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*Quel mazzo di
rose rosse...*
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Due
persone camminavano lungo la strada.
Una
donna ed un uomo.
Lei
aveva un’espressione felice e gioiosa, lui gli occhi che brillavano. La
camminata sicura e decisa, un po’ saltellante, caratteristica di due persone
innamorate.
Ad
un tratto scoppiava a piovere.
Era
una pioggerellina leggera, niente di che, ma le gocce parevano brucianti.
La
donna tentò di ripararsi, i capelli zuppi e i vestiti fradici...
L’uomo
non c’era più...
Mi
ostinai a tenere gli occhi serrati. Dovevo finirla. Avevo iniziato a disgustare
me stessa.
Percepii
qualcosa di caldo e bagnato fra le guance. Con un gesto bruco, me le ripulii da
quelle lacrime che inutilmente avevo tentato di reprimere.
Non
avevo mai sentito di una donna che piangesse nel sonno. Ma tanto ero sola, chi
volevo che mi vedesse...
Sì, ero
sola.
Ancora
una volta mi trovai a maledire il vocabolario. Una parola di quattro lettere,
semplice. Non può esprimere ciò che significa veramente essere... soli.
Non
avere nessuno vicino.
A
parte...
Mi chinai sorridendo a
prendere in braccio Gaia, la mia gatta che miagolava impaziente. Mentre si
accoccolava sulla mia vestaglia, mi ritrovai ancora una volta a pensare a
quanto il suo nome non fosse appropriato per una micia che passava il tempo a
gemere affamata e a pretendere coccole.
Capricciosa, ecco come
avrei dovuto chiamarla. Ma le ero affezionata troppo per redimerla in questo
modo, e poi... non ero stata io a darle quel nome.
Scossi la testa come per
scacciare delle mosche fastidiose. Ma non bastava per allontanare i ricordi.
-Dannazione!- sbottai,
tanto violentemente che Gaia per poco non fu scaraventata giù dalle mie gambe.
Saltò a terra comunque, miagolando furiosamente. –Sono passati cinque anni,
maledizione!Cinque!-
Un anno dal più grande
errore della mia vita...
Saltellai per il prato, con
un sorriso dipinto in volto. Più lontano, due ragazzi mi fissavano godendo
della mia felicità e con un velo di malinconia sugli occhi.
-E’ meraviglioso!- risi,
mostrando orgogliosa il foglio con le mie valutazioni. -Sono tutte alte,
vedete? E poi... Vedete?-
-Tra un po’ ci caveremo gli
occhi, a forza di guardare i tuoi voti, Hermione- commentò Ron, però sorrideva.
-Sul serio ragazza mia...
come se non sapessi che saresti stata ottima- ammiccò Harry.
Neville, seduto più
lontano, aveva gli occhi incollati alla pergamena. –Complimenti, Hermione,...-
mormorò.
-E’ ovvio che sei andata
bene: cos’altro ci si aspetterebbe da una Grifondoro?- ghignò Dean.
Dal canto suo, Seamus non
aveva fatto commenti, solo annuito soddisfatto, così come Ginny.
Migliore studentessa dei
Grifondoro. La scritta spiccava e pareva quasi brillare di luce propria.
Migliore studentessa di
Hogwarts. In quanto a quella, aveva avuto l’effetto di farmi piangere di
felicità.
-Diventerò Auror- sospirai
sognante. Era tutto perfetto. Con quei voti l’avrebbero ammessa al volo all’accademia.
Era tutto perfetto. A parte...
Fissai il ragazzo più
lontano, e sospirò di nuovo, ma con diversa enfasi.
Non potevo farlo. Non
potevo dichiararmi. Sarei risultata ridicola. Com’era possibile che io, la
secchioncella, mi potessi innamorare? E di lui poi... no, impossibile.
Le lacrime mi salirono agli
occhi, ma almeno mi potei astenere dall’asciugarle, dato che tutti avrebbero
pensato che il motivo era la riuscita degli esami.
Non l’avrei mai più
visto...
