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Autore: _Takkun_    02/01/2016    3 recensioni
«Non hai ancora risposto!»
«Sinceramente non so se me la sento di dirtelo…»
«Ehi, io il mio te l’ho detto!»
«D’accordo, Nace, calmati.»
«Giuro che ti ammazzo.»
«Se mi ammazzi come farò a dirti il mio nome?»
«… Prima me lo faccio dire e poi ti faccio fuori.»
«Allora non ha senso che sprechi fiato per dirtelo se mi ucciderai in ogni caso.»
«Sputa il rospo prima che ti arrostisca, damerino.»
Genere: Generale, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Portuguese D. Ace, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: uhm, allora, allora, allora! Ogni tanto spunto di nuovo sul fandom e, tanto per cambiare, con una storia che ha tra i personaggi due dei fratelli ASL prima o poi la smetterò con loro e la ciurma di Barbabianca e importunerò altri personaggi, lo giuro.  
Credo, anzi no, riprendendo questa fan fiction in mano mi sono accorta di essermi dimenticata come si rendono decentemente i personaggi. È stato – e continua ad essere – un periodo in cui non riesco a togliermi di dosso questo blocco da pseudo-scrittrice e la cosa è diventata davvero frustrante.
Io per prima non sono poi così soddisfatta della storia.
Scene che nella mia testolina bacata sembravano essere così fantastiche da piangerci sopra, così come le ho scritte non sono riuscite a trasmettermi molto.
Probabilmente è anche colpa del fatto che mi sono allontanata un po’ da One Piece…
In ogni caso, alla fine mi sono decisa a pubblicarla perché ci ho perso davvero molto del mio tempo per renderla il più decente possibile.  
E nulla, davvero, spero solo che non vi faccia eccessivamente schifo e che qualcuno sia così gentile da lasciare un commentino.
Più di dieci pagine di Word aspettano di essere lette da parte dei più coraggiosi.
Buona fortuna con questo What if  grande come una casa, se non di più davvero, non prendetelo troppo seriamente, ma se non li facevo incontrare non ero contenta.
Con questo vi saluto!
Un grosso bacione e buon anno nuovo a tutti! :33
 
P.s: già che ci sono, grazie a tutti quelli che hanno votato per  il gigante buono! Finalmente anche Odr Jr. è nella lista dei personaggi! :’)
P.p.s: il titolo… fa pena, lo so, ma non sapevo davvero cosa inventarmi.
 
 


 
A life with no regrets

[more or less]
 
