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Autore: lawlietismine    02/01/2016    5 recensioni
C'era una volta– Tutte le belle storie iniziano con un “c'era una volta”, tutte quelle fantastiche, quelle da raccontare ai bambini prima che si addormentino, quelle storie che fanno sognare e che si allontanano fin troppo dalla realtà, creando illusioni che portano solamente delusioni, ma comunque, naturalmente, anche questa storia ha il suo “c'era una volta”.
Dal capitolo 2:
Per poco non gli sfuggì un grido esterrefatto, quando – addormentato ai suoi piedi – non trovò quel lupo dal manto nero e gli occhi verdi, ma un uomo, a vista poco più grande di lui, nudo, il corpo forte e atletico illuminato alle spalle dal camino acceso, il respiro calmo e i muscoli rilassati.
Stiles – fra tutte le cose che avrebbe potuto fare – si riscoprì a pensare che era bellissimo.
#werewolves are known #au
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta– Tutte le belle storie iniziano con un “c'era una volta”, tutte quelle fantastiche, quelle da raccontare ai bambini prima che si addormentino, quelle storie che fanno sognare e che si allontanano fin troppo dalla realtà, creando illusioni che portano solamente delusioni; ma comunque, naturalmente, anche questa ha il suo “c'era una volta”.

Non è da sostituire a una ninnananna, non è un sogno, è reale e pare incredibilmente una vera fiaba, a modo suo sembra impossibile: a volte è solo questione di destino.

C'era una volta, sì, ma non un giovane principe che viveva in un castello splendente in un paese lontano, bensì un ragazzo che ne aveva passate tante, troppe, un ragazzo che era stato forgiato dall'esperienza e che probabilmente non avrebbe mai trovato una via differente, una via migliore, in una cittadina chiamata Beacon Hills.
Non era un ragazzo qualunque, non lo era mai stato, era cresciuto in una famiglia di licantropi noti per la loro forza, per la loro potenza, in un mondo dove i licantropi erano guardati con timore e incertezza, ma era cresciuto in una famiglia che lo aveva amato e curato e che presto gli era stata portata via sotto i suoi stessi occhi, avvolta dalle fiamme, intrappolata nella loro stessa dimora fino all'ultimo respiro, senza che lui potesse intervenire: ogni goccia di felicità, ogni briciola di umanità, ogni sfumatura di un lontano ricordo sereno era morta in quella casa, era bruciata con quella famiglia che tanto lo aveva adorato e che lui tanto aveva ammirato.
Con loro era morto quel normale ragazzo licantropo dalla nascita, con loro era morta ogni speranza.

Derek Hale era solo un ragazzo, Derek Hale era un ragazzo solo, costretto in quella casa le cui mura racchiudevano il ricordo delle vecchie giornate spensierate, di quei litigi passeggeri che ora erano fonte di rimpianto e delle ultime urla strazianti di cui erano state testimoni. Derek Hale aveva continuato la sua apparente vita, ma chiuso all'interno di una gabbia, all'interno della peggiore prigione possibile per la sua mente, ed era diventato inevitabilmente ciò che era, presto dimenticato da tutti.

 

 

