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Autore: Angye    29/12/2015    5 recensioni
Per Hermione e Draco è il primo Natale insieme, colmo di incertezze, dubbi e timori, ma, soprattutto, del desiderio di dimostrarsi tutto l'amore che sentono l'uno per l'altro.
Come sempre, non mancheranno tutti i personaggi dello strambo e simpatico gruppetto che ha affrontato la Battaglia del Devoratrix.
Buon Natale e Felice Anno Nuovo!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Saga dell'Anima'
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Salve a tutti !
Con sommo ritardo, Buon Natale e, con largo anticipo, auguri per un sereno e magico Anno Nuovo!
 
Questa piccola one-shot, ambientata nel Dicembre 1999, mi frullava in mente già lo scorso anno, ma, ovviamente, non ero riuscita a postarla; spero vi strappi un sorriso e vi piaccia tanto quanto io ho amato scriverla!
 
Ringrazio, ovviamente, le mie Beta, Aduial e Nuel (che pur essendo stracolma di cose da fare ha trovato del tempo per me!); dedico a loro questa storiella.
 
Buona lettura!
 
   
                                                                             
                                                                                  
 
                                                  
                                                                                 Oh, Christmas Tree
                                                                                                                                                                                          
 
 

Hermione lanciò uno sguardo al salotto ingombro di scatoloni più o meno disfatti e, mani sui fianchi, sospirò, scuotendo il capo di riccioli scuri.
– Non finiremo mai in tempo – decretò, rivolta più a se stessa che alla neo-coinquilina; del resto, Daphne non sembrava particolarmente interessata alla mole spropositata di oggetti personali ancora da disimballare, quanto più affascinata dal catalogo di “ModaMago” che stava sfogliando.
– Daphne. –
La Serpeverde ebbe il buon gusto di mugugnare un “hm?”, del tutto privo di interesse che irritò ancora di più la Grifondoro.
– Posa quell’affare! – Sbottò, allora, quasi mettendosi a pestare i piedi sul tappeto nuovissimo e rifinito d’oro e d’argento, giusto per non far torto a nessuno.
– Oh, d’accordo! – Sbuffò l’altra, gettando il giornale sul tavolino di fronte al divano, già straripante di libri e manuali universitari. – Oggi sei particolarmente nervosa – aggiunse, alzandosi dal pavimento e spolverando i pantaloni di velluto pesante.
Hermione alzò un sopracciglio con aria scocciata. – Come potrei non esserlo? Domani è Natale, ci hanno consegnato le chiavi dell’appartamento con due settimane di ritardo e ci ritroviamo a doverci trasferire alla Vigilia! – protestò.
Daphne si guardò attorno con aria attenta, poi sorrise, sincera e felice. – Oh, Hermione, non è meraviglioso? – Domandò, arricciando le labbra sottili e perfette.
Alla Grifondoro non occorsero spiegazioni per capire di cosa l’amica parlasse: il loro sogno si stava realizzando, prendeva forma, si componeva tra le loro mani, di fronte ai loro occhi.
Magisprudenza, l’appartamento a Londra, le persone che amavano al sicuro e felici; tutto andava bene.
Hermione prese un respiro profondo, espirò e la tensione parve abbandonare il suo corpo, le piccole rughe attorno agli occhi e alle labbra si distesero, restituendole il viso fresco e sottile di giovane donna.
– Sì, – affermò, posando per un attimo la mano su quella dell’amica – è meraviglioso. –
Si scambiarono uno sguardo complice, luminoso, pieno di vita, uno di quegli sguardi tipici di chi è caduto tanto profondamente nel pozzo della sofferenza da convincersi che non ne sarebbe uscito mai più e, invece, ritrovatosi in superficie col sole splendente a carezzarne la pelle, respira la gioia di essere sopravvissuto al peggio.
– Quindi, – riprese la ragazza bionda – non c’è bisogno di essere tanto pessimiste e preoccupate! Anzi, puoi sedere qui con me qualche minuto e consigliarmi la cravatta più bella tra queste, così che io possa acquistare il regalo di Natale a Blaise! – aggiunse.
Hermione si portò entrambe le mani al viso, indifferente al fatto che fossero sporche di polvere e che, due ore dopo, quando Draco sarebbe arrivato, l’avrebbe ritrovata con la fronte e il mento macchiate di nero.
Daphne, che, intanto, si era tuffata sul divano ancora incellofanato, batté un paio di volte la mano sul posto accanto a sé, invitandola a sedere. – Questa verde è molto bella, ma quella bordeaux sarebbe perfetta per la sua carnagione –  illustrò, tormentandosi un labbro con l’indice.
La Grifondoro, rassegnata, si lasciò cadere accanto a lei e lanciò un’occhiata distratta alla rivista.
– La seconda – mugugnò.
Daphne annuì, soddisfatta, per poi voltarsi a guardarla. – Tu cosa regalerai a Draco? – domandò.
Hermione sorrise, arrossendo leggermente poiché ancora l’imbarazzava l’idea di acquistare qualcosa a Draco Malfoy, di fare un regalo a Draco Malfoy.
Draco Malfoy, il suo ragazzo; quelle parole risuonavano ancora nella sua mente, spesso, nei momenti più impensabili. Si ritrovava a riflettervi quando ritrovava gli oggetti dimenticati dal Serpeverde nella sua borsa dopo un appuntamento o quando un collega all’Università le domandava come stesse il suo ragazzo; Hermione realizzava, ogni volta in modo diverso e ogni volta con la stessa immensa sorpresa e felicità, di essere innamorata di Draco Malfoy e che Draco Malfoy era innamorato di lei.
– Oh, Salazar, smetti di sorridere a quel modo e parla! –
 
 
Le sarebbe piaciuto, le sarebbe piaciuto di certo: era personale, dolce e simpatico al contempo e, soprattutto, riguardava la loro storia e le avrebbe dimostrato che non aveva e non avrebbe mai dimenticato nulla che la riguardasse o come e perché si era innamorato di lei.
Draco Malfoy camminava per le strade di Londra con quella convinzione cucita addosso che gli illuminava il volto e lo spingeva a starsene ben dritto, quasi pomposo nel suo incedere.
Nel mentre, da bravo Serpeverde in grado di dedicare attenzione a più dettagli insieme, rifletteva su cosa avrebbe indossato per la cena del giorno seguente: gli occorreva un abito che fosse elegante, ma non esagerato, che lo facesse apparire un ragazzo di buona famiglia, ma non un viziato figlio di papà.
Del resto, non era cosa da tutti i giorni conoscere i genitori della propria donna la sera di Natale e, soprattutto per uno come Draco Malfoy, l’idea di essere osservato, valutato e interrogato dai Signori Granger, non lo metteva particolarmente a proprio agio.
“Non devi preoccuparti, Malfoy: i miei genitori sono persone semplici e affabili”, aveva cercato di rassicurarlo quella strega della Granger, che l’aveva incastrato per benino qualche settimana prima con un “Pranzo dai tuoi, cena dai miei e non si discute”.
Almeno, Draco doveva ammettere con se stesso che la parte più difficile non spettava a lui; sedere allo stesso tavolo con l’uomo che ha tentato di uccidere te e i tuoi amici più volte, nella casa in cui sei stata torturata dalla sorella della padrona di casa e in cui l’uomo che ami è stato cresciuto come un razzista nei tuoi confronti, non era certo una cosa da stomaci deboli.
Draco aveva ammirato, come mai aveva fatto prima di allora, il coraggio e il sangue freddo della Granger, la sua capacità di perdonare, il suo desiderio di essere migliore, quando aveva risposto affermativamente alla lettera di invito a cena di Narcissa.
Non avrebbe mai smesso di sorprenderlo, quello era sicuro e, se i genitori le somigliavano almeno un po’, non avrebbe potuto che rimanerne conquistato.
Più tranquillo, svoltò l’angolo per imboccare una stradina appartata, dove si trovava un piccolo caffè gestito da Maghi e in cui i Babbani non mettevano mai piede, e tutto il suo ottimismo scomparve all’istante: Harry Potter e Ronald Weasley, gli effetti collaterali, le piaghe che aveva accettato come conseguenza della sua storia con la Granger, sedevano con poca compostezza a uno dei tavolini.
Draco valutò con attenzione l’idea di fare dietro front e darsi alla fuga, ma il cipiglio severo della fidanzata fece capolino nei suoi pensieri, ammonendolo con un’occhiataccia: “Devi dar loro una possibilità, Malfoy! Uscite a bere una burrobirra, andate a una partita di Quidditch, Godric, parlate, almeno!”
I Grifondoro dovettero essere posseduti da un’epifania simile alla sua poiché, dopo averlo fissato un momento con aria scocciata, si scambiarono uno sguardo e gli fecero un leggero cenno con la mano.
Come un condannato diretto al patibolo, Draco Malfoy s’incamminò verso di loro.
 
