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Autore: Cygnus_X1    05/01/2016    1 recensioni
[SOSPESA]
Zrythe non ha mai avuto una vita facile.
Quando aveva tre anni il suo pianeta è stato invaso e lei rapita e venduta come schiava dai razziatori. Per quindici anni questa è stata la sua esistenza, ma non si è mai spento in lei il desiderio di rivalsa. Ha giurato che sarebbe fuggita e si sarebbe vendicata, e sta solo aspettando la sua occasione, alimentando in segreto quegli strani poteri che si è resa conto di possedere.
Quindi, quando Ryan, un ragazzo con dei poteri simili ai suoi, le propone di portarla con sé, Zrythe accetta senza pensarci due volte. Presto però si trova al centro di un gioco pericoloso, un gioco in cui le pedine in campo sono molte più che lei e la sua vendetta...
[Soft Sci-Fi/Space Opera]
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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——[Etharin]——




 

M



i trovo su una piattaforma sopraelevata, vasta e ingombra di droidi che vanno e vengono, astronavi, persone di tutte le provenienze. Il frastuono e la luce mi riempiono la mente. Mi guardo intorno cercando di cogliere ogni dettaglio; è tutto nuovo per me.
Il lampo frenetico e azzurrognolo di un droide saldatore che ripara il reattore della nostra nave. Le parole per me incomprensibili che rimbalzano tra la gente. Il sentore aspro di metallo e carburante esausto che aleggia ovunque nell'aria. Le linee luminescenti tracciate per terra per guidare i piloti nell'atterraggio. La confusione mi stordisce e mi acceca.
Ryan mi chiama poco oltre. Mi fa cenni con la mano per dirmi di sbrigarmi, io obbedisco senza fiatare. Tutto in questo luogo è alieno, caotico; non riesco a orientarmi. È un luogo troppo vasto, troppo luminoso.
Raggiungo il ragazzo di fronte a due droidi guardiani che mi fissano da una linea azzurra sull'elmo. Mi inquietano, questi cosi. Sono alti almeno due metri e dispongono di un arsenale davvero notevole, a partire dai laser sui polsi e i lanciamissili che spuntano da dietro le spalle. Ricambio il loro sguardo vuoto, voltandomi alternativamente verso uno e verso l'altro. Muovo nervosamente le ali sulla schiena. Ryan scoppia in una risata.
«Non fare quella faccia, Zrythe!» mi prende in giro lui. «Non ti faranno del male. Devono solamente prelevarti un campione di sangue e farti una scansione della retina. Sei nuova, è la procedura.»
Questo non mi rassicura del tutto, ma non protesto. Tolgo il guanto sinistro e tendo la mano al droide più vicino. La puntura mi brucia per un istante solo, ma non riesco a impedire alle mie ali di vibrare appena. Mi abbagliano un occhio per un attimo e poi finalmente se ne vanno, non prima di avermi stampato sul polso con inchiostro blu un codice a barre.
Mi scappa un sospiro di sollievo. Batto le palpebre, cercando di scacciare la macchia iridescente causata dallo scanner. Ryan ride di nuovo e io gli tiro un pugno sul braccio. «Non ti preoccupare, mettono in soggezione chiunque. E ora vieni, devo fare rapporto e devo portarti dal Capo.»
Lo seguo senza parlare. Capo? Non so se essere preoccupata. Non so cosa aspettarmi. È tutto troppo diverso, maledizione.
Attraversiamo gli ultimi metri di piattaforma entrando nell'ombra dell'edificio. È basso e vasto, ed è spoglio, costituito di pareti metalliche senza finestre e scritte di vernice luminescente. Scuoto un braccio di Ryan e gli chiedo che cosa sia.
«Depositi di droidi, pezzi di ricambio e strumenti per la manutenzione» mi risponde. «E soprattutto, gli ascensori di collegamento.»
Costeggiamo l'edificio fino ad una porta scorrevole incassata nella parete. Ne abbiamo oltrepassate altre uguali, ma Ryan si ferma soltanto davanti a questa. Avvicina il volto a uno scanner di retina, poi a un microfono.
«Sanders Ryan Edward, Non Registrato 70544» pronuncia, scandendo bene le parole. Mi fa cenno di avvicinare il codice stampato sul polso a uno scanner da cui proviene un bagliore blu, io obbedisco. La luce a fianco del pannello diventa verde e la porta scorre di lato con un sibilo. Di là, un breve corridoio illuminato da luci al neon che termina nella cabina metallica di un ascensore piuttosto spaziosa ma deserta.
Appena Ryan preme uno degli innumerevoli pulsanti sulla tastiera laterale, la cabina scorre in avanti. Sorpresa, perdo appena l'equilibrio e rischio di finire contro la parete di fronte.