“Stiles?” il richiamo non fu colto per quanto ripetitivo e ormai sbottato a gran voce, poiché il ragazzo se ne stava immerso nelle coperte della sua camera, gambe incrociate, schiena ricurva, torcia in una mano, libro nell'altra e sguardo concentrato e perso fra le innumerevoli curiosità che stava leggendo: nonostante il sole fosse ben alto nel cielo e nonostante l'ora della giornata, le luci nella stanza erano spente e le finestre rigorosamente chiuse, l'unica fonte di luce era racchiusa sotto al piumone, che in quel periodo tardo estivo iniziava a stonare.
“Stiles!” stavolta fu un rimprovero secco e stizzito, proposto sempre dalla stessa voce femminile che apparteneva alla ragazza che aveva appena spalancato la porta, acceso la luce e adocchiato la montagna bianca sul materasso: un attimo dopo gli si avvicinò, afferrò malamente la grossa coperta e la strattonò via senza alcun miserabile preavviso.
Stiles Stilinski” sbottò visibilmente innervosita, smuovendo con un colpo del capo i lunghi capelli raccolti in una coda alta e perfetta, prima di portare le mani sui fianchi con sicurezza e guardarlo con fare decisamente minaccioso, poi “continua a ignorarmi e giuro che ti pentirai di essere nato” continuò a testa alta per sottolineare quanto fosse bene non contraddirla.
Il ragazzo nel letto le riservò un'occhiata confusa, sbatté ripetutamente le palpebre per adattarsi alla nuova e più potente fonte di luce e poi tentò uno sorriso sbilenco, spegnendo la torcia e posandola accanto a sé così da passarsi la mano libera tra i capelli castani tremendamente arruffati. Era evidente che non l'avesse sinceramente sentita arrivare e conoscendola, cercò a ogni modo di placare quell'animo offeso.
“Scusa?” tentò titubante, lanciando un'occhiata di nuovo al libro che aveva in grembo prima di spostare la sua attenzione su di lei, che lo stava guardando riluttante, una smorfia infastidita a delinearle le labbra e le braccia ora incrociate al petto, contrariata. Non parve molto convinta da quelle scuse poco sentite, ma prima che potesse anche solo pensare di dire qualcosa, qualcun altro entrò nella stanza, arrancando disperatamente per la corsa appena affrontata.
“Non lo uccidere, Lydia!” la pregò il nuovo arrivato, letteralmente aggrappato allo stipite della porta per non cadere agonizzante a terra, mentre cercava di riprendere fiato, e la diretta interessata non fece altro se non alzare esasperata gli occhi al cielo: era circondata da idioti, quello era poco ma sicuro, e si chiedeva perché fosse ancora lì quando avrebbe potuto mollare tutto e partire per l'Europa.
Lydia Martin, la ragazza in questione, cercò di evitare la presenza alle sua spalle e tornò a occuparsi delle sue faccende, cioè di Stiles, che ora fissava la scena ancora più perplesso e preoccupato per la sua incolumità.
“Devi smetterla subito, ora tu posi quel dannato libro –che non fa altro che riempirti la testa di stupidaggini e forgiare il tuo lato di potenziale assassino, perché chi diamine legge “il manuale del delitto perfetto”, Stiles?!– e alzi quel bel culo che ti ritrovi, così inizi a occuparti delle cose davvero importanti: farti una dannata vita, per esempio!” poi Lydia sbuffò indemoniata fra sé e sé, sbatté una mano sul suo vestito a tema floreale come se il vento lo avesse teatralmente smosso e poi allungò inaspettatamente una mano per afferrare per il colletto della t-shirt il povero ragazzo colpito profondamente da tali parole: un secondo dopo Stiles era sul pavimento della sua camera e l'altro dalla sua postazione sulla porta emise un verso strozzato, in preda a un probabile attacco d'asma.
Lydia lasciò la stanza subito dopo aver rivolto a entrambi un ultimo sguardo assassino e dopo aver procurato a Scott, il ragazzo morente per l'ansia, la sua medicina, sbattendo dietro di sé la porta: entrambi sapevano che li avrebbe attesi in salotto.

“Scott, stai bene?”
“Amico” disse l'altro, ignorando la domanda, prendendo un grosso respiro a ogni singola parola e guardandolo con compassione “sono tre giorni che ignori le sue chiamate, dovevi aspettartelo” e poi alla fine si decisero a raggiungerla.

 

Stiles Stilinski era conosciuto, in un modo o nell'altro, in tutta Beacon Hills per svariati motivi: era il figlio dello sceriffo, era il ragazzo a cui tempo prima era morta la madre, era quello scalmanato che si inoltrava sempre nel bosco da quando era piccolo, tanto per creare un po' di scompiglio e far preoccupare quel povero di un uomo che era suo padre, ed era lo strambo fuori dal mondo, che passava il suo tempo a leggere libri bizzarri, a giocare ai videogiochi e a incasinare la sua vita insieme al suo migliore amico, Scott.
Era un tipo, lui, nessuno lo capiva e nessuno gli somigliava, ma era inevitabilmente intelligente (forse troppo, a volte), simpatico (fino a raggiungere un sarcasmo intenso e pungente), particolare.
Stiles Stilinski era anche un ragazzo immensamente curioso, ma si sa: la curiosità uccise il gatto.
Pensava spesso che essere lui fosse pessimo, un ammasso di ossa in un corpo inutile, non era un licantropo, non era forte, non era speciale in niente, non era niente: certo, non si lamentava di non essere un licantropo, perché – anche se a volte ci aveva pensato – non avrebbe mai voluto essere trasformato, poi però si aggiungeva a questo anche il fatto che non aveva uno straccio di fisico decente, era solo alto il giusto e snello, un po' gracile, la sua unica forza stava nelle sue parole e – a parte Scott, miracolosamente Lydia Martin, che era stata una sua primordiale cotta, e qualche altra conoscenza vaga – non aveva nessuno nella sua vita.

