri dal suolo, e quando lo raggiunse, cadde malamente sulle ginocchia. Un dolore acuto lo percosse per tutto il corpo, ma poi si rimise in piedi e proseguì correndo.

Raggiunse il luogo dopo pochi minuti, e si nascose dietro un palazzo osservando la scena. La folla era ancora lì, ma Jameson aveva lasciato il posto.

«Eccoti, finalmente!» esclamò una voce alle spalle del ragazzo, che si voltò, vedendo l’uomo che l’aveva impersonato, con addosso i suoi soliti vestiti animaleschi. «È giunto il momento. Finalmente oggi catturerò la mia ultima preda!»

«Ok, just cavalli, sei stato tu ad impersonarmi? Pensavo di incontrarmi di nuovo con un rettile, invece ho trovato un felino. Perfetto. Da quale zoo siete scappati? Per curiosità, eh!»

«Divertente, ragno. Ma sarò io a ridere quando avrò la tua maschera nella mia collezione. Ora, che la caccia abbia inizio.»

«Aspetta, no, seriamente… Chi diavolo sei? Sono abbastanza certo che ci sia qualche nome figo dietro a tutta questa scenata!»

«Sono Sergei Kravinoff, meglio conosciuto come Kraven il cacciatore

«Ecco. Appunto. Qualcuno ha altri cliché da offrire?»

Kraven saltò dal palazzo in cui era fermo e raggiunse in pochi secondi le spalle del ragazzo, su cui si fiondò facendolo cadere. Il ragazzo cercò di liberarsi, ma inutilmente. Il dolore delle ferite era troppo forte. Si fermò e chiuse gli occhi.

Quando si svegliò vide il sole nascosto dai rami degli alberi sulla sua testa. Si sollevò leggermente e si rese conto di essere stato portato allo zoo del Bronx. Alzò nuovamente lo sguardo, e stavolta vide una rete cadergli addosso. Cercò di muoversi per evitarla ma fallì, rimanendo chiuso al suo interno.

«Ti ho catturato, ragnaccio!» esclamò Kraven mentre si avvicinava alla sua preda «e ora ti ucciderò, finalmente.»

«Aspetta, sei sicuro di volerla finire così in fretta? Voglio dire, non hai avuto nemmeno il tempo di fare un discorso!»

«Stai solo cercando di temporeggiare! Sai, è stato fin troppo facile, in effetti. Non che mi aspettassi-» Perfetto, pensò Peter velocemente, l’ho bloccato in un monologo, questo mi darà il tempo di pensare. Allora, dicono che una catena sia forte come l’anello più debole. In una rete di questo tipo, con così tanti ganci, dev’essercene almeno uno! Ora devo solo esercitare tutta la pressione possibile contro ogni sezione finché… Ahhh! L’ho trovato! Una piccola sezione che si ritira leggermente sotto la tensione, creando spazio. 

Così, esercitando la massima pressione su quel punto, riuscì a creare un’apertura abbastanza larga da rotolarci fuori, mentre Kraven continuava con il suo monologo;

«…Ed ora… Maledetto! Mi hai ingannato! Sei più intelligente di quanto credessi, ma questo non ti salverà!»

Dannazione, pensò Peter scappando il più veloce che potesse, mentre il sole tramontava e diventava difficile vedere tra tutti quegli alberi, devo inventarmi qualcosa. Non posso scappare in eterno.

«Non puoi scappare in eterno!» gridò Kraven che lo inseguiva, altrettanto veloce «Ti prenderò e ti ucciderò, Spider-Man!»

Percorrendo più volte gli stessi tragitti, Peter riuscì a seminarlo momentaneamente, e poi ebbe un’idea. Lanciò diverse tele verso due alberi che chiudevano un sentiero, creando un muro. Poi, quando sentì Kraven avvicinarsi alle sue spalle, saltò su un masso dall’altro lato del muro di tela. Si arrampicò fino alla punta di esso, facendo in modo che Kraven, guardandolo, non notasse la tela che li separava. 

«Sono qui, Kraven! Vieni a prendermi!» esclamò sicuro di sé.

Il cacciatore, incauto, corse verso di lui, andando a finire dritto nella trappola del ragno. Più velocemente che potesse, quindi, quest’ultimo lo raggiunse e gli sparò diverse tele addosso, rinchiudendolo in esse.