Beh, sì, forse ci saremmo
sentiti, ma di rado... del resto, lui sarebbe andato in un’altro istituto,
molto lontano e rigido. Aveva fatto la sua scelta. Come tutti, del resto.
E c’era un’altro motivo per
cui sarebbe risultato ridicolo dichiararmi.
Lui non mi ricambiava. Era
ovvio, era sotto gli occhi di tutti.
Lui preferiva altri tipi di
ragazze. Meno dedite allo studio e più al proprio aspetto... no, non era così
superficiale.
Ma comunque, in tutti
quegli anni, non aveva mai mostrato di tenere a me quel tanto di più che
bastava per significare che mi amava.
No... sarebbe stato troppo
bello, troppo fantastico, troppo perfetto, troppo irreale perchè accadesse.
Sarebbe stato un miracolo.
E io non credo nei miracoli.
Sospirai. Era inutile
rodersi ancora.
Era finita. Non lo sentivo
da anni. Quattro, per la precisione. Per uno ci eravamo scritti, o meglio, ero
io che timidamente esponevo su lettera la mia giornata quotidiana, con distacco
e rassegnazione; lui rispondeva imbarazzato, con poche righe in confronto alle
mie pergamene.
E poi, pian piano, la
nostra corrispondenza si era ristretta, una lettera massimo al mese, niente
più, fino a sparire. Soffrii molto per questo: l’ultima lettera, cortissima,
era stata la mia. Lui non aveva risposto e io non mi ero spinta oltre.
Ed erano passati tre anni...
e poi...
Poi, una sera d’autunno, mi
recai a New York per lavoro. Ero così presa dalla mia attività da scordarmi che
era proprio lì che lui si era trasferito (me l’aveva accennato distrattamente
in una sua lettera). Rimasi lì per qualche giorno e poi, qualche ora prima di
ripartire, mi fermai ad un bar babbano.
Stava piovendo leggermente.
Ordinai un caffè e attesi, le dita intrecciate e frementi dalla voglia di
afferrare la bacchetta e lanciare un incantesimo che potesse proteggermi dalla
pioggia, mentre invece dovevo accontentarmi di ripararmi con un misero ombrello
di plastica bucherellata.
Ma c’era qualcuno a cui non
importava nulla che piovesse.
Sussultai. Strabuzzai gli
occhi trasalendo.
Era lui. Era davanti a me.
Ma non era solo. Una ragazza magra e ridacchiante gli camminava al fianco. Non
avevano ombrelli di alcun genere.
Ad un certo punto, poco
prima di sedersi al tavolino, lui si chinò su di lei... e la...
Mi alzai di scatto,
incapace di assistere oltre a quella vista. E corsi. Oh, come corsi!
Adesso le gocce di pioggia
mi parevano bastonate che mi picchiavano addosso senza che io potessi fare
nulla per fermarli.
Non so se veramente fu un
forte temporale o se la pioggia rimase sempre leggera. Di sicuro, per me era
aumentata.
Adesso, a distanza di anni
potrei riderci sopra, pensando al povero cameriere che magari era arrivato col
caffè fumante, senza trovarmi.
Eppure, di quell’episodio
ricordo solo lui, fradicio...
A volte faccio gli incubi
su questo. A volte sono solo ricordi, altre sono io la ragazza al suo fianco,
ma poi lui scompare lasciandomi sola sotto la pioggia.
Persi l’aereo. Dovetti
rimanere all’areoporto due ore, prima di un altro volo. Ma non mi annoiai. Per
me non scorse il tempo. Per un’eternità rimasi con lo sguardo fisso, mentre
l’immagine dell’uomo che amavo con quella donna mi scorreva davanti agli
occhi...
Mi aveva sconvolto non solo
per il fatto che lui fosse con un’altra, ma anche perchè i miei timori peggiori
si erano avverati: la sua maggiore ambizione in fatto di donne era l’averne una
tutta curve e niente cervello.
Inoltre, non riuscivo a
capacitarmi di quel fatto; era come se lui mi avesse tradita, anche se non
eravamo mai stati veramente insieme.
