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Autore: historiae    05/01/2016    2 recensioni
Cosa fareste se un giorno scopriste che la vostra vita è stata solo frutto della vostra mente?
Gwendolen è una diciassettenne molto particolare. Vive in un famiglia lugubre, e piuttosto asociale.
Trasferitasi a Scarborough, una tetra cittadina inglese, la sua vita cambierá completamente. Farà anche la conoscenza di un ragazzo che si rivelerà essere il suo completo opposto. Presto scoprirá però che non sará stato un incontro casuale. Nascerà un profondo legame tra i due che li terrà uniti fino al momento in cui la ragazza si renderà conto di ciò che realmente è sempre stata.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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La famiglia cadde nuovamente in lutto. Fu una tragedia, perdere un padre, un marito e un nonno tanto affezionato. E fu allo stesso tempo la goccia che fece traboccare il vaso: il signor Hades, sconvolto coma mai in vita sua, si adirò a tal punto con sua madre che minacciò di farla ricoverare in una clinica psichiatrica al fine di renderla stabile mentalmente una volta per tutte. Era una pazza, imprudente e testarda come pochi. Aveva gettato troppa benzina sul fuoco e le conseguenze erano state tragiche. La sua unica nipote defunta, Gwen, era tornata sulla terra sotto forma di entità sovrannaturale, e, che la sua famiglia ci credesse o meno, aveva ucciso il suo anziano nonno, non si sapeva se involontariamente o meno. Dio solo sapeva in quale stato d'animo si trovasse quella creatura, ma di certo non era in una condizione pacifica e felice.

Gwen era persa nel nulla, straziata dalla nostalgia e dal desiderio di tornare a casa, lassù in cielo, ma non poteva farlo. Era bloccata lì, sola e senza sapere dove andare. Possedeva solo due deboli sensi, la vista e l'udito; non poteva parlare, né camminare, né toccare oggetti o altre persone. Poteva solo manifestare la sua disperazione con tristi lamenti, e la sua rabbia, terrorizzando le persone destinate a incrociare i suoi occhi.

 

Il signor Hades impose alla madre di trovare il prima possibile una soluzione a quel problema. La casa era diventata un luogo pericoloso, dal momento che chiunque avrebbe potuto essere la prossima vittima del fantasma. La sua presenza ormai era percepibile in ogni stanza, in ogni istante di ogni ora del giorno, e nessuno riusciva a dormire sonni tranquilli.

Nonna Hades era distrutta per la morte del marito, e non faceva che chiedersi come mai, dopo il rituale, lo spirito della nipotina defunta avesse portato con se tanta collera e tanta desolazione. D'altronde, dato che ella si trovava ancora su questa terra, non poteva capirlo.

Non poteva capire che ciò che aveva provocato a quella creatura era una sofferenza inimmaginabile.

Con quel rituale avrebbe dovuto rievocarla per mettersi in contatto con lei e riportarla sulla terra per permetterle di manifestarsi per un breve lasso di tempo, di modo che lei avrebbe potuto rivolgerle le ultime parole e ricordarle quanto le avesse voluto bene. Non solo, la bimba avrebbe potuto rivedere i suoi genitori e loro avrebbero rivisto lei; si sarebbero accertati che stesse bene e l'avrebbero lasciata andare.

 

Ma il suo spirito era andato oltre il confine che separa il mondo fisico da quel sottile limbo che conduce le anime nell'aldilà. Avrebbe dovuto manifestarsi sulla terra rimanendo però in quella sottile dimensione.

Qualcosa però era andato storto, e la bambina aveva superato la soglia del mondo terreno rimanendovi bloccata senza poter tornare indietro.

Dopo che, in preda all'ira, il fantasma aveva assassinato suo marito causandogli un colpo al cuore, in nonna Hades si era scatenato un odio quasi assoluto per la nipote che era tornata a infestare la casa. Era nato così un conflitto alimentato dall'odio reciproco. E la donna non avrebbe potuto fuggire da Gwen.

 

 

 

Un giorno il figlio le disse che lui e la signora Hades sarebbero partiti la mattina seguente. Disse che sarebbero tornati a Londra per poter superare al meglio il lutto una volta per tutte.

Ma la realtà era un'altra: volevano fuggire da quella casa, dimenticarla e lasciare che l'anziana risolvesse il problema. Non volevano fare la stessa fine di nonno Hades.

Marito e moglie se ne andarono, e la nonna rimase la sola padrona di casa.