Eppure, era davvero certo che le sarebbe piaciuto.
Draco si rigirava l’astuccio tra le mani, osservandolo in cagnesco, quasi offeso, come se l’oggetto all’interno l’avesse tradito.
Di fronte a lui, Harry Potter e Ronald Weasley lo fissavano con espressioni compassionevoli e sagge, quasi come fossero stati due pozzi di sapere e lui un bimbetto giunto per imparare.
– Fidati, Malfoy: Hermione è un tipo più… difficile.
Weasley parve sforzarsi molto per cacciar fuori quell’aggettivo e, subito dopo, lanciò a Potter uno sguardo per essere certo di non aver offeso la loro migliore amica.
L’altro annuì, aggiungendo in tono pedante: – Quello che cerchiamo di dirti, è che Hermione non è come le altre ragazze, non puoi farla felice con fiori e cioccolatini – affermò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
Fu il turno di Weasley di annuire. – Prendi lo scorso Natale, ad esempio: – s’intromise – Harry e io ci lasciammo convincere da Ginny a regalarle una di quegli aggeggi pieno di cassetti, pennelli e cerchietti colorati… – s’impappinò, arrossendo fino alla punta dei capelli e l’altro andò in suo soccorso.
– Una valigetta per il trucco – disse, sorseggiando dal bicchiere con espressione tetra.
Weasley assentì. – E non le è piaciuta proprio per niente! Quasi sì è offesa, miseriaccia! –
Potter sbuffò – Beh, le abbiamo fatto anche regali che ha apprezzato tantissimo – si affrettò ad aggiungere, notata l’espressione divertita di Malfoy, tutto preso a immaginarsi la Granger che tirava dietro a quei due idioti la valigetta in questione.
– In ogni caso, noi un consiglio te l’abbiamo dato, poi decidi tu cosa credi sia meglio per lei – continuò Potter, facendo spallucce.
Weasley ridacchiò, gesticolando tanto col bicchiere da schizzare il tavolino – Puoi sempre chiedere a Ginny! – e giù a ridere con Potter.
Draco, che aveva sviluppato un forte mal di testa nei quindici minuti trascorsi con quei due, si limitò a ficcare l’astuccio in tasca e tamburellare le dita sul tavolo, attirando la loro attenzione.
– Cosa dovrei regalarle, allora? – domandò, cercando di non mostrare il disgusto, l’umiliazione e il desiderio di impiccarsi che gli derivava dal dover chiedere il loro aiuto.
Di nuovo, Potter e Weasley sorrisero, colmi di saggezza e benevolenza.
 
 
 
– Potresti regalargli un nuovo carattere, più socievole e meno odioso! – Affermò Ginevra, diretta in cucina con uno scatolone pieno di tazze, piattini e posate.
– Che simpatica! – Fece, sarcastica, Hermione e le due si scambiarono una linguaccia.
– Oh, non dire così, Ginny, Draco è solo timido! – Intervenne Luna, in piedi sulla scala, impegnata nell’ardua impresa di montare le tende.
Daphne rise di gusto, mentre chiudeva il ripostiglio. – Come no, timido e insicuro! – Dichiarò e la risata di Ginny fece eco dalla cucina.
Hermione, fintamente offesa, si fermò nel mezzo del corridoio con le mani sui fianchi, guardandole male. – Oche! – Le sgridò.
– Oh, che idea carina! – Intervenne Luna, che, per applaudire, lasciò cadere la tenda candida che scivolò irrimediabilmente sul pavimento impolverato – Credi che a Malfoy piacciano le oche? Dove abito io ce n’è un laghetto pieno! – Disse.
Altre risate si accavallarono, la tenda fu sollevata dal Wingardium Leviosa di Ginny, gli scatoloni svuotati tra chiacchiere e confidenze.
Il clima disteso, sereno, festivo ebbe un effetto positivo anche su Hermione che, sebbene non l’avesse confidato a nessuno, aveva già il regalo perfetto per Draco o, almeno, sperava fosse tale.
– Daphne, perché Astoria è rimasta a Hogwarts? – domandò Luna, quando si riunirono in cucina per concedersi una tazza di tè e qualche biscotto.
La Serpeverde fece spallucce – Casa nostra è un completo disastro, al momento, con i lavori di ristrutturazione in corso, inoltre, è rimasta indietro con il programma di diverse materie, quindi ho preferito restasse a scuola, così da rimettersi in pari. Non credo la stia prendendo seriamente. – spiegò.
Ginny, poggiata contro il lavabo, fece tintinnare il cucchiaino nella tazzina – Dalle un po’ di tempo, solo pochi mesi fa è quasi morta. – mormorò – È giusto che sia piena di entusiasmo, adesso, e che lo studio non la faccia impazzire – aggiunse.
Hermione sospirò, sedendosi con aria stanca – È vero, ma Astoria è una ragazza intelligente e, di certo, si renderà conto di quanto sia importante imparare il più possibile e si rimetterà in carreggiata, vedrai – rassicurò l’amica.
– Lo spero – sussurrò Daphne, che si era sentita terribilmente in colpa a punire a quel modo la sorellina, consapevole di quanto avesse sentito la sua mancanza durante tutti gli altri natali della sua vita, ma, da quando aveva dovuto e voluto prendere in mano le redini delle loro vite, del loro patrimonio ed era divenuta responsabile di Astoria, aveva deciso che avrebbe sempre fatto il suo bene, indipendentemente dai propri sentimenti.
Per quanto potesse apparire dolce, ingenua e tranquilla, Daphne conosceva la sorella e sapeva quanto testarda e capricciosa potesse diventare, e non aveva alcuna intenzione di lasciarla prevaricare, soprattutto non in quel momento, non appena scoperta la libertà, non più sottomesse ai loro genitori che avevano sempre impedito loro di comportarsi o essere loro stesse.
Per quanto facesse male, dunque, Astoria doveva imparare che le azioni, le scelte, hanno delle conseguenze e quello era l’unico modo di insegnarle.
– Credo proprio che sarà domani: sono stufa delle frecciatine di Ron – diceva, intanto, Ginny, in risposta a una domanda posta da Luna.
– Mi sembra una splendida idea! Tutta la famiglia sarà riunita e potrà dare il benvenuto a Theodore! – Esclamò la Corvonero.
Hermione sollevò un sopracciglio, scambiando con Ginny un’occhiata divertita.
 