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All’ennesimo brontolio del suo stomaco, Ace non poté fare a meno di mordersi il labbro inferiore, portando una mano a massaggiarsi l’addome.
Stava letteralmente morendo di fame e doveva assolutamente trovare un luogo qualsiasi che potesse soddisfare il suo stomaco.
Fece vagare lo sguardo attorno a lui.
Era sbarcato su quella piccola isola principalmente per mangiare, certo, ma in fondo quella pausa gli sarebbe stata utile anche per chiedere in giro qualche informazione in più riguardo la posizione di Barbanera, sperando che lì qualcuno ne sapesse qualcosa.
Sospirò, reclinando per un attimo il capo all’indietro durante la camminata, preoccupandosi solo di proseguire dritto davanti a sé.
Era passato un bel po’ da quando si era separato da Rufy e la sua ciurma, e ancora non era riuscito a cavarci nulla da quella dannata ricerca.
Teach se la stava cavando fin troppo bene a quella sorta di acchiapparella, e la cosa, naturalmente, lo faceva imbestialire ogni volta che ci pensava.
Eppure non poteva non increspare le sue labbra in un ghigno.
Non gli importava, anzi, rendeva il tutto ancora più divertente.
Sarebbe stato al suo gioco, avrebbe girato il mondo intero se necessario pur di trovarlo, pazientando e pregustandosi il momento in cui, finalmente, avrebbe avuto l’onore di ritrovarsi ancora una volta faccia a faccia con lui.
Scrocchiò le dita nel serrare una mano a pugno.
Satch avrebbe dovuto attendere ancora un po’ prima di poter riposare in pace, ma ne sarebbe valsa la pena.
Ho perso un altro fratello, ma questa volta sono forte abbastanza per vendicarlo, pensò.
Inutile dire a quale altra perdita si stesse riferendo Ace.
Ma prima ancora di affollare la mente con altri pensieri tutt’altro che felici, un delizioso odorino gli arrivò alle narici, inebriandolo.
La pancia prese a brontolare con maggiore intensità, e il sorriso ritornò a increspare le labbra del giovane comandante quando intravide in lontananza una locanda.
Anche a miglia di chilometri di distanza il suo fiuto era, e sarebbe sempre stato, semplicemente imbattibile.
«Amico, abbiamo finalmente trovato un posticino che renderà felici entrambi.» parlò rivolto al suo stomaco, sistemandosi meglio la spallina dello zainetto verde che si portava sempre appresso a ogni sbarco. All’interno non potevano mai mancare l’avviso di taglia di Teach, quello di Rufy – era un po’ come avercelo vicino, e il suo sorriso in quella fotografia riusciva a metterlo ogni volta di buon umore -, una borraccia con dell’acqua e qualche souvenir bizzarro adocchiato e preso – rubato – durante il suo viaggio, da far poi vedere a papà e tutti gli altri una volta tornato alla Moby Dick.
Fu sul punto di accelerare il passo quando qualcuno, correndo, scontrò il braccio con il suo, procedendo spedito verso il medesimo obbiettivo: la locanda.
Il maleducato si premurò di urlargli uno scusa nemmeno troppo convinto, alzandogli una mano in segno di perdono senza neanche voltarsi a guardarlo.
Fu questione di un secondo ed Ace seguì presto il suo esempio, affiancandolo nella corsa senza troppa difficoltà. Dopo essersi scontrato con lui senza chiedere scusa decentemente, credeva davvero che lo avrebbe fatto arrivare per primo alla sua ancora di salvezza? Oh, si sbagliava di grosso. Era diventata una questione personale.
Il misterioso ragazzo si stupì nel ritrovarsi Ace così vicino rispetto a dove l’aveva lasciato qualche secondo prima. È veloce, pensò.
«Oh, sei tu!» sorrise, accelerando un altro po’. Chissà perché sentiva odore di sfida nell’aria. «Scusa ancora per prima!»
Sorprendentemente, il corvino lo superò senza dargli risposta, arrivando per primo con un ultimo scatto fulmineo sulla soglia della locanda.
Con un ghigno soddisfatto si voltò verso il suo sfidante, appoggiandosi allo stipite della porta con una mano. Ora che era fermo davanti a lui, incredibilmente senza alcuna traccia di affaticamento, poté squadrarlo con più attenzione. I capelli erano biondi, ondulati e leggermente spettinati – dovuti al fatto di aver avuto il vento contrario nella corsa -; li ricadevano dolcemente ai lati del viso, e, a proposito di quest’ultimo, Ace non poté fare a meno di notare una cicatrice attorno all’occhio sinistro. Ma non fu esattamente quella a colpirlo particolarmente – aveva visto sfregi peggiori - , quanto quello stupido foulard attorno al suo collo.
Si concesse un sorriso a guardarlo.
In tutta la sua vita aveva conosciuto una sola altra persona a cui piaceva quel coso tutto elegante, a sua detta, però, solo ridicolo.
E, ora che ci pensava, quel ragazzo avrebbe potuto tranquillamente rappresentare la versione adulta di…
Scosse la testa prima ancora di poter formulare il pensiero completo.
Idiozie, si disse mentalmente, non posso paragonare questo qui a Sabo.
«Ehi.»
La voce dell’altro lo riscosse, riportandolo alla realtà. «Hai intenzione di stare in posa ancora per molto? Sai, vorrei entrare.»
Ace sogghignò. «Sono arrivato primo.»
Il biondo inarcò un sopracciglio, sorridendo. Quindi aveva fatto bene a pensare che lo stesse sfidando. «Mi hai solo colto di sorpresa. Non credevo potesse esserci qualcuno più veloce di me su quest’isola.» avanzò verso di lui, infilandosi una mano in tasca. «Se facessi sul serio, te lo sogneresti il primo posto.»
«Oh.» Diamine, quel ragazzo lo incuriosiva parecchio! «Ne sei convinto?»
«Convintissimo.» gli spostò il braccio dallo stipite, facendogli perdere lievemente l’equilibrio ed entrando finalmente nel locale, lasciandosi alle spalle Ace. «Salve!» salutò allegramente il proprietario al bancone.
«Oh, buongiorno e benvenuto… Pardon! Benvenuti!»
Al biondo bastò guardare al suo fianco con la coda dell’occhio per individuare di nuovo quel ragazzo dall’abbigliamento piuttosto… discutibile.
Beh, non che non avesse mai visto gente vestita in modo molto più strano rispetto al suo, dopotutto.
«Non mi sembra che faccia così caldo, oggi. Ti senti più comodo stando a torso nudo, forse? Oppure stai cercando disperatamente di attrarre qualcuna con un po’ di muscoli in vista?» gli domandò sinceramente interessato, prendendo posto. Ace lo imitò, scuotendo appena la testa, divertito.
«Pensa a come sei vestito tu, damerino.» rispose, appoggiando la guancia su una mano chiusa a pugno, aiutandosi con l’indice dell’altra a tirarsi su la tesa del cappello.
«Mi hai chiamato damerino?»
«Così pare.»
«Lo detesto.»
«Che peccato, io lo trovo così azzeccato, invece.» gli sorrise serafico, ma prima che l’altro potesse ribattere, il locandiere si avvicinò a entrambi, chiedendo le ordinazioni.
«Cosa posso portarvi, ragazzi?»
«Fate del Ramen?» chiesero entrambi all’unisono, fissandosi poi sorpresi. L’uomo al di là del bancone scoppiò a ridere. «Certo che ne facciamo!» esclamò. «Due ciotole di Ramen, quindi. Arrivano subito!» e così dicendo si dileguò con i due ordini in cucina, scuotendo la testa e continuando a sghignazzare tra sé e sé per la comicità della scena.
«Anche tu?» fece Ace.
«È uno dei miei piatti preferiti… Uno dei miei tanti piatti preferiti.»ammise, grattandosi la nuca. Da quando aveva avuto la fortuna di provarlo per la prima volta in una delle sue missioni assieme ad Hack e Koala – ed esserne andato pazzo -, era diventato impossibile per lui non chiedere di quel piatto nei luoghi in cui capitava che si fermasse per mangiare. «Deduco che lo stesso valga per te.»
«Ti assicuro che nessuno ama il Ramen più del sottoscritto!»
Il biondo tossì fintamente, picchiettandosi una mano sul petto. «Ce l’hai di fianco.»
«Ah? Non credo proprio.»
«Oh sì, credici.»
«Vuoi sfidarmi e perdere ancora, damerino?» non perse l’occasione di provocarlo, Ace, felice di vedere quelle labbra piegarsi all’insù nel suo stesso ghigno.
«Non mi sembri il tipo di persona che accetta la sconfitta. Sicuro di volerti mettere contro questo damerino, uhm… Ora che ci penso ancora non so come ti chiami, Mr. Muscolo.» gli fece presente, quando il profumino emanato dalla cucina raggiunse le sue narici e il suo stomaco, provocandogli inevitabilmente un brontolio. Si sentì un poco in imbarazzo e fu sul punto di scusarsi, ma lo stesso rumore proveniente questa volta dalla pancia di Ace lo fermò, facendolo scoppiare a ridere.
«Scusa, è che sono sbarcato da poco e sto letteralmente morendo di fame. Potrei mangiare qualsiasi cosa.» si giustificò il corvino, ricevendo una comprensiva pacca sulla schiena da parte del ragazzo.
«Tranquillo, siamo nello stesso stato. Anche io non sono da molto su quest’isola. Non appena abbiamo attraccato sono sceso dalla nave come un razzo!» confessò e si lasciò andare subito dopo ad un sospiro, pensando già al rimprovero che lo avrebbe aspettato una volta incontrati Hack e Koala, che teoricamente dovevano essere a terra come lui, in giro a fare rifornimenti insieme al resto dei loro compagni.
Ace lo guardò per un attimo spiazzato. «Oh, pensavo che vivessi qui.» ammise, porgendogli poi una mano, sorridente. «Comunque io sono Ace, piacere!»
Il biondo scosse la testa. «No, non sono di queste parti.» fece, afferrando fermamente la mano dell’altro. «Ace, eh? Piacere mio, io sono-» ma non fece in tempo a completare che il locandiere arrivò davanti a loro, posando le due ciotole di Ramen ordinate sotto i nasi dei due ragazzi.
«Ecco a voi, e buon appetito!»
Entrambi deglutirono, mettendo mano alle bacchette.
«Pancia mia fatti capanna!» esclamò Ace, separando i due bastoncini in legno e cominciando ad ingurgitare velocemente i Noodles sotto gli occhi stupefatti dell’uomo.
«Mi fa piacere che siano di tuo gradimento!» sorrise, prestando poi la sua attenzione all’altro giovane, che a differenza del primo, non aveva ancora toccato nulla sebbene desse l’impressione di voler imitare l’amico. «Potrebbe portarci altre sei ciotole, per favore?» chiese gentilmente, e tutto ciò che ottenne come prima risposta furono gli occhi ulteriormente sbarrati del locandiere.
«C-come?» fece poi, credendo di aver sentito male.
«Facchiamoh ottoh a teshta!» articolò Ace con la bocca piena, lanciando uno sguardo al biondo.
Questo ghignò, cominciando allo stesso modo a divorare il contenuto del proprio piatto. «Esshiah!»
L’uomo passò gli occhi prima su uno e poi sull’altro, guardandoli sempre più sconvolto. Nonostante ciò obbedì, dirigendosi per la seconda volta in cucina, avvertendo uno strano brivido percorrergli veloce la spina dorsale e rizzare i peli delle braccia.
Quello non era decisamente un buon segno.
 