Al suo sguardo ironico rispondo sbuffando e alzando le spalle.
«Sono abituata agli ascensori che si muovono in verticale» ribatto.
«Sei stranamente silenziosa, oggi» spezza il silenzio lui. Io alzo lo sguardo incrociando i suoi occhi azzurri. Non c'è traccia di scherno, stavolta.
«È strano, qui. Insolito» rispondo solamente.
Lui annuisce. «Sì, Etharin è molto diverso da Hathr. Ma non preoccuparti, ti ci abituerai in fretta.»
Ho dei dubbi a riguardo, ma non li esprimo. Piuttosto, mi rigiro nella mente quella parola. Hathr. Così si chiama il sistema dei Serket, quasi me lo ero dimenticata. Loro lo chiamano soltanto "Casa".
La cabina si ferma per qualche secondo, ma le porte non si aprono. Prima che possa chiedere spiegazioni a Ryan, il movimento riprende, ma questa volta verso l'alto. Mi trattengo dallo scuotere la testa. Che ascensori strani che hanno, su Etharin.
Infine, dopo un tempo che mi è sembrato interminabile, la cabina si ferma definitivamente. Ryan sorride e mi fa cenno di avanzare mentre le porte scorrono di lato.
Ma non posso fare un movimento che qualcosa irrompe con furia nella cabina, mi colpisce la spalla scaraventandomi molto gentilmente – di nuovo – contro la parete e si fionda su Ryan con una risata.
Mi rialzo di scatto imprecando, sbalordita. «Razza di idiota!» strillo, insultando il nuovo arrivato senza nemmeno aspettare di vedere chi sia. Sento la risata di Ryan provenire dal mezzo del groviglio, mentre i due ragazzi si districano dall'abbraccio.
L'idiota che mi ha fatto volare è praticamente identico a Ryan. Indossa una divisa grigia, è leggermente più alto e ha i capelli neri, ma ha il suo stesso ghigno ironico e furbo stampato in viso e gli stessi occhi azzurri.
Gli vado incontro ancora scarmigliata, le ali spiegate sulla schiena. «TU!» grido, puntandogli l'indice al petto.
Quello nemmeno mi permette di sfogare la sfilza di insulti che mi sono sorti dal cuore che fa un passo indietro sollevando le mani. Parla in Galattico troppo velocemente perché io possa capire, ma so che si riferisce a me: ha dato una gomitata a Ryan e ha riso.
Io rivolgo un'occhiataccia al ragazzo. Sa che non capisco una parola di Galattico, soprattutto quando parlano alla velocità della luce.
Ryan tossisce per mascherare l'ennesima risata e si rivolge all'Idiota. «Ti presento Zrythe, una Rift che ho incontrato a Hathr. Zrythe, mio fratello Aaron.»
Quindi l'Idiota è suo fratello. Non sono per niente stupita. Ringrazio mentalmente Ryan per aver parlato a una velocità comprensibile anche per me; almeno qualche persona gentile esiste ancora.
Aaron tende una mano. «Molto piacere» scandisce sorridendo. Io lo fisso, chiedendomi se mi stia prendendo in giro. Non accenno a richiudere le ali ma gli stringo infine la mano.
«Il piacere non è mio» ribatto con aria di sfida.
Ryan decide di intervenire in quel momento prima che il fratello possa replicare. Spinge entrambi con decisione fuori dall'ascensore.
«Litigherete poi, se non vi dispiace. Ora dobbiamo andare dal Capo, ha espressamente chiesto di Zrythe. Ti va di accompagnarci, Lee?»
«Ma che razza di soprannome è Lee?» Non riesco a trattenermi. Mi arriva un pugno da parte di Aaron.
Usciamo dall'ascensore e ci troviamo in un vasto atrio luminoso. L'intera stanza, tranne che per la parete dietro di noi e quella di fronte, è composta da vetrate che danno sul vuoto. Sotto il vetro, soltanto una nebbia sottile e, a una distanza vertiginosa, le strade della città. Il sole penetra attraverso le vetrate e si riflette ovunque abbagliandomi. Etharin è sfolgorante e bianco, ancora non sono abituata a tutta questa luce.
Le persone che attraversano la stanza mi fissano, ma a me non importa. Guardo ovunque come una bambina, cercando di cogliere più dettagli possibile: i grandi rampicanti decorativi dalle foglie bluastre che si avviluppano lungo il muro, il banco dietro cui sono sedute due donne vestite di azzurro che salutano con un cenno i fratelli, gli ascensori di vetro, i riflessi iridescenti che gli spigoli disegnano sulle superfici.