 
 
 
– Blaise, dacci un taglio! –
Draco superò l’amico, raggirandolo e si diresse all’armadio, alla ricerca di qualcosa di abbastanza caldo per affrontare la serata gelida.
– Dacci un taglio?! Sono sinceramente offeso, Draco! Tu hai preferito accettare il consiglio di Potter e Weasley anziché chiedere al sottoscritto, la persona certamente più qualificata?! –
L’espressione di Zabini, che si rifletteva nello specchio fissato sulla parete accanto all’armadio, fece quasi ridere Draco: offesa e allibita, come quella di una fidanzata a cui hanno appena detto  “quel vestito ti ingrassa”.
Mentre infilava il maglione grigio polvere, Draco sbuffò – Ti ho chiesto un parere per il regalo del suo compleanno e mi hai consigliato di comprarle un Elfo Domestico! – esclamò.
Blaise allargò le braccia con aria convinta – E tu, dopo aver visto i suoi capelli ogni giorno per quasi sei mesi, puoi darmi torto?! Un Elfo domestico risolverebbe il problema nel giro di un’ora! – Affermò.
Draco si passò una mano tra i capelli sottili che gli ricadevano a sfiorare la fronte alta – Zabini, sveglia, è della Granger che parliamo! La tizia che ha indirizzato otto lettere al Ministero per trasformare il C.R.E.P.A. in un’istituzione ufficialmente riconosciuta! – sbottò. – E, comunque, i suoi capelli sono perfetti così! – aggiunse, guardando malissimo l’amico.
Blaise si portò una mano al viso con aria tragica – Non hai intenzione di metterci una camicia sotto, vero? – tentò, speranzoso.
– Neanche per idea. –
– Te li meriti quei capelli impossibili! –
 
Quando Draco e Blaise varcarono la soglia dell’appartamento, si ritrovarono con due sguardi omicida che li fissavano dal divano; Daphne e Hermione sedevano a braccia conserte, con gli abiti impolverati e l’espressione minacciosa.
– Oh, avete fatto un ottimo lavoro! – Tentò Blaise, avanzando di poco nel salotto, per ritrovarsi tagliato in due dall’occhiata furente di Daphne.
– Ehm, siamo un po’ in ritardo… – intervenne Draco, ciondolando sulla porta, indeciso se darsela a gambe o prostrarsi ai piedi della Granger invocando pietà.
La contrazione involontaria dell’occhio sinistro di quest’ultima lo convinse della prima opzione, ma, prima che potesse muovere un muscolo, il tornando Hermione Granger si abbatté su di lui.
– Sono le undici e dieci minuti! – Esordì, alzandosi di scatto – Avevi promesso, anzi, ti eri offerto di raggiungerci subito dopo pranzo per aiutarci! – Aggiunse, puntandogli contro l’indice con aria minacciosa. – Sei inaffidabile, scansafatiche e irresponsabile, Malfoy! Come pretendi che io possa fidarmi di te, che ti chieda aiuto in situazioni più difficili di un banale trasloco, se, per sciocchezze come questa, non ti degni nemmeno di spedire un Gufo ad avvisare del tuo ritardo? – lo sgridò e, in effetti, Draco si sentì esattamente come un bambino che aveva combinato un guaio di dimensioni colossali. – Per non parlare dell’albero di Natale, Malfoy! Avremmo dovuto andarci un’ora fa, adesso il mercato sarà vuoto e non ne troveremo mai uno decente! – incalzò la Grifondoro.
Draco decise in quel momento che non sarebbe stato un bene confessare all’adorabile fidanzata di essersi appisolato appena rientrato a Malfoy Manor e di essere stato svegliato dall’arrivo di Blaise, alla ricerca di una scusa o un alibi per tardare allo stesso appuntamento.
L’amico in questione, approfittando dell’attenzione rivolta esclusivamente a Malfoy, si era mosso con cautela in direzione della cucina, ansioso di far sparire le forbici che facevano bella mostra di sé sul ripiano più alto; non era insolito, difatti, che Daphne, invece di assordarlo come la Granger stava facendo con Draco, decidesse di vendicarsi accanendosi artisticamente contro il suo vestiario.
– Vai da qualche parte? –
La voce era dolce, gentile e decisamente attraente, quasi quanto la fanciulla che la possedeva.
Blaise rimase, per un solo, minuscolo, eppure decisivo istante, incantato dagli occhi verde limpido di Daphne, e, un istante più tardi, si ritrovò senza cravatta.
– Daph… –
– Hermione, ho trovato qualcosa per tenere legata la tenda! – annunciò la bionda, allegra, rigirandosi la cravatta blu scuro tra le mani.
– Magari la uso per strozzarti, Malfoy, attento a te! – fu la pacata risposta della Grifondoro.
Blaise si avvicinò a Draco muovendosi come un granchio, lateralmente e, dopo averlo sgomitato, sospirò, con aria saggia:  – Avremmo fatto meglio ad essere puntuali e aiutarle. –
– Ma non mi dire! –
 
La punizione dei due giovanotti fu esemplare, a detta delle rispettive fidanzate: recarsi, assieme a Potter, Weasley e Nott ad acquistare gli alberi di Natale in un mercato Babbano poco lontano da Londra.
I cinque ragazzi si ritrovarono la sera della Vigilia spiaccicati l’uno contro l’altro nella vecchia Ford Anglia di Arthur Weasley, tutti più o meno immusoniti dalla reciproca compagnia, ma ben consapevoli di cosa avrebbe potuto accadere loro se fossero tornati senza alberi di Natale.
A voler essere precisi, Ron e Harry erano stati incaricati da Molly del suddetto acquisto per la Tana, e Hermione, venuta a conoscenza della cosa, aveva costretto Malfoy ad aggregarsi, seguita a ruota da Daphne con Blaise; a quel punto, Ginny aveva colto la palla al balzo e obbligato anche Theodore col resto del gruppo.
Alla domanda del giovane Serpeverde: “Io che cosa ho fatto?!”, la risposta ottenuta non avrebbe potuto essere più perfetta: “Farai di certo qualcosa di sbagliato che dovrò farti pagare, mi porto avanti, come mi ha sempre consigliato Hermione!”, aveva detto Ginny.
– Io mi riferivo ai compiti, Ginny. –
– Fa lo stesso. –
Così, il gruppetto male assortito raggiunse la periferia della città e, lottando contro il freddo pungente e la nebbia, riuscì a scovare il benedetto mercato Babbano, solo per scoprire, con sommo rammarico, che quasi tutti gli alberi erano già stati acquistati.
Ne rimanevano una manciata che parevano più arbusti che alberi veri e propri e che le ragazze e mamma Weasley avrebbero tirato loro dietro, se avessero osato portarli a casa, soprattutto perché era stato a causa del loro ritardo se l’acquisto era stato rimandato quasi a notte fonda.
Peregrinarono per quasi due, due ore durante le quali raggiunsero ogni rivenditore Babbano o Magico che fosse, nel vano tentativo di salvare la pelle.
Per la prima volta, Serpeverde e Grifondoro si ritrovarono accomunati dallo stesso desiderio: che un miracolo di Natale concedesse loro una morte rapida e indolore.
Seduti nella vecchia auto, con i finestrini appannati dall’umidità e la neve che andava accumulandosi sul parabrezza, i ragazzi tacevano, senza avere il coraggio di mettere in moto e tornare a casa.
– Non ci sono altri posti dove compare questo affare di Natale? – domandò, nuovamente, Theodore.
Harry sbuffò – No – fece, lapidario.
Draco, seduto dietro alle spalle di Weasley, sobbalzò quando Zabini, accanto a sé, batté le mani una contro l’altra.
–Ma certo! – fece, illuminandosi di un sorriso radioso. – Come ho fatto a non pensarci prima?! – aggiunse.
Gli altri, seppur diffidenti a causa dei celebri “piani” elaborati da Zabini in passato, tesero le orecchie, speranzosi.
– Allora? – incalzò Ron, che non reggeva affatto bene la tensione.
Blaise si sporse verso i sediolini anteriori – Quest’affare quanto arriva lontano? – domandò.
Ron fece spallucce – Arriva dovunque serva – rispose, un tantino offeso.
– Possiedo un Casale di caccia nel Wiltshire circondato da diversi ettari di terreno boschivo; suppongo che, con un po’ di fortuna, un dannato albero potremmo trovarlo da quelle parti, non credete? – propose.
Draco si volse a guardarlo con espressione titubante – Parli dell’ammasso di ruderi abbandonato e disabitato da mezzo secolo che cadrebbe a pezzi se solo aprissi una finestra? – chiese.
Blaise sorrise e Theodore, alla sua destra si portò una mano alla fronte – Temo proprio di sì – sospirò.
– Beh, non abbiamo altra scelta, del resto, Hermione e Molly sono state chiare: un vero albero di Natale, niente magia – intervenne Harry, allargando le braccia con fare rassegnato.
– Potremmo sempre… –
– Non mentiremo a tua madre, Ron, e, sicuramente, non mentiremo a Hermione; sai bene come andrebbe a finire – aggiunse il Grifondoro.
Ron ci pensò su e annuì – Diamoci una mossa, il Wiltshire non è dietro l’angolo – disse, mettendo in moto l’auto.
Blaise si rivolse a Draco – Credi che dovremmo spedire un Gufo per avvisare che tarderemo? – domandò, passandosi una mano tra i capelli con fare pensoso.
Draco batté la fronte contro il finestrino.
 
