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Autore: TheSlavicShadow    31/12/2015    2 recensioni
12 prompt dal 12 Days of SteveTony.
Ispirato vagamente da ciò che succede nei film, ma in realtà solo una serie di scene domestiche tra i due supereroi.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sfida: 12 Days of SteveTony

Prompt: 12. Home

Fandom: Marvel

Personaggi: Steve Rogers, Tony Stark

Pair:Steve/Tony

Numero capitoli: 12/12

Generi: un po’ di hurt ma anche un po’ di comfort

Rating: verde

Numero parole: 592

 

C’erano dei momenti in cui Steve saliva in sella alla sua moto e percorreva la distanza tra Manhattan e Brooklyn ad una velocità fin troppo elevata. Erano le giornate in cui il suo sonno durato settant’anni si faceva vivo e gli pesava più che mai.

Era un eroe. Aveva salvato New York. Aveva salvato il mondo intero. Aveva sconfitto l’HYDRA. Era un eroe e tutti i bambini erano cresciuti col mito di Capitan America e delle sue eroiche imprese. E tutto succedeva mentre lui era sepolto sotto una spessa coltre di ghiaccio e neve. Mentre il suo corpo invece di morire si ibernava da solo, portandolo in un letargo durato troppo a lungo.

Un letargo da cui si era svegliato vuoto e avrebbe preferito tornare a dormire per altri cento anni.

Bucky era morto. Peggy era invecchiata. Howard era morto. I Howling Commandos morti o semplicemente vecchi.

Prendeva allora la moto e cercava di tornare alle proprie radici. Tornava a Brooklyn e cercava qualsiasi cosa potesse ricordargli la sua infanzia e giovinezza. Ma non era rimasto più nulla. In settant’anni era tutto cambiato e lui non poteva più stringere nulla tra le proprie dita.

E si odiava per questi attimi in cui desiderava tornare nel passato e nascondersi nel conforto delle persone che aveva amato una volta. Si odiava perché in questo mondo che non gli apparteneva c’erano altre persone che lo avevano accolto.

C’era l’agente Phil Coulson, che lo aveva inondato di complimenti da metterlo anche in imbarazzo. Era stato il primo a spiegargli quel secolo che era così assurdo. Era stato la prima persona ad accoglierlo in quel futuro che non capiva, e poi lo aveva perso.

C’era l’agente Natasha Romanov, con la quale aveva subito legato, anche se era una ex spia russa ed aveva poi saputo della Guerra Fredda. La donna aveva avuto la pazienza di spiegargli come funzionava la vita in quell’epoca. Dal semplice utilizzo dei cellulari ai cambiamenti più radicali della società.

C’era l’agente Clint Barton, che sembrava un fratello minore a cui dover badare ma che lo aveva subito accolto nella propria cerchia di amici. Nonostante l’inizio non fosse stato dei migliori. L’arciere gli aveva fatto assaggiare tutto il cibo spazzatura che gli passava per la mente e stava cercando di introdurlo nel mondo dei videogiochi, con scarsi risultati.

C’era Thor, che non era quasi mai presente ma che riusciva ad essere amico di tutti e Steve riusciva anche a passare sopra al fatto che si professasse un dio e questo andasse contro alla sue educazione cattolica.

C’era il dottor Bruce Banner, con il quale parlava raramente perché l’uomo preferiva passare il proprio tempo in laboratorio. Ma che era diventato velocemente l’unico medico dal quale si faceva curare le ferite dopo le missioni, evitando così lo staff medico dello S.H.I.E.L.D. che continuava a vederlo solo come un esperimento.

C’era infine Tony Stark, il figlio di quel Howard Stark che aveva contribuito alla sua trasformazione in supersoldato. Tony che lo prendeva in continuazione per i fondelli perché non sapeva usare il computer o che faceva citazioni da film e libri che lui non aveva mai visto. Tony che lo chiamava “Capsicle” per dargli fastidio e sorrideva nel dirlo. Tony che lo guardava negli occhi e lui che adorava perdersi in quello sguardo. Tony che gli aveva dato una casa quando avevano salvato New York dai Chitauri.

Tony. La squadra. Casa. Quelli erano i pensieri che gli facevano girare la moto e abbandonare Brooklyn per tornare a Manhattan, dove ad attenderlo c’era una famiglia bistrattata ma unita.

 
   
 
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