A volte pensava che non ci fosse proprio alcun posto, per lui, nel mondo.

Come se non fosse già triste la sua vita, Scott – che era come il fratello che non aveva mai avuto – si era innamorato e per quanto fosse contento per lui questo aveva dimezzato il tempo a disposizione per loro per stare insieme, perché ora al posto dei videogiochi, delle avventure nel bosco e chissà che altro, Scott preferiva presentarsi al bar dove Allison lavorava, e stava lì, seduto a un tavolo, a guardarla sognante mentre il caffè si raffreddava nel bicchiere tra le sue mani.
Lydia, invece, aveva quell'idiota di Jackson.
E lui era solo, lo era sempre stato alla fine, perché Lydia non lo aveva mai ricambiato – era già tanto se poi erano diventati amici, ancora non capiva come fosse successo! – e, oltre a lei, non c'era mai stato nessun altro, Stiles non si era mai davvero innamorato di nessuno e probabilmente, comunque, chi mai si sarebbe innamorato di lui?


 

 

“Non ci vengo con voi oggi” soffiò stancamente, raggiungendo in definitiva il suo limite: basta, adesso basta. Lydia si bloccò di colpo, si voltò e gli rivolse un'occhiata scettica e ironicamente divertita, perché vuoi seriamente tornare su questo discorso, Stiles, e farmi arrivare al punto in cui ti devo trascinare in quel dannato bar?, ma lui non aveva assolutamente voglia di andare con loro: stare al tavolo con Scott – che fissava quella Allison alle prese col suo lavoro – e con il duo Jackson-Lydia (lui li stava aspettando già in quel dannato bar) nel mezzo dei loro battibecchi da coppia perfetta ed equilibrata, non era né nei suoi piani né la sua più grande aspirazione, perciò no, non sarebbe andato con loro e non avrebbe aspettato l'entrata in scena divina di qualcuno che poi l'avrebbe casualmente avvicinato e sarebbe, guarda caso, diventato l'amore della sua vita –e vissero tutti felici e contenti, certo Lydia, come no.
“Stiles.” quasi ringhiò lei tra i denti: lui lo sapeva che lo faceva per il suo bene, che voleva seriamente che incontrasse finalmente qualcuno, ma semplicemente Stiles non la pensava come lei, non era pronto a ricevere altre delusioni. Fu per questo che, senza aggiungere niente, scrollò le spalle e al posto di entrare nel bar, cambiò strada: Lydia e Scott lo chiamarono di nuovo, poi però lo lasciarono andare, sapendo quanto volesse solamente allontanarsi e stare un po' da solo, ancora.

Era assurdo come le persone non capissero perché gli piaceva andare a rifugiarsi nel bosco, perché ad ogni occasione Stiles mollasse tutto e corresse nell'oscurità e nell'ignoto, ma per lui era così ovvio il perché, così scontato. Cercare un rifugio lontano dal mondo, lontano da tutti, dove ci fosse solo lui con tutti i suoi pensieri e la sua mente incasinata, un luogo dove potesse sentirsi vivo di fronte al rischio (e che rischio, poi, era un po' un'esagerazione generale) e all'avventura, in cui nessuno poteva essere lì a giudicarlo, perché chiunque, il mondo intero, per fargli pesare ancora ogni suo difetto avrebbe dovuto aspettare il suo impredicibile ritorno in città.

Non è che fosse una novità improvvisa, era un'abitudine già da prima che sua madre morisse – molti invece attribuivano quella sua pazzia a quell'evento – però, da quando era successo, naturalmente le sue fughe erano aumentate di numero e di consistenza temporale, perché semplicemente ne aveva sentito il bisogno: la pietà e l'incomprensione altrui, poi, erano state uno dei fattori che lo avevano portato ad agire in tal modo.


