Film > The Phantom of the Opera
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Autore: Alkimia    10/03/2009    5 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO

 Parigi 1919

La carrozza cammina lentamente lungo il boulevard, mi lascio cullare dal dondolio della vettura e dal leggero tepore che mi tiene al riparo dal vento freddo che soffia fuori, spazzando Parigi e costringendo le signore a stringersi nei loro cappotti. Osservo un uomo rincorrere il cilindro che una folata troppo forte gli ha fatto scivolare via dalla testa e che ora glielo sta facendo rotolare lungo il marciapiede insieme a una manciata di foglie secche. Sembra che non sia successo niente, è passato solo un anno e la Grande Guerra sembra soltanto un brutto ricordo.
Starnutisco violentemente, non sono più abituata al clima di Parigi. Frugo nella borsa alla ricerca del mio fazzoletto. Nell'angolo ci sono ricamate le mie iniziali: V. d. V.
Le cucì Colette, la vecchia domestica della nostra famiglia, su tutti i fazzoletti e i teli da bagno del corredo nuziale che mi regalò mia madre quando compì dieci anni.
Ah la mia buona Colette! Diceva sempre che io e mio fratello saremmo stati la sua morte, ma è vissuta a lungo e si è sempre mantenuta in salute. Me la ricordo ancora, quando ci rincorreva per il porto di Marsiglia con una velocità sorprendente per una donna della sua età.
La carrozza si ferma bruscamente in mezzo al traffico, in rue de la Roquette c'è una lunga fila di automobili e altre carrozze. La violenta frenata mi fa cadere la borsa di mano, parte del contenuto si rovescia sotto al sedile. Tra gli oggetti che sono caduti c'è un volume rilegato in carta marrone con i titoli stampati a caratteri dorati.
“la Fantome de l'Operà – Gaston Leroux”
So che è stato dato alle stampe già da qualche anno. L'ho acquistato in una piccola libreria quando sono arrivata a Parigi, quattro giorni fa, l'ho letto in una sola giornata, perché non avevo nient'altro da fare e perché stavo morendo dalla curiosità di sapere cosa avevano raccontato di... lui.
L'autore ha descritto la vicenda come una sorta di inchiesta giornalistica, persino con una sottile vena di sarcasmo che, devo ammetterlo, in alcune pagine mi ha fatto sorridere. Quel libro non è riuscito a farmi arrabbiare, ho preferito ritenerlo una bella favola dalla morale amara piuttosto che il resoconto veritiero di una storia che già ancora prima che fosse finita era divenuta una leggenda, e ho il sospetto che quel romanzo non rimarrà l'unico tentativo di raccontarla. Posso solo sperare che la gente non creda che ciò che ha narrato Leroux sia la verità su come si svolsero i fatti.

Erik è morto.