Godeva solo della compagnia di Regina, la gatta di Gwen, che però non le dimostrava molto affetto. Quella gatta a volte si comportava in modo strano: stava ore e ore a fissare il vuoto, o angoli della casa dove non vi era assolutamente nulla di interessante. Alcune volte miagolava tristemente, come se chiamasse qualcuno e lo pregasse di tornare da lei. Nonna Hades comprendeva bene quel comportamento.

Si dice che i gatti vedano cose che la mente umana nemmeno può immaginare, come le anime: la nonna sapeva che Regina era estremamente legata alla sua padroncina, e sapeva che poteva vederla. Ogni volta che iniziava a miagolare malinconicamente o a fissare, immobile, un punto preciso, la donna sapeva che lo spirito si trovava in quel punto. E immediatamente si spostava in un'altra stanza. Del resto, il più delle volte cercava di non rimanere mai per più di un certo lasso di tempo nello stesso luogo della casa.

Non era una vita tranquilla.

Gwen appariva tutte le notti. Specialmente nelle notti di luna o di tempesta. Bastava la luce di un fulmine perchè la donna potesse notare per un millesimo di secondo una minuta sagoma nera nella stanza.

Presto diventò stressante. Nonna Hades era arrivata al punto di non poter più dormire.

Decise di fuggire. Ma prima, sia per dovere personale sia per ordine di suo figlio, avrebbe dovuto pensare alla nipotina. Sebbene la temesse si sentiva in colpa per ciò che aveva fatto.

Non avrebbe potuto riportarla nell'aldilà con le sue mani. Le sue capacità avevano dei limiti e non glie lo permettevano. Oltretutto era passato troppo tempo e il fantasma di Gwen, sebbene si trovasse nella dimensione terrena, aveva acquisito un certo potere.

Ci sarebbe tornata da sola. In che modo? Con una profezia.

Nonna Hades cercò a lungo tra i suoi innumerevoli, arcani libri di spiritismo e trovò le profezie dai generi più disparati: profezie basate su presagi di morte, altre che avevano come fine promesse di felicità e prosperità e molte altre ancora, finchè ne trovò una che parve fare al caso suo. “Prophetia ad capti”, “Profezia al prigioniero”.

Erano tutti riti che, senza dubbio, andavano contro le pratiche della religione cristiana e trattavano di paranormale o addirittura di satanismo. Qualcuno li aveva scritti perchè qualche imprudente potesse compierli, e la donna ne possedeva tantissimi.

Quella profezia era destinata ai fantasmi intrappolati sulla terra. Il medium avrebbe dovuto pronunciarla in base alla sua situazione: lo stregone, o chi per esso, enunciandola, avrebbe avuto il potere di decidere il destino dello spirito.

Il libro non dava istruzioni specifiche. Diceva solo che qualunque fosse stata la profezia sarebbe stata valida per soli otto anni.

Nonna Hades chiuse il libro, aspettò che calasse la notte e si preparò ad una seconda evocazione.

Alcune volte, fortunatamente, non precepiva la presenza del fantasma. Ciò significava che in quel momento Gwen non si trovava nei pressi della casa.

 

A mezzanotte lo spirito si manifestò di nuovo nella stanza. La medium poteva sentire il suo sguardo su di sé. Cominciò nuovamente a chiamarla. -Gwen.-

Sorprendentemente la bambina non piangeva più ininterrottamente come quando era comparsa la prima volta. Soltanto un flebile lamento simile a un sospiro si udiva di tanto in tanto nell'aria. -Se mi senti spegni la prima candela.- ordinò la donna. Come la prima volta, una folata di vento entrò nella stanza e spense la prima delle tre candele che erano state disposte in fila sul pavimento.

-Ora ti parlerò e da questo momento dovrai udire ogni mia parola. So bene che ho agito male nei tuoi confronti, bambina, e che sono stata egoista a credere che se fossi tornata da noi saresti stata felice. So che vorresti tornare a casa ma io non posso rimandarti lassù. Sarà il tempo, a farlo.

 

Per i prossimi otto anni resterai confinata sulla terra. Starai bene e non ricoderai nulla di quanto è successo quando sei giunta qui dall'altro mondo. Non ti accorgerai di non esistere. Potrai parlare, vedere, sentire, odorare e toccare come gli esseri umani. La tua vita andrà avanti. Ma vivrai di allucinazioni, e grazie ad esse, nella tua mente, le persone che incontrerai potranno parlarti, vederti e toccarti. Ma nulla sarà reale. Non ti sentirai più sola, né confusa, né smarrita. Sarai felice come lo eri prima di lasciarci. Mi hai ascoltato, Gwen?- chiese la medium. -Se hai sentito ciò che ho detto spegni la seconda candela.-

La seconda fiamma si spense. Un'ombra continuava a muoversi furtiva nella stanza, sopra la testa della donna, che non pensò nemmeno una volta di alzare lo sguardo per paura di incontrare gli occhi del fantasma.