 
Più tardi, dopo trentadue piatti di Ramen per il biondo e trentatré per quello con le lentiggini – con tanto di qualche altro stuzzichino -, il locandiere, grondante di sudore, poté ufficialmente pentirsi non aver cacciato in tempo quei due.
Tutte le sue scorte erano finite in quei dannati stomaci senza fondo!
Non che la cosa gli dispiacesse, perché con tutto quello che avevano consumato il suo guadagno sarebbe stato altissimo, il punto è che non credeva che dei ragazzi giovani come loro disponessero di così tanto denaro.
Si avvicinò con un tic nervoso al sopracciglio, cercando di trovare la forza di essere cordiale.
«Direi che dovreste averne abbastanza di Ramen, no?»
«In realtà un altro pia-»
«NON HO GLI INGREDIENTI PER FARNE MEZZO!» alla fine esplose, sbattendo con forza entrambe le mani sul bancone e facendo di conseguenza barcollare pericolosamente le due torri di piatti, rispettivamente al fianco dei loro proprietari.
Ace allungò una mano verso la sua spalla, picchiettandoci leggermente sopra. «D’accordo, non c’era bisogno di urlare.»
Il biondo soffocò le risa, schiarendosi la voce. «Potremmo farle una domanda?» chiese, mentre Ace si scolò tutto d’un sorso il suo boccale di birra fino all’ultima goccia.
Il locandiere sospirò esasperato. «Cosa?!»
«Quanti piatti abbiamo mangiato a testa?»
«Risponda bene, è importante! Ne va di mezzo il mio titolo di miglior amante del Ramen!»
«Miglior amante del Ramen? Non ha senso, Bace.»
«Ti ho detto che mi chiamo Ace, citrullo!»
«E io che ho detto, Trace?»
«Stai seriamente alimentando la mia voglia di strozzarti…»
«Trentadue tu e trentatré Bace, Trace o come diavolo ti chiami! Ora pagate, alzatevi da quegli sgabelli e non fatevi più vedere!»
I due ragazzi lo fissarono in silenzio, poi incrociarono i loro sguardi e il biondo notò quanto le labbra dell’altro stessero tremando, pronte ad allargarsi in un sorriso raggiante.
«Deve esserci un erro-» ma l’urlo di gioia di Ace lo interruppe, portandolo a schiaffarsi il palmo della mano sul viso. Non poteva credere di aver perso davvero, ancora. Chi diamine era quel tipo? Nessuno era mai riuscito a sconfiggerlo in simili sfide, con del Ramen di mezzo, poi!
«Il miglior amante del Ramen, signori!» esultò con un applauso, sperando di poter udire urla di giubilo per la sua vittoria, ma ciò non accadde,  poiché i precedenti clienti avevano deciso saggiamente di abbandonare il locale dopo aver assistito a quel mezzo – quanto sufficiente - secondo a quella gara di abbuffata.
Il biondo sospirò, non trattenendo però un sorriso. «Continuo a dire che non ha senso come titolo.»
«Solo perché hai perso! Due sconfitte in un giorno solo! Vuoi riprovare, damerino?»
«Qualsiasi cosa vogliate fare, che sia lontano da qui! E ora aspettate che vi porto il conto!» sbuffò l’uomo, allontanandosi momentaneamente.
Ma Ace non se ne accorse nemmeno, troppo occupato a stuzzicare il suo ex-sfidante.
«Bene, bene, bene caro il mio…» Un attimo, com’è che si chiamava? «Ehi, ancora non so il nome del perdente.» ghignò, tirandogli un leggero pugno sotto alla spalla quando lo vide alzare gli occhi al soffitto. «Andrò avanti così finché non ci separeremo, sappilo.»
«Hai vinto semplicemente perché non sei umano.»
«Tecnicamente è vero.» ammise, rimettendosi in testa il cappello che si era precedentemente tolto per mangiare.
«Cioè?» La risposta arrivò quando Ace infiammò una mano, sorprendendolo. «Oh, sei un possessore di un Frutto del Diavolo.»
«Il Mera-Mera, per la precisione. Ma lasciamo stare!» fece sparire le fiamme, mentre le iridi nere si illuminarono di uno sbrilluccichìo carico di curiosità. «Non hai ancora risposto!»
«Sinceramente non so se me la sento di dirtelo…» si fece fintamente pensieroso, sogghignando all’espressione contrariata di Ace.
«Ehi, io il mio te l’ho detto!»
«D’accordo, Nace, calmati.»
«Giuro che ti ammazzo.»
«Se mi ammazzi come farò a dirti il mio nome?»
«… Prima me lo faccio dire e poi ti faccio fuori.»
«Allora non ha senso che sprechi fiato per dirtelo se mi ucciderai in ogni caso.»
«Sputa il rospo prima che ti arrostisca, damerino.»
Il biondo gli porse una mano, sorridendo. «Come siamo impazienti.»
Ace gliela strinse. «Allora?»
«Mi chiamo Sabo. Piacere di aver fatto la tua conoscenza, Ace
Ace ora ricambiò il sorriso dell’altro, soddisfatto anche del fatto che finalmente avesse pronunciato il suo nome correttamente. Che stesse scherzando o meno, quella cosa stava diventando davvero irritante.
«Ecco! Ci voleva tan-» ritornò un attimo indietro di qualche secondo, realizzando veramente a pieno quale fosse il suo nome.
Ritrasse la mano e Sabo non riuscì a capirne il motivo, specialmente del perché la sua espressione cambiò così rapidamente dal felice… all’arrabbiato?
«Ace?»
Ma questo non rispose. Si alzò dallo sgabello e si mise su una spallina dello zainetto, afferrando poi con l’altra mano il gilet.
Sabo aggrottò immediatamente le sopracciglia, non poi così entusiasta del gesto.
«Ehi, qualsiasi cosa ti sia preso, vedi di mollare la presa.» strinse una mano attorno al suo polso, accentuando sempre più la stretta. «Non voglio farti male.»
Ace sembrò momentaneamente obbedire. «Vieni con me. Devo parlarti di una cosa.» si diresse fuori dalla locanda, non trattenendo qualche fiammata dal suo corpo.
Tirargli un pugno in pieno volto, ecco quale era stata la prima voglia che era quasi riuscita ad impossessarsi di lui.
Ma si era trattenuto, perché dopotutto, per quanto fosse impulsivo, un briciolo di buon senso lo possedeva anche lui.
La somiglianza con il Sabo che conosceva lui c’era eccome, era inutile negarlo.
Se provava ad immaginarlo senza quella cicatrice, un dente in meno in quel sorriso e i capelli più corti, ecco che gli appariva davanti agli occhi suo fratello.
E ora era anche saltato fuori che si chiamavano allo stesso modo!
Ma non per questo poteva permettersi di colpirlo.
In fondo, chissà quanti altri avevano il suo stesso nome nel mondo… giusto?
Follia, ecco di cosa si trattava.
Sabo è morto.
Sabo è morto.
Sabo è morto in quel fottuto incidente, Ace.
Eppure, per quanto la sua mente continuasse a ripeterglielo, il suo cuore – che a momenti stava per uscirgli dal petto per quanto forte gli stava battendo – era convinto del contrario.
Voltò piano il capo di profilo, la tesa abbassata sul davanti, assicurandosi con la coda dell’occhio che il biondo lo stesse seguendo.
Ed era effettivamente dietro di lui, con lo sguardo immutato rispetto a prima.
Ora era all’erta nelle sue vicinanze, lo vedeva nel portamento fattosi più rigido.
«Di cos’è che vorresti parlarmi?»
Nemmeno lui sapeva perché gli avesse dato retta e gli stesse andando dietro, ma c’era qualcosa, dentro di lui, che l’aveva spinto a farlo.
In realtà c’era qualcos’altro che gli diceva di aver dimenticato qualcosa, ma non seppe bene dire che cosa…
«Tu stammi dietro e basta.» si limitò a rispondere Ace, diretto verso la costa, dove aveva lasciato in un punto ben nascosto il suo Striker.
Nel frattempo quella cosa di cui apparentemente si erano dimenticati entrambi, cacciò un urlo furioso quando tornò in sala e non trovò i due ragazzi al bancone. Preso dalla rabbia fece a pezzi il conto e corse fuori a controllare, vanamente, se fosse stato in grado di individuarli tra la folla. Ma i due sembravano già essersi volatilizzati.
Passata la rabbia, arrivarono le lacrime amare a rigargli il volto.
Si accasciò sul portico del locale e tirò un pugno contro il legno, facendosi tra l’altro male.
«Mi hanno derubato… non posso crederci…»
Il pianto attirò l’attenzione di alcuni dei passanti, e anche la compassione di una dei due.
«Hack.»
«Lo so a cosa stai pensando, ma non abbiamo tempo. I ragazzi sono già alla nave, vediamo di sbrigarci a trovare Sabo. La missione che ci aspetta non è una bazzecola e non possiamo affrontarla senza il nostro Capo di Stato Maggiore.»
«Oh, appena l’avrò tra le mani penserò io a dargli una bella lezione, tranquillo.»
 