«E così il cacciatore è diventato la preda, eh, Kraven?» esclamò con tono ironico, ma quando notò che una mano di Kraven aveva cominciato a liberarsi, corse via da lì, sicuro che la polizia sarebbe arrivata sul posto in tempo.

 

Riacquistati i suoi abiti civili, più tardi, Peter si recò al Daily Bugle, portando le foto del combattimento con Kraven, ma una volta giunto agli uffici si ritrovò spaesato. Un’immensa folla di giornalisti e fotografi riempiva le sale, il caos più totale regnava all’interno dell’ufficio di Jameson; Peter poteva giurare di aver visto sedie volare all’interno. Abbassò lo sguardo e vide un’ombra dietro il banco di reception. Si avvicinò ad esso per capire chi ci fosse dietro, e trovò la segretaria Betty Brant rannicchiata con le spalle verso la scrivania;

«Ehi!» esclamò Peter alzando di qualche centimetro la mano «Betty, giusto? Betty Brant! Che ci fai lì dietro?»

«Oh…» replicò lei quasi imbarazzata «È l’unico posto sicuro al momento, non so se hai notato la confusione che ti circonda» sorrise;

Peter ricambiò il sorriso «Ti dispiace se mi unisco a te?» chiese quasi senza pensarci;

«Accomodati pure…» rispose lei facendogli spazio alla sua destra «Cosa ti porta qui?»

Il ragazzo si adagiò affianco a lei, cercando di non far notare il dolore che lo affliggeva quando si piegava «Oh, beh, avevo portato delle foto per Jameson…»

«Puoi sempre cercare di avventurarti in mezzo alla folla…» disse lei voltandosi per un secondo verso la gente che si spingeva a vicenda davanti all’ufficio «Ma non ti garantisco che ne usciresti sano e salvo!»

Peter sorrise abbassando la testa, quasi per non farsi vedere «Non preoccuparti, posso aspettare… E poi, temo di non essere un tipo molto… eroico!»

«Neanch’io!» incalzò lei illuminata da quella frase «Forse è per questo che mi piaci, Peter… Almeno non fingi di essere ciò che non sei!»

Dio, se solo sapesse, pensò Peter senza distogliere i suoi occhi socchiusi dalla ragazza, la quale ricambiava lo sguardo in un modo in cui Peter non era mai stato guardato prima.

 

Verso sera, dopo aver finalmente venduto le foto a Jameson, Peter tornò a casa, ma quando aprì la porta gli si parò davanti la vicina di casa;

«Signora Watson! Che è successo?» 

«Peter!» si voltò verso di lui mostrando gli occhi chiaramente preoccupati «May… si è sentita male, l’hanno portata all’ospedale!»

«Zia May! Ha bisogno di me! Devo andarci!» cominciò a mancargli il respiro;

«Aspetta! Ti accompagno io con la macchina!»

Cinque minuti più tardi, all’ospedale, Peter vide zia May sdraiata sul letto, con gli occhi chiusi;

«Sta bene ora» attaccò il dottore alle spalle del ragazzo «Era in preda al panico, continuava a cercare te, chiedendosi dove fossi finito, che da diversi giorni sparisci di casa e torni tardi… Era preoccupata per te, sono riuscito a darle un sedativo per calmarla….»

È colpa mia, pensò Peter sentendosi una fitta allo stomaco, se fossi stato a casa… come qualunque altro nipote… avrei potuto evitare tutto questo.

Per qualche minuto Peter restò fermo davanti alla stanza, osservando la zia, con le sopracciglia inarcate; poi si incamminò verso la signora Watson.

Invece no. Ero in giro a giocare a fare l’eroe, mentre non avevo nemmeno i poteri. Ero in giro ad aiutare la stessa gente che mi odia. Anche dopo essere stato sconfitto e umiliato, ho continuato a prendermi in giro da solo.

«Voglio restare qui, stanotte» disse alla signora Watson;

«No, Peter, non puoi» rispose lei preoccupata «Devi andare a scuola domani. Non ti preoccupare, resterò io con lei.»

Peter annuì silenziosamente e si incamminò a testa bassa verso l’uscita, mentre la signora Watson gli consigliava di tenere il cellulare acceso.