Nel corso di un anno, mi
incontrai con uno o due colleghi di lavoro, ma non iniziai mai una vera
relazione, perchè ogni qualvolta loro posavano le labbra sulle mie, mi appariva
nella mente il suo volto, affranto, e non ce la facevo.
Non era un tradimento, non
eravamo mai stati insieme; e poi, io per lui non ero più nulla. Ma soffrivo lo
stesso, incessantemente.
E non potevo evitarlo.
Gaia si strusciò sulle mie
gambe, miagolando.
-Povera cara, scusa...- le
mormorai prendendola in braccio, -Ero talmente assorta nei miei pensieri che mi
sono dimenticata la tua, e la mia, colazione...-
Mi avviai verso la cucina;
sul tavolo erano appoggiate le riviste con vari successi degli Auror, e un
album, che non lasciava mai la cucina.
Non riuscivo a non
guardarlo, da cima a fondo, ogni mattina. Non riuscivo a fare a meno di
riguardare e fissare nuovamente nella mia memoria quelle fotografie, attimi di
vita rubati.
Avevo provato a smettere;
era una cattiva e triste abitudine ricordarmi di lui ogni giorno, e ricordarmi
che non l’avrò mai, ma non ci posso fare nulla.
E’ stupido vivere attaccati
al passato, non respirando il presente, ma era qualcosa di illogico,
irrazionale, istintivo.
L’inconscio mi portava a
dirigermi verso l’album, aprirlo e rituffarmi in quelle pagine traboccanti di
vita propria, di momenti magici impressi su carta, che io facevo riaffiorare
dai ricordi.
Gaia miagolò brevemente e
con durezza, quasi a colpevolizzarmi per quei miei gesti. Alzai le spalle come
per allontare quelle accuse e le piazzai sotto il muso una ciotola di carne
fresca, che l’avrebbe tenuta a bada per un bel po’.
Mi sedetti a tavola,
apparecchiando con tovaglia a fiorellini, una tazza gialla e lucente di latte
tiepido, e un piatto di biscotti Mallsio.
Mentre avvicinavo la tazza
colma alla bocca, sentii suonare il campanello.
-Arrivo!- gridai. Poi mi precipitai
a rassettarmi i capelli e a legarmi meglio la vestaglia, per essere
presentabile. Non riuscivo a trattenere l’eccitazione; era sbagliato, lo so, ma
dato che raramente suonavano alla mia porta (era sempre il postino o il datore
di lavoro) una parte di me racchiudeva sempre la speranza che fosse lui.
Era il postino.
-Salve, signora- mi salutò
gentilmente togliendosi il cappello. –Un pacco per lei.-
Il mio sguardo saettò da
lui al mazzo enorme di rose rosse che stringeva al petto, per poi tornare a lui.
No.
-Mi scusi,- tentai
gentilmente –Ma deve aver sbagliato persona...-
Non potevo aver ricevuto
delle rose! Feci veloce mente locale: non era il mio compleanno, nè un
anniversario particolare, nè Natale, e anche se fosse stata una di queste
occasioni, solo i miei genitori e forse qualche amica se ne sarebbe ricordata,
ma con un biglietto di auguri, non certo con un mazzo di raffinatissime e
costose rose rosse.
-No, tutto esatto- esclamò
il postino, -almeno, lo è se lei è la signorina Hermione Granger.-
-Lo sono- mormorai con un
fil di voce, allungando la mano e prendendo delicatamente fra le braccia quel
pezzetto di natura.
Salutai con un cenno il
postino babbano, ammutolita, e richiusi la porta. Mi appoggiai al muro e lessi
velocemente il biglietto allegato.
Al più bello e leggiadro dei fiori
XXX
Deglutii faticosamente.
Bella? Leggiadra?
Ancora una volta mi
domandai se davvero fossi io la destinataria del mazzo, ma l’indirizzo non
lasciava dubbi.
Adesso sorgeva quindi un’altra
domanda: chi me l’aveva spedito?
La mia mente tornò
d’istinto alla persona cui più di ogni altra desideravo mi mandasse un dono...
