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Autore: Rhona    30/12/2015    2 recensioni
Vronskij, nell'ultimo giorno di vita di Anna.
"Le avrebbe detto di amarla... lo avrebbe fatto appena tornato a casa, o forse domani... ma domani era troppo tardi..."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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MA DOMANI ERA TROPPO TARDI
 
 
 
Quando Vronskij lasciò la stazione in treno, diretto a Niznij-Nòvgorod, alla volta della residenza di campagna della madre, senza alcuna intenzione di farlo, prese di nuovo a pensar male di Anna. “Io non sono colpevole di nulla. La sua gelosia e il suo rancore verso di me sono solo sintomi di una sua pazzia, una malattia. Io non sono colpevole di nulla verso di lei. Se vuole punirsi, torturarsi o dannarsi per sue paranoie sulla mia vita, allora tanto peggio per lei”. Si addolcì  pensando ai bei momenti trascorsi insieme, e ebbe la sensazione di commuoversi non appena si ricordò quanto aveva sopportato ed ancora sopportava pur di restare con lui. L’instabilità caratteriale in cui Anna era sprofondata, lo faceva vacillare nella sua “fede”, filosofia di vita che da sempre si ostinava a seguire: era davvero giusto continuare a chiedere ad una donna tale di lasciargli la sua libertà maschile, quando questa donna aveva rinunciato a tutto ciò che aveva di importante nella vita per restargli a fianco? Era forse equo che lui si ostinasse a tenere ancora qualcosa per sé, quando Anna gli aveva offerto in sacrificio tutto ciò che amava? Sempre questa instabilità lo portava sull’orlo della pazzia; il minuto prima era così amorevole verso di lui, così dolce e affascinante e bellissima sotto ogni aspetto, il minuto dopo diveniva la pazza gelosa che Vronskij tanto odiava. Era arrivato ad amarla e ad odiarla allo stesso tempo. Era arrabbiato con lei perché lei era arrabbiata con lui, e di tanto in tanto arrivava a perfino a detestarla a causa della sua ossessiva mania di controllarlo, quasi a pensare che fosse una marionetta, e lei il suo burattinaio. Si era davvero arrabbiato quella mattina, prima di cominciare il suo viaggio: rimandava la partenza con lei per andare da sua madre, solo da sua madre, e lei si arrabbiava terribile, e senza il minimo riguardo per i suoi sentimenti gli diceva che lui non lo amava più. Doveva però ammettere, Vronskij, da parte sua che sapeva che la madre sicuramente non sarebbe stata sola, e che col lei ci sarebbe stata anche la Sorokina. Quella ragazza, figlia di un defunto principe, era di rara bellezza, come la Luna, ma nulla a che vedere con Anna, che era il Sole.  Poco tempo dopo Vronskij saliva le scale in casa della madre, e la principessina Sorokina lo aspettava sulla gradinata. Con un abito che doveva essere nuovo e all’ultima moda, probabilmente indossato solo perché lì c’era anche lui, fece un leggero inchino e gli porse la mano. Vronskij, senza la minima esitazione dei modi, la afferrò e se la portò alle labbra, baciandola. Quel gesto gli fece ricordare quando aveva incontrato Anna per la prima volta: urtatala leggermente la mano di lei con la sua mentre entrava nel vagone del treno, lei s’era voltata e Vronskij era stato fulminato da quegli occhi dal taglio perfetto. A quei tempi, Anna sgranava i grandi occhi quando parlava; ora invece, perlopiù proprio quando parlava di lei stessa, li socchiudeva quasi a dire che non voleva vedere quello che era diventata. Una donna senza onore, una poco di buono... una puttana.
«Alëša1! Come mi fa piacere vederti.» lo accolse sua madre, con quel viso ipocrita che in realtà gli diceva: “Alëša! Ti sei finalmente messo in testa di lasciare quella donna?”
«Sono contento anch’io.» disse, ed era vero infondo poiché la donna che aveva davanti, benché avesse metodi ed idee discutibili, era pur sempre sua madre.
«Conosci già la principessa Sorokina e sua figlia, vero?»
«Ovviamente, come potrei dimenticare.» disse, lanciando un’occhiata alla principessina. Gli piaceva ancora fare la corte alle donne, doveva ammetterlo, ma allo stesso modo in cui anche Anna si dimostrava a volte troppo cortese con ospiti uomini. Non c’era nulla di male infondo... no, era fedele ad Anna, anche se lei aveva tutte le sue manie e i suoi ossessivamente gelosi comportamenti. La odiava in quel momento: tanto dure erano state le parole con cui si erano lasciati.  Si accomodò con la madre e le sue ospiti del salotto, dove sua madre fece servire il tè. Lo sorseggiò pian piano, tanto era caldo.  La conversazione che si intavolò, interessò Vronskij: il teatro e gli spettacoli mondani gli piacevano ancora molto, nonostante ogni volta che voleva andare, dovesse sorbirsi tutte le lamentele di Anna. No, lui non era colpevole di nulla. Di nulla. Nulla.
Un valletto entrò con calma nella sala, dicendo: «Mi scuso per l’interruzione, ma un messaggero ha appena portato questo biglietto per il Conte Vronskij.»
Prima ancora che lui potesse parlare, sua madre lo precedette volendo chiarire la reticenza lasciata dal valletto. «Chi ha mandato questo biglietto?»
«Anna Arkadjevna Karenina.» rispose quello un po’ imbarazzato di dover pronunciare quel nome.
La madre emise un verso di disgusto, al nome di Anna. Vronskij stesso però ebbe un sussulto. Che voleva? Altre paranoie e gelosie ossessive?!
Vronskij riprese le redini: «Lasciatemelo qui, vi ringrazio.» ordinò, indicando il tavolino e congedando il valletto.
«Al messaggero è stato comandato di portare la risposta.» insisté l’altro uomo.