 
Durante il tragitto mille pensieri attraversarono la mente dei due.
Ace non sapeva bene se reputarsi davvero un pazzo o meno, e, soprattutto, come avrebbe dovuto cominciare il suo discorso?
Mio fratello è morto da dieci anni ma ora che ho incontrato te credo davvero che tu possa essere quel fratello, andava bene?
D’altra parte, Sabo non distolse per un attimo lo sguardo dalla schiena dell’altro.
La Jolly Roger dei pirati di Barbabianca, pensò.
Non aveva visto male, dunque, quando lo aveva superato durante la corsa, arrivando per primo alla locanda.
Quando poi si era presentato, le sue supposizioni furono tutte confermate.
Quello doveva trattarsi senz’ombra di dubbio di Portuguese D. Ace, il comandante della seconda flotta dei pirati di Barbabianca.
Il punto era capire che cosa potesse volere un pirata da lui.
Che avesse detto troppo con il suo nome? Non credeva che Ace potesse averlo collegato davvero all’Armata Rivoluzionaria.
Tra l’altro non ricordava che Barbabianca avesse mai avuto problemi con l’Armata, ne tantomeno il contrario.
E dubitava del fatto che Dragon-san gli avesse tenuto nascosto qualcosa…
Beh, in realtà non sarebbe nemmeno così improbabile, pensò, sospirando sconsolato.
In che razza di guaio era andato a cacciarsi, a questo punto?
«Quindi, Sabo, giusto?»
La voce di Ace riuscì a distoglierlo dai suoi pensieri e i suoi occhi incrociarono finalmente quelli dell’altro.
Sabo annuì, osservandolo grattarsi la nuca. Adesso sembrava tutto tranne che minaccioso, ma se aveva imparato una cosa quella era di non abbassare mai la guardia.
«Io non so davvero come iniziare.» disse, spostando la mano a massaggiarsi la fronte.
«Magari con il motivo per cui hai voluto che ti seguissi?» suggerì, scaturendo in Ace una flebile risata.
«È proprio quella la parte difficile.»
«Vuoi uccidermi?»
«No! Ma che-? Cioè… dipende da come risponderai.»
Oh, perfetto, Sabo si portò le mani sui fianchi. Ci mancava solo un combattimento.
Promemoria per la prossima volta: aspettare gli altri prima di correre a cercare del cibo da solo.
«Quanti anni hai?»
Sabo corrugò la fronte, stranito dalla domanda. E quello che c’entrava?
«Venti… perché?»
Il cuore di Ace perse probabilmente più di un battito alla risposta.
Sabo aveva dieci anni al momento dell’incidente. Da allora erano passati altrettanti anni.
Non era un genio in matematica ma era certo che dieci più dieci facesse sicuramente venti.
La sua stessa età.
«Ace?»
«Quella cicatrice.» alzò il braccio e indicò il viso di Sabo. «Come te la sei procurata?»
Sabo si portò una mano sul punto in cui vi era lo sfregio, sfiorandolo con le dita.
«Non capisco a cosa-»
«Rispondi alla domanda.» lo zittì prontamente con tono fermo e un velo disperato. «Per favore.» aggiunse, quasi supplicante.
«Io… ho avuto un incidente da bambino.» confessò e ciò che seguì accadde in meno di un secondo. Non seppe come, ma Ace lo colpì con un pugno in pieno volto e lui non fu in grado né di prevederlo né tantomeno di schivarlo.
Non poteva aspettarsi diversamente da un pirata appartenente alla ciurma di uno dei Quattro Imperatori.
Ma nemmeno lui sarebbe stato da meno, questo era certo!
«T-ti detesto.»
O almeno così credeva.
Peccato che quando le lacrime di Ace scivolarono dalle sue guance al suo viso, Sabo non trovò la forza di muovere un solo muscolo.
Si lasciò sbattere più volte contro la sabbia, non capendo assolutamente nulla di tutto quello che stava succedendo.
Permise ad Ace di prenderlo ancora a pugni senza sapere perché.
L’unica cosa di cui era convinto era che doveva semplicemente lasciarglielo fare.
Sopportare tutto quello per far sì che si sfogasse, mentre lui a poco a poco sentì incombere un terribile mal di testa con tanto di occhi lucidi.
Perché? Perché? Perché?
Ace sapeva qualcosa di cui lui invece era all’oscuro?
E se Ace avesse a che fare con il passato di cui non ho più memoria?
Quella era l’unica spiegazione logica che poteva permettergli di capire la sua reazione alla risposta dell’incidente.
Il punto era che lui non riusciva proprio  a ricordare nulla che potesse anche solo lontanamente collegarsi ad Ace e questo aveva solo l’effetto di procurargli fitte maggiori alle tempie.
Poi i pugni e il resto si fermarono d’un tratto, ma Ace non mollò per nessuna ragione la presa sul suo gilet.
Ancora sopra di lui, Ace gli fece sollevare il busto e, con grande sorpresa di Sabo – o forse nemmeno così tanta -, lo abbracciò.
Lo tenne stretto contro il suo petto, portando una mano sulla sua nuca, in modo da fargli premere ancor di più il viso sulla sua pelle nuda.
Voleva sentire il suo respiro caldo, il suo calore corporeo ed essere sicuro del fatto che fosse vivo, tra le sue braccia.
«Sabo. Sabo. Sabo.» andò avanti ancora e ancora a ripetere il suo nome quasi fosse una cantilena infinita.
Non gli importava se in realtà quello non era davvero il suo Sabo.
Per un attimo, per un fottuto, misero attimo, voleva ingannare la sua mente e convincersi del fatto che dopo ben dieci anni Sabo fosse nuovamente lì con lui, vivo.
Sabo, ancora una volta, non fece nulla per fermarlo, anzi, ricambiò l’abbraccio di Ace seppur con un’iniziale riluttanza.
«Ace.» lo chiamò a sua volta, scaturendo nell’altro una risata.
Una risata gioiosa ma simile per alcuni tratti a quella di un pazzo.
«Sabo-kun!»
Una risata che si interruppe, così come l’abbraccio, dopo aver udito il nome del biondo urlato da una voce femminile.
«Koala.» sussurrò Sabo, osservando Ace togliersi di dosso e porgergli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Il biondo gli sorrise e la accettò di buon grado, sollevandosi dalla sabbia e spolverandosi dai vestiti i vari granelli.
«Sabo!»
«Ed ecco Hack.» sospirò. Sapeva che sarebbero venuti a cercarlo.
Ace gli diede le spalle e andò a recuperare lo zainetto che aveva precedentemente abbandonato a terra poco prima di aggredirlo, asciugandosi nel frattempo il viso umido.
«Amici tuoi?» tirò su col naso. Non poteva credere di averlo fatto davvero. L’aveva picchiato, aveva pianto e poi l’aveva anche abbracciato. Il tutto senza aver ricevuto conferma da parte di questo Sabo di essere lo stesso a cui si riferiva lui.
«Già.» ma non si preoccupò di rispondere per il momento. «Te ne vai?»
«Tu cosa sei? Un pirata?» chiese invece Ace, mettendosi in spalla lo zainetto dopo averne estratto una cosa. «Avrei sentito parlare di te, quindi ne dubito.»
«No, infatti non lo sono» sorrise. «Non posso dirtelo, mi spiace.»
«Sabo-kun! Giuro che te la farò pagare per averci fatto perdere tempo!»
«La tua amica sembra arrabbiata, quindi farò in fretta.» Ace si riavvicinò a lui, porgendogli un pezzo di carta, avanzatogli dall’incontro con Rufy. «Visto che non so come trovarti o che cosa tu faccia al momento, lascerò a te il compito di venirmi a fare visita. Questa è la mia Vivre Card. Non appena potrai, sappi che ti aspetto sulla Moby Dick.»
Sabo passò gli occhi dal pezzo di carta ad Ace. «Potrei essere un cacciatore di taglie.»
Ace scrollò le spalle. «Ti troverai in un bel casino se proverai a farmi fuori sulla nave.»
«Un marine?»
«Stessa cosa di prima. E poi sei troppo sveglio per far parte del Governo.»
Sabo si lasciò sfuggire una risata e alla fine accettò la sua Vivre Card, infilandosela in tasca.
«Hai vinto.»
«Terza volta, oggi. E scusa per i pugni e, insomma…»
«Avermi pianto addosso? Tranquillo, posso perdonarti.»
«Sappi che sarà la prima ed ultima volta in cui  mi vedrai in quello stato!» preferì chiarire, dirigendosi verso lo Striker.
«Oh! Aspetta un po’ prima di venire, al momento sono occupato con altro e non mi troverai.»
«Altro?»
Ace annuì, saltando all’interno della scialuppa e riavvolgendo la corda che aveva usato per evitare che il suo mezzo andasse alla deriva.
«Ho un conto in sospeso con una persona. Mai sentito parlare di Barbanera?»
«Certo. Apparteneva alla ciurma di Barbabianca, se non sbaglio.»
«Seconda divisione, per la precisione, la mia. Sono alla sua ricerca per punirlo e vendicare il nome di un mio compagno.»
Sabo sospirò. «Tu dai davvero troppe informazioni su te stesso, Ace.»
«Ehi, di te sento di potermi fidare.» confessò, lasciando calare il silenzio tra di loro.
«Sabo!» ma che fu presto rotto da un tono di voce non troppo contento da parte di Hack.
«Meglio che tu vada, saranno piuttosto arrabbiati e ho ben presente che tipo di ramanzine possono riservare.» si tirò giù la tesa del cappello, pronto a partire.
«Ace.»
«Mh?»
«Barbanera, non sottovalutarlo. Sei forte, questo è vero, ma da quanto ho sentito lui lo è diventato altrettanto. Inoltre… se prosegui a nord-ovest da qui, in un paio di giorni dovresti raggiungere un’isola, Banaro. O magari anche prima, dipende dalla velocità che riesci a raggiungere con quella scialuppa. Non escludo che Barbanera possa trovarsi lì.»
«E tu come…?»
«Non posso dirtelo.»ripeté, sorridendo. «Ma quando avremo finito entrambi le nostre rispettive missioni, beh, sappi che ho alcune cose da chiederti.»
Ace ricambiò il sorriso. «Ci conto.» alzò una mano verso di lui, in segno di saluto. «E nel caso in cui ti avessi scambiato per un’altra persona, mi farò perdonare con dell’ottimo sake.» ghignò, e senza aggiungere altro prese il largo con una vigorosa fiammata.
«Sake? Perché proprio-»
«Sabo-kun!»
«Uwah!» il biondo sfiorò per un soffio un pugno – l’ennesimo di quella giornata – da parte della sua compagna di squadra, nonché braccio destro – e omicida -, Koala.
«Sei impazzita?!»
«TU! Hai la vaga idea da quanto tempo ti stiamo- Che cosa hai fatto alla faccia!?»
Sabo si portò una mano sul viso, tastandoselo. «Oh.» in effetti lo sentiva piuttosto gonfio. «Sono caduto.»
Hack si massaggiò le palpebre, Koala si schiaffò una manata sulla fronte. «Ci credi davvero così idioti?!»
«Ehi, non dobbiamo tornare alla nave? Abbiamo una missione che ci aspetta!» si incamminò, lasciandoseli alle spalle.
«Sabo-kun!» lo richiamò Koala, inutilmente, rilasciando un gemito frustrato.
«Lasciamo perdere.» sospirò Hack, prendendola per le spalle. «Raggiungiamolo prima di perderlo ancora di vista.» la spinse leggermente, non lasciandosi sfuggire una figura in lontananza, nell’oceano.
Di chi potesse trattarsi, proprio non riusciva ad immaginarselo, ma se era stato in grado di conciare il viso di Sabo a quel modo, non era sicuramente qualcuno a cui rimanere indifferenti.
 