Ma poi mi schiaffeggiai
moralmente. Era letteralmente i-m-p-e-n-s-a-b-i-l-e!
Oh, dannazione, perchè non
aveva messo la firma? Perchè doveva farmi angosciare in quel modo?
Ebbi l’istinto di buttare
il biglietto, invece lo deposi in un cassetto e misi le rose in un vaso d’acqua
pulita.
Erano splendide.
Le rimirai per un po’, poi
mi vestii e mi diressi al lavoro, senza tralasciare però di pettinarmi un po’
più accuratamente, mettermi un po’ di fard sulle guance e truccarmi leggermente
gli occhi.
Non riuscivo a pensare che
fosse ridicolo, che probabilmente quella persona mi stava prendendo in giro e
non le sarebbe importato di come mi fossi conciata.
Invece...
Il giorno dopo arrivò un
altro mazzo di rose, più grande, con un altro biglietto.
Ero incredula. Chiunque
fosse quella persona, forse faceva sul serio... e forse io gli piacevo davvero.
Ma temevo che l’avrei
deluso. Non sapevo se sarei riuscita a dimenticare lui...
Diedi un calcio allo
stipite della porta.
Basta! Dovevo smettere di
pensare a lui. Era solo un’amore dell’adolescenza, che non volevo scacciare...
non era qualcosa di più profondo.
E questa era l’occasione
buona per cominciare una vera storia.
Oggi eri una splendida rosa...
XXX
Se solo avesse messo una
firma!
Splendida? L’amore è
cieco... certo che però, questo voleva dire che mi aveva vista...
Non poteva quindi essere
lui, certo. Lui era a New York...
Stavolta mi schiaffeggiai
sul serio. Non avevo intenzione di pensare a lui un minuto di più!
Vita nuova... ecco fatto.
La tua luce mi illumina la vita.
XXX
Ispiri mille e più poesie...
XXX
Il mio cuore è tuo...
XXX
Sei il sereno fra tanti temporali
XXX
Poche e brevi frasi, ma
cariche di significato.
Chiunque fosse, era una
persona colta e dolce. Non mi meritava...
Scossi la testa e appesi
l’ennesimo biglietto sul muro della cucina.
Ormai, il vaso al centro
del tavolo non bastava più per accogliere le dozzine e dozzine di rose che
arrivavano, puntualmente, ogni giorno.
Ormai il postino babbano mi
conosceva, e ogni mattina alla stessa ora suonava alla mia porta, salutandomi
con un sorriso e un ammiccamento alle rose.
Poi, un giorno, la svolta.
Le otto. Le mie rose non
erano ancora arrivate. Erano in ritardo di un’ora. Le lacrime mi salirono agli
occhi senza che io potessi fermarle. Era inutile. Mi ero illusa.
Piangere per uno sciocco
infatuamento causato da quelle frasi poetiche era inutile. Ma..
DRIIN!
Mi precipitai al telefono.
Il mio principale che chiamava per una riunione o una nuova missione, certo.
Ma la voce che sentii
dall’altro capo del ricevitore era totalmente sconosciuta.
-Ciao, Hermione.- lontana,
difficile da capire.
-Ch.. chi è?-
-L’uomo delle rose...-
scoppiò in una risata.
-C..cosa..- strinsi
convulsamente la cornetta.
-Ti sarai chiesta perchè
non ti ho mandato i fiori, stamani.-
-Veramente io...-
-Beh, ho deciso di non
nascondermi più. Oggi, alla sei, troviamoci alla caffetteria Dsweet. Voglio
finalmente che tu mi conosca.-
-Ma... non so...-
-Lo so, non mi conosci e
non ti fidi. Capisco. Ma ti prego di dare retta al tuo cuore.-
Sentii che attaccava. Mi
appoggiai al muro, respirando a fatica. Dovevo andare? Dovevo farlo?
Mi rosi su questa domanda
per tutta la mattina. Poi, alle quattro...
DRIIN!
Incredibile, due chiamate
in uno stesso giorno! Non capitava mai.
