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Autore: Hayhey    06/01/2016    4 recensioni
C’era una volta, in una terra lontana e irraggiungibile, sconosciuta ai più, una vecchia signora. La signora era isolata dal resto della popolazione di quella terra misteriosa perché molti credevano non esistesse. Non si sapeva nulla di lei, né della sua età, né del suo lavoro. Questa vecchia signora lavorava costantemente, da che se ne ricordava. Scriveva favole.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La creatrice delle favole
Ogni favola è un gioco
È una storia inventata
Ed è vera soltanto a metà
E fa il giro del mondo
E chissà dove è nata
È una favola, e non è realtà.
Edoardo Bennato, Ogni favola è un gioco
 
C’era una volta, in una terra lontana e irraggiungibile, sconosciuta ai più, una vecchia signora. La signora era isolata dal resto della popolazione di quella terra misteriosa perché molti credevano non esistesse. Non si sapeva nulla di lei, né della sua età, né del suo lavoro. Questa vecchia signora lavorava costantemente, da che se ne ricordava. Scriveva favole.
Per cercare l’ispirazione spesso viaggiava, sia nella sua terra –di cui ormai conosceva ogni angolo-, sia negli altri mondi. Dato che nessuno sapeva della sua conoscenza, non potevano riconoscerla e questo era dalla sua parte: se avessero scoperto della sua esistenza, i mondi non avrebbero più avuto le favole, le prime storie mai sentite nella Storia dell’universo, e da esse sarebbe scomparsa la fantasia che procuravano. Il mondo sarebbe stato grigio e triste e non avrebbe più avuto quel bagliore di colore e speranza che ogni piccola storia dava. I bambini crescevano con esse e pensavano “Se ce l’ha fatta lui, lo posso fare anche io!”, e questo dava grandi uomini e donne a tutti i mondi.
La vecchia signora aveva un nascondiglio nel cuore della sua terra lontana: l’Albero della Vita. Questo albero splendeva di luce propria e da esso nasceva il mondo, e tutto, quando moriva, ritornava alle sue radici. Iwebele¹ –questo era il nome della vecchia signora, il cui significato era ‘Madre Lingua’- si sedeva ogni sera vicino alle radici dell’Albero e scriveva con un pennino la storia che aveva inventato quel giorno sul Libro delle Favole.
 
C’era un pericolo però per i bambini che le leggevano o a cui venivano lette: che essi vi credessero totalmente e incondizionatamente. Questo poteva portarli a fare cose avventate come i loro eroi e, in casi rari ed estremi, alla morte. Era già successo molte volte e doveva sempre inserire, nella favola, un qualcosa che indicasse la fantasia, che dicesse che quelle storie non erano la realtà, che erano vere solo a metà. Le favole dovevano insegnare i valori come l’amore, l’amicizia, l’avventura e la necessità di fantasia, creatività e speranza.
Era successo che un bambino, ascoltando Peter Pan, si mettesse in testa l’idea di non diventare grande e fosse scappato alla ricerca dell’Isola Che Non C’è, fuggendo così dai genitori disperati che ancora oggi non smettevano di cercarlo.
Una bambina voleva essere come La Sirenetta ma, non sapendo nuotare, era quasi annegata.
 
