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Autore: U N Owen    05/01/2016    1 recensioni
Dieci ragazzi si riuniscono a Dreadpeak Lodge, una lussuosa baita di montagna, ma non tutto andrà come previsto.
A cena, una voce rievocherà l'oscuro passato che li accomuna, per poi recitare un'inquietante filastrocca:
"Dieci piccoli indiani andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar
[...]
Solo, il povero indiano, in un bosco se ne andò,
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò"

Ispirata a "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, questa storia è scritta a quattro mani da U N Owen e Belfagor, il cui profilo è qui consultabile: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=51754
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La verità, tutta la verità, nient'altro che la verità


Se la polizia si dimostrerà meno idiota di quel che si dice di solito, questa lettera sarà ritrovata dopo la mia morte e ben due misteri, due brutali casi di omicidio, verranno risolti.
In tutta sincerità, in questo momento ho quasi la tentazione di lasciare gli omicidi di Villa Dreadpeak irrisolti. Solo in questo momento mi rendo conto di come tutto sia andato così perfettamente bene, al punto da essere un piccolo, personale capolavoro. Tuttavia, la verità deve essere rivelata, o lo scopo di tutto ciò cesserebbe.

Innanzi tutto, ci tengo a precisare che non sono uno spietato assassino. Le decisioni che ho preso sono state sofferte, ma non le rimpiango assolutamente, in quanto ciò che ho fatto era necessario. Ho sempre avuto un forte senso della giustizia, da sempre (o almeno da quando riesco a ricordare); ciò mi ha portato a disprezzare la violenza gratuita e le angherie ingiustificate, e a coltivare il desiderio di... ‘raddrizzare’ queste ingiustizie. A ciò consegue che il desiderio di vendetta non mi era affatto estraneo, sebbene le mia conformazione fisica, di certo non atletica, mi abbia sempre dato ben poche possibilità in merito, anche se una certa furbizia in parte sopperiva a queste mancanze. Tuttavia posso tranquillamente ritenere il mio comportamento, almeno fino ad alcuni giorni fa, assolutamente irreprensibile. Ogni volta che ho causato delle sofferenze a qualcuno, l'ho fatto per un buon motivo e mai in eccesso.
I fatti però cambiarono tre anni e mezzo fa.