Rientrato a casa, Peter continuò a pensare, senza aprire bocca. Il suo volto inespressivo. Ho persino ottenuto un appuntamento con Betty per venerdì sera, ma ho dovuto rifiutare a causa di quel pazzo ancora a piede libero. Quel pazzo… Quel pazzo che mi ha sconfitto, che mi ha aperto gli occhi, che mi ha fatto capire che in realtà…

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di J. Jonah Jameson, intervistato in TV «L’attacco di stamattina non è stato altro che una prova! Una prova della minaccia pubblica che è quel maledetto scalamuri! Continuerò a fargli guerra usando il mio giornale, dovesse essere l’ultima-»

Peter spense. È questa la gente che cerco di aiutare… Gente disposta a credere alla prima illusione di un drogato che va in giro vestito con la pelliccia di un leone. Gente che mi odia e che ha messo una taglia sulla mia testa.

 

La mattina seguente, a scuola, Peter si rinchiuse nei suoi pensieri. Non sentì una parola della gente che lo circondava, non pensava ad altro che a sua zia, sola in ospedale, e aspettava che la campana suonasse permettendogli di raggiungerla.

«Parker!» esclamava una voce subito dopo il suono della campana, quando Peter si alzò di scatto e si accinse a correre fuori «Ehi! Parker!» una mano bloccò la spalla del ragazzo, era il professor Warren, «Ti dispiace rimanere un attimo prima di uscire? Vorrei parlarti.»

Così, quando la classe si liberò, il professore iniziò a parlare «I tuoi voti sono peggiorati, Parker. Sei sempre stato il migliore della classe, non vorrei che questo ti avesse dato l’idea sbagliata di smettere di studiare…»

«Non si preoccupi» lo interruppe Peter di fretta «È solo che sto passando un brutto periodo, mi rifarò.»

«Lo spero, Parker. La mia non era una minaccia!»

Il ragazzo lasciò la classe, con l’ultima parola pronunciata dal professore costantemente nella sua testa. In ospedale, Peter trovò May in piedi davanti alla finestra della stanza;

«Zia May!» attirò la sua attenzione «Come stai?» 

La abbracciò.

«Peter, mi dispiace…» rispose lei rattristata «Ero così preoccupata per te…»

«No, no… Non devi scusarti. Sono io che devo chiederti scusa… Ti prometto che non ti farò più preoccupare in questo modo…»

Peter passò la metà del pomeriggio in compagnia della zia, a cui i medici avevano consigliato di restare in ospedale per un altro giorno. 

Più tardi, quando il sole stava per tramontare su New York, Peter si recò al Daily Bugle per parlare con Betty. Forse dovrei dirle perché non posso uscire con lei, pensava nell’ascensore, forse devo rivelarle che sono Spider-Man. O forse no. Sarebbe troppo rischioso. Ma non appena l’ascensore si aprì, Peter trovò il Dottor Octopus che minacciava J. Jonah Jameson nel suo ufficio. Quell’idiota di Jameson l’ha deriso sul giornale, pensò Peter correndo verso Betty.

«Betty!»

«Peter! Ho già chiamato la polizia! Arriverà a momenti!»

«La polizia?! No! Non-» Non hanno speranze contro Octopus, voleva dirle, ma non aveva intenzione di buttare via la sua identità segreta. «Ci conviene scappare, intanto!»

Ma appena il ragazzo disse così, la porta dell’ufficio si aprì, e Octopus rinchiuse la ragazza nella presa di uno dei bracci metallici, scappando dalla finestra con essa. La polizia, al di fuori dell’edificio, non poté far nulla senza rischiare di ferire Betty.

Peter, all’interno, era su tutte le furie. Lanciò un’occhiataccia a Jameson e si precipitò verso le scale, scendendo il più veloce che poteva. 

Giunto al piano terra, uscì da una porta sul retro, ritrovandosi in un vicolo. Era senza fiato, e si sentiva bruciare. Pensò che, forse, aveva la febbre. Cercò di riprendere fiato mentre si spogliava dei suoi abiti civili a favore dell’uniforme rossa e blu.