Genti provenienti da ogni angolo della Galassia si alternano nel salone, che però è abbastanza ampio per non essere affollato. Riconosco le capigliature dorate ed esageratamente elaborate dei nobili Kyrss; parecchi umani, Solariani e coloniali; uno Scythe dalle creste affilate e le mani armate di lunghi artigli e innumerevoli altre razze che non ho mai visto. Conosco solo i nomi di quei popoli che mi è capitato di incontrare durante la mia prigionia: popoli del quinto settore, principalmente.
La coda dell'occhio coglie un lampo violetto.
Sento il mio cuore accelerare.
Non è possibile.
Mi volto di scatto seguendo quello che mi sembra un fantasma del passato.
Ryan ha chiamato il mio nome e ora mi fissa senza capire. Io nemmeno lo guardo, mi dirigo senza esitare verso la figura poco più avanti. Le ali tremano, il mio respiro è accelerato e incontrollabile.
È lei.
È una donna esile, bassa; probabilmente non mi arriva all'altezza del seno. Indossa una divisa grigia identica a quella di Aaron, diversissima dagli stracci delle schiave, ma riconosco benissimo la pelle opalescente, la testa completamente calva su cui spiccano lunghissime orecchie a punta, le mani palmate e l'aura violetta che distorce l'aria intorno a lei.
Eileen.
Allungo un braccio con ansia crescente mista a una strana esaltazione. Prima che possa raggiungerla, però, la donna si gira.
Non è lei. Lo riconosco dal taglio degli occhi, più inclinati di quelli di Eileen, e dalla pelle più chiara.
Mi sento vuota. La speranza è scoppiata come una bolla nella schiuma del raro sapone che ci concedevano i Serket.
L'Achaleera che ho creduto essere Eileen mi parla. Non riesco nemmeno a distinguere se sia Galattico o chissà che altra lingua. Non sento più nulla.
«Mi scusi, l'ho scambiata per un'altra persona...» mormoro. Non so se lei ha capito e non posso accertarmene, perché sento Ryan trascinarmi via per un braccio, probabilmente scusandosi con l'estranea.
«Ehi, Zrythe. Che ti è preso?» mi chiede poco dopo, mentre le porte di un'altra cabina si chiudono sulla sala.
Io non rispondo subito. Devo ancora realizzare quanto stupida sono stata. Illudermi in quel modo... forse da bambina l'avrei fatto, ma ora mi sento un'ingenua. Eileen è morta, non può essere sopravvissuta ai Serket. Non per dodici anni.
«Zrythe?»
«Non preoccuparti, è tutto a posto» rispondo, riemergendo dalle mie riflessioni. «Ho solo scambiato quell'Achaleera per una che conoscevo una volta.»
Lui annuisce, come se capisse.
Aaron ricompare in quel momento nella mia visuale, io alzo gli occhi al cielo. Mi ero quasi dimenticata della sua esistenza. Ridacchia e si lancia in uno dei suoi soliti discorsi impossibili da seguire.
«Parla comprensibile, dannazione» lo interrompo, irritata. Non ho proprio voglia di sopportare anche lui, l'incontro di poco fa mi ha messo di cattivo umore.
«Hai ragione, scusami, Tiger» risponde lui lentamente sollevando le mani in segno di resa.
Io ricambio il suo sguardo e sollevo un sopracciglio. «Come mi hai chiamata?»
«Tiger, tigre» sorride lui. «Hai presente... quegli animali con la pelliccia a strisce... e gli artigli...» precisa poi, ridendo.
«No.»
«Cosa?! Mi stai prendendo in giro, spero.»
«No» rispondo ancora.
«Ma dove sei vissuta, finora? Non è possibile che...»
«Lee» lo interrompe Ryan. «Zrythe era una schiava.»
«Davvero?» Il modo in cui mi guarda ora è diverso. Imbarazzata distolgo lo sguardo fissandolo sullo spigolo della cabina. Che stupida. Per quale maledettissimo motivo dovrei essere imbarazzata? Non è certo colpa mia.
«Oh, dai, raccontatemi un po' di questa missione, intanto che arriviamo da Shianna» esorta Aaron.
«Niente di speciale, Lee. Sparatorie, illusioni, schiave Rift...»
«Soprattutto su questo sembra che tu ti sia divertito, eh, Fratellone?» dice Aaron, occhieggiando al mio seno ampio fasciato dalla tuta nera. Io incrocio le braccia davanti al petto sbuffando, le mie ali vibrano di fastidio. Ha parlato apposta lentamente perché io potessi capire, maledetto.
«Shehke» sibilo, fulminandolo.
Lui alza un sopracciglio. «Cos'hai detto?»
«Shehke. In Shadra significa "stupido", ma in modo più cattivo» lo sfido. Lui scoppia ancora a ridere – ma quanto accidenti ride, questo?!
