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Autore: Paddy    14/03/2005    6 recensioni
Nella mia vita..almeno, quello che ho vissuto fin'ora...ho conosciuto molti volti, immagini e personalità... tutte mi hanno segnato, inequivocabilmente, ma...C'è una sola persona che non ho mai cancellato dai ricordi, che mi ha cambiato davvero la vita, capace di farmi ridere, piangere, emozionare, arrabbiare e struggere, che in tutti questi hanni non ha mai abbandonato il mio cuore, e che non ho mai smesso di amare...
*Cinque anni dal loro ultimo incontro...e, d'improvviso, una nuova occasione, per un nuovo misterioso amore che si manifesta attraverso un biglietto e delle rose...ma chi si nasconde dietro il mittente?Sarà davvero giusto rinunciare ai propri sogni?*Semplice, banalissima e prevedibile one shot su Hermione e...?(Fatemi sapere quando, e se, durante la lettura,avete indovinato!)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Quel mazzo di rose rosse...*

 

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Due persone camminavano lungo la strada.

Una donna ed un uomo.

Lei aveva un’espressione felice e gioiosa, lui gli occhi che brillavano. La camminata sicura e decisa, un po’ saltellante, caratteristica di due persone innamorate.

Ad un tratto scoppiava a piovere.

Era una pioggerellina leggera, niente di che, ma le gocce parevano brucianti.

La donna tentò di ripararsi, i capelli zuppi e i vestiti fradici...

L’uomo non c’era più...

 

 

 

 

 

 

 

Mi ostinai a tenere gli occhi serrati. Dovevo finirla. Avevo iniziato a disgustare me stessa.

Percepii qualcosa di caldo e bagnato fra le guance. Con un gesto bruco, me le ripulii da quelle lacrime che inutilmente avevo tentato di reprimere.

Non avevo mai sentito di una donna che piangesse nel sonno. Ma tanto ero sola, chi volevo che mi vedesse...

Sì, ero sola.

Ancora una volta mi trovai a maledire il vocabolario. Una parola di quattro lettere, semplice. Non può esprimere ciò che significa veramente essere... soli.

Non avere nessuno vicino.

A parte...

 

Mi chinai sorridendo a prendere in braccio Gaia, la mia gatta che miagolava impaziente. Mentre si accoccolava sulla mia vestaglia, mi ritrovai ancora una volta a pensare a quanto il suo nome non fosse appropriato per una micia che passava il tempo a gemere affamata e a pretendere coccole.

Capricciosa, ecco come avrei dovuto chiamarla. Ma le ero affezionata troppo per redimerla in questo modo, e poi... non ero stata io a darle quel nome.

Scossi la testa come per scacciare delle mosche fastidiose. Ma non bastava per allontanare i ricordi.

-Dannazione!- sbottai, tanto violentemente che Gaia per poco non fu scaraventata giù dalle mie gambe. Saltò a terra comunque, miagolando furiosamente. –Sono passati cinque anni, maledizione!Cinque!-

Un anno dal più grande errore della mia vita...

 

 

 

 

 

 

 

 

Saltellai per il prato, con un sorriso dipinto in volto. Più lontano, due ragazzi mi fissavano godendo della mia felicità e con un velo di malinconia sugli occhi.

-E’ meraviglioso!- risi, mostrando orgogliosa il foglio con le mie valutazioni. -Sono tutte alte, vedete? E poi... Vedete?-

-Tra un po’ ci caveremo gli occhi, a forza di guardare i tuoi voti, Hermione- commentò Ron, però sorrideva.

-Sul serio ragazza mia... come se non sapessi che saresti stata ottima- ammiccò Harry.

Neville, seduto più lontano, aveva gli occhi incollati alla pergamena. –Complimenti, Hermione,...- mormorò.

-E’ ovvio che sei andata bene: cos’altro ci si aspetterebbe da una Grifondoro?- ghignò Dean.

Dal canto suo, Seamus non aveva fatto commenti, solo annuito soddisfatto, così come Ginny.

 

Migliore studentessa dei Grifondoro. La scritta spiccava e pareva quasi brillare di luce propria.