Inseguì Octopus volteggiando goffamente tra i palazzi, sentendosi di svenire da un momento all’altro, fino a un cantiere nelle vicinanze dell’ospedale in cui si trovava zia May. Guardò verso una delle finestre in alto di quello e vide la zia, in piedi davanti ad essa, che osservava la scena al di sotto. Se solo si fosse tolto la maschera in quel momento, le avrebbe causato un infarto. Il suo primo pensiero fu di farle cenno di non guardare, ma poi pensò che sarebbe stato stupido, quindi non fece nulla.

«Lascia andare la ragazza!» intimò a Octopus, il quale fece quanto detto;

«Come vuoi, Spider-Man! Mi serviva solo come ostaggio!»

Proprio in quel momento, arrivò sulla scena anche J. Jonah Jameson, accompagnato da un agente di polizia. È finita, pensò Peter, stavolta è davvero finita. Il ragazzo era pieno di lividi su tutto il corpo, non riusciva a piegarsi, era senza i suoi soliti poteri di ragno e, come se non bastasse, era stato colpito dall’influenza. La testa gli girava, gli occhi gli si appannavano, aveva voglia di strapparsi la maschera da dosso perché stava bruciando, ma non si arrese. In preda al panico, senza nemmeno pensarci, si lanciò contro Octopus, il quale lo bloccò immediatamente tra le sue braccia metalliche. 

«Che modo di lanciarsi contro il nemico è mai questo, Spider-Man?!» esclamava mentre lo chiudeva nella presa delle sue braccia, bloccandogli le braccia «Cosa stai cercando di fare?! Infastidirmi?!» lo colpì con un pugno del suo vero braccio destro «Contrattacca! Mi senti?!» e con un pugno sinistro «Non rendere la mia vittoria così facile!» e di nuovo un destro «Non è possibile! Sei debole! Cosa diavolo ti è successo?!» Stava per colpirlo di nuovo quando notò che non riceveva risposta «È svenuto! Non ci posso credere!» 

Lo liberò dalla stretta presa delle braccia metalliche, ma non lo lasciò. Lo tese in avanti, immobile e steso sulle sue braccia. La testa e le braccia caddero verso il basso, mentre era esposto come un giocattolo davanti agli occhi dell’agente, di Jameson e di Betty Brant.

Uno dei bracci metallici si avvicinò alla sua testa; «Non cerca neanche di fermarmi mentre provo a togliergli la maschera! Dev’esserci solo una risposta…» dicendo questo, il braccio metallico di Octopus rimosse la maschera dal volto dell’eroe, rivelando il volto del giovane Peter Parker sotto gli occhi increduli di Jameson, Betty e l’agente.

Per un breve momento ci fu il silenzio, e fu proprio in quell’istante che Peter riprese conoscenza. Aprì gli occhi e vide i tre a testa in giù, poi avvicinò un braccio tremante al volto e toccò la propria pelle innaturalmente calda. Capì di essere stato smascherato.

«Avrei dovuto immaginarlo!» esclamò Octopus, lanciando il ragazzo addosso ai tre, che caddero sotto il suo peso «Non è il vero Spider-Man! È quell’idiota di Peter Parker! Mi sento preso in giro!» si voltò verso un giornalista che lo inquadrava, «Spider-Man! Quello vero! Se stai guardando, sappi che ti troverò, e ti batterò nuovamente!» 

 

Il Dottor Octopus sparì nella notte, mentre Jameson si rialzava borbottando «Fesso di un Parker! Gli avevo detto di fare delle foto di Doc Ock, non di giocare a fare l’eroe!»

Ma intanto, Betty Brant era in ginocchio davanti a Peter, ancora disteso, «Peter…» disse silenziosamente, quasi sussurrando «L’hai fatto per me… Avresti potuto morire…»

«Mi dispiace se ho fallito miseramente…» sussurrò questa volta Peter, che a stento riusciva ad aprire bocca, sollevandosi sui gomiti «Ma te l’ho detto, non valgo molto come eroe…»

La ragazza lo strinse a sé, quasi soffocandolo.

«Starà bene» disse l’agente di polizia, con una mano tesa verso il giovane, «È stato un atto coraggioso; stupido, ma coraggioso!» 

Peter afferrò la mano dell’agente e si rialzò, con Betty ancora tra le braccia, ma improvvisamente il suo volto, che era rosso per l’influenza, sbiancò;

«Che succede, Peter?» gli chiese Betty «Qualcosa non va?»