Ciò che più mi preme è dare un resoconto accurato degli eventi di quella notte. Gli eventi che portarono alla morte di Wesley Harrow.
Siamo chiari, Wesley non era un santo. Tutt'altro. Era un sadico tormentatore che si divertiva a rovinare la vita ai più deboli di lui.
Io ero uno di essi. Volevo solo vendetta, certo, volevo fargli assaggiare un po' della sua stessa medicina, come si suol dire, ma non per spirito di vendetta in sé. Doveva essere punito, fermato, sicché altri non patissero ciò che già molti soffrivano a causa sua.
Non che potessi, ovviamente. Non ne avevo i mezzi. Ma essi giunsero inaspettati nella forma di Alexis Griffin, il suo gruppetto di amici, e di un errore di Wesley stesso. Inutile negare che il gruppo di Alexis fosse celebre per molteplici motivi, i loro metodi uno di essi. Non hanno mai accettato che qualcuno li ostacolasse o li opponesse, l'ape regina in particolare, e farlo non era mai privo di conseguenze. Ciò è esattamente quel che scioccamente ha fatto Wesley, evidentemente pensando che attaccare Alexis stessa fosse una buona idea, o non pensando alle ricadute. Quale che fosse la ragione che lo spinse, le conseguenze, se non nella forma almeno nella loro natura, erano assolutamente prevedibili. Gliel'avrebbero fatta pagare cara.
Un'ulteriore casualità che contribuì al mio coinvolgimento nella vicenda avvenne poco tempo dopo, negli spogliatoi scolastici.
Credendo di essere soli, Alexis, Robert e James erano rimasti indietro per discutere alcuni dettagli riguardanti la punizione che avevano ideato. Lo "Scherzo".
Udii involontariamente, ma un rumore rivelò la mia presenza.
Senza scendere in dettagli inutili, mi offrii di partecipare, cosa alla quale alla fine Alexis acconsentì. Non farlo avrebbe comportato troppi problemi. Fu così che venni coinvolto nel più grave errore della mia vita.
L'idea era semplice, ma efficace, il piano ben congegnato.
Anche le parti erano state assegnate, ma a questo giungerò dopo.
Wesley venne distratto e condotto fuori, direttamente in un'imboscata. Di lì la situazione cominciò a precipitare. Lo bloccammo con facilità grazie alla superiorità numerica, dopodiché lo trascinammo verso la scogliera. Qui lo tenemmo fermo, mentre Alexis si apprestava a spogliarlo. In seguito avremmo dovuto legarlo ad un albero vicino al precipizio, lasciandolo ad attendere l'inevitabile umiliazione del giorno dopo, quando l'avrebbero trovato, nudo e legato.
Ma non mettemmo in conto la forza fisica, di certo alimentata dalla sua schiumante rabbia, di Wesley. Certo, anche noi avevamo i nostri muscoli, principalmente James Conquest e Desmond Flakes, ma eravamo scoordinati. O meglio. Alcuni avevano intenzioni diverse dal resto del gruppo.
Per farla breve, Wesley scalciò e tentò di scappare, noi lo trattenemmo e lo spingemmo, e lui cadde dal dirupo.
Sono assolutamente convinto che per alcuni sia stato non intenzionale, ma altri, che nominerò più tardi, avevano questo obiettivo fin dal principio.
Sperammo che si fosse salvato, in qualche modo. Che non si fosse sfracellato sugli scogli.
Ci precipitammo giù, verso la spiaggia che si estendeva poco lontano dal college, per raggiungere il luogo della caduta, sperando in un salvataggio di fortuna. Nulla di tutto ciò sarebbe dovuto accadere. Era stato tutto un grosso, terribile sbaglio.
Non per tutti.
Saltando sugli scogli che si spandevano in prossimità del precipizio, cominciammo a cercare segni di Wesley, vanamente. Finché un grido presto soffocato si levò: Erin l'aveva avvistato, rovesciato, inerme ed impigliato ad una roccia. James fu il primo a muoversi. Mentre gli altri guardavano si avvicinò, toccò la sua spalla ed infine lo trascinò parzialmente sullo scoglio. Wesley Harrow non respirava più. In quella fatidica notte, Wesley Harrow era morto, e noi dieci eravamo i colpevoli. La verità su di noi, il nostro essere degli assassini a tutti gli effetti, giaceva riversata su uno scoglio, gli occhi vuoti che sembravano quasi fissarci accusatori. Quella notte non fu l’ultima volta che vedemmo quelgli occhi.
Ci guardammo, la consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto chiara a tutti.
Cercando di fare il minor rumore possibile rientrammo nel college, ognuno per la sua strada, dopo aver solennemente giurato di non dire mai nulla al riguardo. L’indomani facemmo finta di nulla, commentando la notizia della scomparsa di Wesley e poi fingendoci sorpresi e sconvolti quando il corpo, ormai gonfio e deformato, venne ritrovato. Ovviamente partì un’inchiesta, e i pettegolezzi, ma il pronto intervento di James, tramite l’influenza di suo padre, fece sì che qualsiasi voce su di noi, qualsiasi sospetto, cadesse nel nulla, il caso infine archiviato come suicidio.