 

-Tra otto anni esatti- riprese. -il tempo scadrà e tornerai a casa. Oltrepasserai la soglia dell'aldilà esattamente allo stesso modo in cui te ne sei andata. Rivivrai quel momento e prima che tu possa rendertene conto sarai finalmente lassù, in pace. Se hai ricevuto il messaggio, Gwendolen Virginia Hades, spegni la terza candela.-

La fiamma si spense e un eco simile al rumore del vento risuonò lontano.

 

 

La profezia si compì.

 

 

Dopo la seconda evocazione. Gwen aveva cominciato a ristabilire un forte legame con il mondo terreno. Non ne era più spaventata come se si trovasse in un luogo estraneo. Pareva abituarsi giorno dopo giorno a girovagare tra i comuni mortali. Piano piano aveva cominciato a riconoscere la città dove aveva vissuto: la piccola Scarborough con il suo porto, le sue viuzze e il suo cielo grigio; le case sparse, la spiaggia deserta, la sua antica dimora; la scuola, la periferia, il cimitero.

Era tutto come prima. La disperazione e la rabbia erano scomparse. La vista si era fatta più nitida.

A Gwen incominciò a sembrare di avere un corpo. Ora poteva camminare, toccare, respirare, pensare. I giorni passavano e acquisiva sempre più consapevolezza di sé, come un bimbo che piano piano diventa grande. Riscoprì le sue passioni. Era quasi divertente andare in giro per la città senza essere vista da nessuno. Già, perchè nessuno poteva vederla, ma Gwen non se ne accorgeva. Si sentiva di nuovo viva.

Viva, è così che ti senti quando hai piena consapevolezza di dove sei, di chi sei, di cosa fai.

 

Un giorno capitò al parco, dove questa volta c'erano solo pochi bambini a causa del freddo pungente e del gelido vento invernale.

Dondolandosi impercettibilmente avanti e indietro sull'altalena, la bambina rimaneva lì a guardarsi intorno. Fu allora che notò un ragazzetto poco più grande di lei con indosso una giacca color verde pallido che, tutto solo, calciava il suo pallone contro un muretto. Il suo volto le appariva molto familiare.

D'un tratto ebbe un deja-vu. Si ricordò di aver già incontrato quel bambino proprio lì, nel parco. Ma il suo nome gli sfuggiva. Come si chiamava? Todd? Tommie?... Trent?

All'improvviso il pallone sfuggì al bambino e rotolò sul prato fino a fermarsi ai piedi di Gwen. La bimba se ne accorse solo quando vide il ragazzino correre verso di lei e raccoglierla, per poi alzare lo sguardo verso la figuretta che stava seduta sopra l'altalena. La sua espressione si fece immediatamente sorpresa, quando la riconobbe.

Gwen non pensò mai che qualcuno l'avrebbe guardata così, prima di quel momento. Un vortice di immagini aveva preso possesso della mente del ragazzino. Erano tutti ricordi, ciascuno legato ad un momento trascorso con la bambina.

Era passato più di un anno dall'ultima volta che si erano visti, e ognuno dei due ci mise un po' a ricordarsi dell'altro. Trent era ancora a bocca aperta e non si muoveva. -Gwen?- fece, con gli occhi sgranati. Non avrebbe mai pensato di rivederla dopo tutto quel tempo. Credeva che se ne fosse andata, come gli aveva detto la signora Hades. Com'era possibile? La madre di Gwen gli aveva raccontato una bugia?

Gwen annuì accennando un sorriso.

-Tu sei qui- mormorò Trent, quasi per paura che qualcuno lo sentisse. -Credevo che tu...-

Non fece in tempo a finire la frase che udì la voce di sua madre chiamarlo.

-Trent, è ora di tornare a casa.-

Trent non sembrava aver intenzione di tornare a casa proprio ora che la sua migliore amica era tornata da lui.