«Avete sentito della principessa Katerina Ščerbackaja2? Dopo il matrimonio con quel tale Levin ora mi pare d’aver sentito che abbiano avuto un figlio...» cominciò a dire sua madre, distogliendo la principessa Sorokina da Anna e la giovane principessina dall’udire della sua rivale in amore. Ma quale rivale e rivale...
Sospirò, dicendo: «Scriverò subito».
Si alzò e prese il biglietto. Si diresse a grandi passi nello studio, alla ricerca di una matita con cui poter mettere su carta la sua risposta. Per un attimo, prima di aprire il biglietto si chiese cosa Anna potesse mai scrivergli, dopo le aspre parole con cui si erano lasciati.
Aprì il biglietto. Scriveva con la solita matita azzurra, quella di sempre, ma con una mano calzata e nervosa.
“Sono colpevole. Torna a casa, bisogna spiegarci. In nome di Dio vieni, sono spaventata”
Quella donna doveva imparare, che non poteva insultare ed inveire contro qualcuno e poi fare ammenda dicendo di essere colpevole. “Sono cattiva, è il mio male lo sai!” diceva spesso.  Scrisse velocemente, senza fermarsi troppo a pensare
“Non posso tornare prima delle dieci. Vronskij.”
Uscì velocemente e disse al valletto di telegrafare, e di non mandare il messaggero.
Passarono delle ore, e Vronskij pranzò alle tre, con sua madre, la principessa Sorokina e la principessina. «Alëša, è ancora giorno ma a breve sarà buio, perché non porti la principessina Sorokina a fare un giro dei nostri giardini. Sono sicura che li adorerà.»
Come se fossi un bambino...
«Perdonatemi, ma mia madre non si rende conto che non sono più un ragazzo. Temo di essere troppo stanco per accompagnarmi, vorrete perdonarmi.»
«Alëša, se sei stanco vai a riposare. Non hai un buon colore...» disse la madre, salvando la faccia per la risposta di Vronskij, ai limiti della cortesia per quanto lei ne pesava.
«Posso restare qui, non vi sono problemi.»
«Insisto». E dall’espressione della madre capì che voleva parlargli.
Con i dovuti ossequi, andò nella  sua vecchia stanza e lì rimase. Sua madre non si fece attendere. Doveva aver liquidato le altre due ospiti, madre e figlia, con una scusa: che magari sapevano anche essere falsa, ma era comunque rispettabile che l’avesse apposta senza farle assistere imbarazzate ad un intimo dialogo fra madre e figlio.
«Perché hai rifiutato di accompagnare la principessina?»
«Perché conosco le tue aspettative, e non le condivido.»
«Alëša: quella donna è un demonio!»
«La Sorokina? Non direi povera ragazza, non la amo ma non è così brutta.»
«Sto parlando della Karenina!» alzò la voce.
«Non mancatele di rispetto dinanzi a me!» la difese, nonostante lui stesso avrebbe potuto dire quelle parole, solo poche ore prima. No, Anna non era un demonio. Soffriva, e soffriva sola, terribilmente, ed in silenzio per non irritare lui. Oh... ma che aveva fatto? Lei aveva detto di essere spaventata e lui le aveva risposto che non poteva tornare a casa...
«Alëša... da quanto va avanti questa storia? Lei non  è divorziata, tu sei un giovane con la carriera troncata a causa di questa relazione. Mi pento di averti incoraggiato nei primi tempi. Rien ne forme un jeune homme comme une liaison avec une femme comme il faut3, ricordo di averti detto anche questo. Ma tu sei un folle, figlio mio. Ti sei sparato per lei! Inconcepibile!»
«Smettetela! Lei stava per morire... ed io...»
Io non volevo vivere senza di lei... ma cosa mi sta succedendo? Io la amo. E devo dirglielo...
«Fammi parlare! Lei è male, Alëša!»
No, no, no, no... Anna è il sole. E mi pento di non averla voluta guardare chiaramente così a lungo. Anna è il sole, che si specchia nel limpido mare del sud, caldo ed esotico. La calda accoglienza dopo una lunga giornata lontano da casa.
«Smettetela di parlare così di lei!» la zittì. «Per quanto mi riguarda la principessina Sorokina può anche sposare lo zar, non mi interessa.»
«Mi hai detto tu stesso che sei scontento.»
«Lo sono perché lei lo è.»
«È ossessionata dalla gelosia. Sai che è arrivato un telegramma per te? Era lei a scriverlo. È arrivato prima del biglietto, ma tu non eri ancora qui e ho creduto fosse meglio non dirti nulla.»
«Perché non me l’avete detto?»
La madre lo guardò eloquente. Non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni.
«Maman, ora tornerò di là, e faremo come se nulla fosse stato... ma finita la serata io tornerò da Anna, e ci resterò. Domani partiremo anche noi, io ed Anna.»
«E per dove di grazia?!»
«Saremmo dovuti partire oggi ma ho rimandato per potervi vedere.»
Di nuovo una smorfia di disgusto sul volto della vecchia madre. Le sue mani grinzose stringono il ventaglio. Lei uscì e Vronskij si sedette sul letto. Anche se era diventata strana negli ultimi tempi insieme, Vronskij amava Anna. Era inutile tentare di negarlo... la amava, ed era un amore più complesso della semplice passione che li legava all’inizio. Era un  impegno, dover scendere a patti con le proprie abitudini e coi proprio desideri personali per far piacere alla persona amata, anche lei con il suo bagaglio di sacrifici. Le avrebbe detto quanto la amava ancora... solo non poteva telegrafarglielo o scriverle un biglietto: glielo avrebbe detto di persona, ma avrebbe dovuto aspettare il suo treno, visto che non ce n’erano prima... Sarebbe arrivato a casa attorno alle dieci di sera, l’avrebbe svegliata e si sarebbe calato nel suo letto, dicendole che gli era mancata. Sì avrebbe fatto così. Le avrebbe detto quanto l’amava, ma più tardi, forse domani. Tornò dai commensali allegro, e rinnovato dal ritrovato amore per Anna.
 