Insomma, la facemmo franca. Non pagammo la nostra colpa, e tutto ciò era inaccettabile. Visti i fatti, non saremmo mai stati puniti, perciò presi la pesante decisione di agire. Sia chiaro. Non è qualcosa che ho fatto a cuor leggero o inconscio della gravità delle mie azioni.
A questo punto è necessario ricostruire i fatti di questi giorni, affinché tutti sappiano cos’è successo, e perché.
Ho ideato il piano per molto tempo, perfezionando i dettagli e calcolando ogni particolare. Anche l’occasione della mia punizione non è stata casuale. Periodicamente ci riunivamo da qualche parte, solo noi dieci, per passare del tempo assieme. Badate bene, potrebbe sembrare che questi ritrovi fossero un’occasione per stare in allegria tra amici, e certamente questa era la copertura, il motivo apparente. La ragione era completamente un’altra. Il vero motivo era per ricordare a tutti quant’era accaduto. E no, non per compiangere la vittima, nulla di così altruistico, bensì per ricordarci della nostra colpevolezza, per far sì che non abbassassimo la guardia, che non ci lasciassimo mai scappare nulla. Per tenerci sotto controllo. Per precauzione.
E quale occasione migliore per presentare il conto?
La scelta ricadde su Baita Dreadpeak per motivi logistici. Saremmo stati soli ed isolati. L’unica cosa necessaria era la tempesta perfetta, e per quella mi sarebbe bastato attendere. Ed è esattamente ciò che ho fatto, fino a pochi giorni fa, quando le previsioni di tempesta mi diedero l’occasione che stavo aspettando. Addirittura l’ossessione di James per non essere disturbati ha giocato a mio favore. Volendo l’isolamento adeguato ci ha riuniti in concomitanza con la chiusura degli impianti sciistici, donandomi tutto il tempo necessario ad agire. La tormenta ha fatto il resto.
Colsi l’occasione e spedii per posta prioritaria le lettere del ‘gioco di ruolo’ presentato da A. N. Onym. Tutto ciò, all’apparenza futile, ha avuto un doppio ruolo: far abbassare inizialmente la guardia e creare un nemico inesorabile e invisibile che avrebbe funto da giustiziere: Onym.
Onym avrebbe tormentato i loro sogni, avrebbe nutrito le loro paure e paranoie e avrebbe creato le tensioni perfette per distruggerli.
Il momento perfetto per colpire la prima vittima si presentò con il CD che aveva accompagnato le lettere, e che li accusava dei loro crimini. Erano tutti fin troppo impegnati a prestare attenzione alle proprie accuse per accorgersi che stavo versando acido acetilsalicilico nel bicchiere mezzo pieno di brandy di Carl Kundren, cui era violentemente allergico. L’unica cosa che restava da fare era aspettare che bevesse, e lasciare che la sostanza facesse il resto.
Carl era stato designato come prima vittima in quanto si era limitato a fare da palo quella sera.
Non aveva contribuito attivamente all’assassinio di Wesley, certo, ma non si era tirato indietro, anzi, aveva ciecamente obbedito agli ordini che gli erano stati impartiti. Sebbene ciò fosse imputabile alla sua mentalità, ciò non lo rendeva innocente, solo meno colpevole degli altri, e quindi meno meritevole della sofferenza psicologica impartita agli altri.
A Kurt devo anche l’eccellente idea delle statuette, che ha dato in mano al deceduto Carl. L’idea di seguire la filastrocca appesa ovunque nella baita è stata un piccolo colpo di genio, utile ad alimentare la paranoia degli ospiti, ma aggiungere il tocco delle statuette l’ha resa un piccolo capolavoro.

Durante la notte sarebbe stata la volta di Erin. Sapevo che nonostante tutto non avrebbe resistito alla tentazione di aprire al suo amato Desmond, che con spirito cavalleresco avrebbe senza dubbio controllato la sua incolumità durante la notte. Anche se ciò non fosse avvenuto, farmi aprire sarebbe stato tutt’altro che difficile.
Tuttavia la notte andò come previsto, e Erin mi aprì senza esitazione. Avevo in precedenza messo da parte una boccetta di etere, in fin dei conti di sconcertante semplicità nella preparazione, necessaria all’evenienza.
Una Erin van de Logt priva di sensi è stata scioccamente facile da trasportare sul letto e soffocare con un cuscino. Mi apprestai dunque a chiudere a chiave la porta della sua stanza e tornare nella mia passando dalla finestra. Perché? Scenografia, innanzitutto. È una mia debolezza. In secondo luogo, non potevo rischiare di farmi vedere nel corridoio dopo aver commesso un omicidio. Avrei corso un rischio scioccamente inutile.
Lei si era unita al gruppo per umiliare Wesley. Voleva un modo per lasciarlo elegantemente e fidanzarsi ufficialmente con Desmond, con il quale aveva da tempo una relazione clandestina. Se il suo coinvolgimento si fosse limitato a quello avrei anche potuto considerarla innocente, tuttavia aveva anche funto da esca, convincendo Wesley ad andare alla finta festa che funse da pretesto per attirarlo in trappola. La sua totale mancanza di rimorso ha decretato la sua condanna. Decisi dunque di darle un assaggio dell’angoscia che doveva aver provato Wes quella notte, ma di punirla senza causarle ulteriore sofferenza.

La scelta per la terza vittima venne naturale, ovviamente. Kurt Aldrich, un altro degli estranei al gruppo di Alexis. L’occasione non sarebbe potuta essere più semplice da creare. È bastato indurre Desmond a suggerire che il gruppo si dividesse per ceracare il misterioso Onym e aspettare che Kurt fosse solo. Gettarlo giù dalle scale e svignarsela è stato semplicissimo. Riguardo ai sospetti, avrebbe potuto letteralmente essere chiunque.
Sebbene lui si fosse macchiato del tradimento della fiducia di un amico, dichiarando che sarebbe andato con Wesley alla festa fittizia per assicurarsi che non avesse sospetti, era quello più colto dal pentimento, e causargli maggiore sofferenza non sarebbe stato appropriato. Di certo era una vittima della tirannia di Wes, ma nondimeno un complice. Sono convinto che avesse già accettato la sua sorte quando mi ha visto in cima alla scalinata. È possibile che l’avesse addirittura accolta come una liberazione.