«Ho imparato un'offesa in Shadra! Ora posso insultare gli ufficiali senza che se ne accorgano!»
Ryan solleva gli occhi al cielo. «Temo non ti convenga provarci con il Capo, Lee.»
In quel momento, per fortuna, l'ascensore si ferma e si apre su un corridoio silenzioso. Moquette grigia riveste il metallo del pavimento, a destra le onnipresenti vetrate interrotte da pilastri. C'è un profumo lieve che mi punge il naso e mi fa starnutire. Un droide guardiano ci squadra dalla testa ai piedi appena usciamo e chiede di identificarsi con voce sintetica.
«Sanders Ryan Edward, Sanders Aaron Jordan, Non Registrato 70544» risponde Aaron.
Seguendo le indicazioni di Ryan, tendo il polso al droide, un po' intimorita. È un robottone alto due metri che mi squadra torvo, mi sento a disagio.
Un raggio azzurrino esegue una scansione del codice, il droide elabora per qualche breve attimo e poi si ritira. Mi accorgo che ho trattenuto il respiro e cerco di rilassarmi, beccandomi un'occhiata ironica da parte dell'Idiota.
Il corridoio è vuoto, perfettamente silenzioso. Getto un'occhiata fuori dalle vetrate mentre seguo i due ragazzi: siamo altissimi. Un lieve senso di vertigine mi fa roteare per un secondo la testa quando immagino di cadere nelle strade sottostanti da un'altezza simile. Mi allontano dalla finestra, un po' imbarazzata.
Devo concentrarmi sulle parole per decifrare cosa mi sta dicendo Ryan. Mi sento stupida a chiedergli di ripetere perché ero distratta. Il senso generale credo di averlo afferrato, è qualcosa sul fatto che in genere il posto non è così desolato, ma ora molti sono in pausa pranzo.
«Shianna ha detto che vuole vederti subito, però» conclude.
Non sono del tutto tranquilla, devo ammetterlo. Un timore subdolo serpeggia e mi confonde. Chi sarà questo Shianna, il Capo? Cosa vuole da me?
Forse dovrei stare più tranquilla, è vero. Ma non posso farne a meno. Nelle ultime ore ho visto ciò che sognavo da anni, così, all'improvviso. Troppe luci, troppi suoni, troppo diversi da quello che ho sempre vissuto.
Forse non ero pronta per tutto questo.
Scrollo le spalle e cerco di scacciare l'insicurezza, di spingerla fuori dalla mia mente a forza di schiaffi. Non ha senso. Non ora che finalmente sono libera.
I due fratelli si sono fermati davanti a una porta. Mi allungo per vedere: è quasi banale, spoglia, di vetro smerigliato, uguale a tutte le altre. A lato, un campanello e un microfono sotto una targhetta metallica verniciata di nero che recita Maggiore S. Corzas.
Quel nome mi punge la memoria come uno spillo. L'ho già sentito, ne sono sicura. Corzas... chi si chiamava così?
Cerco di frugare più a fondo nella mia mente, pungolata dalla precisa sensazione di déjà-vu. Però, più mi sforzo di ricondurre il nome a un volto, o un dettaglio, più sento la sensazione scivolare via.
Mi ritrovo a sbuffare, frustrata.
Ryan intanto deve aver parlato con l'ufficiale oltre la porta, perché ci viene accordato il permesso di entrare.
Ecco, ora risponderò finalmente alla mia curiosità.
L'ufficio è spazioso, illuminato dalla parete di vetro di fronte a noi, sulla quale si staglia una scrivania e la sagoma controluce del fantomatico Capo.
Che non è esattamente come avevo immaginato.
Invece che una specie di energumeno scontroso, mi trovo di fronte una ragazza. È piuttosto giovane, ma non esile: sotto la divisa si intravedono muscoli tonici e ben delineati. I capelli biondo cenere tagliati a caschetto incorniciano un volto affilato, serio; gli zigomi alti enfatizzano uno sguardo blu elettrico intensissimo che si fissa su di me.
Io la conosco. La consapevolezza appare come un lampo non appena osservo la donna che mi sta davanti. E so che anche lei mi ha riconosciuta, lo leggo nel modo in cui la sua espressione, da composta e imperscrutabile, si è sconvolta quando mi ha visto.
«Non è possibile» dice, con un filo di voce.
Io sono troppo stupita per parlare. Mi sento svenire, la testa che vortica, il cuore che batte fortissimo. Non avrei mai immaginato di incontrarla di nuovo, mi ero quasi dimenticata della sua esistenza. Ricordare, là dov'ero, faceva troppo male.
Sento delle braccia stringermi e so che sono le sue, le riconosco. I ricordi stanno tornando improvvisamente, sommergendomi.
«Zrythe, sorellina... non posso crederci.»
   
 
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