 
La sera di quello stesso giorno Ace si prese un’altra pausa, sdraiato con le gambe accavallate all’interno del suo Striker, le onde che dolcemente cullavano entrambi.
Nemmeno per un attimo, da quando si erano separati, era riuscito ad abbassare gli angoli della bocca per far scemare quel sorriso che, ormai, stava seriamente cominciando a fargli male alla mandibola.
Si tolse dal capo il cappello e mise mano al suo interno.
Ancora se lo ricordava il giorno in cui, anni dopo la morte di Sabo, Rufy, Makino e tutti i banditi, compresa Dadan – per quanto quest’ultima avesse negato fino all’ultimo di non aver avuto nulla a che fare con tutto quello -, si erano messi d’accordo per fargli un regalo unico per il suo diciassettesimo compleanno: quello stesso cappello arancione, da cui – aveva promesso – non si sarebbe mai separato.
Proprio per questo decise di farlo diventare una sorta di forziere  per un suo tesoro.
L’idea gli era venuta il giorno prima della sua partenza, mentre era rimasto incantato dalla maestria nel cucire di Makino.
Credi che si possa fare una sorta di tasca all’interno del cappello o qualcosa che sia simile?, le aveva chiesto, e Makino, inizialmente sorpresa dalla domanda, aveva risposto con uno dei suoi soliti sorrisi gentili, annuendo.
E ora eccola lì, una toppa di stoffa cucita egregiamente con il solo scopo di proteggere e conservare un pezzo di carta.
Ma non un pezzo di carta qualunque, oh no.
Quel pezzo di carta rappresentava l’ultimo ricordo concreto che aveva di Sabo, la sua lettera.
A volte, quando ne sentiva la mancanza, amava prendersi qualche minuto – che spesso si trasformavano in ore, in realtà – per rileggerla e riportare alla mente il passato, oltre che a versare lacrime su lacrime senza vergognarsene.
E dopo quello che era successo oggi, non poteva non prenderla tra le mani e leggerla ancora, o meglio recitarla a memoria senza neanche fissarsi sulle parole, osservando semplicemente la calligrafia del suo fratellino di dieci anni fa.
Chissà com’è cambiata, ora…
Continuava ad essere un pazzo a pensarla così? Che quel ragazzo potesse davvero trattarsi del vero Sabo, dopo aver creduto per anni che quest’ultimo fosse morto?
Non gli interessava.
Era un sognatore e nessuno gli vietava di alimentare quella flebile fiamma qual’era la sua speranza.
«Noi tre diventeremo i pirati più liberi di tutti e poi un giorno ci incontreremo! Da qualche parte, nel Grande Blu, senz’ombra di dubbio!»
Ace rise. Rise e pianse, premendosi il cappello sul viso e la lettera sul petto con l’altra mano.
«Pirati? Qui sei l’unico tra noi che non sembra essere diventato un pirata…»
Ma avrebbero avuto modo di parlare anche di quello.
 