 
«Non vorrei essere nei parenti di quella donna. Nel figlio, o peggio nel marito...»
«Voi dite, Nikolaj Aleksandrovič?» chiese una vecchia col fazzoletto legato in testa.
«Mia cara Agafija Vladimirovna: i rimorsi, gli scrupoli di coscienza sono amarissimi4, ci si chiede se certe cose sarebbero successe anche se si fosse fatta una data cosa... E questo povero uomo, non sarà più uomo vivente, ma un uomo morto che cammina.»
Vronskij si fece largo fra le persone che si accalcavano nella stazione. Non può essere lei... Non è vero... Diede un’occhiata all’orologio che torreggiava fra la folla sulla piattaforma del binario. Le quattro e un quarto... era passata meno di un’ora da quando aveva fatto i suoi piani... Si aprì un varco la marmaglia di curiosi e trovò la prova che non voleva vedere.
Sulle prime, con espressione stupita si chiese chi fosse mai quell’uomo che piangeva, poi si rese conto che era Stiva Oblonskij «Stiva.» lo chiamò.
«Vronskij... » mormorò lui.
Si avvicinò con terrore e occhi pronti a traboccare alle rotaie, dov’era chino Oblonskij. Una donna, con un vestito dall’aria familiare, era distesa sui binari. Il corpo era martoriato e fracassato, con sangue ovunque. Vronskij scese dalla piattaforma e si gettò sui binari. Prese la testa con un gesto delicato ed una mano ad accarezzarle la guancia.
Anna...
La sua Anna...
Le avrebbe detto di amarla, di non aver mai smesso...
Lo avrebbe fatto appena tornato a casa, o forse domani... ma domani era troppo tardi...



Note:
  • Alëša1: nome corto di "Aleksej", è il nome di Vronskij. Leggasi "Alioscia".
  • Katerina Ščerbackaja2: tanto per ricordarlo, era la quasi-promessa sposa di Vronskij quando lui si innamora di Anna.
  • Rien ne forme un jeune homme comme une liaison avec une femme comme il faut3: da" le confessioni" di Tolstoj, "Nulla forma un giovane uomo come una relazione con una donna come si deve."
  • Citazione di Vittorio Imbriani, da "La Bella Bionda"



Angolo autore:

Non so se io abbia scritto una OOC, il punto è che pur leggendo il libro 2 volte non ho capito se Vronskij tradisce o no Anna. La mia opinione è "NO" e quindi segue questo filo logico.
Mi scuso per la scarsa qualità dell'immagine ma... ehi... io ed il fotoritocco siamo due parallele che mai si incontreranno.


La storia partecipa al Random contest indetto da  Fabi_ sul forum di efp.



 
  
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