-Voglio stare ancora un po' con Gwen.- disse Trent. -Non sai quanto sono felice che tu sia qui.- riprese. -Credevo che tu fossi...-

-Che cosa?- chiese Gwen, intenerita dall'espressione radiosa di Trent. Non ricordava nulla circa il suo passato. Chiunque avesse tentato di dirle la verità, a lei sarebbe parsa come invenzione o bugia.
-Sei proprio vera?- sussurrò di nuovo il bambino. Che insolita domanda da rivolgere a un'amica.

-Che stai dicendo, Trent? Il freddo ti ha dato alla testa? Andiamo, si è fatto tardi.- li interruppe di nuovo la madre di Trent, questa volta visibilmente scocciata.

-Non importa.- disse Trent alla bambina. -Ora devo proprio andare.-

-Verrò a trovarti.- disse Gwen, prima che Trent scomparisse dalla sua vista.

 

Inizialmente la madre di Trent era rimasta basita udendo il figlio nominare Gwen, e per giunta sentirgli dire che stava parlando con lei. Ma non si lasciò suggestionare in quanto sapeva che al ragazzino, come del resto a tutti i suoi coetanei, piaceva molto inventarsi amici immaginari.

“Gli manca così tanto che crede ancora di parlare con lei...” aveva pensato la donna per scacciare ogni dubbio surreale nel momento in cui aveva visto suo figlio parlare con un'altalena vuota.

 

 

La bimba mantenne la parola e andò più volte a far visita al suo migliore amico. Solitamente ci andava tardi, dopo l'ora di cena, quando era certa che fosse in casa. Per più di una volta i genitori del bambino notarono, gettando per caso un'occhiata dalla finestra, una piccola sagoma scura nei pressi del cancello, che scompariva quasi subito. Altre volte accusarono un brusco abbassamento della temperatura in tutta la casa, e al momento di coricarsi videro per brevissimi istanti il lampadario appeso al soffitto oscillare lievemente.

 

 

 

In primavera ricominciò la scuola. Per Trent furono gli ultimi mesi in classe con Gwen poiché l'anno seguente, quando entrambi incominciarono a frequentare le classi medie, dovettero separarsi. Finirono in sezioni diverse e per un po' di tempo si persero di vista. Studio e impegni li tennero lontani.

Gli anni trascorsero lentamente. Sia Gwen che Trent si annoiavano parecchio, in classe, senza nessuno con cui parlare.

Il ragazzo conobbe presto dei nuovi amici e arrivò quasi a dimenticarsi della sua vecchia compagna di vita.

Quando, poco tempo dopo, arrivò il primo giorno di liceo le cose non cambiarono. Trent e Gwen continuarono a stare in classi diverse per altri tre lunghi anni.

Si può dire che il ragazzo si fosse rifatto una vita: ora aveva una compagnia di amici con cui trascorreva la maggior parte del tempo, piuttosto ristretta nel numero ma molto unita e sempre alla ricerca del divertimento. Mancava poco al compimento dei suoi diciott'anni e già pianificava, entusiasta, di dare una festa in spiaggia a cui avrebbe invitato tutti i suoi compagni del liceo. Adorava i campeggi in estate e la musica, inoltre si era fatto molto carino e non poche ragazze gli facevano la corte. Ma lui non aveva assecondato nessuna di queste poiché, come ogni bravo ragazzo che si rispetti, era ancora alla ricerca del colpo di fulmine.
La vita di Gwen, invece, era l'opposto: monotona e tranquilla, trascorsa per la maggior parte del tempo in solitudine nella vecchia villa degli Hades oramai deserta.
Nonna Hades, prima di andarsene dalla casa, aveva deciso di sua spontanea volontà di farsi ricoverare in una clinica psichiatrica poiché oramai soffriva di insonnia: lo stress lasciatole dagli esiti delle innumerevoli pericolose pratiche occulte di quegli anni le aveva causato panico notturno e perfino visioni. La sua vita era costantemente dominata dalla paura incontrollabile di rivedere il fantasma della nipote presentarsi a lei così minacciosamente come la prima volta. Sapeva che cosa aveva fatto, e sapeva che, se avesse potuto, la ragazzina si sarebbe vendicata. Non sapeva se potesse dirsi salva dato che Gwen non ricordava assolutamente niente di ciò che le era successo sette anni prima.
Era diventata una ragazza stupenda dalla pelle diafana, uno sguardo dolce e labbra sottili che sapevano inarcarsi a malapena in un sorriso. Già, Gwen non rideva mai. Quando si sentiva triste si recava alla spiaggia e ci rimaneva a volte per ore ascoltando il respiro del mare che sembrava parlare con lei.
La sua vita andava avanti come quella di una comune mortale. Se fosse stata ancora in vita avrebbe avuto diciassette anni compiuti. Avrebbe potuto considerarsi una ragazza come tutte le altre se solo non fosse stata diversa da loro in tutto e per tutto. Era cresciuta e maturata proprio come se fosse stata una creatura terrena.