Era un albero bellissimo, tra i più belli che le ragazze avessero mai visto.
Alto, robusto, pieno di aghi e, soprattutto, ancora profumato di bosco e neve, come se fosse stato appena sradicato dal suolo.
Hermione e Daphne, così come Ginny e Molly, avevano accolto i giovanotti con espressioni bizzarre, sorrisi luminosi e sguardi… divertiti.
Draco e Blaise, così come Harry e Ron, si erano sentiti orgogliosi e fieri della loro impresa, di fronte all’aria quasi… estasiate delle donne, come fossero stati degli eroi di ritorno da una missione tremendamente difficile e pericolosa votata a renderle felici.
Del resto, che altro avrebbe potuto generare tali sguardi vivaci, tali squittii divertiti, tali… risate prive di contegno?
Proprio così: Hermione e Daphne si stavano sbellicando accasciate sul divano, proprio come, nello stesso istante, stavano facendo Ginny e Molly.
Distanti ma ugualmente confusi, i giovanotti le fissavano e si fissavano, chiedendosi cosa diamine stesse accadendo e perché, invece che accorrere con tazze di tè bollenti e abiti puliti, magari una coperta e un invito a sedere accanto al fuoco, le signore continuassero a ridere di gusto.
Draco si grattò leggero la testa, senza potersi impedire un sorriso di fronte allo scintillio di felicità e allegria che illuminava lo sguardo della Granger, sebbene stesse morendo di freddo e i propri abiti fossero ormai da buttare.
Magia o non magia, ritrovarsi a dover tagliare due alberi alti quasi due metri e della stazza di Goyle non era stata certo un’impresa facile, proprio come caricarli sul tettuccio della vecchia auto e legarli alla meglio per riuscire a portarli fino a Londra.
Tuttavia, se quel dannato albero aveva reso la Granger tanto felice, era valsa la pena di fare uno sforzo tanto grande.
Del resto, lei appariva bellissima, come un quadro dipinto su tela, seduta sul divano, illuminata dal fuoco, con l’albero completamente decorato di candele e palline di vetro soffiato alle spalle…
Albero.
Draco e Blaise lo realizzarono nello stesso istante di Harry e Ron, e tutti e quattro ebbero la stessa reazione: bocca e occhi spalancati, un tic nervoso all’occhio sinistro, le gambe che cedettero costringendoli  a sedere.
Mentre il pendolo batteva le tre di notte, Molly Weasley posò un braccio sulle spalle della figlia.
– Dobbiamo proprio ricordarci di ringraziare Neville: non è da tutti regalare due alberi curati per un anno intero nella propria serra privata. – disse, rivolgendosi poi agli altri tre – Che ci fate là seduti? Portate quell’affare fuori, forza, sbrigatevi: mi sta imbrattando il tappeto di aghi! – sbottò.
Al contempo, Hermione, ricompostasi, porse a Draco una cioccolata calda – Dobbiamo aver dimenticato di avvisarvi che, stamani, Neville ci ha spedito in dono uno degli alberi che ha personalmente piantato e su cui ha lavorato per un anno, spiegandoci che sarebbe bastato un colpo do bacchetta per farlo tornare normale – illustrò.
Draco le afferrò il polso tirandosela addosso e infilandole le mani gelide dietro sotto il maglione.
– Già, deve esserti passato di mente – mormorò tra i suoi capelli, gustandosi il brivido che le corse lungo la schiena e il versetto acuto mal trattenuto dalle sue labbra.
Il Serpeverde la baciò e lei gli gettò le braccia al collo, infilando le dita tra i capelli e attirandolo a sé; quando i respiri di entrambi si fecero ansanti, Hermione gli morse un labbro.
Draco aprì gli occhi, divertito – Ho colto l’avviso, Granger: sei un tipo vendicativo – fece, carezzandole il profilo della guancia.
Lei fece spallucce, con le gote rosse sotto il suo sguardo – Forse – ammise.
– Non mi dispiace affatto – mormorò il ragazzo, strusciando le labbra contro la sua mascella.
La Grifondoro sorrise – Dovete tornare a piantare quell’albero, lo sai, vero? –
– Salazar! –
 
 