A questo punto avvenne la svolta cruciale del piano. Innanzi tutto, mentre la rice-trasmittente che avevo precedentemente manomesso giocava il suo ruolo di distrazione, Alexis e Robert si avviavano a recuperare l’accetta, della cui presenza avevo ricordato la ragazza. Successivamente, quando ci dividemmo per cercarli, trovai l’alleato perfetto, sebbene la presenza di Eveline fosse un inconveniente imprevisto.
In tutto ciò la fiducia instillata in Desmond Flake aveva attecchito, così come il sospetto nei confronti degli altri. La proposta di incontrarci durante la notte venne accolta entusiasticamente, e l’occasione per ucciderlo con essa. Approfittando delle tenebre e della paranoia di Desmond lo colpii alla nuca con un masso, lasciai il corpo alle intemperie e tornai in camera. Colpevole di aver partecipato allo scherzo per ottenere Erin, la fatidica notte si era anche trattenuto per far sparire le prove, le corde, e per spingere al largo il cadavere. Se le prove contro di noi erano state poco più che vaghe, è stato soprattutto grazie a lui. La sua codardia, che così bene nascondeva, alla fine è stata ciò che l’ha schiacciato.

A questo punto, prese luogo il piano concordato con Isabel. Sciocca ragazza. Era la vittima ideale, così ignara di ciò che la circondava. Non avrebbe riconosciuto qualcuno con intenzioni sospette ad un centimetro dal suo naso. Ed effettivamente è esattamente ciò che è successo. La convinsi ad allearsi con me, e dato che era l’unica dei restanti in vita ad avere conoscenze mediche, era perfetta per convincere gli altri della mia morte. Ci eravamo dati un punto di ritrovo, la sala cinematografica, e cogliendo l’occasione perfetta inscenammo la mia morte. Come al solito, la scenografia è stata un mio debole, e dovetti proiettare un documentario sulle api a fare da contorno alla presunta scena della mia morte. Mi sedetti, mi finsi morto, e Isabel mi fece una finta puntura, semplicemente con un ago. Non potevamo certo rischiare che qualcuno notasse che non c’era nessun buco sul mio collo. Non c’era neanche nessuna siringa da trovare, e così un altro apparentemente impossibile omicidio di Onym era andato a segno. Una letale iniezione di atropina, mai avvenuta. Chiaramente lei pensava che il piano avesse lo scopo di scombussolare i piani di Onym, di permettermi di fingermi morto per osservare di nascosto. Mi permise invece di agire indisturbato.

Con tutto il tempo a mia disposizione avvitai un gancio al soffitto delle stanze di Alexis e James, per buona misura, sebbene fossi convinto, a ragione, che solo uno sarebbe stato necessario. Appesi il lenzuolo di Desmond, sporco di sangue, nella stanza di Alexis: il diversivo. Proseguii scendendo in cucina e preparando i cavi di una presa per la fase seguente. Bastò tagliarli con un coltello che avevo nascosto e sguainarli, per poi nasconderli nuovamente: i mezzi.
La parte finale delle preparazioni venne con Isabel. Non appena trovò una scusa per allontanarsi dal gruppo la raggiunsi e le dissi che avevo un piano per scoprire Onym, e di incontrarmi non appena sarebbe saltata la luce nell’ala in disuso, nel primo bagno sulla destra.
Mi bastò nascondermi accanto alla cucina, armato di un fazzoletto e di etere. In attesa della mia vittima. Allo scendere dell’oscurità, attesi che Alexis salisse nella sua stanza. Al suo grido, feci scattare gli interruttori del quadro elettrico. Eveline de Dispaire, conscia della sua avvenenza, aveva atteso Wes, Kurt e Isabel per la strada e aveva sedotto la vittima, convincendolo a seguirla. Non si limitò a questo. Lei incitò gli altri quando la colluttazione degenerò, contribuendo attivamente alla morte di Wesley. Eveline aveva ormai perso la ragione e avrebbe agito irrazionalmente. Sfortunatamente un po’ troppo irrazionalmente, in quanto si addentrò nella cucina, ma fu sufficiente attendere tra le tenebre e addormentarla. La trascinai in cucina e tirai fuori i cavi tagliati, infine cosparsi tutto d’acqua.
La mia parte era finita, potevo raggiungere Isabel.