Migliore studentessa di Hogwarts. In quanto a quella, aveva avuto l’effetto di farmi piangere di felicità.

-Diventerò Auror- sospirai sognante. Era tutto perfetto. Con quei voti l’avrebbero ammessa al volo all’accademia. Era tutto perfetto. A parte...

 

Fissai il ragazzo più lontano, e sospirò di nuovo, ma con diversa enfasi.

Non potevo farlo. Non potevo dichiararmi. Sarei risultata ridicola. Com’era possibile che io, la secchioncella, mi potessi innamorare? E di lui poi... no, impossibile.

Le lacrime mi salirono agli occhi, ma almeno mi potei astenere dall’asciugarle, dato che tutti avrebbero pensato che il motivo era la riuscita degli esami.

Non l’avrei mai più visto...

Beh, sì, forse ci saremmo sentiti, ma di rado... del resto, lui sarebbe andato in un’altro istituto, molto lontano e rigido. Aveva fatto la sua scelta. Come tutti, del resto.

 

E c’era un’altro motivo per cui sarebbe risultato ridicolo dichiararmi.

Lui non mi ricambiava. Era ovvio, era sotto gli occhi di tutti.

Lui preferiva altri tipi di ragazze. Meno dedite allo studio e più al proprio aspetto... no, non era così superficiale.

Ma comunque, in tutti quegli anni, non aveva mai mostrato di tenere a me quel tanto di più che bastava per significare che mi amava.

No... sarebbe stato troppo bello, troppo fantastico, troppo perfetto, troppo irreale perchè accadesse.

Sarebbe stato un miracolo. E io non credo nei miracoli.

 

 

 

 

 

 

Sospirai. Era inutile rodersi ancora.

Era finita. Non lo sentivo da anni. Quattro, per la precisione. Per uno ci eravamo scritti, o meglio, ero io che timidamente esponevo su lettera la mia giornata quotidiana, con distacco e rassegnazione; lui rispondeva imbarazzato, con poche righe in confronto alle mie pergamene.

E poi, pian piano, la nostra corrispondenza si era ristretta, una lettera massimo al mese, niente più, fino a sparire. Soffrii molto per questo: l’ultima lettera, cortissima, era stata la mia. Lui non aveva risposto e io non mi ero spinta oltre.

Ed erano passati tre anni... e poi...

 

Poi, una sera d’autunno, mi recai a New York per lavoro. Ero così presa dalla mia attività da scordarmi che era proprio lì che lui si era trasferito (me l’aveva accennato distrattamente in una sua lettera). Rimasi lì per qualche giorno e poi, qualche ora prima di ripartire, mi fermai ad un bar babbano.

Stava piovendo leggermente. Ordinai un caffè e attesi, le dita intrecciate e frementi dalla voglia di afferrare la bacchetta e lanciare un incantesimo che potesse proteggermi dalla pioggia, mentre invece dovevo accontentarmi di ripararmi con un misero ombrello di plastica bucherellata.

Ma c’era qualcuno a cui non importava nulla che piovesse.

Sussultai. Strabuzzai gli occhi trasalendo.

 

Era lui. Era davanti a me. Ma non era solo. Una ragazza magra e ridacchiante gli camminava al fianco. Non avevano ombrelli di alcun genere.

Ad un certo punto, poco prima di sedersi al tavolino, lui si chinò su di lei... e la...

Mi alzai di scatto, incapace di assistere oltre a quella vista. E corsi. Oh, come corsi!

Adesso le gocce di pioggia mi parevano bastonate che mi picchiavano addosso senza che io potessi fare nulla per fermarli.

Non so se veramente fu un forte temporale o se la pioggia rimase sempre leggera. Di sicuro, per me era aumentata.

 

Adesso, a distanza di anni potrei riderci sopra, pensando al povero cameriere che magari era arrivato col caffè fumante, senza trovarmi.

Eppure, di quell’episodio ricordo solo lui, fradicio...

A volte faccio gli incubi su questo. A volte sono solo ricordi, altre sono io la ragazza al suo fianco, ma poi lui scompare lasciandomi sola sotto la pioggia.