Si strinse maggiormente nella felpa rossa, la sua preferita, e rallentò il passo ora che era giunto a destinazione: quegli alberi, quei percorsi e quei suoni erano per lui come una casa, erano normali, erano familiari e senza grandi segreti, non aveva mai davvero considerato la foresta come un potenziale pericolo, perché in tutti quegli anni non ne aveva mai incontrato uno.
O meglio, non uno serio.
Ricordò inevitabilmente quella volta in cui, nella notte inoltrata, aveva sentito un rumore e – distratto per lo spavento – non si era accorto di una radice sporgente, per poco non si era slogato la caviglia e il tutto per un semplice uccello e un po' di vento che aveva scosso qualche foglia, ma al tempo aveva solamente dieci anni, ora ne aveva venti.
Sovrappensiero, Stiles proseguì senza meta il suo viaggio interiore ed esteriore e senza guardarsi intorno realmente, il suo sguardo vitreo vagava sulla natura che lo circondava, ma la sua mente era completamente altrove, occupata a riflettere sulle questioni della vita, in uno di quei momenti di filosofia pura che lo vedevano protagonista quando si sentiva soffocare, perché era tutto troppo e allora era inevitabile pensare, e pensare, e pensare ancora fino a provare un insopportabile mal di testa.
A volte si sentiva semplicemente più adulto di quanto non fosse davvero, come se ne avesse passate talmente tante da non avere realmente vent'anni, si sentiva spossato e irrecuperabile, e subito dopo gli veniva da ridere di se stesso perché era completamente ridicolo: aveva una vita davanti, avrebbe trovato la sua strada, prima o poi, avrebbe formato la sua famiglia e tutto, in qualche modo sarebbe andato tutto bene: lo desiderava così tanto, che spesso faceva male.
Lui, nonostante quei momenti di sconforto, la speranza ce l'aveva.

Stiles era così distratto, così assorto nei suoi pensieri un po' dolorosi e malinconici, che neanche si accorse che la strada di fronte a sé non gli era più familiare e si stava aprendo davanti a lui, i rami – quasi spostati da mani invisibili – si stavano facendo da parte e il percorso più agevole, tanto che, quando finalmente alzò lo sguardo lucido e scosse la testa a mo' di rimprovero, reprimendo la nausea, Stiles non poté far altro che sobbalzare, un brivido che gli percorse la schiena: di fronte a sé, nuova e sconosciuta, un'enorme villa si ergeva immersa nei rovi e nella solitudine, abbandonata nel mezzo della più completa desolazione, avvolta nell'ombra.
Fece istintivamente un passo avanti, travolto da una viscerale e inspiegabile curiosità e dalla sorpresa, quando anche un velo di insicurezza però si fece spazio in lui, e prima che potesse decidere cosa fare fu una pressione sulla sua schiena, una forte folata di vento, persistente, a spingerlo avanti, quasi sussurrandogli melodica di avvicinarsi, di entrare, di scoprire cosa si celava dietro a quel luogo abbandonato.
Non si chiese quanto fosse strano che una pressione insistente lo stesse spingendo verso quel posto che non emanava altro se non inquietudine e una certa tristezza, rabbia forse, ma i suoi occhi castani erano rapiti da quella casa, il suo corpo si stava muovendo da solo e tutta la sua attenzione non era più rivolta ai suoi problemi, ma alla sensazione che provava, al desiderio di raggiungere l'entrata.

Stiles varcò la soglia, ignaro di non essere da solo.

 





Angolo della pazza: 
Buongiorno a tutti and welcome back to my world of truth (?) aka Sterek
Btw, non desidero sapere come e perché, ma vabbé l'idea è giunta e io mi sono messa a scrivere: eppure dovrei studiare, damn! Sono stupida. 
Era da tantissimo che non scrivevo qualcosa su questi due °-° non so spiegare come sia possibile, ma l'ispirazione sterek è tornata. 
Vabbé! Come sempre non commento, dico solo che in questa storia siamo ai giorni d'oggi, stessa ambientazione del telefilm, l'esistenza dei licantropi è nota e non sarà proprio la bella e la bestia eh! solo il titolo e lo scenario iniziale perché beh l'idea è venuta da lì, ah e sarà una storia di pochi capitoli.
Spero vi sia piaciuta ^^ fatemi sapere cosa ne pensate. 
Alla prossima, 
Lawlietismine 
  
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