Sentiva la fame, il sonno, la rabbia, la tristezza, la gioia e ogni tipo di emozione esistente.

Quando fuori splendeva il sole trascorreva il tempo in camera sua con le pesanti tende di velluto rigorosamente chiuse, e per niente al mondo avrebbe osato mettere piede fuori di casa.

Ricordava di avere dei genitori e un'adorabile gatta domestica, ma non ricordava assolutamente di avere una nonna ancora in vita.

L'anziana era stata rilasciata dalla clinica dopo soli due mesi di terapia farmacologica e, convinta di stare finalmente meglio, aveva preso il treno e si era trasferita in un paesino al nord, a casa di una parente. Purtroppo la sua ora non tardò ad arrivare e se ne andò nel sonno in una notte di agosto.

Gwen stava bene, ignara di ogni cosa. Era come se fosse sempre rimasta a Scarborough, il suo piccolo paese grigio e solitario. La vita lassù non era così male, e nemmeno il liceo, del resto. L'unica cosa che lasciava a desiderare erano i compagni, pensava Gwen: non avevano un minimo di cervello.

Fortunatamente la situazione parve migliorare quando, nel settembre seguente, Gwen cominciò a frequentare il quarto anno. Il rientro a scuola fu come al solito seccante e, come se non bastasse, la ragazza scoprì che avrebbe avuto parecchi compagni ripetenti. Erano tutti di uno o due anni più grandi rispetto agli altri, e la prima impressione sui pochi che Gwen conobbe fu pessima.

Tuttavia la ragazza parve cambiare idea quando le prime quattro ore di lezione dell'anno furono concluse: in attesa dell'inizio della lezione successiva Gwen uscì in corridoio e approfittò dei cinque minuti di pausa per riordinare il suo armadietto. Mentre trafficava con i volumi di letteratura, uno dei suoi libri di narrativa preferiti le cadde per sbaglio e qualcuno lo raccolse al posto suo.

 

E per la terza volta nella vita, Gwen rivide quegli occhi verdi dopo tanto, troppo tempo. Quegli occhi che appartenevano allo stesso fanciullo che aveva conosciuto da bambina. Ma non potè ricordare null'altro poiché era trascorso troppo tempo dall'ultimo incontro. Sette anni, per la precisione. Si erano persi di vista e adesso, come già era successo, era come rivedersi per la prima volta.

Il ragazzo disse poche parole sul romanzo e su quanto apprezzasse l'autore, dopodichè disse il suo nome: Trent. Gwen l'aveva visto di sfuggita in classe, quando non aveva perso tempo ed era subito corsa a sedersi al suo banco timorosa degli sguardi dei suoi compagni. Doveva essere senza dubbio un ripetente, poiché non l'aveva mai visto prima d'ora. In quel momento, però, ebbe la sensazione di averlo già incontrato. Sembrava gentile. Anzi, lo era, dopotutto.

 

Quello che Gwen non sapeva era che il ragazzo non aveva proferito parola durante quei cinque minuti di pausa prima dell'ora di letteratura. Era uscito in corridoio con l'intenzione di prendere i suoi libri e tornare subito in classe. Ma giunto all'armadietto aveva sentito qualcosa muoversi accanto a lui, come una presenza invisibile. E subito il suo cuore era stato invaso da un bellissimo sentimento: affetto, verso qualcuno di cui non ricordava né nome né aspetto. Una ragazza che ben conosceva. E senza saperlo stava comunicando con lei, forse solo con la forza del pensiero, ricreando dal principio quel legame che molto tempo prima si era instaurato tra loro allo stesso modo. Quel legame che gli permetteva di percepirla ma non di vederla, cosa che riusciva a fare da bambino.

Ed era così che agli occhi di Gwen il ragazzo si era ripresentato: le aveva chiesto il suo nome con in volto un'espressione gentile. Un vago, offuscato ricordo attraversò la mente di entrambi, ma si dissolse non appena Trent si allontanò per tornare dai suoi amici e la campanella trillò facendo sussultare Gwen, che corse di filato in classe.

Il nome di Trent le risuonò nella testa per tutta la giornata.

 

 

 

Continua...

  
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