 
****

 [Banaro]
 



Un ghigno increspò le labbra di Ace, il suo viso premuto contro il terreno dell’isola di Banaro, ormai mezza distrutta.
Ma questo non aveva nulla a che fare con il suo solito ghigno sfacciato che il più delle volte amava sfoggiare in battaglia, durante e poi subito dopo la sua vittoria.
No.
Furia e puro disgusto nei confronti di se stesso, ecco cosa stava provando in quel momento con il piede di Teach premuto sulla sua nuca.
Aveva perso.
Per la seconda volta non era stato in grado di vendicare uno dei suoi fratelli.
E cosa peggiore, il nome di Barbabianca era stato ulteriormente disonorato.
Ancora, pensò, affondando le unghie nella terra. Ancora, rilasciò un ringhio, imbestialito.
«Capitano! Capitano!» Jesus Burgess corse incontro ai due, seguito a ruota, e più tranquillamente, dagli altri. «Ce l’ha fatta! L’ha sconfitto!» sogghignò tra il divertito e l’orgoglioso il timoniere, guardando dall’alto il corpo ora inerme del secondo comandante.
«Zehahahah! Avevi dubbi, per caso?» fece Barbanera, ma il fiatone ancora ben presente dimostrava tutto il contrario. Per un solo istante, in realtà, aveva temuto che l’Entei di Ace potesse avere la meglio sulla sua oscurità, ma fortunatamente non era stato così.
Si osservò le mani, allargando un sorriso sinistro che andò da orecchio a orecchio.
Il potere che era riuscito ad ottenere si stava rivelando sempre più formidabile.
Teach levò il piede dal capo del ragazzo e si spolverò la giacca.
«Me ne serve una nuova.» grugnì.
«Avremo tempo per prenderne un’altra a Water Seven.» gli ricordò stancamente Doc Q in groppa a Stronger.
«No.»
Gli occhi di tutti i componenti della ciurma andarono a posarsi sul corpo ancora disteso a terra del giovane comandante.
Ace sollevò lentamente il capo, guardandoli trucemente.
In tutta quella sua pateticità, c’era un’unica cosa in cui non doveva permettersi di fallire.
Aveva perso il suo onore e non era stato in grado di recuperare quello di suo padre, era stato sconfitto dall’uomo che si era macchiato dell’omicidio di uno dei suoi fratelli, senza riuscire a vendicarne il nome – la storia si ripete -, ma quello… oh, no.
Rufy era intoccabile.
«Uh?» Burgess allungò una mano sui suoi capelli e, afferrandoli, lo tirò su con i piedi ciondolanti per aria.
«Che cosa c’è, comandante?» sghignazzò, guardandolo con interesse.
Peccato che il sorriso svanì dalle sue labbra nell’esatto momento in cui Ace mirò dritto ad una sua guancia, sputandogli in pieno volto.
Una vena prese a pulsare sulla fronte del timoniere, irritato dal gesto insolente del giovane vista la sua posizione, e fu sul punto di farlo fuori definitivamente se non fosse stato per l’intervento di Teach.
Quest’ultimo bloccò il compagno per l’avambraccio, fulminandolo con lo sguardo.
«Faccio io.» disse, premurandosi di afferrare Ace per il collo.
Il minore fece il possibile per non farsi sfuggire alcun tipo di gemito o espressione sofferente, artigliando però con le unghie il braccio del capitano.
«Hai qualcosa da dire, Ace?»
«Siete davvero dei deficienti.»
Barbanera si accigliò, accentuando la presa. Sorrise bieco. «Cosa?»
Ace strizzò gli occhi. Ci manca solo che mi faccia fuori ora.
«D-dico solo che è d-da stupidi fissarsi su R-Rufy. Avete me, ora, u-una testa da ben c-cinquecentoc--inquanta m—milioni. C-che senso a-avrebbe perdere t—empo con l-lui?»
Barbanera parve rifletterci. «Non hai tutti i torti.»
«Capitano, le suggerirei solo di fare attenzione alla presa. Un comandante della ciurma di Barbabianca credo che valga molto di più da vivo.» suggerì cordialmente Lafitte, osservando Ace annaspare alla ricerca di ossigeno.
«Oh.» Teach mollò come raccomandato il collo di Ace, facendolo cadere a terra, in ginocchio.
Ace si portò una mano a massaggiarsi il collo, tossendo ripetutamente mentre a poco a poco riempiva con più aria i suoi polmoni.
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato salvato da quella sottospecie di mimo.
«Ci risparmi molto tempo! Zehahahah! Grazie per essere venuto a farci visita, Ace!»
Ace non sembrò ascoltarlo, impegnato a cercare con lo sguardo il suo cappello o, meglio ancora, la sua preoccupazione era più che altro rivolta a ciò che aveva da sempre custodito al suo interno.
È un miracolo se non è stato polverizzato dal combattimento.
Ora aveva anche perso per sempre la lettera di Sabo. Fantastico, di bene in meglio.
«Oh, vedi di non fare giochetti strani mentre sarai nostro ospite, Ace.» lo avvertì poi Teach, indicando poi Ace con il capo a Burgess, in modo che lo sollevasse nuovamente da terra e lo tenesse fermo. Il timoniere obbedì e Barbanera si piazzò davanti a lui, alzandogli il viso verso il suo. «Ma non credo che sarai un problema una volta che ti faremo indossare le manette di Agalmatolite. A differenza di quell’idiota di nostro padre, io non ho alcuna intenzione di tenere liberi per la nave i miei prigionieri.»
A quello, Ace non riuscì a trattenere il suo impulso e gli tirò un calcio sul fianco che risultò però alquanto inefficacie. Teach ricambiò il favore sferrandogli un pugno in pieno stomaco, facendogli tossire una considerevole quantità di sangue.
«Non cominciamo affatto bene.»
«Mi è scappato.»
Barbanera rise e lo schiaffeggiò scherzosamente un paio di volte sulla guancia. «Farò finta che sia stato davvero così. Mi sei sempre stato simpatico ed è un peccato che vada a finire così. Sei davvero sicuro di non voler entrare nella mia ciurma? Dopotutto non è un problema andare da Cappello di Paglia, era nei progra-»
«Fatti bastare il mio nome, Teach.»
«Grande comandante e persino un fratello maggiore modello! Zehahahah! D’accordo, d’accordo. Meglio per noi, in ogni caso. Forza, andiamo! Rotta per Impel Down!»
«Teach.»
«Ah?»
«Fate in modo che Rufy non sappia nulla di questa storia
Tutta la ciurma scoppiò a ridere dopo un iniziale sbigottimento a quello che era suonato più come un ordine che una richiesta. In entrambi i casi davvero assurda.
Ace stesso sapeva bene quanto fosse stupido, da parte sua, sperare in ciò.
Ma non poteva fare altrimenti che credere che quei marine non spargessero troppo la voce.
Poteva solo immaginare la reazione del suo fratellino.
Almeno sono riuscito a vederlo per un’ultima volta… si disse mentalmente, e il suo pensiero andò inevitabilmente ad un’altra persona.
Fece un mezzo sorriso, alzando lo sguardo verso il cielo, ora così pacificamente terso.
Quanto a te, Sabo, credo che dovremo rimandare il nostro secondo incontro… a mai più.
 