-Pronto?-
-Hermione?-
Oddio.
Oddio.
Oddio.
Lasciai cadere la cornetta
e mi afflosciai a terra. Non era possibile.
-Hermione? Ci sei?-
-S..sì...- finalmente
riuscii ad afferrare il telefono e a rispondere, anche se avevo la voce rotta.
-Ehm.. io, s.. sono...-
-Lo so.- era lui, lui,
lui!!
-Anche a distanza d’anni
riconosci la mia voce?-
Non avrei mai confuso la
sua voce.
-Certo...-
-Ehm...-
-Sì?-
-Senti, Herm, mi
dispiace... mi dispiace di non essermi fatto sentire, per tutti questi anni...
perdonami...-
-Figurati...-
-Però, ecco, mi sono reso
conto che... beh... è complicato da... non posso dirtelo al telefono. Possiamo
vederci oggi, alle sei, in piazza?-
Il mio cuore mancò un
colpo.
-Quando?-
-Non ricordi? Progettavamo
di andarci, da giovani... era famosa...-
-Io...-
-Sono qui, Hermione, sono
venuto qui.. per... oh, allora, verrai?-
Rimasi in silenzio,
attonita. Non sapevo che fare.
-Lo so che mi sono
comportato male, sono stato superficiale. Decidi tu.- la sua voce tremava. Poi
non sentii più nulla.
Mi buttai sul divano, il
cuore che batteva all’impazzata. Quanto può essere strano il destino. L’avevo
pensato per cinque anni, poi, quando tentato una svolta, lui ricompariva
dandomi lo stesso appuntamento del mio ammiratore segreto!
Pensai a lungo dove andare,
da chi andare, cosa fare.
E poi decisi.
Mi strinsi nel cappotto di
lana. Il vento soffiava e le nubi scure minacciavano un temporale. Ma non
sarebbe stato nulla al confronto di ciò che provavo in quel momento.
Avevo dovuto fare una
scelta, e io odio decidere una cosa ed escludere l’altra, specie in una
situazione del genere.
Sospirai.
Beh, avevo fatto ciò che
ritenevo più opportuno... in fondo, avevo pensato a lui incessantemente per
cinque lunghi anni, e non potevo buttare via quest’occasione (la prima e
l’ultima, probabilmente) per uno sconosciuto che si faceva vivo attraverso
biglietti ambigui e un mazzo di rose.
Speravo solo che quella lui
fosse una cosa davvero importante... o non mi sarei mai perdonata di
avere perso una grossa probabilità di incontrare... beh... chi, in realtà?
Non lo conoscevo. E lui
probabilmente non conosceva me... anche se aveva azzeccato il colore delle
rose.
D’improvviso, mi irrigidii.
Dall’altro capo della piazza si faceva avanti titubante un uomo alto,
impacciato, che si faceva strada fra i passanti di fretta e le signore avvolte
in pellicce costose.
Mi vide. Lo vidi.
E le mie guance si
infiammarono. Erano passati cinque anni... ben cinque anni, dall’ultima volta
che c’eravamo visti. E ora eravamo adulti... e soli.
Si fermò a pochi passi da
me, fissandomi imbarazzato. E in quel momento capii che nulla era cambiato...
il mio aspetto, la mia vita forse, ma i miei sentimenti erano rimasti gli
stessi... non avevo smesso di amarlo.
-C...ciao, Hermione.-
-Ciao... Ron.-
Ci sedemmo senza più una
parola. Io mi torcevo le mani. Lui si grattava la testa.
-Ehm- si schiarì la voce,
rendendosi conto d’essere lui ad avere la prima parola. –Ne è... ne è passato
di tempo, eh?-
-Già- bisbigliai.
-Accidenti, io non so da
dove cominciare- Ron abbozzò un sorriso stiracchiato, alzando finalmente gli
occhi. –Beh... per prima cosa scusa. Non mi sono fatto più sentire.-
-Neanch’io, se è per
questo!-
-Sì, ma l’ultima lettera è
stata la tua.-
Ancora silenzio.