La mattina di Natale giunse con un sole luminoso, caldo e pieno di promesse, i cui raggi si riflettevano sulla neve candida, tramutando ogni cosa in luce pura.
Astoria se ne stava seduta su di uno dei tavoli della Sala Grande, dando le spalle all’intera stanza, gli occhi fissi sulle fiamme del camino di pietra di fronte a sé.
Si sentiva triste e in colpa, forse anche un po’ arrabbiata, ma non avrebbe saputo dire quale delle emozioni avesse il sopravvento sulle altre.
Era stata colpa sua, se adesso si ritrovava a festeggiare da sola il Natale, a scuola invece che con sua sorella, proprio come era accaduto tutti gli altri anni.
Era stata una sciocca, si era comportata da bambina viziata e, invece di dimostrare a Daphne di aver apprezzato l’impegno e la responsabilità che si era assunta prendendola sotto la propria tutela, aveva trascurato lo studio, si era cacciata nei guai e aveva deluso la sorella.
Meritava quella punizione, eppure non poteva fare a meno di pensare a quanto si sentisse infelice, all’idea di sprecare una giornata tanto importante da poter trascorrere nel calore familiare che sempre le era mancato.
Eppure, conosceva Daphne e sapeva quanta paura avesse di fallire come educatrice, come guida, come tutore e quanto le fosse costata la decisione di tenerla lontana da casa, perché, alla fine dei conti, anche a lei mancava la sorellina e le era sempre mancata nel corso di tutti quegli anni.
Astoria si asciugò una lacrima con la manica del maglione turchese prima che chiunque potesse notarla, immersa nel senso di colpa derivato dal sapere di aver rovinato il Natale a entrambe.
Mentre si alzava, decisa a tornare al dormitorio e restarvici fino al giorno successivo, una mano si posò, leggera, sulla sua testa.
– Annabelle, ti ho detto che sto bene, davvero… –
– Ouch! Mi hanno detto spesso che ho gli occhi di mia madre, ma essere scambiato per una donna, questo proprio non mi era ancora successo! –
Astoria si volse di scatto, rischiando di perdere l’equilibrio sulla panca e spalancò gli occhi azzurri, incredula, mentre un sorriso radioso si dipingeva sulle labbra sottili.
– Harry?! – esclamò, in tono più alto di quanto sarebbe stato opportuno.
Il giovane sorrise anche lui, stringendosi nelle spalle – Chi altro, se no? – fece.
Astoria si tuffò contro di lui facendo quasi rovinare a terra entrambi e arrossire bruscamente il Grifondoro che, tuttavia, richiuse le braccia attorno a lei, posandole un bacio delicato sul capo.
– Buon Natale, piccola – mormorò.
Lacrime di cristallo presero a scivolare giù dagli occhi limpidi di Astoria che, col viso immerso sul petto largo del ragazzo, respirò a fondo il profumo che tanto amava e si lasciò cullare dal calore di quell’abbraccio a lungo agognato.
– Buon Natale, Harry – disse, sollevando il volto verso di lui, per guardarlo, preparata alla fitta allo stomaco che l’avrebbe colta, non appena i loro occhi si fossero incontrati.
Per un minuscolo istante anche il Grifondoro la guardò, conquistato, combattuto, frustrato, poi sciolse il loro abbraccio, sistemandosi con aria goffa gli occhiali sul naso.
Era inutile, tutto inutile: per quanto ci provasse, per quanto rammentasse a se stesso che Astoria era ancora una bambina, che quindici anni erano ancora pochi per capire e vivere l’amore, per quanta forza impiegasse nel tenersi lontano da lei, davvero non riusciva a dimenticarla.
Quella piccola, pura, incredibile fanciulla possedeva ogni genere di sfumatura esistente e, ogni volta che credeva di averla conosciuta profondamente, ecco che lei si trasformava sotto i suoi occhi, scatenando in lui un senso di vuoto e curiosità ossessiva.
Astoria era come l’inizio della Primavera, radiosa, entusiasta, mai stanca, positiva, piena di vita e di luce, sempre diversa, prepotente e invadente, inarrestabile.
Gli era penetrata nella carne, nel cuore, nel sangue e scorreva dentro di lui, silenziosa eppure imponendo la propria essenza, il proprio odore, il proprio sapore.
Non baciarla, Harry, ordinò a se stesso, lottando contro l’attrazione per quelle labbra, appena  carnose, per la pelle chiarissima, più bianca del latte, per quel corpo appena sbocciato, non ancora adulto, non più infantile.
Era andato a trovarla con lo scopo di non farla sentire sola, abbandonata, poiché sapeva perfettamente come ci si sentiva e aveva scoperto, invece, di essere lui quello bisognoso di vederla, anche solo per un istante, perché, da quando era tornata a scuola, gli mancava terribilmente.
Astoria, dal canto suo, sembrava perfettamente a proprio agio sotto lo sguardo bramoso del Grifondoro, poiché non aveva mai preso parte a quella battaglia; si era innamorata di Harry Potter lo stesso giorno che aveva incontrato il suo sguardo dall’altro lato della Stanza delle Necessità ed era decisa a conquistarlo, ad amarlo, a renderlo felice.
Quel ragazzo aveva occhi tanto limpidi da celare il mare di ombre e dolore che si portava barricato dentro, ma a lei non era sfuggito ed era stata in grado di comprenderlo, perché, come lui, aveva sofferto oltre ogni immaginazione e, come lui, aveva sacrificato la propria vita per quella di qualcun altro.
Entrambi erano stati graziati con un’altra possibilità ed Astoria era decisa a non sprecarne nemmeno un minuto.
– Come… come mai sei qui? – gli chiese, ignorando i bisbigli dei pochi studenti rimasti a Hogwarts per Natale.
Harry sorrise, allegro – Sono venuto a portarti a casa: ho convinto Daphne a sospendere la tua punizione almeno per oggi! – annunciò.
Di nuovo, Astoria si tramutò in bambina e, dopo aver spalancato le labbra, sorpresa e incredula, prese a piroettare di fronte a lui, afferrandogli poi le mani, saltellante.
– Oh, grazie, grazie, grazie! – esclamò, fermandosi solo per allacciargli le mani al collo.
Il Grifondoro non ebbe il tempo di realizzare, troppo perso nel suo sguardo e nel suo profumo e avvertì solo la morbidezza delle labbra che si premevano, delicate, contro le sue.
– Grazie, Harry – la voce di Astoria era timida, le sue guance in fiamme, eppure il suo sguardo rimase fiero, coraggioso, fisso in quello di lui e Harry seppe, in quel momento, che non avrebbe mai più dimenticato il sapore di quelle labbra.
 
 
 
 
 
Luna controllò di nuovo la mappa, stando bene attenta a tenere in equilibrio sulle ginocchia la scatola piena di dolcetti.
– Eppure sono certa che siamo passati di qui… – fece, pensosa, indicando un punto non bene identificato sul foglio.
Ron, alla guida della Ford Anglia, sbirciò dalla sua parte – Tesoro, questa strada non compare lì sopra – fece notare – posso chiederti dove hai preso quella mappa? – domandò.
Luna annuì, sorridendo nella sua direzione – È un regalo di papà, – spiegò – una mappa incantata che, da quanto dice lui, mi aiuterà ad arrivare dove desidero – aggiunse.
Ron sorrise con lei, lanciando poi un’occhiata alla radura sperduta e circondata da alberi bassi a cui erano giunti – E, al momento, desideri arrivare nel mezzo del nulla? – chiese, confuso.
Luna fece spallucce – Non saprei – disse, portandosi un dito alle labbra – ho davvero voglia di andare a casa tua, pranzare con la tua famiglia… – continuò – Eppure, qualcosa mi dice che è questo il posto in cui dovremmo trovarci, Ron – mormorò.
Il Grifondoro, troppo intenerito dalla dolcezza della sua voce, si limitò a spegnere l’auto.
– Che fai? – gli chiese la Corvonero.
– Beh, se è qui che dobbiamo trovarci, allora tanto vale dare un’occhiata in giro, non credi? – domandò a propria volta, aprendo lo sportello e facendo il giro per aiutare anche lei a scendere.
Luna, entusiasta, adagiò la scatola sul sedile, con delicatezza e, accettata la mano che il fidanzato le stava porgendo, s’incamminò con lui attraverso la radura.
Nonostante fossero tremendamente in ritardo per il pranzo di Natale alla Tana, quel luogo ebbe il potere di conquistare entrambi: si trattava di una piccola collina, attraversata da un fiumiciattolo incostante e ricoperta di ogni genere di fiori che, incredibilmente, avevano tutti resistito all’inverno.
Il sole vi batteva pienamente, dando quasi l’illusione di essere stato fissato in quel punto preciso del cielo in modo da poter riscaldare la radura a ogni ora del giorno.
Non vi erano nuvole e il vento profumava di buono, di fresco, di pulito.
Luna e Ron camminarono a lungo, mano nella mano, ognuno perso in sogni, desideri e immagini di un futuro di cui, forse, avevano troppa paura di parlare all’altro, per il momento.
La pelle della Corvonero era bollente, contro la sua e Ron si ritrovò a sperare che quel calore non lo abbandonasse mai, che quella presa salda, su di lui, non scivolasse mai via, non si allentasse mai.
La fanciulla fatata che gli camminava accanto era stata in grado di amarlo per la persona che era, indifferente ai tanti, troppi difetti, alle dimenticanze e alle mancanze, agli sbagli che aveva e avrebbe commesso.
Luna lo comprendeva, lo ascoltava, lo correggeva senza farlo sentire inadeguato o umiliato, lo guidava con dolcezza, senza imporre la propria volontà, senza obbligarlo a seguirla.
E, poi, era di una bellezza incredibile, quasi ultraterrena, con quegli occhi intensi e i capelli di grano, col corpo sottile e il sorriso più dolce che avesse mai visto.
Come avesse potuto, una tale meraviglia, innamorarsi di lui, per Ron sarebbe sempre rimasto un mistero e, giurò a se stesso, non avrebbe mai provato a scoprirlo, ma avrebbe lottato strenuamente affinché nulla cambiasse mai.
– Credo che potremmo portare un po’ di questi fiori a tua madre, prima di tornare alla Tana, sai? Pensi che avrebbero potuto piacerle? – mormorò, portandosi la mano di lei alle labbra e baciandone il dorso.
Luna sollevò gli occhi colmi di rugiada nei suoi – Sì, credo che si sarebbe innamorata di questo posto – rispose.
Il Grifondoro si fermò di fronte a lei e le asciugò le lacrime dalle guance con i pollici ruvidi, per poi sporsi a posarle un delicatissimo bacio sulla fronte.
– Scegli pure tutti quelli che vuoi, allora, e li porteremo a Pandora – promise.
– Ma, Ron, il pranzo… –
– Il pranzo può aspettare. –
 
 
 