Molti credevano ovviamente che a scrivere queste favole fossero stati i famosi autori come Carroll o i fratelli Andersen, ma venivano tutte da Iwebele, che le mandava nei vari mondi. Nel suo, la più famosa era Mamma Albero ed era la prima che fosse mai stata scritta. Si ispirava proprio a lei e all’albero e molti ne erano affascinati.
Come molti sanno, ogni storia ha un fondo di verità e ci sono anche le persone che hanno cercato il centro della Terra, sperando di trovarvi strane creature, o l’isola del tesoro, ma invano. Finché, una mattina, nella terra lontana di Iwebele, in un afoso giorno di Caldautunno², una piccola bambina ebbe in testa di cercare la Mamma Albero.
Non sapeva di certo che la terra lontana di cui si parlava nel libro fosse proprio la sua, ma non sapendo da dove cominciare ed essendo una bimba decisa, iniziò la sua ricerca senza indugi. Dovendo in qualche modo cominciare, cerco l’entrata verso il centro del pianeta in cui viveva in lungo e in largo, lasciando la sua casa e i suoi genitori, salutandoli con un piccolo biglietto.
Aveva portato con sé uno zaino più grosso di lei che conteneva tutto il necessario per sopravvivere e per procacciarsi del cibo –cosa che veniva insegnata da subito ai piccoli, essendo una terra molto pericolosa e piena di creature selvagge.
Dopo due lune di lunga ricerca, giunse finalmente nel luogo descritto dal libro: fra montagna e mare si trova la mia dimora, l’entrata è una caverna, aperta solo al tramonto dell’alba e chiusa a chi non è puro di cuore. Solo una persona alla volta può entrare e solo una può uscire. Ora rimaneva solo un problema: quando era il tramonto dell’alba? La bambina rifletté a lungo, tanto che dovette sedersi per riposarsi e cadde addormentata. Alla mattina, fu svegliata da una luce, il sole si stava alzando e la sua prima possibilità di entrare era lì, davanti ai suoi occhi. Provò a vedere in quale assurdo modo potesse entrare, ma il sole salì prima che lei riuscisse nel suo intento.
Tentò ancora per vari giorni, ma non riuscì a entrare. Al nono giorno, le venne un’intuizione. Tirò fuori dal suo zaino una bottiglietta, la riempì di terra e la spinse con un bastoncino, in modo che stesse attaccata al fondo, poi aspettò che venisse l’alba. Non appena vide il sole spuntare da dietro la montagna, tese il braccio e capovolse la mano che teneva la bottiglietta, in modo che sembrasse che ci fosse della terra in cielo. Quando il sole non si vide più perché coperto dalla terra, la bambina sentì un rumore sordo e, girandosi verso la base della montagna che toccava l’acqua salata del mare, vide che si era aperta una caverna.
Entrò senza indugi e subito la caverna le si chiuse dietro. La via proseguiva verso il basso e man mano che scendeva, il paesaggio cambiava. Dentro alle rocce si accendevano delle luci verdi-azzurre che sembravano antichissime e vicino a esse, quando ormai era arrivata alla fine, crescevano delle piante che sembravano messe apposta per decorare il luogo e la bambina sentì come se stesse rinascendo e, allo stesso tempo, un cattivo presagio crebbe dentro al suo cuore giovane e curioso. Infine, giunse in una radura con al centro un albero maestoso ed emanante luce propria, che rischiarava tutta la bolla di vita in cui si trovava la piccola. Un leggero venticello proveniente da vari buchi sul ‘soffitto’ muoveva le fronde verdi dell’albero, creando un rumore leggero e pacifico. Oltre all’albero maestoso verso il quale la bambina sentiva un profondo rispetto, notò la capigliatura riccia e grigia di una vecchia che la fissava. Il suo sguardo era triste, come se sapesse che quel momento sarebbe arrivato, e profondo, narratore di mille e più avventure fantastiche e ordinarie. Portava sul grembo un libro enorme, aperto verso la metà, con le pagine bianche e un pennino sopra di esse, gocciolante di un inchiostro verde.
La bambina si mosse, come spinta verso la vecchia contro la sua volontà. Arrivò a lei e le due si guardarono per molto tempo, la vecchia e la bambina, l’esperienza e la curiosità, l’universo e il piccolo pianeta. In quel lungo sguardo la vecchia passò alla bambina il suo nome, Iwebele, le spiegò il suo significato e quello che aveva fatto in tutte le migliaia di anni precedenti alla sua nascita, la raccolta di tutte le favole e tutto quello che aveva visto. Le spiegò dell’Albero della Vita, del fatto che le favole non fossero reali e di stare attenta a quello che avrebbe scritto.
La piccola non capiva inizialmente, ma poi le tornarono in mente le parole della favola. Solo una persona alla volta può entrare e solo una può uscire. Le lacrime salirono subito ai suoi occhi e strinse le mani tremanti di Iwebele con foga, ma la vecchia ormai non era più Iwebele, lo era diventata lei e comprese.
La vecchia, compiuto il suo compito, svanì e la luce che lasciò si ricongiunse all’Albero e subito uscì, per finire dentro alla bambina.
E nacque una nuova Iwebele, e passarono migliaia di anni prima che ne nascesse una nuova.

 
[1]: Letteralmente ‘Madre Lingua’ in Zulu, una lingua africana che mi sembrava più adatta al contesto. Preso da Google Traduttore, quindi non assicuro niente.
[2]: Terra straniera, stagioni straniere, no? Ok, la smetto.
   
 
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