È con queste parole che si conclude il libro. Il romanzo non sarà fedele alla verità dei fatti, ma quella frase mi ha strappato ancora una lacrima, e nessun lettore, nemmeno il più sensibile potrà arrivare in fondo a quel libro, leggere quelle parole e piangere come ho pianto io. Provare quello che provo io.
Erik è morto, ma non per il dolore di aver perso la fanciulla che amava. Erik non è morto d'amore, posso affermare con certezza che egli è vissuto d'amore. Sono convinta che sia stato felice. Se lo fosse stato anche solo dieci volte meno di quanto lo sono stata io a vivergli accanto avrebbe potuto essere l'uomo più contento del mondo.
Ah, parlo ancora come una bambina!
Lui e mia madre si sposarono alcuni mesi dopo che ci raggiunse a Marsiglia, non appena il matrimonio tra lei e mio padre fu dichiarato nullo dalla Sacra Rota. Anche mio padre si risposò, e credo che anche lui sia stato felice, anche se non è mai diventato bravo ad esternare i propri sentimenti, ma è stato in grado di trasmettermi tutto il suo amore, anche se passavo molto più tempo in Francia con mia madre e con Erik che in Spagna con lui, in casa della sua nuova moglie. Io e quella donna non andavamo d'accordo, lei era troppo perbenista per me che ero cresciuta come degna figlia di Diane, insofferente e poco disposta a conformarmi alle regole quando queste non mi andavano a genio.
Pochi mesi dopo il matrimonio mia madre mi disse che avrei avuto il fratellino che avevo sempre desiderato. Fabrice nacque a dicembre, e posso dire, senza timore di esagerare, che sia stato il miglior regalo di Natale che avessi mai ricevuto, anche se all'inizio ero molto gelosa di lui, gelosa perché lui era il più piccolo e perché nella mia mente di bambina temevo che Erik potesse volere più bene a lui, che era suo figlio naturale, che a me. Ma Erik non ha mai tradito l'immenso affetto che gli avevo sempre riservato. Ricordo che una sera avevo messo il muso per non so quale ragione, mi portò nella loro camera da letto e mi fece dormire in mezzo a lui e a mia madre, mi disse che sarebbe sempre stato il mio Angelo. Era un uomo speciale, con la sua dolcezza maldestra e con la sua strana, perenne e inspiegabile insicurezza, come se ogni giorno dovesse convincere se stesso che quello che stava vivendo gli apparteneva, che in qualche modo se lo era guadagnato. Trovò lavoro presso il teatro della città, in breve tempo ne assunse la direzione. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto una vita decisamente agiata, anche se mia madre non era più la moglie di un marchese.
Erik trovò il suo posto nel mondo, malgrado quella maschera da cui non è mai riuscito a separarsi, la toglieva solo quando andava a dormire, o quando in casa non c'era nessun'altro a parte me, mio fratello e mia madre. Ai miei occhi quello era il viso del mio Angelo, agli occhi di Fabrice era il volto di suo padre e agli occhi di mia madre era il volto dell'uomo che amava, non avrebbe mai potuto farci paura o farci provare il minino ribrezzo.  
Mi trasmise la sua passione per la musica, mi iscrissi al conservatorio e tutt'oggi insegno pianoforte in una scuola di Marsiglia.
Direi che Erik è stato il mio primo amore. Rido a questo pensiero, ma in un certo senso lo è stato sul serio, anche se il mio vero amore è stato l'uomo che ho sposato e con cui divido la mia vita.

Non tornavo a Parigi da anni, non ho mai visto quello straordinario monumento di quel famoso ingegnere... la Tour Eiffel, si chiama come il suo costruttore. Se non ricordo male è stata ultimata giusto trent'anni fa. Ma avrò tempo di visitarla, di riscoprire la città in cui sono nata, oggi ho una cosa molto importante da fare, esaudire l'ultimo desiderio dell'uomo che è stato come un padre per me e che ha regalato a mia madre la felicità che meritava.
Erik e mia madre hanno aspettato che io e Fabrice diventassimo adulti per raccontarci la verità, per dirci chi era stato lui prima di incontrare me e la donna che avrebbe sposato. Non posso negare che io e mio fratello rimanemmo turbati, ma poi capimmo che il Fantasma dell'Opera era morto tempo prima come credevano i parigini, che l'uomo che ci aveva allevati non era altro che un geniale artista dell'animo sensibile e passionale, un uomo che per ciò che era diventato, non avrebbe mai potuto essere un assassino o un mostro.
Mia madre mi ricordò che avevo conosciuto Christine Daae, la giovane che era stata protagonista della vicenda che aveva portato alla distruzione dell'Opera Populaire, e confesso che all'inizio rimasi ferita quando Erik, da vecchio, mi disse che quando non ci sarebbe stato più avrei dovuto esaudire un suo desiderio. Ancora adesso non capisco le ragioni della sua richiesta, anche se sono tornata appositamente a Parigi per esaudirla.
Era importante che lo facessi io e non suo figlio, mi disse, perché io era stata per lui il primo spiraglio di speranza quando ancora era conosciuto come il Fantasma dell'Opera.