-Vuoi proprio avere sempre
l’ultima parola, eh?- provai a scherzare, ma la mia voce era roca.
-Assolutamente.-
-Beh... è bello rivedere i
vecchi amici, dopotutto... non sei cambiato.- gli buttai lì quell’affermazione,
sperando che, se era come desideravo, la cogliesse al volo.
Ron però non parlò. Si
limitò a fissarmi.
-Senti, Herm...- quasi
sobbalzai, sentendo che aveva cambiato completamente tono. Ora era profondo e
deciso. –Il motivo per cui ti ho chiamata è che... è che...-
Avanti, forza! Volevo
spronarlo, ma ovviamente non potevo tradirmi.
-... in effetti... è
bello... rivedere i vecchi amici.-
-Oh.-
Feci un’espressione delusa,
ma così delusa che evidentemente quella testaccia dura si rese conto di avere
fatto una gaffe.
-Insomma... non è che... tu
non sei vecchia- farfugliò arrossendo.
Se la situazione non fosse
stata così angosciante, mi sarei messa a ridere. Credeva fosse per quello che
mi ero offesa!
-Oggi... oggi sei
splendida!- esclamò di botto. Io avvampai. Mi aveva fatto un complimento.
-Su, Ron- mormorai. –Perchè
sei qui? Perchè d’improvviso? Perchè solo adesso?- gli gettai addosso quel
fiume di domande sperando che si decidesse a rispondermi.
Invece non fece altro che
arrossire ancora di più e mormorare:- Mah... avevo voglia di rivedere la mia
migliore amica, ecco tutto.
La sua migliore amica.
Migliore amica.
-Tutto qui?- sussurrai.
-Dovrebbe esserci
dell’altro?- chiese guardandosi i piedi.
Stavo per scoppiare in
lacrime. Ecco, mi ero illusa un’altra volta.
Stupida, stupida e stupida!
Mi alzai di scatto,
trattenendo i goccioloni.
-Bene...- tentennai –Se è solo
per questo... io devo proprio andare... il lavoro...-
Barcollando, iniziai ad
allontanarmi... quando...
Oggi sei splendida...
Dove avevo già sentito
quella frase?
Dove l’avevo già... letta?
Oggi eri una splendida
rosa...
Scossi la testa con
violenza. No, impossibile. Una coincidenza.
Eppure...
La stessa ora e lo stesso
giorno...
No, perchè l’avrebbe fatto?
-Hermione, aspetta!-
Mi voltai. Ron stringeva i
pugni e mi guardava negli occhi.
-Non ti ho ancora detto
tutto...-
Mi risedetti, il cuore a
mille.
-Molti anni fa- cominciò,
-sai quanto fossi stupido e cocciuto... beh, ero innamorato di una ragazza...-
Strinsi le labbra
impallidendo.
-...e, beh, non me ne
rendevo conto! Fu Harry ad aprirmi gli occhi,...-
E mi raccontò tutto...
-RON!- Harry entrò nella
Sala Comune adirato.- Non è possibile! L’hai fatto di nuovo!-
-Cosa, Harry?- domandò Ron,
annoiato.
-L’hai fatta piangere
ancora!-
-Piangere?- Ron si alzò di
scatto dal divano. –Ma... come... era furiosa... non stava piangendo, prima!-
-Esatto, prima. Non
l’avrebbe mica fatto davanti a te.-
-Ma...- l’espressione del
rosso mutò, -Beh, e allora? Non è colpa mia se è fissata con lo studio e gli
esami eccetera eccetera...-
-Si preoccupa semplicemente
per te! E, fattelo dire, tu sei così lavativo che...-
-Lavativo? E’ lei che
esagera!-
-Ron, adesso basta.- Harry chiuse
gli occhi, e un secondo dopo lì riaprì con determinazione. –Non lo vuoi proprio
capire, eh? Non puoi continuare con questi sciocchi battibecchi, non porteranno
a nulla! Hai diciotto anni! Non puoi avere ancora la testa di un undicenne!-
-Ma di cosa stai parlando?-
-Vuoi dire che non ti sei
ancora accorto?-
-Di che?-
-Di ciò che provi per
Hermione!-
-Di che?!-
-Svegliati!- urlò l’amico
scuotendolo per le spalle. –Tu la ami!-
Ron si divincolò, le
orecchie in fiamme.
