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Autore: Juliet_Dianna    28/12/2015    0 recensioni
C'è chi crede nella sfortuna, chi nei mostri, negli angeli custodi o chi è semplicemente superstiziosa.
Jonathan non credeva in niente di tutto questo, la sua testa era tra le nuvole ma solamente quando pensava al suo futuro non di certo perché pregava che delle cose belle potessero accadere solo grazie alla sua fede. Era uno scrittore, le cose immaginarie, secondo lui, potevano esistere solo nelle sue storie. Tutto questo fino a quando un evento sconvolgerà la sua vita e si ritroverà faccia a faccia con il suo angelo custode, Sebastian.
Genere: Angst, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jonathan non aveva mai creduto nel fato, nella sventura o qualsiasi altra cosa che veniva spesso citata dalle sue anziane vicine di casa. Una di queste erano gli angeli custodi.

Già, gli angeli custodi, quella razza sconosciuta agli uomini ma di cui molti credevano l’esistenza. A quanto pare ci aiutavano in situazioni difficili o pericolose. Insomma una specie di guida per andare avanti, come un’ombra che ci accompagna nella nostra vita tra alti e bassi, felicità e tristezza.
C’è chi pensa che siano invisibili o che semplicemente un certo Dio li abbia tramutati nei nostri animali da compagnia per non farci sospettare troppo.
Si proprio loro, quei cani e quei gatti che con i loro occhi spesso ci aiutano più di quanto molte persone facciano.

Ma Jonathan non credeva in tutto ciò, gli animali erano buoni semplicemente perché quella era la loro natura e non perché una certa potenza divina li aveva mandati sulla terra sotto quella forma solo per aiutarci e per guidarci nel cammino della vita. Nessun angelo e nessuna spiegazione sovraumana. Solamente la realtà che a volte poteva essere realmente terribile, proprio come quella che stava vivendo in questo momento il nostro caro amico da poco conosciuto.

Quella realtà da cui Jonathan voleva scappare, fuggire il più lontano possibile per fare ciò che gli piaceva o solamente per sentirsi libero e non oppresso dalle idee di suo padre o da quello che quest’ultimo voleva che il figlio facesse della sua vita.

Frasi come oppure .

Il padre non capiva, proprio non ci arrivava che suo figlio non voleva passare la vita ad accontentarsi come aveva fatto lui con la sua. Jonathan aveva i suoi sogni ed ispirazioni, e non le avrebbe messe da parte per nulla al mondo, né per la carriera di dottore né per quella di avvocato.

Ma non era solamente il padre il problema, tutti ridevano quando cercava di spiegare cosa voleva fare della sua vita, come se lavorare nell’editoria in generale fosse qualcosa di alieno.

La cosa lo opprimeva, per questa ragione non aveva mai fatto leggere i suoi lavori a nessuno, era terrorizzato dall’idea che qualcuno avesse trovato le sue storie noiose o semplicemente banali.

Anche perché come tutti sanno o almeno pensano uno scrittore scrive di cose che conosce e in qualsiasi sua opera c’è sempre una parte di lui, che sia in qualche personaggio o nell’idee generali.

Fare leggere a qualcuno le sue opere avrebbe voluto dire esternarsi, mettersi a nudo e Jonathan non era pronto per tutto questo.

In fondo lo sapeva che era un timore stupido, come fai ad essere uno scrittore ed a non volere che gli altri leggano i tuoi lavori? È un ragionamento assurdo. Ma il nostro protagonista pensava che fino a che non fosse arrivato il momento adatto per sponsor­­izzare i suoi lavori non c’era motivo che qualcuno li leggesse.

Tanto se li avesse fatti leggere ai suoi conoscenti come avrebbero potuto aiutarlo? Jonathan era convinto che le uniche persone che dovevano leggerli erano quelli interessati a pubblicarli ed in futuro i suoi lettori. Nel mentre potevano restare nel suo computer dove nessuno poteva giudicarli.

Era abitudine di Jonathan quella di scrivere la sera, dopo cena, nella tranquillità del la sua camera, dove a farlo compagnia ci sarebbe stato solamente il suo gatto Zeus  e delle note in sottofondo che uscivano tranquille dalle casse posizionate sopra la sua scrivania.

Quello era il momento che preferiva di più della giornata, si può tranquillamente dire che viveva la giornata solamente perché sapeva che la sera avrebbe trovato la sua tranquillità mentre ascoltava il ticchettio che emettevano i tasti del pc quando venivano pressati dalle dita. Quello era il suo momento di relax, relax che per molti era fumarsi una sigaretta sul balcone nelle serate calde mentre guardavano le poche stelle che le luci della città avevano risparmiato. Relax che per qualcuno era vedere un film mentre si sta sul divano con la propria metà. Ognuno aveva la propria idea di relax, per lui era quello.