 

Persi l’aereo. Dovetti rimanere all’areoporto due ore, prima di un altro volo. Ma non mi annoiai. Per me non scorse il tempo. Per un’eternità rimasi con lo sguardo fisso, mentre l’immagine dell’uomo che amavo con quella donna mi scorreva davanti agli occhi...

Mi aveva sconvolto non solo per il fatto che lui fosse con un’altra, ma anche perchè i miei timori peggiori si erano avverati: la sua maggiore ambizione in fatto di donne era l’averne una tutta curve e niente cervello.

 

Inoltre, non riuscivo a capacitarmi di quel fatto; era come se lui mi avesse tradita, anche se non eravamo mai stati veramente insieme.

Nel corso di un anno, mi incontrai con uno o due colleghi di lavoro, ma non iniziai mai una vera relazione, perchè ogni qualvolta loro posavano le labbra sulle mie, mi appariva nella mente il suo volto, affranto, e non ce la facevo.

Non era un tradimento, non eravamo mai stati insieme; e poi, io per lui non ero più nulla. Ma soffrivo lo stesso, incessantemente.

E non potevo evitarlo.

 

 

 

 

 

Gaia si strusciò sulle mie gambe, miagolando.

-Povera cara, scusa...- le mormorai prendendola in braccio, -Ero talmente assorta nei miei pensieri che mi sono dimenticata la tua, e la mia, colazione...-

Mi avviai verso la cucina; sul tavolo erano appoggiate le riviste con vari successi degli Auror, e un album, che non lasciava mai la cucina.

Non riuscivo a non guardarlo, da cima a fondo, ogni mattina. Non riuscivo a fare a meno di riguardare e fissare nuovamente nella mia memoria quelle fotografie, attimi di vita rubati.

Avevo provato a smettere; era una cattiva e triste abitudine ricordarmi di lui ogni giorno, e ricordarmi che non l’avrò mai, ma non ci posso fare nulla.

E’ stupido vivere attaccati al passato, non respirando il presente, ma era qualcosa di illogico, irrazionale, istintivo.

 

L’inconscio mi portava a dirigermi verso l’album, aprirlo e rituffarmi in quelle pagine traboccanti di vita propria, di momenti magici impressi su carta, che io facevo riaffiorare dai ricordi.

Gaia miagolò brevemente e con durezza, quasi a colpevolizzarmi per quei miei gesti. Alzai le spalle come per allontare quelle accuse e le piazzai sotto il muso una ciotola di carne fresca, che l’avrebbe tenuta a bada per un bel po’.

Mi sedetti a tavola, apparecchiando con tovaglia a fiorellini, una tazza gialla e lucente di latte tiepido, e un piatto di biscotti Mallsio.

 

Mentre avvicinavo la tazza colma alla bocca, sentii suonare il campanello.

-Arrivo!- gridai. Poi mi precipitai a rassettarmi i capelli e a legarmi meglio la vestaglia, per essere presentabile. Non riuscivo a trattenere l’eccitazione; era sbagliato, lo so, ma dato che raramente suonavano alla mia porta (era sempre il postino o il datore di lavoro) una parte di me racchiudeva sempre la speranza che fosse lui.

Era il postino.

 

-Salve, signora- mi salutò gentilmente togliendosi il cappello. –Un pacco per lei.-

Il mio sguardo saettò da lui al mazzo enorme di rose rosse che stringeva al petto, per poi tornare a lui.

No.

 

-Mi scusi,- tentai gentilmente –Ma deve aver sbagliato persona...-

Non potevo aver ricevuto delle rose! Feci veloce mente locale: non era il mio compleanno, nè un anniversario particolare, nè Natale, e anche se fosse stata una di queste occasioni, solo i miei genitori e forse qualche amica se ne sarebbe ricordata, ma con un biglietto di auguri, non certo con un mazzo di raffinatissime e costose rose rosse.

 

-No, tutto esatto- esclamò il postino, -almeno, lo è se lei è la signorina Hermione Granger.-

-Lo sono- mormorai con un fil di voce, allungando la mano e prendendo delicatamente fra le braccia quel pezzetto di natura.

Salutai con un cenno il postino babbano, ammutolita, e richiusi la porta. Mi appoggiai al muro e lessi velocemente il biglietto allegato.

