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Autore: Clairy93    03/01/2016    7 recensioni
Ogni famiglia ha i suoi segreti.
Il modo migliore per nasconderli?
Ostentarli.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Coccinelle


 
Come ogni mercoledì pomeriggio, le Coccinelle della terza classe elementare si dedicano alle due ore settimanali di disegno.
Chini sui tavoli, provvisti di matite e pennarelli colorati, i giovani alunni danno libero sfogo alla loro fervida creatività.  
Il tema di oggi è la famiglia.
Ed è abbastanza ironico, considerato che la mia situazione personale è giusto un tantino complicata.
Non ho mai avuto quella che si potrebbe definire una “normale” vita famigliare e non saprei se ciò ha rappresentato per me una mancanza o, piuttosto, un’opportunità.
Ciò di cui sono convinta è che se mai mi dessero un compito simile a quello che io oggi ho assegnato ai miei allievi, molto facilmente consegnerei il foglio in bianco...
“Coccinelle, il tempo è finito!” esclamo, battendo le mani “Giù i pennarelli e riponeteli negli astucci!”
Si eleva un leggero fruscio di carta, ravvivato dal brusio dei bambini che allungano lo sguardo sul disegno del vicino, curiosi di poter confrontarlo con il proprio.
“Chi ha voglia di venire alla cattedra per mostrare il proprio lavoro e raccontarlo ai compagni?”
La mia domanda scatena un’ondata di manine esitanti, in attesa di essere chiamate. Adoro riscontrare tale entusiasmo nei miei piccoli alunni, tuttavia è altrettanto difficile scegliere e non fare un torto agli altri.
Proprio mentre osservo i loro visini eccitati, mi accorgo che anche la timida Alice ha alzato la mano.
Alice è estremamente riservata e solitaria. E’ quel genere di bambina che durante la ricreazione, invece di giocare in cortile con qualche amichetto, si isola in un angolo a sfogliare un libro.
In parte penso dipenda dal fatto che è l’ultima arrivata delle Coccinelle. Si è trasferita da poco più di un mese e, per la sua giovanissima età, un cambiamento così brusco come l’abbandono della propria casa, dei conoscenti e della vecchia scuola deve esserle parso alquanto traumatico.
Ecco perché mi sorprende questa sua inaspettata partecipazione, per cui colgo subito l’occasione per chiamarla e offrirle la possibilità di esprimersi di fronte ai compagni.
La timida Alice, spronata da alcune delle ragazzine, mi raggiunge con il suo disegno stretto al petto, trascinando gli stivaletti sul pavimento.
“Posso vederlo?” le chiedo, tendendo piano la mano.
Lei annuisce flebilmente prima di porgermelo. Poi, inizia a stuzzicarsi il labbro inferiore, in attesa di un mio giudizio.
Resto senza parole di fronte all’innegabile talento della piccola.
Per un bambino di sette anni prospettiva e profondità sono accorgimenti ancora al di fuori della loro cognizione. Tuttavia, questo discorso non vale per Alice: ha realizzato una casetta in tre dimensioni e ricchissima di dettagli e colori. Inginocchiata su un bel prato verde, si trova una figura che di primo acchito si direbbe l’autoritratto della mia alunna, in compagnia di un cagnolino nero con un collare rosso. La mamma, una signora dalla lunga chioma bionda, si trova poco lontano e tiene per mano il marito, molto elegante nel suo completo grigio e provvisto di una ventiquattrore.
“Tesoro, ma è bellissimo!”
Le sposto una ciocca dagli occhi e, con gioia, scorgo un sorriso sereno spuntarle sulle labbra.
Nell’attimo in cui presento alla classe il disegno di Alice, un coro meravigliato si alza all’unisono, ammirato dal lavoro così dettagliato della loro giovane collega.
“Alice, per te cos’è la famiglia in una parola? le domando.
La piccola ci riflette su, mentre si attorciglia le dita per l’agitazione.
“Non sentirsi soli.” risponde in un appena udibile mormorio.
“Ma è più di una parola!” fa notare immancabilmente Giacomo, il saputello della classe.