Come d’accordo, Isabel era nell’ala dimessa, ad aspettarmi, al buio. Isabel, l’apparentemente sbadata, sciocca Isabel non si limitò a partecipare all’elaborata esca. Lei spinse attivamente Wes verso il dirupo. Alla mia aggressione si è difesa, glielo riconosco. Mi ha dato del filo da torcere, ma alla fine riuscii a sedare anche lei. Bastò aprire l’acqua e trattenerla sotto. Che l’avessero trovata o meno, il suo scopo nei miei piani non era finito, anche dopo la morte.

Mancavano solo più pochi atti alla conclusione della tragedia. Con i tre superstiti fuori, troppo spaventati e paranoici per restare in casa, ebbi tutto il tempo di preparare la casa per l’ultima parte.
Un paio di tocchi qua e là, e mi sarebbe bastato attendere. La stanza dei trofei sarebbe stato il luogo della dipartita di Robert. Lui avrebbe pensato alla possibilità che Isabel fosse morta. Lui sarebbe andato a controllare. Lui avrebbe deciso di armarsi del fucile nella stanza dei trofei per far fuori l’assassino. Non avevo dubbi. Mi bastò preparare un sistema di funi e pesi che avrebbe causato la caduta dell’enorme orso impagliato, proprio addosso a chiunque avesse preso il fucile appeso davanti. La morte sarebbe stata inevitabile.
Robert, probabilmente la più grande minaccia per me, era stato schiacciato dalla prevedibilità del suo intuito geniale. Lui, che aveva progettato tutto nei dettagli, che aveva fatto sì che ognuno si muovesse come una pedina sulla sua scacchiera, apparve divertito quando le cose precipitarono sulla scogliera. Sospetto addirittura che la fine che ha fatto Wesley fosse nei suoi piani fin dal principio.

Mentre tutto ciò accadeva, io appendevo un cappio nella stanza di Alexis, una sedia pronta sotto.
Il resto si è praticamente svolto da sé. Osservai mentre Alexis e James si avviavano furtivi per Baita Dreadpeak, cercando un assassino invisibile.
Trovarono il cadavere di Isabel, e dopo una lodevole messinscena, Alexis riuscì a strappare il fucile di mano a James e a premere il grilletto. James Conquest, il tiranno. James Conquest, che aveva coperto tutto. James Conquest che mai perdeva occasione di ricordarci come fossimo liberi solo grazie a lui, che ci teneva costantemente sotto terrore e silenzio. James Conquest era morto per mano della ragazza che aveva amato, e per strumento del fucile che tanto lo appassionava. James Conquest aveva avuto la meglio per l’ultima volta.
Io la attendevo, pronto. Dopo aver vagato per la casa, ormai all’apparenza vuota, Alexis si diresse verso la sua stanza, al che, l’ultimo atto. Feci partire la registrazione della filastrocca, e la osservai dalle ombre. Certamente lo stress e la pressione hanno giocato il loro ruolo. La colpa e la suggestione hanno fatto il resto.
Alexis Griffin, la mente di tutto, l’ape regina, pende ora senza vita dal soffitto della sua stanza. Il suo scopo non era mai stato l’umiliazione. Lei aveva sempre voluto uccidere Wesley da quando lui l’aveva umiliata davanti a tutti. Aveva usato gli altri, come sempre, manipolati per i propri scopi, sicura che avrebbero trovato un modo per farla franca. Non aveva calcolato la mia presenza.
Il tocco finale: poggiare nuovamente la sedia contro la parete.

In questo momento, siedo, unica anima rimasta in vita in questa villa, in sala da pranzo, a scrivere la presente. Cosa farò ora? Una volta finita la lettera, la chiuderò in una busta, e la inserirò nel fondo del centrotavola che è stato una presenza così importante in tutta questa vicenda. Se verrà trovata, giustizia sarà stata fatta non solo in assoluto, ma anche nei confronti della verità.
Rimane un ultimo colpevole da sentenziare. Io.
Mi avvierò nella mia stanza con il mio indiano, preleverò la siringa di atropina nascosta in una trave allentata del pavimento, dove erano nascosti anche l’etere e il fazzoletto. Effettuerò l’iniezione e, nel tempo rimastomi, riporrò la siringa sotto la trave, mi adagerò sul letto e mi addormenterò con l’etere. La mia mano ricadrà al mio fianco, con il fazzoletto. Mi troveranno disteso sul letto, avvelenato dall’atropina, come annotato dai miei compagni di sventura. I diversi momenti dei decessi non potranno essere stabiliti con precisione quando i nostri corpi verranno esaminati.
Quando la bufera si calmerà, arriveranno da valle i soccorsi. E si troveranno dieci cadaveri e un mistero insoluto a Dreadpeak Lodge.

 

Dover William O'Scolaidhe

 

 
  
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