 

Al più bello e leggiadro dei fiori

                           XXX

 

Deglutii faticosamente. Bella? Leggiadra?

Ancora una volta mi domandai se davvero fossi io la destinataria del mazzo, ma l’indirizzo non lasciava dubbi.

Adesso sorgeva quindi un’altra domanda: chi me l’aveva spedito?

La mia mente tornò d’istinto alla persona cui più di ogni altra desideravo mi mandasse un dono...

Ma poi mi schiaffeggiai moralmente. Era letteralmente i-m-p-e-n-s-a-b-i-l-e!

Oh, dannazione, perchè non aveva messo la firma? Perchè doveva farmi angosciare in quel modo?

 

Ebbi l’istinto di buttare il biglietto, invece lo deposi in un cassetto e misi le rose in un vaso d’acqua pulita.

Erano splendide.

Le rimirai per un po’, poi mi vestii e mi diressi al lavoro, senza tralasciare però di pettinarmi un po’ più accuratamente, mettermi un po’ di fard sulle guance e truccarmi leggermente gli occhi.

Non riuscivo a pensare che fosse ridicolo, che probabilmente quella persona mi stava prendendo in giro e non le sarebbe importato di come mi fossi conciata.

Invece...

Il giorno dopo arrivò un altro mazzo di rose, più grande, con un altro biglietto.

Ero incredula. Chiunque fosse quella persona, forse faceva sul serio... e forse io gli piacevo davvero.

 

Ma temevo che l’avrei deluso. Non sapevo se sarei riuscita a dimenticare lui...

Diedi un calcio allo stipite della porta.

Basta! Dovevo smettere di pensare a lui. Era solo un’amore dell’adolescenza, che non volevo scacciare... non era qualcosa di più profondo.

E questa era l’occasione buona per cominciare una vera storia.

 

Oggi eri una splendida rosa...

         XXX

 

Se solo avesse messo una firma!

Splendida? L’amore è cieco... certo che però, questo voleva dire che mi aveva vista...

Non poteva quindi essere lui, certo. Lui era a New York...

Stavolta mi schiaffeggiai sul serio. Non avevo intenzione di pensare a lui un minuto di più!

Vita nuova... ecco fatto.

 

La tua luce mi illumina la vita.

            XXX

 

Ispiri mille e più poesie...

       XXX

 

Il mio cuore è tuo...

       XXX

 

Sei il sereno fra tanti temporali

       XXX

 

Poche e brevi frasi, ma cariche di significato.

Chiunque fosse, era una persona colta e dolce. Non mi meritava...

Scossi la testa e appesi l’ennesimo biglietto sul muro della cucina.

Ormai, il vaso al centro del tavolo non bastava più per accogliere le dozzine e dozzine di rose che arrivavano, puntualmente, ogni giorno.

 

Ormai il postino babbano mi conosceva, e ogni mattina alla stessa ora suonava alla mia porta, salutandomi con un sorriso e un ammiccamento alle rose.

Poi, un giorno, la svolta.

Le otto. Le mie rose non erano ancora arrivate. Erano in ritardo di un’ora. Le lacrime mi salirono agli occhi senza che io potessi fermarle. Era inutile. Mi ero illusa.

Piangere per uno sciocco infatuamento causato da quelle frasi poetiche era inutile. Ma..

 

DRIIN!

Mi precipitai al telefono. Il mio principale che chiamava per una riunione o una nuova missione, certo.

Ma la voce che sentii dall’altro capo del ricevitore era totalmente sconosciuta.

-Ciao, Hermione.- lontana, difficile da capire.

 

-Ch.. chi è?-

-L’uomo delle rose...- scoppiò in una risata.

-C..cosa..- strinsi convulsamente la cornetta.

-Ti sarai chiesta perchè non ti ho mandato i fiori, stamani.-

 

-Veramente io...-

-Beh, ho deciso di non nascondermi più. Oggi, alla sei, troviamoci alla caffetteria Dsweet. Voglio finalmente che tu mi conosca.-

-Ma... non so...-

-Lo so, non mi conosci e non ti fidi. Capisco. Ma ti prego di dare retta al tuo cuore.-

Sentii che attaccava. Mi appoggiai al muro, respirando a fatica. Dovevo andare? Dovevo farlo?