«No, sì, mia zia!» guardò verso la finestra dell’ospedale. Non c’era. «Merda.»

Zoppicando, con ancora il costume addosso, si avviò verso l’ospedale. Betty lo seguì. Presero l’ascensore, Peter si appoggiò alla parete, sfinito. Non si dissero una parola. Arrivati sul piano, videro la signora Watson che guardava Peter con aria preoccupata. 

«Signora Watson!» gridò lui, precipitando di faccia sul suolo «Come sta?!»

«Ha avuto un attacco di cuore.» rispose il dottore, prima che la signora Watson potesse trovare le parole. Questi aiutò Peter ad alzarsi e gli disse che al momento stava bene, ma che se avesse avuto un altro attacco simile, allora non ce l’avrebbe fatta.

Peter raggiunse il letto su cui era sdraiata e scoppiò a piangere. Betty lo abbracciò nuovamente.

 

Restarono all’ospedale fino alle undici di sera, poi si salutarono. Peter uscì dall’ospedale con il costume di Spider-Man tra le mani, e non sotto gli abiti civili come suo solito. Pioveva.

All’entrata, sentiva ancora la radio dell’edificio, con la voce di Jameson che minacciava ulteriormente Spider-Man e proponeva un premio per la sua cattura. 

Un milione di dollari, pensò Peter a testa bassa, avviandosi, con il costume in mano, verso il vicolo che portava al retro dell’ospedale, un milione di dollari solo per me? Lui… mi odia! Molto più di quanto pensassi… Le cose terribili che dice… non le dice solo per pubblicità… ci crede veramente… Pensa davvero che sono una minaccia per la società! 

Diverse parole scorsero nella testa di Peter; Minaccia; Nemico pubblico; Frode; Mostro… 

E se avesse ragione? Se davvero non ci fosse spazio per me tra gli eroi? 

Essere Spider-Man non mi ha portato nient’altro che tristezza. Ho iniziato pensando alle parole di mio zio Ben… da grandi poteri derivano grandi responsabilità… Ma facendo onore a queste parole ho escluso tutto ciò che realmente importava… La vita di Peter Parker… Zia May… Gli amici… Le ragazze nella mia vita… e per cosa? Posso essere sicuro che il mio solo motivo era la guerra al crimine? Sicuro che a lungo andare non mi stavo divertendo facendo l’eroe? Che mi stavo divertendo mentre causavo un infarto a mia zia, l’unica persona rimasta della mia famiglia? 

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità… Ma i grandi poteri mi hanno abbandonato, e la responsabilità senza di essi sta uccidendo me e i miei cari… Ma non più. 

Si avvicinò ad un secchio dell’immondizia e fissò il costume che aveva tra le mani. Restò così per un minuto, con la pioggia che gli cadeva addosso, poi appoggiò il costume sul secchio e si allontanò, andando verso l’uscita del vicolo, verso le luci della strada.

Sono stato sconfitto due volte… Ho rischiato di far morire zia May due volte… Ma non più. Mai più… Spider-Man mai più, pensava, mentre alle sue spalle il costume ormai fradicio era steso a testa in giù sul secchio, e un braccio cadeva fino al suolo, affianco ad una bottiglia di birra e due pacchi di sigarette gettati lì da qualcun altro.



The Web Of Spider-Man.

Rieccomi con questo nuovo, entusiasmante (beh...) capitolo di Marvel's The Amazing Spider-Man! Ho davvero poco da aggiungere questa volta, avete visto ben poco del "più grande eroe del mondo" in questo capitolo. I superproblemi cominciano a presentarsi nella vita di Peter, la debole zia May, le minacce di Jameson, Doc Ock ancora a piede libero e, come se non bastasse, Kraven il cacciatore! Una piccola speranza si accende, però, con la giovane Betty Brant; come proseguirà questa storia? E poi, Peter ha gettato via il suo costume. È davvero finita per Spider-Man? È questo l'ultimo capitolo? No che non lo è, io vi aspetto ancora qui, per il prossimo! Intanto auguro buon anno a voi, e buon compleanno al grandissimo Stan "The Man" Lee, che compie oggi la bellezza di 93 anni! Ringrazio come al solito i true believers, RocketQueen19 Farkas, e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

      


 

  
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