Theodore si osservò attentamente allo specchio prima di sbuffare sonoramente: vestito a quel modo si sentiva un vero idiota.
Eppure, non poteva certo far torto ai signori Weasley proprio il giorno di Natale e, per di più, della sua presentazione ufficiale all’intera famiglia non indossando quell’… affare.
Non era tanto l’indumento in sé - del resto, era un semplice maglione - e, probabilmente, nemmeno il colore, davvero poco adeguato - un rosso intenso e vivace - quanto più l’enorme “T” che occupava quasi completamente la parte anteriore, allargandosi da spalla a spalla e scendendo fino all’ombelico.
In più, gli faceva prurito.
– Dannazione – sbuffò, grattandosi con irruenza la schiena mentre Blaise faceva il proprio ingresso nella stanza con una tazza di caffè tra le mani.
L’espressione che assunse fu tutto un programma e, lanciato uno sguardo alla bevanda, la porse all’amico con fare magnanimo – La peggiore delle offese che potrei rivolgerti non eguaglierebbe mai l’orrore di quell’affare; – decretò – ecco, ne hai più bisogno tu – aggiunse, passandogli il caffè.
Theodore lo fulminò con un’occhiata – Non ho altra scelta, Zabini, quindi vedi di non mettertici anche tu, oggi! – sbottò.
L’amico si sedette sul letto del tutto indifferente all’avvertimento - del resto, quell’appartamento era suo e Theodore vi aveva solo soggiornato la notte prima, poiché più vicino a casa Weasley di qualsiasi altra sua Tenuta.
– Certo che hai un’altra scelta: fuggire via il più lontano possibile da Ginevra Weasley! – esclamò, allargando le braccia con fare incalzante – Quella lì è il Diavolo! Anzi, Satana in persona se la darebbe a gambe di fronte a lei! – aggiunse.
Theodore roteò gli occhi al soffitto, stufo della teatralità sempre esagerata di Blaise: il fatto che Ginny, a differenza di Hermione, che prendeva con filosofia insulti velati alla propria chioma e al proprio guardaroba, e della Lovegood, che nemmeno si accorgeva del fatto che Zabini si riferisse a lei durante i sermoni riguardo l’estetica, non avesse alcuna intenzione di starlo a sentire e non gli desse credito era la causa dell’astio tra i due.
Blaise era un esteta, convinto che la bellezza andasse coltivata e curata in ogni forma e, senza tatto, sparava sentenze riguardo qualsiasi cosa non fosse di suo gusto, come, per l’appunto, l’aspetto o l’abbigliamento di Ginevra.
Quest’ultima, da figlia minore, nonché ultima e unica femmina dopo sei fratelli, aveva imparato a farsi rispettare e far sentire la propria voce, oltre che sganciare dei pugni micidiali che Zabini in persona aveva potuto assaggiare in diverse occasioni.
Del resto, ogni circostanza, ogni incontro, ogni discorso era buono per tramutare una chiacchierata tra amici in una lite senza precedenti, che, ogni volta, terminava con i due che, come ragazzine di dodici anni, si offendevano vicendevolmente.
– Sono in ritardo, devo sbrigarmi e dovresti farlo anche tu – lo avvisò Theodore, infilando la giacca di pelle scura.
Blaise si alzò con lentezza, avviandosi verso la porta strisciando i piedi – Ho già tutto pronto, non farò tardi, oggi – assicurò.
– Lo spero per il tuo bene, amico. –
 
– Theodore, mantieni la calma – lo invitò Ginny, prendendogli una mano fuori dalla porta della Tana.
– Facile a dirsi per te: non ho parenti prossimi, al di fuori di Daphne e Astoria che già conosci, non sei tu quella che deve sfilare come una bestia da soma di fronte all’intera razza Weasley – sbottò lui, con le mani sudate.
La ragazza rise di gusto – Una bestia da soma?! – lo prese in giro – Non preoccuparti, non sei il primo fidanzato della sottoscritta che incontrano – aggiunse, punzecchiandolo.
Theodore l’afferrò per la vita, stringendosela contro e afferrandole il mento con ferma delicatezza – Sarò l’ultimo però e devo fare una buona impressione, non credi? – fece, sfiorandole il lobo dell’orecchio con le labbra.
La Grifondoro represse un brivido, aggrappata al suo maglione e gli occhi bruni si accesero di bramosia.
Il ragazzo la lasciò, passandosi una mano tra i capelli scuri e, depositatole un tenero bacio sulle labbra, sospirò: – Fammi strada. –
La Tana era in completo delirio e il caos regnava sovrano.
La Signora Weasley era in cucina, intenta a controllare ogni sorta di aggeggi mentre, tra le mani, stringeva un vassoio colmo di cibo e, accanto a lei, una giovane donna dalla pelle ambrata che Theodore riconobbe come Angelina Johnson, parlava senza sosta, gesticolando animatamente con una seconda persona, la biondissima, bellissima e molto incinta Fleur Delacour.
A tavola sedevano il Signor Weasley, intento a leggere il giornale, e tre dei figli: William e Ron, che discutevano a voce alta di Quidditch e Charlie, tutto preso dall’osservazione di un drago in miniatura.
Dal salotto, giungeva la voce di qualcun altro, Percy, gli spiegò Ginny che, tramite camino, discuteva con alcuni segretari del Ministero.
Nel mezzo della bolgia, la Grifondoro si schiarì la voce, richiamando l’attenzione di tutti.
– Scusate, potreste tacere un momento? –
Ogni rumore cessò, gli sguardi si fissarono su di loro e la testa di Percy fece capolino dal salotto.
– Mamma, papà, famiglia, lui è Theodore Nott, il mio fidanzato – annunciò, senza alcuna esitazione.
Per un istante, Theodore temette che il mite Signor Weasley sarebbe balzato in piedi, avrebbe afferrato uno degli aggeggi di sua moglie e l’avrebbe infilzato senza pietà o, probabilmente, che sarebbe stata Molly a dargli il colpo di grazia.
Poi, l’istante passò e ogni cosa riprese esattamente identica.
– Sono felice che il maglione ti sia piaciuto, Theodore! – gridò la Signora Weasley, dall’altro lato della cucina, – Percy, ho detto niente lavoro a Natale!- aggiunse.
– Vieni a sederti, ragazzo, spero tu sia affamato! – intervenne, ridendo, il Signor Weasley.
– Molto piacere, sono Bill Weasley e lei è mia moglie Fleur – gli strinse la mano il giovane alto e dal viso sfregiato.
– Oui, pensavamo a Sophie o Violet, ma non siamo ancova sicuvi – stava dicendo, intanto, la moglie. – Oh, piaceve! – Aggiunse, baciandolo su entrambe le guance.
Theodore si ritrovò seduto a tavola, con un piatto stracolmo di cibo davanti e la testa piena di chiacchiere.
Accanto a lui, Ginny gli strinse un ginocchio con la mano, sporgendosi verso il suo orecchio.
– Benvenuto in famiglia, amore – mormorò, lasciandolo stordito dal proprio profumo il tempo necessario per allungare l’altra mano fino al suo piatto e rubargli la coscia di pollo.
Quando Theodore se ne accorse la osservò, imbronciato e confuso, e Ginny rise:  – Impara e proteggere il tuo cibo, tesoro, o non avrai scampo in questa casa! – Gli strizzò l’occhio, addentando il bottino.
 