Mi rosi su questa domanda per tutta la mattina. Poi, alle quattro...

 

DRIIN!

Incredibile, due chiamate in uno stesso giorno! Non capitava mai.

-Pronto?-

-Hermione?-

 

Oddio.

Oddio.

Oddio.

Lasciai cadere la cornetta e mi afflosciai a terra. Non era possibile.

-Hermione? Ci sei?-

-S..sì...- finalmente riuscii ad afferrare il telefono e a rispondere, anche se avevo la voce rotta.

-Ehm.. io, s.. sono...-

-Lo so.- era lui, lui, lui!!

-Anche a distanza d’anni riconosci la mia voce?-

Non avrei mai confuso la sua voce.

-Certo...-

-Ehm...-

-Sì?-

-Senti, Herm, mi dispiace... mi dispiace di non essermi fatto sentire, per tutti questi anni... perdonami...-

-Figurati...-

-Però, ecco, mi sono reso conto che... beh... è complicato da... non posso dirtelo al telefono. Possiamo vederci oggi, alle sei, in piazza?-

 

Il mio cuore mancò un colpo.

-Quando?-

-Non ricordi? Progettavamo di andarci, da giovani... era famosa...-

-Io...-

-Sono qui, Hermione, sono venuto qui.. per... oh, allora, verrai?-

 

Rimasi in silenzio, attonita. Non sapevo che fare.

-Lo so che mi sono comportato male, sono stato superficiale. Decidi tu.- la sua voce tremava. Poi non sentii più nulla.

 

Mi buttai sul divano, il cuore che batteva all’impazzata. Quanto può essere strano il destino. L’avevo pensato per cinque anni, poi, quando tentato una svolta, lui ricompariva dandomi lo stesso appuntamento del mio ammiratore segreto!

Pensai a lungo dove andare, da chi andare, cosa fare.

E poi decisi.

 

 

 

 

Mi strinsi nel cappotto di lana. Il vento soffiava e le nubi scure minacciavano un temporale. Ma non sarebbe stato nulla al confronto di ciò che provavo in quel momento.

Avevo dovuto fare una scelta, e io odio decidere una cosa ed escludere l’altra, specie in una situazione del genere.

 

Sospirai.

Beh, avevo fatto ciò che ritenevo più opportuno... in fondo, avevo pensato a lui incessantemente per cinque lunghi anni, e non potevo buttare via quest’occasione (la prima e l’ultima, probabilmente) per uno sconosciuto che si faceva vivo attraverso biglietti ambigui e un mazzo di rose.

Speravo solo che quella lui fosse una cosa davvero importante... o non mi sarei mai perdonata di avere perso una grossa probabilità di incontrare... beh... chi, in realtà?

Non lo conoscevo. E lui probabilmente non conosceva me... anche se aveva azzeccato il colore delle rose.

 

D’improvviso, mi irrigidii. Dall’altro capo della piazza si faceva avanti titubante un uomo alto, impacciato, che si faceva strada fra i passanti di fretta e le signore avvolte in pellicce costose.

Mi vide. Lo vidi.

E le mie guance si infiammarono. Erano passati cinque anni... ben cinque anni, dall’ultima volta che c’eravamo visti. E ora eravamo adulti... e soli.

Si fermò a pochi passi da me, fissandomi imbarazzato. E in quel momento capii che nulla era cambiato... il mio aspetto, la mia vita forse, ma i miei sentimenti erano rimasti gli stessi... non avevo smesso di amarlo.

 

-C...ciao, Hermione.-

-Ciao... Ron.-

 

 

 

 

Ci sedemmo senza più una parola. Io mi torcevo le mani. Lui si grattava la testa.

 

-Ehm- si schiarì la voce, rendendosi conto d’essere lui ad avere la prima parola. –Ne è... ne è passato di tempo, eh?-

-Già- bisbigliai.