-Io che? Ma sei fuori?
Quella... quella...-
-Finiscila di fare il finto
tonto e metti da parte l’orgoglio, per una volta!Se ne sono accorti tutti, non
fare finta che il diretto interessato invece è un perfetto idiota! TU GLIELO
DEVI DIRE!-
-Io...- Ron abbassò la
testa, per poi abbassarla, rassegnato. –Ma se non mi ricambia?-
-Beh, almeno ti sarai tolto
un peso, no?-
-Ma non saremo più amici
come prima!-
-Senti, non sarai mai
sicuro del suo rifiuto se non glielo chiedi!-
-Io...io...-
-Domani partiamo, e
difficilmente la rivedrai. E’ la tua ultima occasione. Potrai vivere
felice-e-contento, oppure... rimpiangere quest’occasione per tutta la tua
esistenza.-
-...ma fallii.- Ron abbassò
la testa pieno di vergogna. –Non ti dissi niente. Ero sicuro che tu non mi
amassi, che preferissi qualcuno più ricco, più famoso e più intelligente e
dedito allo studio. Così, quando tu mi scrivevi io non riuscivo a rispondere
pensando che tu per me non provavi nulla. Non ce la facevo. Temevo di perdere
il controllo nello scrivere, e così troncai la nostra corrispondenza decidendo
di dimenticarti, anche stando con ragazze di cui tentavo di innamorarmi... inutilmente.- certo, pensai, la bionda..- Ma sono stato egoista,... non ho pensato ai tuoi sentimenti, e
forse ti ho fatta soffrire.- alzò gli occhi a guardarmi.
-Ora ho capito d’aver
sbagliato. E sono tornato... solo per dirtelo.-
Si alzò iniziando ad
allontanarsi, mentre la mia mente lavorava a tutto spiano.
E...
-Un attimo, Ron!-
Si voltò.
-Tu... per caso...- non
sapevo come dirlo. Allora tirai fuori una rosa dalla borsa.
Lui arrossì.
-Hai capito tutto, eh? Beh,
inizialmente pensai che, per conquistarti, andassero bene poesie e misteri...
ma poi mi sono reso conto che sbagliavo. Così ti diedi quei due appuntamenti...
se tu fossi venuto a quello dell’uomo delle rose, voleva dire che davvero non
ti importava di me e preferivi l’opposto di me stesso. Allora avrei smesso e
non avrei fatto nemmeno un tentativo di dichiararmi. Invece ora...- non
completò la frase. Capii che toccava a me.
Sorridendo con gli occhi
lucidi gli presi le mani fra le mie accarezzandogli il palmo.
-Ron- dissi dolcemente
–nella mia vita... almeno, quello che ho vissuto fin’ora... ho conosciuto molti
volti, molte immagini e personalità... tutte mi hanno segnato,
inequivocabilmente, me... C’è una sola persona che non ho mai cancellato dai
ricordi... c’è una sola persona che mi ha cambiato davvero la vita... c’è una
sola persona capace di farmi ridere, piangere, emozionare, arrabbiare e
struggere... c’è una sola persona che in tutti questi anni non ha mai
abbandonato il mio cuore, e che non ho mai smesso di amare... ed è quella che
mi sta davanti adesso. Io ti amo, Ron.-
Non riuscì a rispondere.
L’unica soluzione a queste dichiarazioni è, come spesso accade, un bacio.
Ed è quello che mi regalò
quel meraviglioso pomeriggio, mentre le mie guance si bagnavano della pioggia
che scendeva dal cielo ma che io non sentivo... l’unica sensazione era il tocco
di Ron, paragonabile solo alla morbidezza di un petalo di rosa...
FINE************
Che dire...
banale e autoconclusiva... spero non vi siate annoiati/e, ma l’ho scritta per
puro piacere..