“Non ha importanza. E’ molto bello quello che hai detto, Alice.” la rassicuro, ma intuisco che questa situazione sia per la dolce biondina fonte di grande ansia. Così la esorto a tornare al suo posto, rinnovandole i miei complimenti.
Alice schizza rapida al suo banco e mi rallegra intravedere, assieme al lieve rossore delle guance, il sottile curvarsi delle sue labbra in un sorriso soddisfatto.
“Maestra Nadia! Com’è la tua famiglia?” sento domandare dalle file retrostanti.
“La mia… famiglia?” ripeto, in imbarazzo “Beh, siamo un po’… strambi. Anzi, lo siamo eccome! Però non ho molte occasioni per vederli.”
“Non vivi con la mamma e il papà?” esclama una sconcertata Sofia, come fosse la cosa più naturale del mondo.
“No. Mia madre abita in campagna. Il mio papà, purtroppo, non c’è più.”
Le mie Coccinelle si abbandonano ad un gemito sconsolato.
“Maestra Nadia!”
Una folta chioma di ricci attira la mia attenzione.
“Dimmi, Carlotta.”
“I miei nonni mi hanno raccontato che quando una persona sale in cielo, non se ne va per sempre. Una parte rimane qui.”
E con il minuto indice, preme sul lato sinistro del suo petto.
“Anche mia nonna me l’ha detto!” aggiunge Mark, il bambino peruviano “Si trasformano in angeli. E, anche se non li vediamo, loro ci vengono a trovare. Così ti ricordano che sono sempre vicino a te.”
Essendo un argomento assai delicato e sul quale i miei studenti, da quanto mi è parso di capire, sono chiaramente più ferrati di me, ammetto di sentirmi sollevata non appena odo il gracchiante suono della campanella.
Incito i miei alunni a preparare con attenzione gli zaini e lasciare sulla cattedra, prima di uscire dalla classe, i loro disegni.
“Bambini non correte!” raccomando, percependo i loro allegri schiamazzi dal corridoio.
L’aula si svuota in un lampo; e anch’io allo stesso modo.
Sono questi i momenti in cui comprendo quanto quei ragazzini riempiano la mia esistenza.
Ogni giorno sembra una replica del precedente: le lezioni giungono al loro termine, gli studenti tornano a casa ed io rimango qui, in questa stanzetta deserta, da sola. E, nel frattempo, tutte le preoccupazioni che ero riuscita a tenere alla larga durante il corso della mattinata tornano a farmi visita.
Beh, sfogliare le creazioni dei miei alunni è un’ottima distrazione, non c’è che dire!
E’ semplicemente meraviglioso il modo in cui riproducono sulla carta il regno della loro immaginazione: omini stilizzati con immensi sorrisi e ciglia lunghissime, casette accoglienti dalle forme squadrate e colorati paesaggi su cui campeggia un immancabile sole gioioso.
Amo la magia con cui i bambini si emozionano per gli aspetti più comuni. Ma, ancor di più, amo l’incanto di potermi abbandonare, con un pizzico di nostalgia, alla loro preziosa inconsapevolezza.
Le Coccinelle addolciscono il mio animo, indurito dalla vita, dalle delusioni, dalle perdite…
Un vivace bussare impedisce ai miei pensieri di risucchiarmi nel loro vortice.
E’ Serena, l’insegnante di educazione fisica, nonché la mia migliore amica.
“Cosa fai qui tutta sola?”
Si appoggia allo stipite e, preso un elastico dalla sua enorme borsa, raccoglie i capelli in un alto chignonne dal quale sfila, come da sua abitudine, qualche ciocca in prossimità delle orecchie.
“Niente, stavo sistemando alcune cose per domani.” mento.
“Io sto per andare via. Ti do un passaggio.”
“Non ce n’è bisogno, grazie. Faccio volentieri due passi.”
Serena strabuzza gli occhi.
“Nadia, sveglia! Ma se sta diluviando!”
Mi volto e, solamente in quell’istante, mi accorgo del cielo plumbeo sopra le nostre teste e della pioggia che batte frenetica sui vetri.
“Strano, questa mattina c’era il sole…” mormoro, proprio quando una violenta raffica di vento fa traballare i serramenti.
“Dai, ti accompagno a casa! Se hai bisogno di qualche minuto, ti aspetto.”
“No, ho finito. Andiamo.”
Afferro il cappotto, ma non prima di aver riposto con cura i disegni nel mio cassetto, per custodirli come un tesoro prezioso.