-Accidenti, io non so da dove cominciare- Ron abbozzò un sorriso stiracchiato, alzando finalmente gli occhi. –Beh... per prima cosa scusa. Non mi sono fatto più sentire.-

-Neanch’io, se è per questo!-

-Sì, ma l’ultima lettera è stata la tua.-

 

Ancora silenzio.

-Vuoi proprio avere sempre l’ultima parola, eh?- provai a scherzare, ma la mia voce era roca.

-Assolutamente.-

-Beh... è bello rivedere i vecchi amici, dopotutto... non sei cambiato.- gli buttai lì quell’affermazione, sperando che, se era come desideravo, la cogliesse al volo.

Ron però non parlò. Si limitò a fissarmi.

 

-Senti, Herm...- quasi sobbalzai, sentendo che aveva cambiato completamente tono. Ora era profondo e deciso. –Il motivo per cui ti ho chiamata è che... è che...-

Avanti, forza! Volevo spronarlo, ma ovviamente non potevo tradirmi.

-... in effetti... è bello... rivedere i vecchi amici.-

-Oh.-

 

Feci un’espressione delusa, ma così delusa che evidentemente quella testaccia dura si rese conto di avere fatto una gaffe.

-Insomma... non è che... tu non sei vecchia- farfugliò arrossendo.

Se la situazione non fosse stata così angosciante, mi sarei messa a ridere. Credeva fosse per quello che mi ero offesa!

-Oggi... oggi sei splendida!- esclamò di botto. Io avvampai. Mi aveva fatto un complimento.

 

-Su, Ron- mormorai. –Perchè sei qui? Perchè d’improvviso? Perchè solo adesso?- gli gettai addosso quel fiume di domande sperando che si decidesse a rispondermi.

Invece non fece altro che arrossire ancora di più e mormorare:- Mah... avevo voglia di rivedere la mia migliore amica, ecco tutto.

La sua migliore amica.

Migliore amica.

 

-Tutto qui?- sussurrai.

-Dovrebbe esserci dell’altro?- chiese guardandosi i piedi.

Stavo per scoppiare in lacrime. Ecco, mi ero illusa un’altra volta.

Stupida, stupida e stupida!

Mi alzai di scatto, trattenendo i goccioloni.

-Bene...- tentennai –Se è solo per questo... io devo proprio andare... il lavoro...-

Barcollando, iniziai ad allontanarmi... quando...

 

Oggi sei splendida...

Dove avevo già sentito quella frase?

Dove l’avevo già... letta?

 

Oggi eri una splendida rosa...

 

Scossi la testa con violenza. No, impossibile. Una coincidenza.

Eppure...

La stessa ora e lo stesso giorno...

No, perchè l’avrebbe fatto?

-Hermione, aspetta!-

 

Mi voltai. Ron stringeva i pugni e mi guardava negli occhi.

-Non ti ho ancora detto tutto...-

Mi risedetti, il cuore a mille.

-Molti anni fa- cominciò, -sai quanto fossi stupido e cocciuto... beh, ero innamorato di una ragazza...-

Strinsi le labbra impallidendo.

-...e, beh, non me ne rendevo conto! Fu Harry ad aprirmi gli occhi,...-

E mi raccontò tutto...

 

 

 

 

 

-RON!- Harry entrò nella Sala Comune adirato.- Non è possibile! L’hai fatto di nuovo!-

-Cosa, Harry?- domandò Ron, annoiato.

-L’hai fatta piangere ancora!-

-Piangere?- Ron si alzò di scatto dal divano. –Ma... come... era furiosa... non stava piangendo, prima!-

-Esatto, prima. Non l’avrebbe mica fatto davanti a te.-

-Ma...- l’espressione del rosso mutò, -Beh, e allora? Non è colpa mia se è fissata con lo studio e gli esami eccetera eccetera...-

-Si preoccupa semplicemente per te! E, fattelo dire, tu sei così lavativo che...-

-Lavativo? E’ lei che esagera!-

-Ron, adesso basta.- Harry chiuse gli occhi, e un secondo dopo lì riaprì con determinazione. –Non lo vuoi proprio capire, eh? Non puoi continuare con questi sciocchi battibecchi, non porteranno a nulla! Hai diciotto anni! Non puoi avere ancora la testa di un undicenne!-

-Ma di cosa stai parlando?-

-Vuoi dire che non ti sei ancora accorto?-

-Di che?-

-Di ciò che provi per Hermione!-

-Di che?!-

-Svegliati!- urlò l’amico scuotendolo per le spalle. –Tu la ami!-

Ron si divincolò, le orecchie in fiamme.