 
 ****
 
[Impel Down - Level 6]
 
 

«Ace-san.»
La voce di Jinbe gli fece alzare stancamente la testa, facendo inevitabilmente tintinnare le catene che gli tenevano imprigionati i polsi.
Cercò di focalizzare il volto dell’amico nell’oscurità della prigione.
«Dimmi.» parlò con un filo di voce. Patetico, pensò di se stesso, strizzando debolmente le palpebre.
«Quando mi hanno trasferito in quell’altra cella, prima, hanno parlato di una visita per te. Si trattava forse del Grand’Ammiraglio? Chi altro si disturberebbe di venire in questo Inferno per parlare con il prigioniero più importante al mondo, se non lui?»
Ace sorrise stancamente. «Mi sento lusingato per “il prigioniero più importante al mondo”. Peccato che non possa vantarmi del titolo con gli altri…»
«Ace-san, non è il momento di scherzare.»
L’interpellato riabbassò lo sguardo verso il basso, socchiudendo gli occhi. «Nessun Grand’Ammiraglio, solo un dannato vecchio che non aveva niente di meglio da fare se non venire a fare quattro chiacchiere con me.» sospirò. «Anche se avrei preferito evitare.»
«Come mai?»
Ace si mosse ancora, raddrizzando la schiena contro il freddo muro in mattoni e appoggiandoci anche la nuca. «Mi ha raccontato di una cosa riguardo Rufy, mio fratello, ricordi? Te ne ho parlato in passato.»
«Parlato? Asfissiato, vorrai dire!»
Ace si fece scappare un leggero sbuffo divertito dalle labbra, non dandogli torto. «E non me ne pento, eh!»
L’uomo-pesce alzò gli occhi al soffitto. «Ti ha informato di una cosa grave?» tentò di ritornare al discorso, facendo riabbassare lentamente gli angoli della bocca del corvino.
«No. Non è la cosa in sé a preoccuparmi, quanto più il pensiero di Rufy. Non so che cosa stia accadendo là fuori, in questo momento, ma posso immaginarlo. Ritengo impossibile che non sia venuto a conoscenza della mia pubblica esecuzione, alla Marina piace fare notizia, ma spero comunque con tutto me stesso che ne sia all’oscuro. Conoscendolo sarebbe pronto a fare pazzie pur di aiutarmi, e se gli succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.» strinse i pugni, conficcandosi con forza le unghie nei palmi delle mani. «Quell’incosciente…» si concesse nuovamente un lieve sorriso. «Sai, Jinbe, mentre inseguivo Teach ho avuto l’occasione di incontrarlo nel Regno di Alabasta. Non lo vedevo da ben tre anni…» il suo sguardo si fece assente nel riportare alla mente il loro incontro e il suo sorriso si ampliò ancora di più. «Mi è bastato un solo sguardo, però, per tranquillizzarmi. Sai perché? Davanti a me non c’era più il piccolo Rufy che mi seguiva dappertutto come un poppante. Lui ora ha degli amici su cui contare, e qualunque cosa accada, se la caverà. È un bel sollievo per un fratello maggiore che sta per andarsene all’altro mondo, sai?»
Jinbe accennò ad una smorfia. «Non osare parlare così, Ace-san. Barbabianca risolverà la situazione. Non permetterà mai che tu muoia.»
Ace non rispose, lasciando così cadere nuovamente il silenzio.
Dovevano capirlo anche loro, mettersi nei suoi panni: guerra significava morti, molte, e lui non voleva che si sacrificassero per salvare la sua di vita.
In cuor suo sapeva benissimo che papà si sarebbe presentato comunque pur avendo ben intuito i piani della Marina, per questo sperava che quei sporchi bastardi dei marine finissero quanto prima e lo facessero fuori una volta per tutte.
[È davvero un bene che io sia nato?]
 
Qualsiasi cosa fatta durante la sua vita, per quanto in positivo, aveva sempre portato ad un fallimento da parte sua.

[Lo scoprirai crescendo. Vivendo e diventando un uomo.]
 