“Siamo arrivati madame” mi dice il cocchiere aprendo lo sportello e aiutandomi a scendere,
“Potete aspettarmi qui monsiuer, non ci metterò molto” concludo dirigendomi verso i cancelli del cimitero, con in mano una rosa rossa, sullo stelo ho legato con un fiocco di raso nero un anello di brillanti, come aveva detto lui. L'anello che aveva conservato per tutti quegli anni, disse che non avrebbe mai potuto darlo a mia madre, disse che lei meritava di meglio che una reliquia di un passato doloroso.
È stato questo il suo desiderio: dovevo portare quel fiore e quell'anello sulla tomba di Christine Daae. Non ho mai capito che senso avesse, non mi ha fatto nemmeno piacere sapere che lui aveva conservato quell'anello in tutti quegli anni, perché mai doveva ricordarsi di Christine se aveva mia madre che lo amava così perdutamente?
Sbuffo e mi inoltro tra i sentieri di ghiaia costeggiati da lapidi e da statue di angeli e madonne.
Il freddo mi penetra nelle ossa, siamo solo in autunno, ma Parigi non è Marsiglia, il suo clima è meno mite, e io sono pur sempre una donna di mezza età con i miei acciacchi.
Erik mi aveva dato indicazioni molto precise, aveva una memoria sorprendente a quanto sembra. Mi aveva detto che in fondo, sulla destra avrei trovato un grosso mausoleo, la tomba di Gustave Daae, di certo sua figlia era sepolta lì vicino.
Non si era sbagliato, la tomba di Christine è sormontata da una grossa lapide, semplice, quasi austera.
“Viscontessa De Changy. Moglie e madre amata” leggo sotto la foto, l'immagine è quella di una donna anziana dallo sguardo sereno. Posso dedurre che anche lei è stata felice.
Rimango a osservare la lapide e quasi senza che me ne renda conto comincio a piangere, in silenzio senza singhiozzi. Stringo la rosa graffiandomi i polpastrelli con le spine.
I pensieri cominciano a riversarsi vorticosi, quasi violenti nella mia testa. Rivedo tutta la mia vita scorrermi davanti, rivedo Erik e mia madre nelle loro passeggiate mano nella mano lungo la banchina del porto, quando li prendevo in giro e gli dicevo che “ve ne state sempre appiccicati, che noia!” e mio fratello che rideva. Rivedo mia madre vestita di tutto punto per andare a una prima del teatro, nervosa ed agitata per la riuscita dello spettacolo, come se i successi di suo marito fossero anche i suoi. Rivedo Erik seduto nella depandance della nostra casa a costruire un carillon, a insegnare a me a suonare e a mio fratello a dipingere... e oltre le lacrime che appannano gli occhi vedo la foto di Christine Daae e di colpo capisco perché lui ha voluto che qualcuno le portasse un fiore e quell'anello. È stata lei, Christine, a decretare la morte del Fantasma dell'Opera e permettere all'uomo che si nascondeva dietro a quella maschera di riprendersi in mano la sua vita. Forse lui aveva smesso di amarla ancora prima di innamorarsi di mia madre, ma non avrebbe mai potuto smettere di esserle grato.
“Grazie...” mormoro con voce rotta, bacio la punta dell'indice e lo poso sulla foto, lascio la rosa accanto alla lapide poi mi allontano.
Quando sono già a diversi metri di distanza sento lo scricchiolio della ghiaia alle mie spalle, nascosta dietro una statua osservo una suora spingere una sedia a ruote verso la tomba di Christine, sulla sedia c'è un uomo molto anziano, accanto a lui un attendente regge un grosso carillon sormontato da un pupazzo, giunti davanti alla tomba il vecchio prende il carillon e lo posa sulla lapide, solleva lo sguardo umido verso la foto e deglutisce, poi nota la rosa, per un attimo sussulta, poi accenna un mezzo sorriso e annuisce guardando verso l'alto.
Non ci sono dubbi, quello è sicuramente il visconte Raoul De Chagny. Vorrei avvicinarmi, ma poi mi rendo conto di non avere nulla da dire, e comunque la sua espressione è quella di qualcuno che ha già capito ogni cosa.
Il destino riscuote sempre il suo tributo, e a volte è persino un tributo troppo alto. Mi viene da pensare a questo osservando il visconte che si allontana sulla sua sedia a ruote e ricordandomi che il tempo si è già portato via Erik e i miei genitori.
Il destino può distruggere la vita di un uomo facendolo nascere con un volto imperfetto, può togliere la voglia di vivere a causa di grande amore non ricambiato, o può spezzare il cuore di un marito facendolo impietosamente sopravvivere alla sua amata moglie... ma una volta avevo sentito Colette affermare che la felicità non ha un solo volto, e se è vero che ci sono tante possibilità diverse di essere felici allora il destino, che sceglie comunque una strada sola, è sempre in svantaggio.

THE END

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Ringrazio di cuore tutti quelli che mi hanno seguito in questi lunghi mesi.
Un ringraziamento particolare a Ilaria, la mia betareader, che districandosi tra impegni vari è riuscita a darmi una mano e a insegnarmi tante cose.
Al prossimo delirio (perchè il Fantasma dell'Opera è sempre qui nella mia mente e non se ne vuole proprio andare).
I remain, gentleman, your obedient servant.
L.B.
   
 
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