Ogni tanto doveva fermarsi dallo scrivere perché Zeus aveva l’adorabile e snervante idea di strusciarsi contro la tastiera per cercare le attenzioni del padrone, troppo concentrato a scrivere per dare delle coccole al gatto. Ma quando ciò succedeva l’unica cosa che Jonathan poteva fare era spendere un po’ del suo tempo a quella creatura con cui aveva un rapporto meraviglioso, dal giorno in cui lo trovò sotto una macchina durante un giorno di pioggia quando non era altro che una palla di pelo grande poco più di una pallina da tennis. Lo prese con sé ed anche sotto la furia del padre decise di tenerlo, perché anche se lui non credeva nel fato era sicuro ci fosse un motivo se quel giorno era proprio passato vicino quella macchina dove si sentiva un flebile miagolio.

Decise di chiamare il suo gatto Zeus perché era stato trovato in una notte dove il cielo era illuminato dai fulmini e quale nome migliore per lui che quello del dio degli agenti atmosferici?

Jonathan era molto orgoglioso della scelta di questo nome visto che aveva un significato ma per molti era solamente un altro animale a cui viene dato il nome di qualche personaggio della mitologia greca.

Quella era solo una parte della vita di Jonathan. Non andava al college perché non voleva conseguire gli studi consigliategli dal padre e lui non era molto interessato al college.

Quindi le sue giornate si dividevano in diversi lavori part-time e dalla frequentazione di un corso di giornalismo che si stava pagando con i suoi diversi lavori, perché ovviamente il padre si era rifiutato di aiutarlo in questa futile idea, così chiamata da lui.

Essere giornalista era la sua seconda opzione, pensava che se magari fosse riuscito a diventare un giornalista dopo la pubblicazione del suo libro sarebbe stata più semplice.
Per questo aveva deciso di intraprendere questo corso, non era una scuola ma solamente una specie di formazione sulla scrittura. Cosa che gli sarebbe stata utile anche per le sue storie.

Lo stava aiutando anche con la storia del non far leggere a nessuno i suoi lavori, grazie ad esso ora i suoi articoli li faceva leggere, anche perché secondo lui non c’era nulla di personale in quello che scriveva per le assegnazioni che gli davano per il corso.

L’insegnate che aveva conosciuto lì si complimentava spesso e chiedeva anzi supplicava Jonathan di farle leggere qualcosa che aveva scritto. Purtroppo per lui si era fatto sfuggire davanti alla Signora Parker che aveva delle storie ed un romanzo finito. E da quel giorno la sua insegnante appena ne ha l’occasione cerca di convincerlo a farle leggere anche solo qualche pagina.
Ma ovviamente la risposta era sempre negativa.

I suoi lavori erano due: il primo era ad uno Starbucks vicino a Central Park, non era decisamente il lavoro della sua vita ma si divertiva a stare lì. Uno dei motivi principali erano i suoi colleghi di lavoro, tutta gente strana giudicata da lui ma sicuramente divertente, erano fatti per quel lavoro per approcciarsi alle persone, avevano tutti questa faccia simpatica e sempre con il sorriso e ti mettevano il buon umore solamente a guardarli, quella tipologia di persone che vedevano sempre il bicchiere mezzo pieno.

Inutile dire che Jonathan li invidiava.

L’altro lavoro era in una piccola libreria vintage che Jonathan amava, era un locale aperto da più di sessanta anni e tutti questi anni si riuscivano a vedere in quel luogo. Ma questo lo rendeva solamente più meraviglioso. La proprietaria era un’anziana signora, ormai vedova che prima dell’arrivo di
Jonathan si occupava di quella libreria da sola. Aveva raccontato a Jonathan di come quella libreria era del padre e che dopo la sua morte passò a lei, di come era cresciuta tra quegli scaffali impolverati mentre leggeva i suoi classici preferiti. Era solita raccontare che quando si trovava con la testa sulle nuvole le capitava di tornare indietro nel tempo e di rivedersi quando era solamente una nanerottola mentre correva intorno a quei libri, o di quando il padre prima di chiudere la libreria si sedeva a terra con la figlia per leggere un capitolo dei loro libri preferiti. Insieme lessero diversi libri ma i suoi preferiti rimasero “Alice nel paese delle meraviglie” ed “il giro del mondo in 80 giorni”.

Era solito aiutare la signora Rhyme a sistemare il negozio ed ovviamente era anche un commesso, spesso quando doveva andare lì dopo il suo turno allo Starbucks era solito portare a Danielle, l’anziana signora voleva che la chiamasse per nome ma Jonathan non ci era mai riuscito, un muffin con gocce di cioccolato bianco ed un caffè americano, i suoi preferiti. Ormai quella signora era diventata come la nonna che non aveva, tra buffetti e spettinate di capelli, quell’anziana vedova gli si era infiltrata nel cuore.
  
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