-Io che? Ma sei fuori? Quella... quella...-

-Finiscila di fare il finto tonto e metti da parte l’orgoglio, per una volta!Se ne sono accorti tutti, non fare finta che il diretto interessato invece è un perfetto idiota! TU GLIELO DEVI DIRE!-

-Io...- Ron abbassò la testa, per poi abbassarla, rassegnato. –Ma se non mi ricambia?-

-Beh, almeno ti sarai tolto un peso, no?-

-Ma non saremo più amici come prima!-

-Senti, non sarai mai sicuro del suo rifiuto se non glielo chiedi!-

-Io...io...-

-Domani partiamo, e difficilmente la rivedrai. E’ la tua ultima occasione. Potrai vivere felice-e-contento, oppure... rimpiangere quest’occasione per tutta la tua esistenza.-

 

 

 

 

-...ma fallii.- Ron abbassò la testa pieno di vergogna. –Non ti dissi niente. Ero sicuro che tu non mi amassi, che preferissi qualcuno più ricco, più famoso e più intelligente e dedito allo studio. Così, quando tu mi scrivevi io non riuscivo a rispondere pensando che tu per me non provavi nulla. Non ce la facevo. Temevo di perdere il controllo nello scrivere, e così troncai la nostra corrispondenza decidendo di dimenticarti, anche stando con ragazze di cui tentavo di innamorarmi... inutilmente.- certo, pensai, la bionda..- Ma sono stato egoista,... non ho pensato ai tuoi sentimenti, e forse ti ho fatta soffrire.- alzò gli occhi a guardarmi.

 

-Ora ho capito d’aver sbagliato. E sono tornato... solo per dirtelo.-

Si alzò iniziando ad allontanarsi, mentre la mia mente lavorava a tutto spiano.

E...

-Un attimo, Ron!-

Si voltò.

-Tu... per caso...- non sapevo come dirlo. Allora tirai fuori una rosa dalla borsa.

Lui arrossì.

-Hai capito tutto, eh? Beh, inizialmente pensai che, per conquistarti, andassero bene poesie e misteri... ma poi mi sono reso conto che sbagliavo. Così ti diedi quei due appuntamenti... se tu fossi venuto a quello dell’uomo delle rose, voleva dire che davvero non ti importava di me e preferivi l’opposto di me stesso. Allora avrei smesso e non avrei fatto nemmeno un tentativo di dichiararmi. Invece ora...- non completò la frase. Capii che toccava a me.

 

Sorridendo con gli occhi lucidi gli presi le mani fra le mie accarezzandogli il palmo.

-Ron- dissi dolcemente –nella mia vita... almeno, quello che ho vissuto fin’ora... ho conosciuto molti volti, molte immagini e personalità... tutte mi hanno segnato, inequivocabilmente, me... C’è una sola persona che non ho mai cancellato dai ricordi... c’è una sola persona che mi ha cambiato davvero la vita... c’è una sola persona capace di farmi ridere, piangere, emozionare, arrabbiare e struggere... c’è una sola persona che in tutti questi anni non ha mai abbandonato il mio cuore, e che non ho mai smesso di amare... ed è quella che mi sta davanti adesso. Io ti amo, Ron.-

 

Non riuscì a rispondere. L’unica soluzione a queste dichiarazioni è, come spesso accade, un bacio.

Ed è quello che mi regalò quel meraviglioso pomeriggio, mentre le mie guance si bagnavano della pioggia che scendeva dal cielo ma che io non sentivo... l’unica sensazione era il tocco di Ron, paragonabile solo alla morbidezza di un petalo di rosa...

 

 

 

 

 

 

FINE************

 

 

 

 Che dire... banale e autoconclusiva... spero non vi siate annoiati/e, ma l’ho scritta per puro piacere..

  
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