 
 
– Daphne, puoi aprire tu? –
– Arrivo! –
Una testa biondissima fece capolino in corridoio e la proprietaria, mezza vestita, si precipitò alla porta, avendo appena cura di piegare la maniglia e sparì di nuovo in camera propria.
–  Chi è? – Volle sapere Hermione, a propria volta chiusa in stanza, concentratissima sul rituale della vestizione che, in quel giorno particolare, la innervosiva e stressava più del solito; del resto, non c’era un manuale riguardo il codice d’abbigliamento da tenere per recarsi a pranzo a casa di Narcissa “L’eleganzaportailmionome” Black e Lucius “Preferireimangiareconuntrollpiuttostocheconte” Malfoy.
Daphne, invece, si trovava nella situazione opposta a quella dell’amica: per la prima volta in assoluto, difatti, sarebbe stata la padrona di casa e avrebbe ricevuto a pranzo il fidanzato e la madre di questi e, per quanto perfettamente a proprio agio nell’ambiente rigido e formale della tradizione Purosangue, la Serpeverde temeva di fallire, di sbagliare qualcosa e mandare all’aria l’intera festività.
–  Non ne ho idea – rispose, dunque, mentre alternava sull’abito verde chiaro ora questa o ora quella giacca, optando poi per una stola di pelliccia.
–  Daphne! Quante volte devo dirti che non si apre senza controllare dallo spioncino?! – la voce di Hermione, saccente e colma di rimprovero, si fece sempre più vicina; la Grifondoro, difatti, era uscita dalla propria stanza a piedi nudi, con le decolleté tra le mani e lo chignon davvero male acconciato dal quale erano sfuggiti diversi riccioli.
–  Buongiorno, Granger. –
–  Godric, Zabini, mi hai fatto prendere un colpo! –
–  Detto da una che si è pettinata così… –
–  Non cominciare, ti avviso! Sono in ritardo – lo informò la Grifondoro, usandolo come punto saldo per salire sui tacchi. – Daphne, io esco, a stasera! – Aggiunse, rivolta alla porta dell’amica.
–  Ciao Hermione, fa’ tanti auguri a Jean e Heric da parte mia! –
La Grifondoro uscì di corsa, afferrando al volo la giacca e sbattendosi la porta dietro le spalle.
Blaise, ancora impalato in corridoio, scosse la testa – Buon Natale anche a te, Granger, sì, certo, sto bene, grazie – ironizzò, bussando poi lievemente alla porta di Daphne – Daph? –
–  Ci sono, ci sono, entra! –
Blaise varcò la soglia e immediatamente si bloccò sulla porta, la mano ancora a tenere il pomello: Daphne Greengrass era quanto di più bello i suoi occhi avessero mai visto.
Vestita di un abito in seta verde acqua, morbido e leggero, portava i capelli biondi liberi sulle spalle, lunghi fino alla vita e perfettamente lisci; gli occhi erano sfumati d’argento, le labbra appena colorate di pesca e l’unico ornamento che si era concessa erano degli orecchini sottili e ricoperti di smeraldi.
–  Credi che... che vada bene per un pranzo con… sai, tua madre? – gli chiese, impacciata e insicura come mai era stata in vita sua e come solo lui era capace di farla sentire.
Cordelia Rowena Zabini, difatti, condivideva col figlio la bellezza prepotente, fatta di pelle scura e grandi occhi chiari, di corpi statuari e capelli folti e Daphne temeva realmente che potesse trovarla scialba e insignificante.
Il ragazzo sorrise, velato, chinando per un attimo gli occhi a terra, terrorizzato all’idea che la fanciulla vi leggesse la devozione assoluta che gli scatenava la sua sola visione e, fatto un bel respiro, avanzò fino a raggiungerla.
–  Sei bellissima – assicurò, prendendole il viso tra le mani e facendo aderire le loro fronti.
Anche Daphne sorrise, arrossendo, quasi vergognandosi di quella felicità sconfinata che l’idea di essere amata da quel ragazzo le provocava.
–  Ho una cosa per te – disse Blaise, prendendola per mano e conducendola a sedere sul letto; solo allora  Daphne notò la scatola color argento che lui teneva tra le mani.
Curiosa, inclinò di lato la testa – Non è presto per scartare i regali? – chiese.
Il Serpeverde posizionò la scatola tra loro e, sciolto il fiocco rosso che lo avvolgeva, le mostrò un foro largo pochi centimetri, l’essenziale per infilarvi due dita.
– Ho una proposta da farti: – illustrò, parlando nel modo più serio che Daphne avesse mai udito – ho infilato in questa scatola quattordici bigliettini sui quali ho scritti i nomi di tutti i luoghi che abbiamo sempre desiderato visitare – continuò. – La mia proposta è questa: ogni Natale, io e te pescheremo due biglietti, uno ciascuno e, durante l’anno che segue, troveremo il tempo per recarci in viaggio nel luogo estratto – spiegò – fino a quando non resteranno due soli biglietti che saranno le mete del nostro viaggio di nozze – disse, tutto d’un soffio.
–  Accetti? – le domandò, timido e tremante, per una volta privo di quella corazza di indifferenza e ironia che proteggeva il suo cuore dalle delusioni
Daphne sentì il cuore leggero, infinitamente leggero e le lacrime farsi largo nei suoi occhi senza che potesse fermarle: Blaise Zabini voleva sposarla.
La scatola d’argento, tra di loro, era come una clessidra e avrebbe scandito il tempo che li separava dal giorno in cui sarebbero diventanti marito e moglie.
Incredibilmente, Daphne non si sentì affatto spaventata od oppressa all’idea del matrimonio, come, invece, si era sentita per anni, quando, da giovane fanciulla purosangue, aveva dovuto accettare un destino imposto da altri e contro il quale non avrebbe potuto opporsi.
Quella scelta, invece, era solo sua e nessuno avrebbe potuto obbligarla e, col cuore colmo di gioia, la Serpeverde comprese di desiderare ciò da cui era sempre fuggita.
–  Accetto – rispose, gettandosi contro di lui per baciarlo e facendo finire entrambi distesi sul letto.
Persi l’uno nei baci dell’altra, non si accorsero quasi della porta che si apriva.
–  Daphne? Daphne! Buon Natale! – la voce allegra di Astoria riempì l’intero appartamento.
 
 
 