“Si può sapere che ti prende?” mi chiede Serena, tutto d’un tratto.
Allo scattare dell’arancione accelera bruscamente, tanto da imboccare la curva con eccessiva velocità.
“A cosa ti riferisci?” chiedo, ritrovandomi schiacciata sulla portiera.
“Sei pensierosa. E’ vero che non sei mai di grandi parole ma, bella mia, da quando siamo entrate in macchina non hai spiccicato parola!”
Distolgo lo sguardo, colpevole.
“In classe abbiamo parlato della famiglia.” dico in un sussurro, seguendo le gocce di pioggia rincorrersi sul finestrino.
“Oh, ora è tutto chiaro! Il tuo tallone d’Achille, insomma.”
Aggrotto le sopracciglia.
“Cosa intendi dire?”
“Tu non racconti mai niente della tua famiglia.” osserva lei, schietta “Se non fosse stato per quei due giorni di assenza per il funerale di tuo padre, direi che sei un’orfana dalla nascita!”
Un brivido fastidioso mi attraversa la schiena ed istintivamente mi stringo nelle spalle.
“Lo sai, non amo parlare di me.”
Serena inchioda al semaforo e, grazie alla santa cintura, evito di ritrovarmi scaraventata oltre il parabrezza.
“Senti, io capisco che tu abbia una famiglia incasinata…”
“E’ un eufemismo.” la correggo.
“Va bene, molto incasinata!” rettifica, roteando gli occhi “Ma chi non ce l’ha? C’è qualcosa di cui non vuoi parlarmi: non so se è per riserbo o perché ti fa male ripensarci, però non puoi negarlo.”
Le faccio cenno di porre attenzione al traffico proprio quando veniamo ammonite, 
con una potente suonata di clacson, dall’autista dietro di noi.
Evito di riportare l’imprecazione poco carina della mia amica.
“Forse la morte di mio padre mi ha destabilizzato più di quanto mi aspettassi.” ammetto, infine, abbandonami allo schienale e contemplando distratta la frenetica oscillazione dei tergicristalli.
“Nadia, ma è normale! Dovresti parlarne! Se non ti va di condividere il tuo stato d’animo con me, prova almeno a cercare qualcuno nella tua stessa situazione.” dopo una breve pausa, Serena sobbalza entusiasta “Tua sorella, ad esempio!”
“Sorellastra.”
“E’ lo stesso! Dopotutto condividevate lo stesso padre.”
Arriccio il naso.
“Non la sento da anni. E dubito che abbia voglia di fare una chiacchierata con me…”
Serena sposta una mano dal volante per stringere la mia con affetto.
“Tesoro, tu mi conosci. Sono sempre stata onesta, a volte fin troppo! Ma sei la mia migliore amica e a te ci tengo. Devi trovare un modo per distrarti. Lo vedo che ci stai male…”
“Ora vorrei soltanto avvolgermi nel piumone e ingozzarmi di marshmallow!”
“Inzuppati nella cioccolata! Che buoni!”
Scoppiamo in una fragorosa risata.
Appena adocchio la mia casa, attraverso il finestrino appannato, tiro un sospiro di sollievo.
“Ne parleremo un’altra volta, Nadia.” intima Serena.
Tuttavia, fingo di non sentirla. Sono troppo presa dall’aprire l’ombrello, che quasi mi sfugge di mano per il vento forte, e contemporaneamente dal cercare di scavalcare la torbida pozzanghera sotto i miei piedi.
Attraversata di corsa la strada, acciuffo alla velocità della luce le lettere nella cassetta e mi fiondo nel mio piccolo appartamento.
Getto con noncuranza la borsa e il giubbotto fradicio sul tavolo, accendo l’abat-jour vicino alla vecchia televisione, per poi abbandonarmi, sfinita, sul divano.
Arraffo un marshmallow dalla ciotola alla mia destra e, addentandolo con voracità, do una rapida occhiata alla posta che ho ritirato.
Tra la bolletta del gas e le consuete pubblicità della pizzeria d’asporto all’angolo della strada, una busta attira la mia attenzione.
Il suo tenue color ocra fa risaltare l’elegante grafia con cui è stato scritto il mio nome e l’indirizzo.
Ma è quando leggo il mittente che il mio cuore smette di battere per un attimo.

Residenza Montalto della Leonessa
 
D’impulso spingo sul divano la busta.
Solo nel momento in cui mi rendo conto di quanto sia assurdo sperare che possa magicamente volatilizzarsi, la afferro con due dita, neanche fosse una bomba chimica, la strappo e, tremante, ne estraggo la lettera.
Su un foglio di carta finemente filigranato si staglia questo breve messaggio:

La famiglia è cordialmente invitata alla residenza
per la lettura delle ultime volontà testamentarie
dell’emerito Marchese Libero Montalto della Leonessa.

I miei alunni avevano ragione. In un modo o nell’alto, anche i morti tornano a farti visita.



Angolino dell'Autrice: Benvenuti (o ben ritrovati) miei croccanti spiedini di gamberi!
Inizio questa nuova avventura con un po' di timore ma anche con tanta voglia di mettermi alla prova. Il vostro sostegno è la forza che mi incita a proseguire e spero tanto di ricevere un vostro prezioso riscontro.
Ne approfitto per augurarvi un felice e pazzesco 2016, confidando sia per voi un anno di grandi opportunità ed entusiasmanti progetti.
Ve amo 'na cifra!
Vostra Clairy.


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