Aveva vissuto abbastanza da capire che la sua esistenza, che ci fosse o meno, non avrebbe fatto alcuna differenza nella vita di nessuno. Anzi, non metteva in dubbio che queste potessero solo migliorare senza di lui.  
Eppure, una piccola parte di lui trovava ancora la forza e il coraggio di contraddire questo pensiero.
Qualche anno di vita in più non sarebbe stato nemmeno così tanto male per mettere in chiaro la famosa faccenda con quello che aveva preso a considerare il Sabo adulto.
E se… lui venisse a Marineford?
Scosse appena la testa a quel pensiero così idiota, fissando lo sguardo assente sulle caviglie, anch’esse imprigionate.
Non poteva diventare più ridicolo di così.
O forse sì?
«Jinbe.»
 
 
 
****
 
[Marineford]
 
 
«A-Ace!»
«Perdonami, Rufy…»
Eccolo lì, tra le braccia del suo fratellino dopo essere stato trafitto da quel dannato pugno di magma.
Il fuoco è stato bruciato. Davvero bizzarra come cosa.
Ace si aggrappò con le poche forze in suo possesso alla camicia gialla del minore, socchiudendo gli occhi e sorridendo beato.
Grazie al cielo stava bene.
Quella peste voleva farlo penare di preoccupazione fino all’ultimo, eh?
«Me lo avevi promesso! Ace!»
Ace inspirò faticosamente ed espirò con altrettanta difficoltà.
La promessa, vero.
Beh, a sua discolpa poteva dire che ormai quelle parole non avevano più lo stesso valore di allora – Rufy ormai aveva altre persone su cui contare, oltre a lui -, ma preferì risparmiare il fiato per parlargli di cose più importanti. Quello sarebbe riuscito a capirlo perfettamente da solo, una volta superato lo shock della sua morte. Magari con l’aiuto di Jinbe, sperando che quest’ultimo si ricordasse della richiesta che gli aveva fatto a Impel Down: chissà, forse Rufy era riuscito a fargli cambiare opinione sul suo conto.
«S-sai, Rufy…» soffiò in un sussurro udibile solo al minore. «H-Ho solo un u-unico rimpianto: a-avrei voluto r-rimanere in v-vita abbastanza a l-lungo per v-vederti realizzare… il tuo sogno. Ma so che ce la farai, oh sì. S-sei il mio fratellino, dopotutto…» sorrise stancamente, e ormai sentiva mancargli persino le forze per tenere le palpebre alzate.  
Quella in realtà era una mezza bugia.
Ne aveva un altro, di rimpianto, ma vista la situazione, sarebbe stato stupido confessarlo a Rufy.
Espirò più profondamente.
Alla fine l’unica persona che aveva desiderato fosse stata presente non era venuta.
Probabilmente, però, era meglio così.
Forse erano davvero sue fantasie, eppure, da quando era stato sconfitto da Teach, il rimorso di non aver approfondito la conoscenza di quel Sabo non l’aveva più abbandonato.
“Sabo è morto”, le parole pronunciate da Dogura dieci anni fa risuonavano nella sua mente come un eco.
Tre parole che ancora, a distanza di anni, riuscivano a procurargli brividi lungo la schiena e occhi lucidi.
Però c’era da sottolineare una cosa: quelle di Dogura erano appunto solo parole.
Parole dette da un testimone che, come tutti gli altri, era stato spettatore di una sola parte dello spettacolo, quella più drammatica.
Ma chi gli assicurava che non fosse accaduto un miracolo?
A quanto ricordava, nessuno era stato in grado di rinvenire il corpo di suo fratello dopo la partenza dei Draghi Celesti dal regno di Goa.
E la cicatrice sul viso di quel ragazzo? Aveva detto che se l’era procurata in seguito ad un incidente in cui si era ritrovato coinvolto da bambino.
E se quell’incidente fosse anche stato la causa di un possibile trauma, shock, perdita di memoria, o che altro, e che non gli avesse quindi permesso di venir a cercare lui e Rufy perché semplicemente aveva perso ogni ricordo legato a loro?
Sorrise.
Aveva pensato più e più volte a ipotesi simili a questa, e a quanto sembrava la sua fervida immaginazione non aveva alcuna intenzione di volerlo abbandonare nemmeno ora che la fine era ormai vicina.
Era davvero un peccato non averlo più potuto incontrare per confermare o meno i suoi viaggi mentali.
A ripensarci non sapeva se ridere, piangere o mettersi ad urlare.
Magari avrebbe fatto tutte e tre se ne avesse avuto le forze.
«Ace!»
Oh, giusto.
Che se ne andasse con uno, due o più rimpianti, poco importava.
Ora doveva solo preoccuparsi della sua unica certezza.
Rufy era vivo e doveva continuare a rimanerlo anche dopo la sua dipartita.
«Rufy.» cominciò serio, appoggiando la guancia contro il collo del fratello. Emanava un calore così piacevole, un calore che, al contrario, avrebbe presto abbandonato Ace. «Ormai la mia voce si sta affievolendo…» sussurrò, ansimando. «Per questo voglio che tu riferisca a tutti ciò che sto per dirti…»
Con una richiesta simile da parte sua, Rufy non poteva permettersi di morire.
Da bravo fratello minore avrebbe dovuto obbedirgli.
In caso contrario, sperò che il più piccolo fosse ben consapevole di che cosa gli sarebbe aspettato nell’aldilà.
 
Sono riuscito a difenderti e a salvarti, fratellino. Confido in te e nei miei compagni per non trasformarlo in un terzo fallimento per me…
 
 
 ****
 
 
«Jinbe.»
«Mh?»
«Posso farti una domanda?»
«Se posso rispondere, sì.»
«Quando un possessore di un Frutto del Diavolo muore, il Frutto in questione andrà a ricrearsi da qualche altra parte, giusto?»
«Così si dice.»
«Quindi qualcun altro avrà il potere del Mera-Mera…»
«Ace-san, mettiti in quella testaccia dura come il marmo che tu non morirai!»
«Mi domando che tipo di persona sarà…»
«Non ignorarmi!»
«In realtà un po’ provo pena per il futuro possessore.»
«… Perché mai?»
«Semplice: una parte di me rimarrà per certo nel Mera-Mera. Sarà dura sentire al proprio fianco l’uomo che è quasi riuscito a scatenare una guerra tra la Marina e uno dei Quattro Imperatori.»
«… Non so come tu faccia, ma riesci sempre a sorprendermi con nuove idiozie anche in momenti come questo.»
«Non è un’idiozia!»
«Certo, Ace-san.»
«Te l’ha mai detto nessuno che sei antipatico quando fai così?»
«Tu almeno un migliaio di volte, credo.»
«Mi farai esaurire, prima o poi…»
«Io?! Sicuro che non sia il contrario?! … Non ridere, Ace-san! Non sono in vena di essere preso in giro!»
«Andiamo, è solo per farsi due risate!»
«Ora non è proprio il caso.»
«…»
«…»
«Jinbe.»
«Cosa c’è, adesso?»
«Devo chiederti un favore.»
«Huh?»
«Riguarda il mio fratellino…»
 
  
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