Draco chiuse la porta con delicatezza e raggiunse Hermione, seduta sulla chaise-long della propria stanza, intenta a scalciare via le scarpe.
Sedette accanto a lei e si sporse a baciarle una tempia – Direi che c’è l’abbiamo fatta – mormorò, intrecciando le loro dita.
La ragazza sospirò, poggiandosi contro di lui – Ce l’abbiamo fatta – annuì – senza drammi o incidenti, aggiungerei – sorrise.
Lui si scostò appena da lei per guardarla – Non ho avuto il tempo di darti il mio regalo – disse, alzandosi per recuperare il capotto abbandonato sulla poltrona.
Hermione seguì ogni suo movimento con attenzione, tesa, ansiosa, emozionata, col cuore che batteva forte e un sorriso impossibile da lavar via sul viso.
Il ragazzo la raggiunse, chinandosi alla sua altezza e prendendole le mani – Ti avevo comprato una cosa, una cosa che… che avrei voluto regalarti da un po’, che ricordasse sempre a entrambi come siamo arrivati a questo momento – spiegò, con lo sguardo basso. – Poi, ho incontrato Potter e Weasley e loro mi hanno confuso parecchio, blaterando di strani aggeggi per il trucco e libri in edizione limitata… – continuò, scuotendo la testa al se stesso che aveva dato retta a quei due.
Hermione assunse un’espressione divertita e intenerita: Draco Malfoy insicuro era una novità, per lei, figurarsi Draco Malfoy che si lasciava fuorviare da quei disastri di Harry e Ron.
–  Poi ci si è messo Zabini, e la sua mania dei parrucchieri… –
Le sopracciglia di Hermione si chinarono sugli occhi, minacciose e Draco rise, sollevando una mano a sfiorarle una guancia.
La Grifondoro socchiuse gli occhi a quel tocco, beandosi dell’immagine del suo volto sereno, degli occhi liberi dai demoni, del sorriso sincero che gli disegnava le labbra.
–  Avevo timore di non riuscire a trovare qualcosa che ti mostrasse quanto ti amo – la voce di Draco fu un sussurro deciso, solenne e, quando Hermione spalancò gli occhi, si ritrovò prigioniera delle gemme trasparenti che erano i suoi occhi, beati come se fossero stati in contemplazione di un miracolo divino.
Il cuore della ragazza ebbe un sussulto, riconoscendosi, per un istante, per come lui la vedeva, comprendendo chi fosse, realmente, agli occhi di Draco Malfoy: l’amore puro.
Non riuscì a impedirsi di gettargli le braccia al collo, nascondendo il viso sul suo petto, tentando di placare i singhiozzi scatenatisi dal sentirsi così perdutamente amata dal ragazzo che perdutamente amava.
Nessun altro sentimento era mai stato così potente, invincibile, travolgente, in lei, e per nessuno aveva mai provato un’emozione così sconfinata.
Proprio lei, che aveva fatto della propria vita il perfetto equilibrio di logica e ragione, si era lasciata trascinare ovunque l’amore per Malfoy l’avrebbe condotta e, pur sapendo quanto irrazionale fosse, non avrebbe mai scambiato quel rischio con nessuna certezza la vita potesse darle.
–  Ti amo anch’io, Malfoy – mormorò, timida e colma di vergogna, ma libera di pronunciare quelle parole che aveva desiderato dire  per mesi.
Draco sentì la tensione di una vita intera abbandonare i muscoli, tutto il bagaglio del dolore passato che scivolava via, come se il ghiaccio attorno alla sua anima fosse stato sciolto di colpo, riscaldato dalla fiamma bollente che Hermione aveva insinuato dentro di lui.
Mai, mai avrebbe osato sperare, chiedere, immaginare che lei potesse amarlo, mai avrebbe potuto anche solo sognare che quella creatura ultraterrena, la più pura mai generata, volesse anche solo posare lo sguardo su di lui ed ecco, invece, che lei lo amava.
Lo amava.
Sentendo gli occhi umidi, il ragazzo si affrettò a chiuderli e dosare il respiro, imponendo a se stesso un contegno che non possedeva affatto.
– Ecco… – riprese, mentre lei tornava a sedere – alla fine, ti ho comprato un po’ di tutto: un libro in edizione limitata con tanto di autografo, che troverai sotto il cuscino, – le indicò il letto – un set da toeletta d’argento con le tue iniziali incise sul dorso, –  stavolta, puntò il dito in direzione della scrivania – e, alla fine, ho deciso che l’unico regalo che volevo darti davvero, era questo – sospirò, tirando fuori dal cappotto l’astuccio di velluto blu e posandolo sulle sue gambe.
Hermione accostò le dita al nastro bianco con mano tremante e, lentamente, sciolse il fiocco, aprendo la scatolina e rimanendo a fissarne il contenuto, incredula.
Draco, intanto, la guardava, trepidante d’attesa, nervoso, terrorizzato all’idea che lei non cogliesse, che, al contrario di com’era stato per lui, quei determinati momenti non fossero stati essenziali per lei.
La Granger sollevò il braccialetto d’oro bianco, sottile e luminoso, adornato da una manciata di ciondoli, piccoli e perfettamente intagliati; sorrise tra le lacrime, allungando il braccio.
– Potresti… ? – gli chiese.
Con estrema delicatezza, Draco chiuse il gancio attorno al polso sottile della ragazza, carezzando alcuni ciondoli con le dita.
Hermione si portò la mano al cuore e sospirò: – È il regalo più bello che io abbia mai ricevuto e che tu potessi farmi – mormorò, stringendo ogni ciondolo tra le dita, conquistata – Sono tutti i momenti che mi hanno fatta innamorare di te – aggiunse, incrociando il suo sguardo.
Draco, sollevato, si sporse a baciarla con irruenza, tuffando le mani tra i suoi capelli, ridendo sulle sue labbra – E che mi hanno fatto innamorare di te – affermò.
La ragazza sfuggì al suo bacio solo per raggiungere il cassetto del comodino e tirarne fuori un pacchetto dai motivi natalizi e porgerglielo.
Il Serpeverde, passatosi una mano tra i capelli chiari, aspettò che lei tornasse accanto a lui per aprirlo e aggrottare le sopracciglia, confuso: un fazzoletto della seta più pregiata spiccava in netto contrasto col nero dei suoi pantaloni ed era… sporco di sangue.
– Ehm… – fece, incerto riguardo cosa dire.
Hermione rise – Guarda le iniziale ricamate – lo invitò e lui eseguì, ritrovandosi a scoprire che quel fazzoletto era già suo.
La sua mente si mise rapidamente in moto e la comprensione giunse alla svelta.
– È quel* fazzoletto? – esclamò, non riuscendo a credere al fatto che lei lo avesse conservato per tutto quel tempo.
La Granger annuì, allungando le dita a sfiorare le macchie scarlatte – Ho provato a lavarlo, ma il sangue non ha voluto saperne di andar via, così, ho avuto un’idea: – spiegò – da quando mi hai detto che ti sei iscritto al Corso di Guardia del Mago e che, praticamente, ci saranno settimane intere, se non mesi, durante le quali non avrò idea di come starai o di dove ti troverai…  – tentennò, stringendo la stoffa tra le dita chiuse a pugno.
Il ragazzo ne posò una su quelle di lei, carezzandola e la ragazza sorrise, tirando su col naso.
–  Lo so, lo so, sono fiera di te, sono così orgogliosa… ma ho una paura tremenda che possa accaderti qualcosa, che, un giorno, partirai e io non ti vedrò tornare e ti aspetterò, per giorni, settimane, mesi, anni e… –
Il Serpeverde le afferrò il polso tra le dita, costringendo i loro sguardi a incontrarsi – Tornerò sempre da te, Granger, vivo, moribondo o cadavere – le giurò.
Lei annuì, respirando profondamente e Draco indicò, con un cenno curioso del capo, il fazzoletto dall’aria innocua che teneva tra le mani.
– C’è impregnato un incantesimo, – riprese la ragazza – qualcosa di simile a una Passaporta, ma non proprio uguale: diciamo solo che se un giorno tu fossi ferito, in pericolo o avessi il bisogno urgente di un posto sicuro, ti basterà stringere il fazzoletto tra le mani e lui ti riporterà da me, dovunque io mi trovi o dovunque tu ti trovi – gli spiegò.
Malfoy era incredulo: la Granger era un genio, davvero, assolutamente.
– Funziona solo con me, perché è impregnato del mio sangue – aggiunse, forse timorosa che lui non avesse ben chiaro la faccenda.
– Funziona solo con te perché tu sei il mio posto sicuro – ribatté lui, guardandola dritto negli occhi e facendola arrossire.
Fuori, da qualche parte, delle campane presero a suonare e i cori natalizi si levarono nel cielo, accompagnando la dolcezza e la solennità del loro spogliarsi, sfiorarsi, amarsi.
Il senso di eterno del loro stare insieme non sarebbe mai venuto meno, così come la brama di possedersi che li avrebbe sempre animati.
Quello era stato il loro primo Natale insieme, superato senza tutti i drammi che si erano immaginati e avevano temuto.
Nel mezzo della notte, quando ormai i sogni più felici li avevano inghiottiti, la luna alta in cielo trapassò le tende accostate, sfiorando il braccialetto al polso di Hermione, adagiato sul petto del giovane; una scopa, una torre, un biscotto, un albero e un castello risplendettero d’argento**, luccicando di ricordi e promesse.
 
 
 
 
 
 
 
* Draco si riferisce al fazzoletto che ne “La mia rivale bellissima” presta a Hermione nella Stanza delle Necessità, dove si sono nascosti una volta riusciti a scappare dalla Foresta Nera, per arginare il sangue che le esce dalla ferita al polpaccio.
 
** I ciondoli sono riferimenti all’intero percorso affrontato dai due ne “La mia rivale bellissima:
- la scopa, riferimento al volo che Hermione, pur terrorizzata, compie per raggiungerlo;
- la torre, in cui lui è rinchiuso e dove si scambiano il primo bacio;
- il biscotto, riferimento a un loro battibecco;
- l’albero, ovvero la Foresta in Albania in cui trovano Liliana;
- il castello, Hogwarts, dove fanno l’amore per la prima volta e dove il loro amore vince contro il Devoratrix Anima.
  
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